sabato 30 giugno 2012

VITTORIA DI MONTI...O VITTORIA DI PIRRO?



LA COSIDETTA "GRANDE VITTORIA" DI MONTI


Puntuale, arriva la dichiarazione delle Merkel: «I paesi i cui bond verranno acquistati dai fondi Esm/Efsf dovranno rispettare condizioni che saranno verificate dalla troika Ue-Bce-Fmi». Altro che festeggiamenti, e ottimi accordi, dunque.

I giornali titolano che quella di ieri è stata una vittoria di Mario Monti, ma le cose in realtà stanno diversamente. Prima la notizia: l'accordo raggiunto, a quanto pare, prevede a grosse linee che da ora in poi vi sarà un intervento diretto del Fondo Salva Stati per andare a calmierare gli spread eventualmente in salita dei Paesi in difficoltà. Una sorta di soluzione per intercettare le situazioni più acute. Questo il punto centrale, a quanto si sa al momento, della riunione fiume di ieri. Trovate le cronache su ogni giornale, dall'asse Monti-Hollande al viso ceruleo della Merkel all'uscita dalla riunione a notte fonda.

Un bell'accordo? Non diremmo, e vediamo il perché, che è unico, ma essenziale.

Intanto registriamo per dovere di cronaca che i mercati stanno apprezzando la cosa, visto che le Borse al momento riprendono fiato (dunque gli speculatori al rialzo guadagnano) e che gli spread diminuiscono. Quello dell'Italia passa in poche ore dai 470 punti di ieri ai 410 attuali (ore 11). Quattrocentodieci, sia chiaro: molto al di là, in ogni caso, della soglia di sicurezza citata da Monti stesso a suo tempo, ma insomma per il momento in discesa.

Gli sherpa dei vari governi stanno preparando la bozza del testo che, secondo le previsioni, dovrebbe essere approvato il prossimo 9 luglio.

Ma cerchiamo di capirne l'essenza. Dunque, per calmierare gli spread - cioè quello che chiamano strumento per la stabilizzazione europeo – si prevede che il Fondo Salva Stati intervenga direttamente in caso di difficoltà. La novità risiede nell'utilizzo automatico del Fondo in tali occasioni, ma essa non cambia la situazione, per un motivo ben preciso: il Fondo Salva Stati è alimentato dagli Stati stessi. Si tratta di denaro che ogni Stato dell'Unione versa nel Fondo per soccorrere i paesi in crisi (attenzione: non cadiamo nella falsa dichiarazione di Monti secondo la quale il meccanismo non peserà sui bilanci degli Stati: il meccanismo pesa eccome, visto che il Fondo in ogni caso è sempre composto dal denaro dei vari Stati). 

Dunque, mediante il Fondo, gli Stati si tassano per diventare soccorritori. Orbene, nel momento attuale, gli Stati stanno passando, tutti, tranne la Germania, dalla situazione di soccorritori a quella di soccorsi. Dunque chi fino a ora poteva soccorrere ha bisogno adesso di essere soccorso. E cosa succede quando sono più numerosi gli Stati a dover essere soccorsi rispetto a quelli in grado di soccorrere? Fin troppo semplice la risposta. Il Fondo Salva Stati è destinato presto a esaurirsi e dunque a dover essere incrementato. Da chi? Da chi può, ovvero solo la Germania. E siamo - saremo - da capo.

Ecco il motivo della dichiarazione della Merkel che abbiamo citato in apertura. Dichiarazione che è destinata ovviamente a incrinare tutte le decisioni strombazzate dai media in queste ore. 

Ultima nota, che non ci sembra di poco contro: a quanto pare tale nuovo meccanismo sarà messo in opera dalla Bce. In altre parole, il Fondo Salva Stati interverrà automaticamente nei casi di difficoltà dei paesi sotto la supervisione della Banca Centrale Europea. Come dire, sarà Mario Draghi a gestirlo. Una Banca privata, che già gestisce il denaro in circolazione a monte, ovvero nel momento della sua creazione, adesso lo gestirà anche a valle, ovvero dopo che gli Stati lo avranno messo a sua disposizione, attraverso il Fondo, per calmierare i mercati.

E allora, si tratta di un bell'accordo, come ci ripetono da tutte le parti, o di una ennesima, ridicola, inutile e ipocrita illusione?

Valerio Lo Monaco

www.ilribelle.com

PINK FLOYD- COMING BACK TO LIFE



MUSICA STUPENDA, IMMAGINI SPETTACOLARI
























venerdì 29 giugno 2012

MINISTRA FORNERO, TE LO SPIEGA DI VITTORIO…


«Nell’intervista odierna al quotidiano statunitense il ministro ha fatto riferimento alla tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro». È la precisazione che arriva dal ministero del Lavoro, a stretto giro dalle dichiarazioni della ministra Fornero, che in un’intervista al Wall Street Journal aveva affermato che «il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio». Se l’ho capita bene, questa precisazione rimane del tutto inutile, rispetto alle giustificazioni della Fornero, che nella stessa nota ha cercato di spiegare c he «Il diritto al lavoro non è mai stato messo in discussione come non potrebbe essere mai visto quanto affermato dalla nostra Costituzione».
Giuseppe Di Vittorio, oggi più che mai compianto segretario generale della Cgil, probabilmente spiegherebbe alla Fornero quanto scrisse nel 1952, nei giorni del congresso della Cgil, e cioè che la Carta costituzionale «garantisce a tutti i cittadini, lavoratori compresi una serie di diritti che nessun padrone ha il potere di sopprimere o di sospendere. Non c’è e non ci può essere nessuna legge la quale stabilisca che i diritti democratici garantiti dalla Costituzione siano validi per i lavoratori soltanto fuori dalla azienda». In sostanza, non può esserci differenza, nella garanzia dei diritti del lavoro costituzionalmente sanciti, tra quanto avviene nel cosiddetto mercato del lavoro e quanto avviene sul posto di lavoro.
Ma questo, evidentemente, è un concetto che non può essere chiaro alla ministra Fornero, così ubriaca di neoliberismo da vedere, nel mercato del lavoro, solo curve di domanda e offerta e diagrammi e numeri e non anche, come dovrebbe essere, uomini e donne in carne ed ossa che quando parlano di “lavoro” pensano alla “dignità”.

lunedì 25 giugno 2012

CATASTROIKA

Privatizzazioni 2012: l'avvento della Catastroika sui Paesi europei




La crisi finanziaria non è che l'ultimo passo della shock economy. Dopo l'ultima spoliazione non rimarrà nulla di nostro.

 Si chiama Catastroika, il nuovo documentario della coppia greca che già aveva prodotto il bel "Debitocracy".








POLITICA E "SOCIETA' CIVILE"




Mentre la Seconda Repubblica è miseramente tramontata con l'addio (?) del Cavalier danzante con la sua corte dei miracoli, praticamente nello stesso modo in cui affondò la Prima tra scandali , "nani e ballerine" di craxiana memoria, ritorna forte  l'appello alla "società civile".
La cosiddetta "società civile" si presentò dopo la disfatta dei partiti storici, con il sorriso a 32 denti e le mirabolanti promesse dell'imprenditore di Arcore e, con la faccia più truce e padana, della Lega, allora ancora solo lombarda.
L'uno rappresentava il grande imprenditore di successo del tipico sogno americano del "self made man", gli altri gli interessi di una piccola e media imprenditoria diventata "locomotiva d'Italia" grazie all'impegno, ma spesso anche a pratiche al limite della legalità in materia di rispetto dei diritti dei lavoratori e della fiscalità.
C'era poi un'altra parte autopresentatasi anch'essa come "società civile", ed era rappresentata dai boiardi di stato, personalità non propriamente politiche ma che si erano avvalse della politica per la scalata a posizioni di prestigio e assai remunerative in Istituti Pubblici, Banche, grandi gruppi finanziari ecc. i cosiddetti "tecnici".
Tecnici che oggi si presentano ancora in pompa magna a rappresentare l'alternativa alla "politica", corrotta e incapace, ormai per definizione, nell'ultima (per il momento) versione rappresentante il grande potere finanziario  globale che tenta di dare il colpo finale a quel poco di diritti e libertà che la Politica (quella sana) aveva conquistato in anni di lotte.
A parte la statura e lo spessore discutibile di molte delle personalità che, nei diversi schieramenti, sono stati presentati come rappresentanti della società civile e che hanno fatto rimpiangere anche i peggiori tra i politici, quello che non torna proprio è che da questa società civile siano sistematicamente esclusi rappresentanti delle grandi masse di lavoratori e, in genere, dei ceti più deboli. Sono forse meno "civili"? Sono forse meno preparati? Ovviamente in gran parte ciò è vero, pochi hanno la fortuna di permettersi frequentazioni bocconiane e master all'estero finanziati da fondazioni bancarie, ma l'esclusione aprioristica è perlomeno dubbia e sospetta. Che si voglia evitare di confrontarsi con ragionamenti apparentemente più semplici ma capaci, magari, di mettere in crisi argomentazioni forbite e piene di citazioni statistiche, in genere fornite da istituti o associazioni, legate a doppio filo con gli stessi interessi economico-finanziari e che utilizzano perciò gli stessi parametri per il giudizio e le analisi dei fatti.?
Magari potrebbe emergere che il debito pubblico è un problema che riguarda il sistema bancario e la scellerata scelta di togliere autonomia  e sovranità agli stati per consegnarle allo stesso sistema speculativo, lontano anni luce dai problemi reali delle persone. Magari potrebbero provare che invece di distruggere latte, cereali, frutta, verdura per favorire la speculazione importando, poi, gli stessi prodotti da paesi lontani, sarebbe più conveniente e logico utilizzarle in loco favorendo il contadino che le produce e il consumatore. Oppure, che, spendere miliardi per l'acquisto di aerei o navi da guerra che verranno utilizzate per guerre di "pace" dall'altra parte del mondo è aberrante. Come lo è continuare a produrre in Cina o dovunque sia prodotti a basso costo destinati solo al consumo compulsivo e interessato con spreco di risorse naturali e energetiche, provocando inquinamento e rottura di equilibri ecologici millenari
Scoprire, forse, che si può produrre di meno e meglio vicino ai posti dove si utilizzeranno le cose, migliorando qualità della vita e risparmio di risorse. Scoprirebbero forse, ancora tante cose che negli esami della Bocconi sicuramente non trovano posto ma che sono quelle con cui le persone si confrontano tutti i giorni, e che a complicare le questioni  sono gli "Azzeccagarbugli" prezzolati dal sistema. Scoprire che, alla fine, le soluzioni potrebbero essere molto più semplici, basta guardare  con altri occhi!
Occhi che potrebbero e dovrebbero appartenere alla Politica, quella alta, nobile svincolata da interessi di bottega, spinta da forti motivazioni ideali, quella in cui il Si è Si e il No è il No. Quella che si confronta con le persone con i loro bisogni e non con i freddi numeri delle statistiche,spesso falsi o interessati, Quella che portava e, dovrebbe ancora portare, a perdere sonno, tempo, risorse e, a volte anche la vita, per il raggiungimento di obiettivi di interesse comune e non per la sicurezza e i privilegi di uno scranno nelle istituzioni.
Loro non lo faranno, dobbiamo essere noi a tornare ad  interessarci di politica a riempirla di valori, di significati, in modo che sia rappresentanza di sogni e bisogni.
Lo schifoso spettacolo offerto negli  ultimi decenni dai nostri politici non deve rappresentarne la fine, pena l'affidare la costruzione (distruzione) del mondo alle menti fredde, calcolatrici, senz'anima dei tecnici e dei rappresentanti della "società civile". La politica è come la religione, non è una cosa sporca a prescindere, dipende da chi e come la si fa. C'è il prete pedofilo e gli interessi ambigui, ma per fortuna ci può essere anche S.Francesco.

MIZIO

domenica 24 giugno 2012

GERMANIA: SE USCITE DALL'EURO CI ROVINATE!





Siamo entrati nell'euro per mano dei tedeschii, anche se non avevamo le carte in regola, dopo avere accettato un progetto di deindustrializzazione che ha reso poveri noi e ricchi loro. Lo dice chiaramente Nino Galloni, altissimo funzionario del tesoro all'epoca del sesto Governo Andreotti. E ora non usciamo dall'euro per non distruggere Berlino. Lo dice altrettanto chiaramente questo articolo dello Spiegel, datato 13 giugno 2012, di cui riporto un estratto:
« Con un’uscita dall’Euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo. La nostra invece inizierebbe proprio allora. Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente. Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti target 2 intraeuropei. E chi crede che non vi saranno allora dei rifiuti tra i paesi europei, non s’immagina neanche cosa possa accadere durante una crisi economica così profonda. Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative. Non riesco ad immaginarmi che in Germania a parte alcuni professori di economia statali e in pensione qualcuno possa avere un Interesse a un crollo dell’euro. » [Spiegel OnlineKurz vor dem Kollaps] (traduzione: Francesco Becchi)

 Per chi lavora Monti? Perché Angelo Panebianco ancora ieri sul Corriere della Sera, nonostante sia ormai chiaro che l'uscita dall'euro è una manna per l'economia italiana e non rappresenta la catastrofe che volevano farci credere, arriva allora a dire che senza un vincolo esterno alla nostra democrazia (Nato, Usa, UE e così via) l'Italia politica, lasciata sola, si disgregherebbe arrivando a mettere in crisi la stessa esistenza dello Stato-nazione? Come si può accettare che qualcuno parli del nostro Paese in questo modo, come se potessimo esistere solo in un ambito di commissariamento continuo, sia esso oscuro (come nel caso dei governi precedenti a quello attuale) o manifesto (come nel caso del Governo Monti)? Non è forse alto tradimento accettare o insinuare l'idea che la nostra sovranità non basti a se stessa?

Ho incontrato Paolo Becchi alla stazione centrale di Milano, ieri. Mi sono fatto un panino. Da buon genovese, si è fatto offrire il caffè. Non ci eravamo messi d'accordo, ma eravamo entrambi indignati per lo stesso identico motivo: come è possibile accettare parole come quelle di Panebianco?

 Questo l'articolo di Paolo comparso questa mattina su Libero.

BASTA CATASTROFISMI!

LIberarsi dei vincoli della moneta si può
 Nella discussione sulla «crisi» della moneta unica e sulle possibilità di uscita dall’euro, ci siamo finalmente liberati di un tabù economico. Dopo le prese di posizioni di molti autorevoli economisti, anche alcuni dei partiti che sostengono l’attuale governo sono stati costretti ad ammettere che un ritorno alle monete nazionali potrebbe presentare, dal punto di vista economico, una serie di vantaggi.

 Ma lo spettro della «catastrofe economica», scacciato dalla porta, rientra dalla finestra sotto mentite spoglie, quelle della «catastrofe politica». Si ammette che uscire dall’euro potrebbe rappresentare una soluzione meno dolorosa dell’agonia provocata dall’attuale unione monetaria, ma, nel contempo, si alza la posta in gioco: ciò provocherebbe, infatti, «forti rischi» sia per la democrazia politica che la stessa integrità dello Stato nazionale.

 Tale è la tesi sostenuta da Angelo Panebianco, in un recente intervento sulle pagine del Corriere della Sera («Moneta unica e democratica», 21 Giugno 2012): la fine della moneta unica annuncerebbe, ora, una «catastrofica dissoluzione di quasi tutto ciò che è stato costruito in sessanta anni di integrazione europea». Secondo Panebianco, la stabilità del sistema politico e democratico italiano sarebbe inseparabile dalla presenza di un «vincolo esterno». L’Italia avrebbe, in altri termini, trovato la propria stabilità non tanto nelle proprie tradizioni culturali e politiche, quanto da una sere di vincoli e costrizioni esterne («la Nato e, per essa, il rapporto con l'America, la Comunità europea in subordine») senza le quali la stessa unità nazionale sarebbe stata destinata a disgregarsi dall’interno. Senza la moneta unica, sembra doversi concludere, verrebbe meno non tanto la stabilità economica dei Paesi europei, quanto la stessa esistenza dell’Italia, dello Stato-nazione.

 Ora che lo spauracchio della «crisi economica» è stato smentito, ecco dunque farsi avanti l’incubo politico, ed il suo scenario catastrofista: democrazia a rischio, vuoti improvvisi di stabilità, forse la guerra civile. Ma noi non possiamo permetterci, soprattutto oggi, questa assuefazione alla catastrofe, questo senso di paura di vedere lo Stato disgregarsi («Né disgregazione né assuefazione», era il titolo di uno splendido editoriale di Claudio Magris, scritto nell’annus horribilis della Repubblica 1993).

 La realtà è, tuttavia, rovesciata. È, infatti proprio la moneta unica che costituisce, oggi, il «vincolo esterno» che impedisce all’Italia di poter rivendicare la stessa sovranità e stabilità interna. È la moneta unica che è in crisi perché non è stata uno strumento efficiente nel favorire quel processo di unificazione politica dell’Europa a cui era preordinata. L’integrazione politica degli Stati era stata pensata al fine di evitare altri milioni di morti in Europa, ma ha finito per produrre miseria e desolazione.

 La presenza di costrizioni ed influenze esterne sul nostro Paese, inoltre, è proprio ciò che ha impedito all’Italia di divenir nazione, per restare un Paese irrisolto e debole, una patria «mancata» e contestata, uno Stato-ombra, una provincia, un’espressione geografica. Proprio quei «vincoli esterni» hanno reso possibile l’«anomalia» italiana, la sua «nazionalizzazione contrastata ed imperfetta » (Soldani-Turi). Panebianco sembra confondere la «stabilità» di una nazione con la sua dipendenza economica e politica. E se si può dire che questo Paese è rimasto «stabile» proprio perché gli è stato impedito di divenire una nazione, allora, proprio dal punto di vista politico, varrebbe la pena di domandarsi se non sia finalmente giunto il momento di liberarsi da questa stagnante «stabilità».

giovedì 21 giugno 2012

DDL LAVORO:CHIAMATELA RIFORMA DAMIANO-TREU





Converrà chiamare «Riforma Damiano-Treu» il disegno di legge sul «mercato del lavoro» attualmente in discussione alla Camera, visto che i due parlamentari del Pd, Relatori della legge (Tiziano Treu al Senato, Cesare Damiano alla Camera) sono i zelanti esecutori della sua prossima approvazione parlamentare.
«Devo arrivare al Consiglio europeo del 28 giugno con la riforma del mercato del lavoro, altrimenti l'Italia perde punti». Quella riforma del Welfare «presto verrà rivalutata anche da coloro che, pur avendola confezionata partecipando alle consultazioni, ora la criticano». Così si è espresso, lapidario e proverbiale, il premier di unità nazionale Mario Monti lo scorso sabato 16 giugno, ospite de «La Repubblica delle idee».
Più realisti del re
Evidentemente dicono molte verità queste due affermazioni. Da una parte la consapevolezza che l'unica «riforma» che questo governo agonizzante può incassare è quella sul «mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», come recita il Ddl in questione. È un titolo beffardo per un Paese che entra nel quarto trimestre consecutivo di recessione, in cui l'unica cosa che cresce è la disoccupazione, giunta all'11%, mentre quella giovanile è oltre il 35%.
Dall'altra la certezza che il patto dei produttori, di sindacati e Confindustria, ha contribuito attivamente in sede di mediazione parlamentare del testo, fingendo ora un'opposizione di facciata, dinanzi al precipitare delle condizioni di sopravvivenza delle persone, ancor prima di poterle pensare «forza lavoro».
Ora siamo ai titoli di coda: verrà approvata in fretta e furia una legge assurta alle cronache solo per l'odiosa querelle intorno all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e colpevolmente passata sotto silenzio per tutte le altre inique misure previste contro lavoratrici e lavoratori già saccheggiati da oltre un ventennio di precarietà che ora diviene disoccupazione e miseria.
E l'ulteriore beffa - dinanzi all'urgenza proclamata da Mario Monti - è che questa pessima «riforma» entrerà a regime non prima del 2017. E allora quale necessità di approvazione prima del Consiglio europeo del 28 giugno?
Così, a quindici anni dal «Pacchetto Treu», istituzionalizzazione della precarietà dei rapporti di lavoro in assenza di qualsiasi diritto, ritroviamo ancora lo stesso Treu, in compagnia dal sodale Damiano, a essere più realisti del re. La loro «urgenza» di salvare il Paese dal default fa perdere la consapevolezza di precipitare milioni di persone nel «default sociale» di un'esistenza senza garanzie di base. Oltre sette milioni di lavoratrici e lavoratori flessibili, precari, intermittenti, autonomi e indipendenti, privati di tutto. Dentro la Grande crisi rischiano condizioni da Working Poor.
Una semplice ipotesi per riaprire i giochi ci sarebbe, in realtà. Entro il 22 giugno, data ultima di presentazione degli emendamenti al Ddl in discussione alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, il relatore Cesare Damiano potrebbe presentare e far approvare quattro emendamenti, con la scusa che la riforma entrerà in vigore nel 2017 e quindi c'è lo spazio per ridiscuterla:
- riduzione delle forme di contratto precarie e flessibili a massimo quattro tipologie, con un corredo di diritti fondamentali di base;
- tutela del lavoro autonomo di seconda e terza generazione introducendo un «equo compenso», rimuovendo l'aumento dell'aliquota Gestione separata Inps e anzi favorendo una redistribuzione di quei versamenti dal lavoratore al committente, anche in modo da garantire tutele sociali, aldilà della forma giuridica con la quale si svolge il lavoro;
- prevedere l'introduzione di un reddito di base, come ci chiede da tempo l'Unione europea, essendo l'Italia - insieme alla Grecia, guarda un po'! - l'unico Paese dell'Ue a non avere un tale strumento;
- presentare una delega per riformare gli ammortizzatori sociali in senso più garantista. 
Una «sinistra» sordaSarebbero quattro emendamenti di buon senso, dinanzi alla depressione sociale e psichica, alle ondate di suicidi e alla miseria cui costringe la crisi globale. E allora, onorevole Cesare Damiano, per far sì che quel sorrisetto malandrino che vediamo sporgere dal suo sito non si trasformi nel ghigno del politico chiuso nelle stanze di una rappresentanza sempre più sorda. Faccia qualcosa, se non «di sinistra», di saggio e pragmatico «riformismo», 
Lei che rivendica un legame con la tradizione «laburista», presenti questi emendamenti e pretenda il sostegno della maggioranza di governo. Non migliorerà di molto la riforma, ma permetterà di rimanere in ascolto delle domande di giustizia di quella società civile che il Pd sembra adulare. Altrimenti parleremo di questa ingiusta riforma, come dell'ennesima, pessima riforma della sinistra italiana, targata Damiano-Treu.


http://www.ilquintostato.it/

ANCHE LA GERMANIA BOCCIA LA TAV




Nonostante in Italia esista un silenzio omertoso sull'argomento, in tutta Europa stanno riducendosi sempre più i paesi ancora disposti ad investire al futuro su un progetto ritenuto obsoleto ed antieconomico come quello dell'alta velocità. In parte a causa della crisi economica che ha ridotto drasticamente le risorse disponibili, in parte perché dove già esiste il TAV ha ormai mostrato tutti i suoi limiti di costosissimo "gioco che non vale la candela". Dopo la rinuncia di Lisbona (previsto luogo di partenza dell'immaginifico corridoio 5 Lisbona - Kiev) che nel mese di marzo ha definitivamente abbandonato il progetto dell'alta velocità, già sospeso da oltre un anno, decidendo di privilegiare lo sviluppo delle tratte marittime, è arrivato anche il turno della Germania.
Grube ha motivato questa decisione sostenendo che "Per la Germania la velocità di 250 chilometri all'ora è più che sufficiente" e aggiungendo che costruire nuove tratte ad alta velocità costerebbe troppo, senza tener conto che il rallentamento da 300 a 250 della velocità massima comporterà tutta una serie di vantaggi che vanno dal minor costo di produzione e di manutenzione dei treni al minor costo di manutenzione delle linee.
Il suo epigono italiano Mauro Moretti, ad delle Ferrovie, nonostante si trovi ad operare in uno stato sull'orlo della bancarotta, dove i cittadini vengono spremuti come limoni e stanno perdendo qualsiasi residuo di ammortizzatore sociale, sembra essere al contrario di tutt'altro avviso.
Trenitalia ha infatti appena assegnato a Bombardier e Ansaldo Breda una commessa per nuovi super treni ad alta velocità che potranno sfrecciare a 360 all'ora, nonostante le tratte esistenti che consentono velocità di quel genere siano estremamente esigue.
Non dimenticatevi di Moretti quando nei prossimi mesi vi domanderanno nuovi sacrifici per il bene del paese, motivando questa necessità con la congiuntura internazionale e l'entità del debito pubblico. Sarà anche grazie a lui se sprofonderemo nel burrone ad alta velocità, con il vento che ci scompiglia i capelli.

Marco Cedolin

mercoledì 20 giugno 2012





L’ARTE MILITANTE

La poesia, l’arte quando diventa militante,
la si vorrebbe chiusa nel recinto sognante.
A cantare e separare i petali di un fiore,
chè altrimenti perderebbe il suo valore.
Pesata sugli scranni di un premio alla carriera,
tra dame ingioiellate e maschere di cera.

E’ il sangue degli eroi, degli sconfitti il sudore
che scuotono l’anima e i battiti del cuore.
Sia l’indignazione che troppo spesso manca
a guidare la mano sulla pagina bianca,
scuota l’altare dell’ipocrisia che impazza,
lasci il buio delle sacrestie per il sole della piazza.

MIZIO

Il MISTERO DELLA SIERRA DEL SILENCIO