domenica 28 aprile 2013

QUANDO BERLUSCONI COPIO' LA PREFAZIONE DE " L 'UTOPIA"


Se qualcuno – un giorno – dovesse chiedervi di descrivere il berlusconismo con un solo episodio…beh, l’episodio non potrebbe essere che questo ! Da conservare e tramandare ai posteri…





TORINO – Un giorno d´estate di metà anni 80 Luigi Firpo se ne stava in poltrona nella sua villa sulla collina torinese con la moglie Laura. Faceva zapping in tv. Su Canale 5 una graziosa signorina intervistava il padrone, Silvio Berlusconi. E ne magnificava l´enorme bagaglio culturale: «Lei è anche un grande studioso dei classici…». Il Cavaliere si schermiva: «Ma no, non dica così…». E lei: «Sì, invece, non faccia il modesto. Lei, dottore, ha appena pubblicato un´edizione pregiata dell´Utopia di Tommaso Moro, con una bellissima prefazione e una perfetta traduzione dal latino…». E lui: «Beh, in effetti il latino non lo conosciamo tutti, bisogna tradurlo…».

Firpo, grande intellettuale torinese, polemista della Stampa con i suoi “Cattivi pensieri”, ma soprattutto docente universitario di Storia delle dottrine politiche e fra i massimi esperti di cultura rinascimentale, drizzò le antenne. Anche perché aveva da poco tradotto e commentato un´edizione dell´”Utopia” per l´editore Guida di Napoli.

L´intervistatrice attaccò a leggere la prefazione del Cavaliere. Dopo le prime due frasi, l´anziano studioso fece un salto sul divano: «Ma quella prefazione è la mia! E´ tutta copiata! Ma chi è questo signore? Ma come si permette?».

L´episodio è tornato in mente a Laura Salvetti, la vedova di Firpo, quando Silvio Berlusconi in una delle sue tele-esternazioni elettorali si è così descritto in terza persona: «Il presidente del Consiglio si è nutrito di ottime letture e ha un curriculum di studi rilevantissimo…». E´ corsa in archivio, ha estratto una cartella intitolata “Berlusconi”, ne ha cavato uno strano bigliettino autografo del Cavaliere e ha deciso di raccontarne il retroscena.

«Era subito dopo le vacanze estive, credo in settembre. Firpo (lei lo chiama rispettosamente così, ndr), quando scoprì in tv che Berlusconi aveva copiato la sua versione dell´Utopia, si attaccò subito al telefono per avere quel libro. Gli risposero che era un´edizione privata, in pochi esemplari, riservata all´entourage del Cavaliere. Ma lui, tramite l´associazione milanese degli Amici di Thomas More, riuscì a procurarsi una copia in visione. La sfogliò e sbottò: “Non è un plagio, è peggio! Quello ha copiato interi brani della mia prefazione e la mia traduzione integrale dal latino, mettendoci la sua firma. Non ha cambiato nemmeno le virgole!”. Prese carta e penna e scrisse a Berlusconi, intimando di ritirare subito tutte le copie e annunciando che avrebbe sporto denuncia. Qualche giorno dopo squillò il telefono di casa: era Berlusconi».

A questo punto inizia un irresistibile balletto telefonico, con il Cavaliere che cerca scuse puerili per placare l´ira dell´austero cattedratico, e questi che, sbollita la furia, si diverte a giocare al gatto col topo. Firpo minaccia di mettere in piazza tutto e trascinarlo in tribunale. «Berlusconi – ricorda la moglie – incolpò subito una collaboratrice, che a suo dire avrebbe copiato prefazione e traduzione a sua insaputa . E implorò Firpo di soprassedere, pur precisando di non poter ritirare le mille copie già stampate e regalate ad amici e collaboratori. Firpo, capito il personaggio, cominciò a divertirsi alle sue spalle. Lo teneva sulla corda con la causa giudiziaria. E Berlusconi continuava a telefonare un giorno sì e un giorno no, con una fifa nera. Pregava di risparmiarlo, piagnucolava che uno scandalo l´avrebbe rovinato».

Pure Franzo Grande Stevens, famoso avvocato e consigliere di casa Agnelli, che di Firpo era amico anche per via della comune candidatura nel Pri, seguì la faccenda da vicino: «Firpo mi raccontò di quel plagio. Era esterrefatto. Anche perché Berlusconi, anziché scusarsi, dava la colpa a una segretaria. Poi cercò di rabbonirlo con regali costosi, che il professore rispedì sdegnosamente al mittente». «Passava – ricorda la moglie Laura – intere mezz´ore al telefono col Cavaliere. E alla fine correva a raccontarmele, fra l´indignato e il divertito: sapessi quante barzellette conosce quel Berlusconi. E´ un mercante di tappeti, una faccia di bronzo da non credere, sembra di essere in una televendita».

Il tira e molla si trascinò per mesi. Anche con uno scambio di lettere, ancora riservate (saranno pubbliche solo nel 2009, vent´anni dopo la morte dello studioso). Per ora c´è solo quel bigliettino rimasto nei cassetti della signora Laura, visto che era indirizzato anche a lei: «Accompagnava un doppio regalo per Natale, credo del 1986. Nel frattempo Berlusconi aveva pubblicato un´edizione riveduta e corretta dell´Utopia, senza più la prefazione mcopiata e con la traduzione di Firpo regolarmente citata. Ma Firpo seguitava a fare l´offeso, ripeteva che la cosa era grave e la stava ancora valutando con gli avvocati.

Un giorno lo invitarono a Canale 5 per parlare del Papa e si ritrovò Berlusconi dietro le quinte che gli porgeva una busta con del denaro, “per il suo disturbo e l´onore che ci fa“. Naturalmente la rifiutò. Poi a Natale arrivò un corriere da Segrate con un bouquet di orchidee che non entrava neppure dalla porta e un pacco: dentro c´era una valigetta ventiquattr´ore in coccodrillo con le cifre LF in oro». Il biglietto d’accompagnamento è intestato Silvio Berlusconi, datato “Natale 1986″ (ma l´ultima cifra è uno scarabocchio) e scritto a penna: “Molti cordiali auguri ed a presto… Spero! Silvio Berlusconi”. Poi una frase aggiunta a biro: “Per carità non mi rovini!”.


Ma Firpo continuò il suo gioco: «Rispedì la borsa a Berlusconi, con un biglietto beffardo: “Gentile dottore, la ringrazio della sua generosità, ma gli oggetti di lusso non mi si confanno: sono un vecchio professore abituato a girare con una borsa sdrucita a cui sono molto affezionato. Quanto ai fiori, la prego anche a nome di mia moglie Laura di non inviarcene più: per noi, i fiori tagliati sono organi sessuali recisi…”

«Non lo sentimmo mai più».

http://giacomosalerno.wordpress.com/

venerdì 26 aprile 2013

DIARIO DI UN SACCHEGGIO: LA GERMANIA FA SPESA IN EUROPA



Qualche settimana fa, un po’ per caso e un po’ per curiosità, sono venuto a conoscenza di una notizia che mi ha parecchio colpito: l’associazione Eures Germania in accordo con quella italiana aveva organizzato un lungo tour in giro per la penisola per reclutare giovani lavoratori qualificati. Il suggestivo nome di questa selezione a domicilio era “Job of my life” e ha toccato le più importanti città italiane: Roma, Napoli, Milano, Bologna, Torino, Genova, Bari, Lecce, Padova, Verona, Catania. Durante il giro sono state raccolte circa 6.300 candidature, in particolare di ingegneri e tecnici specializzati fra i 18-35 anni, da proporre alle maggiori aziende tedesche. Il reclutamento non garantiva il posto di lavoro fisso ma solo la promessa che anche in caso di momentanea bocciatura i ragazzi sarebbero stati inseriti in un database, in attesa della fatidica chiamata dalla Germania. Analoghi programmi di selezione di giovani disoccupati di elevata formazione e specializzazione sono stati organizzati pure in Irlanda, Spagna, Portogallo. Ovvero nei paesi che sono stati più danneggiati dall’atteggiamento competitivo della Germania, che ha saputo meglio sfruttare le dinamiche di squilibrio commerciale e finanziario messe in moto dalla moneta unica.
Intendiamoci, questi progetti di cooperazione internazionale e di scambio di competenze e conoscenze sono molto interessanti ed efficaci, ma solo quando presentano caratteristiche di reciprocità, multilateralità e non sono a senso unico: dai paesi poveri e disastrati verso l’unica nazione ricca e vincente, e mai viceversa. Perché, allo stesso modo di ciò che accade con lo scambio delle merci e dei capitali, si verrebbe a creare all’interno dell’eurozona uno sbilanciamento di forza lavoro qualificata a vantaggio dell’unico grande paese in surplus e a svantaggio di quelli in deficit. Condannando in pratica questi ultimi alla regressione produttiva e alla marginalizzazione nei settori a scarso valore aggiunto e innovativo. E questa è solo l’ultima sfaccettatura del saccheggio in corso, che sta avvenendo in tempo reale, sotto i nostri occhi. Mentre noi siamo impegnati ad assistere alla seconda elezione di re Giorgio Napolitano II e all’imminente insediamento del prossimo governo Amato (Letta), personaggi cioè che sono stati tra i principali artefici della distruzione del tessuto produttivo e sociale italiano, fin dai tempi dell’ingresso dell’Italia nello SME del 1979, e oggi hanno il compito specifico di difendere e tutelare la classe politica corresponsabile del disastro. Gli italiani sono talmente illusi e imbesuiti da credere che coloro che hanno “scientemente” spinto il paese verso il baratro siano gli stessi a farlo riemergere dagli abissi: misteri della fede. Dove arriva l’idolatria mistica, la ragione per forza di cose deve arretrare. 
Grazie ai benefici acquisiti con l’introduzione dell’euro, che annullando la normale fluttuazione dei tassi di cambio ha cancellato di colpo l’unico strumento di difesa delle economie deboli nei confronti di quella forte, la Germania ha di fatto stravolto gli equilibri politici-economici fino ad allora esistenti in Europa, diventando l’unico paese egemone in mezzo ad una serie di paesi cuscinetto o colonie. E ben consci di questo ruolo, i tedeschi non hanno più alcun imbarazzo e pudore a comportarsi come un paese di conquistatori ed invasori: in attesa di mettere le mani sugli ultimi pezzi pregiati aziendali e patrimoniali dell’Italia, la Germania si porta via le nostre migliori competenze tecniche disponibili, formate grazie ai sacrifici delle famiglie italiane e agli investimenti nel nostro sistema scolastico statale o privato. Noi seminiamo e i tedeschi raccolgono i frutti. E c’è una ragione precisa che spinge i tedeschi alla ricerca disperata di nuova manodopera qualificata: mentre nell’eurozona continua ad aumentare il numero di persone in età da lavoro, in Germania invece diminuisce progressivamente. Come si può vedere nel grafico sotto, la forza lavoro della Germania fra i 15 e i 64 anni si è ridotta del 2% negli ultimi undici anni, al contrario della media dell’intera zona euro, dove è aumentata del 7%.

Questo potrebbe anche essere uno dei motivi che spiega i livelli record di bassa disoccupazione della Germania, rispetto alla crescita che si registra nell’eurozona, dove gli ultimi dati confermano la salita del tasso di disoccupazione fino al 12%. Da notare poi che i tedeschi non cercano manodopera generica, perché questa può essere reperita a buon mercato tra le folte schiere degli immigrati che arrivano dall’Est Europa, dalla Turchia o dall’Africa, ma persone molto istruite e specializzate, che in qualunque paese rappresentano il serbatoio principale da cui partire per costruire la futura classe imprenditoriale e dirigente: un paese senza quadri e competenze è un paese senza futuro. E questo la Germania pare saperlo bene, mentre l'Italia crede ancora che costringere i nostri migliori cervelli alla fuga e tenersi la feccia sia una mossa furba che ci concede onere e lustro in  tutto il mondo. Ripetiamo che mandare i nostri ragazzi in Germania a farsi le ossa e l’esperienza potrebbe essere un grande vantaggio per noi in un’ottica di lungo periodo (sperando che un giorno l’Italia riesca ad uscire dai pantani e una parte di questi ragazzi possa rientrare in patria con un notevole bagaglio di conoscenze e know how), ma in una fase di crisi come questa risulta solo l’ultimo affronto che i tedeschi hanno fatto al presunto spirito di cooperazione e collaborazione che “dovrebbe” animare questa strampalata unione monetaria. Invece di aiutare la ripresa delle aziende italiane, la Germania non solo ostacola tutti i piani di politica economica espansiva che potrebbero favorire la crescita, ma preferisce addirittura dare il colpo di grazia agli storici concorrenti privandoli della linfa vitale che assicura l’operosità, il rinnovamento, la creatività e il ricambio generazionale delle nostre aziende.
Quelli che ancora credono al sogno europeo, alla chimera degli Stati Uniti d’Europa che fino ad oggi è servita a confondere e depistare gli allocchi di turno, dovrebbero dare un’occhiata alla lunga lista di svendite di pezzi importanti della nostra industria nazionale che si è ampliata senza sosta in questi ultimi anni, per capire meglio la portata della catastrofe economica in cui ci siamo volontariamente impelagati. Nel nome del liberismo selvaggio e dell’apertura incondizionata ai “mercati”, di indirizzi cioè di politica economica più che mai discutibili e anacronistici che in misura così sconsiderata e scriteriata hanno contagiato soltanto i paesi dell’eurozona, mentre il resto del mondo si è guardato bene da seguire alla lettera i dettami di questa scellerata dottrina accademica-teologica (i cui dogmi, come abbiamo visto, sono basati perlopiù da manipolazioni e strumentalizzazioni dei dati reali) e ha adottato misure più o meno protezionistiche per difendere il proprio tessuto economico nazionale. Curiosa poi la circostanza che mentre i francesi hanno fatto incetta di tutto ciò che si poteva razzolare in Italia, dalla grande distribuzione all’energia, i tedeschi si sono limitati ad acquisire marchi di prestigio (come per esempio Ducati) dall’elevato grado di innovazione tecnologica, dalla diffusa riconoscibilità a livello internazionale e dalla spiccata tendenza a penetrare nei mercati esteri. Strategia questa che conferma ciò che abbiamo prima detto: la Germania si propone di diventare l’unico polo industriale sviluppato d’Europa, dedicato principalmente alle esportazioni, lasciando ai paesi della periferia il compito di produrre a buon prezzo la componentistica e i beni a basso o nullo contenuto tecnologico (le viti e i bulloni, per intenderci).
Ma c’è un altro aspetto inquietante di tutta la vicenda: la svendita a prezzi di realizzo del patrimonio demaniale dello stato. Mentre in Italia i progetti del ministro Grilli di svendere e privatizzare circa 15-20 miliardi di beni pubblici all’anno (comprese le partecipazioni in aziende come Eni, Enel, Finmeccanica), procedono piuttosto a rilento, in Grecia i programmi vanno avanti rapidamente, a causa delle scadenze di rimborso delle rate dei piani di salvataggio garantiti dalla trojka FMI, BCE, UE. In tutto sono in vendita in questo momento circa 70.000 lotti, che comprendono distese di coste incontaminate, porti turistici, bagni termali, stazioni sciistiche e intere isole. Persino le quote del monopolio statale sul gioco d’azzardo sono in vendita al migliore offerente. L’isola di Rodi che per un terzo è ancora di proprietà dello stato è già per gran parte all’asta e a questa frenetica vendita ad incanto partecipano un po’ tutti, dall’emiro del Quatar, agli immancabili oligarchi russi fino ai soliti tedeschi e francesi. Si tratta in pratica di un’espropriazione forzosa di un pezzo di storia dell’antica e millenaria civiltà greca, che aveva insegnato alle generazioni successive cosa siano la democrazia, l’etica, i pilastri su cui si regge un buon governo. Parole al vento, stuprate dall’ingordigia del denaro e dal meccanismo infernale del debito senza fine, che si perpetua nel tempo senza alcuna soluzione di continuità.

Ma se Rodi è in procinto di essere colonizzata senza armi dagli invasori stranieri, Corfù è già di fatto un resort della famiglia di banchieri internazionali dei Rothschild, che ambisce a mettere le mani anche sullo storico palazzo reale dell’isola. A proposito di palazzi, la Grecia ha anche messo in vendita il colossale palazzo del Ministero della Cultura ad Atene, il quartier generale della polizia, gli edifici che ospitano i ministeri della salute, dell’istruzione, della giustizia e persino l’ambasciata greca in Holland Park a Londra, alla modica cifra di 22 milioni di sterline. Una pessima idea quella di coprire un debito a breve e medio termine con la vendita di beni immobiliari, su cui successivamente si dovrà pagare un flusso costante di affitti ai privati. Lo stato si priva a prezzi di svendita di un asset di proprietà, che a parte la manutenzione periodica non comporta alcun costo, aprendo le casse a delle spese immediate che molto probabilmente causeranno la nascita di nuovo debito a breve e medio termine, che con il passare del tempo e l’alienazione di tutti i beni immobiliari e strumentali, sarà sempre più difficile da rimborsare. Una pazzia contabile e fiscale bella e buona, che però rappresenta uno dei principi fondanti di questa sciagurata e disgraziata eurozona: le privatizzazioni sono infatti un prerequisito essenziale per ricevere i fondi di salvataggio, senza i quali la Grecia dovrebbe immediatamente dichiarare default e uscire dalla zona euro. Un ricatto in pieno stile mafioso, tipico delle peggiori e più spietate organizzazioni criminali.
Tuttavia, la propaganda mediatica e il terrorismo psicologico che agisce a pieno regime in Grecia impedisce ai cittadini di capire che proprio l’uscita dall’euro potrebbe essere l’unica via d’uscita da questa tragedia nazionale, che ha trasformato un intero paese una volta democratico in un emporio a cielo aperto. E nonostante tutti sappiano che le privatizzazioni non riusciranno a risolvere i problemi strutturali della Grecia, si continua ad andare avanti verso il calvario, con i profittatori e gli speculatori di tutto il mondo pronti a fare affari sulle spalle di un popolo ormai stremato ed impotente. L’esempio della privatizzazione dell’acqua è lampante: dopo che il governo greco ha privatizzato la rete idrica, la qualità del servizio è scesa notevolmente ed è aumentato il prezzo di erogazione. E proprio sull’onda di questo fallimento annunciato, i sindacati e i lavoratori stanno attuando una strenua ed eroica resistenza per evitare che venga privatizzata la società ferroviaria pubblica Hellenic e la principale compagnia statale di produzione e distribuzione di energia elettrica, la Public Power Corporation. Probabilmente però le loro proteste rimarranno inascoltate, perché il governo di Samaras si muove ormai sul filo del rasoio e degli equilibrismi linguistici, puntando su uno stato permanente di emergenza e di paura.
Dall'inizio della crisi il debito pubblico è quasi raddoppiato raggiungendo la quota impressionante del 189% del PIL, e sconfessando bruscamente tutte le previsioni dei piani di austerità, che indicavano una progressiva discesa proprio a partire dal 2013. Negli ultimi tre anni sono stati persi posti di lavoro nel settore privato al ritmo di 1000 al giorno, e in cambio degli aiuti della trojka il governo Samaras si è impegnato a licenziare 15.000 dipendenti pubblici entro quest’anno: cosa che nella migliore delle ipotesi provocherà un ulteriore crollo dei consumi e delle entrate tributarie, vanificando in pratica la riduzione della spesa pubblica per stipendi. A causa di continui errori nelle stime degli incassi dalle vendite, il governo ha mancato l’obiettivo di privatizzare €3 miliardi di beni pubblici lo scorso anno e per assicurare la trojka ha alzato il tiro per i prossimi anni: €11 miliardi di privatizzazioni entro il 2016 e €50 miliardi complessivi entro il 2019. In buona sostanza si tratta della più grande vendita all’ingrosso di un intero paese mai avvenuta nella storia, la quale creerà un precedente che deve fare riflettere soprattutto noi italiani, che potremo essere i prossimi ad essere spogliati di tutto il nostro patrimonio pubblico, con il solito becero conformismo e l’indifferenza con cui abbiamo accolto in passato simili operazioni di rapina ed espropriazione: è una necessità che ci impongono i “mercati” per evitare di finire come la Grecia e tutti sanno che il nostro stato (cioè noi stessi) è spendaccione e inefficiente, mentre i privati sono bravi, belli e produttivi. E sulla scia di questa scemenza collettiva, al grido di “viva lo stato minimo!” perorato da PD, PDL e persino dal Movimento 5 Stelle (il quale si renderà responsabile di questo scempio, quando gli italiani si accorgeranno che tutto ciò, tutta questa crisi, tutta questa sofferenza, erano fortemente “volute” e non frutto dell’ignoranza e dell’incompetenza), le nazioni forti, prima fra tutte la Germania, non solo si accaparreranno nel silenzio più assoluto gran parte del nostro patrimonio artistico, storico, ambientale, ma stanno già attivandosi per portarsi via la nostra stessa migliore manodopera qualificata.
E senza mezzi termini, quando uno stato diventa povero di proprietà e beni pubblici e privo di competenze tecniche (e anche umanistiche, giuridiche, “politiche”), è destinato prima o dopo a diventare una colonia, una nazione satellite, un paese del Terzo Mondo. E questo non lo diciamo solo noi bloggers di frontiera o economisti isolati qua e la in mezzo allo sterminato deserto dei Tartari italiano, ma tutti i maggiori analisti economici e finanziari del mondo (basta farsi un giro sui siti e sui giornali americani, inglesi, giapponesi, australiani, per capire di cosa stiamo parlando), non ultimo lo stesso premio Nobel per l’economia americano Paul Krugman, che riferendosi proprio all’Italia e alla Spagna, aveva detto tempo fa: “Quello che è successo è che entrando nell’euro, la Spagna e l’Italia hanno ridotto loro stessi a paesi del Terzo Mondo, che prendono in prestito la moneta di qualcun’altro, con tutte le perdite di flessibilità che tale operazione comporta. In particolare, siccome i paesi dell’area euro non possono stampare moneta neanche in casi di emergenza, sono soggetti a interruzioni di finanziamenti, a differenza dei paesi che invece hanno mantenuto la propria moneta. Il risultato è quello che abbiamo tutti sotto gli occhi”.  di Piero Valerio

lunedì 22 aprile 2013

ITALIA (ti chiamerò…)



Ti chiamerò domani,
se mi andrà.
Ti chiamerò domani,
che adesso non mi va.
Ti chiamerò domani,
se saprò dirti
cose che non sai
Ti chiamerò domani,
se tu mi stupirai.
Ti chiamerò domani
chiamandoti per nome
Ti chiamerò domani,
e sorgerà ancora il sole
Ti chiamerò domani,
se saprò ancora sognare
ti chiamerò domani,
se non farà più male.

MIZIO

DUE SOLITUDINI NON SI FANNO COMPAGNIA Bersani, D’Alema, Veltroni &c. parlerò di voi e solo di voi!



Bersani, D’Alema, Veltroni &c. parlerò di voi e solo di voi!




Non credo che potrò mai perdonarvi. Troppa supponenza, troppa incapacità, troppe umiliazioni, troppo stretto il margine nel quale avete costretto il sogno di cambiamento. Avete voluto convincerci che solo un appiattimento su posizioni euroliberiste potesse dare la patente di sinistra moderna. Avete giocato con le parole da molti anni passando da Partito comunista a Partito della Sinistra a Democratici di sinistra, fino all’ultima versione in cui scompare addirittura la parola “sinistra” per un generico, solitario e più tranquillizzante “democratico” .
Quell’area d’estrazione cattolica e similpopolare con cui a suo tempo avete ritenuto fosse possibile un accordo talmente stretto e duraturo da formare un partito unico (sic!), tutto sommato, è enormemente meno colpevole di voi. Siete stati voi quelli che avete voluto questo esperimento di ingegneria politica, giustificata dall’unica cosa che vi potesse accomunare: “l’antiberlusconismo.” Convinti come eravate che solo insieme si potesse sconfiggere l’Anticristo. Non capendo che non c’era da sconfiggere solo o principalmente Berlusconi, ma bisognava sconfiggere prima di tutto il terreno di cultura in cui il Cavaliere ha trovato terreno fertile su cui prosperare. Terreno che anche voi avete provveduto a rendere sterile, povero con un rapido e progressivo abbandono di qualsiasi idea di cambiamento progressista. La parola “riformismo” simbolo da sempre di conquiste civili e di libertà, anche voi l’avete mutuata in un riformismo reazionario d’estrazione Tatcheriana che toglie diritti e dignità al lavoro e ai lavoratori.
Con le vostre scellerate scelte nel corso degli anni avete lasciato spazio a movimenti protestatari e confusionari, a partire dalla lega per finire al Movimento 5 stelle, avete perso il contatto con il vostro popolo, vi siete rinchiusi in una torre d’avorio mutuando dal vostro passato solo gli elementi distintivi peggiori, passando dal centralismo democratico allo stalinismo in salsa democrat, condannando ed emarginando persone e idee che non fossero allineate col vostro pensiero.
Anche quando l’elettorato vi ha premiato mettendovi alla guida del paese, avete interpretato il ruolo nella maniera più gattopardesca, non rispettando neanche il minimo comune denominatore quell’antiberlusconismo di cui sopra, scambiando la bicamerale con la rinuncia alla legge sul conflitto d’interessi.

Ma queste cose voi le sapete già, soltanto che avete sottovalutato l’esasperazione e l’avversione del popolo italiano per questi giochini d’ingegneria politica che hanno portato il paese al collasso. Non avete capito, o non potete capire, che l’orologio della storia ha accelerato il suo moto, che ciò che prima era, tutto sommato tollerato, ora di fronte a una crisi sistemica senza precedenti non si è più disposti a subirlo passivamente.
Il popolo del Movimento 5 Stelle che ha assediato il Parlamento di Montecitorio, idealmente rappresentava anche tutti quelli che, ancora una volta, avevano avuto fiducia in voi. Ed è preoccupante che strateghi e fini analisti della politica abbiano lasciato ad un comico la comprensione e l’interpretazione del sentimento popolare.
Avete fallito, perché avete tradito, avete preferito il rapporto (interessato?) con le lobby e il mondo finanziario, vi siete arroccati nella difesa di privilegi non più giustificabili (se mai l’avessero potuto essere), avete sposato una posizione europeista non dei popoli, ma imposta dalla Germania e dalla grande lobby finanziaria globale, sottoscrivendo accordi suicidi per il paese che dovreste rappresentare.
Avete appoggiato la peggiore riforma del lavoro della storia, per non parlare di quella delle pensioni e del precariato giovanile. Non vi siete accorti che, ormai, solo il vostro acerrimo nemico, vi riconosceva un’appartenenza politica che, ridicola  nei fatti, vi collocava nell’estremismo di sinistra.
La sceneggiata, non so se più farsa o tragedia, cui ci avete fatto assistere in questi giorni, non è che l’ultimo e, forse, inevitabile atto che ha sorpreso solo i più ciechi e sordi tra i vostri elettori.
Bene! Se ne  prenda atto e si facciano scelte conseguenti! I più sensibili e quelli che, sinceramente sentivano di appartenere al popolo di sinistra (che pur sono ancora presenti nel PD), abbandonino il carrozzone, fatto di inciuci, tradimenti, sotterfugi, correnti e correntine e, senza riproporre atteggiamenti e modelli da primi della classe, si mettano al servizio di chi dovrebbero rappresentare e contribuiscano a coprire quel vuoto, non solo politico, ma d’anima e d’orgoglio che le scelte degli ultimi anni hanno contribuito a scavare.
Riscendete tra la gente, non a predicare il verbo, ma ad ascoltare.
Lo stesso appello, anche se con diversa valenza, va fatto a quell’ universo polverizzato della sinistra cosiddetta critica che, se non ha avuto riscontri negli ultimi anni, non può addebitare colpe a nessun altro che a se stessa, rimanendo ognuno preso a rivendicare una propria presunta verginità e superiorità politica.
L’incontro di due solitudini, quasi mai diventa una buona compagnia se non c’è l’accettazione dell’altro!

MIZIO

domenica 21 aprile 2013

VINCONO, MA E' UNA VITTORIA DI PIRRO


“L’articolo più bello della Costituzione è l’articolo 36, laddove si dice che la retribuzione deve assicurare al lavoratore «un’esistenza libera e dignitosa»: sono parole bellissime. L’esistenza deve essere libera e dignitosa, non può essere sempre e soltanto subordinata alla logica economica. Non possiamo vivere all’ insegna dell’emergenza continua e dell’esistenza dei soli problemi economici: i diritti non possono essere sacrificati impunemente.” S. Rodotà

re sole


Abbiamo un re.

Un paese medioevale non poteva che esprimere un monarca. Finisce così la commedia degli equivoci. Senza alcun colpo di scena. Si trasforma nell’inevitabile sceneggiatura che sposta, inevitabilmente, il film “L’Italia alle elezioni” da una sceneggiata cialtrona, interpretata da Alberto Sordi o Peppino de Filippo, in un film hard boiled, molto più vicino a “Quarto Potere” di Orson Welles o a “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, capolavoro del 1963, interpretato da Rod Steiger e Salvo Randone, due splendidi grandi attori. Finisce la commedia e finiscono anche gli stereotipi su questo paese, dipinto troppo spesso con faciloneria, con superficialità, spingendo l’immaginario collettivo a voler credere e pensare che, comunque vada, si finisce a tarallucci e vino. Non è così. Non ci sono biscotti, non esistono libagioni. La commedia non c’è più. La sceneggiatura rimane la stessa ma ci regala l’annuncio, invece, di una tragedia sociale. L’elezione del presidente trasforma, giustamente, il film della nostra nazione in quella che dovrebbe essere, per aderire in maniera più realistica alla autentica situazione del paese: una tragedia.

Vincono coloro che non hanno mai voluto e non vorranno mai nessuno spostamento neppure millimetrico dell’asse portante dell’equilibrio del paese, quel consociativismo perpetuo tra aristocrazia fondiaria, oligarchia finanziaria, criminalità organizzata e i rappresentanti delle istituzioni sempre disposti e disponibili per mettersi al servizio delle esigenze euro-atlantiche, declinate da chi considera la Repubblica Italiana una semplice colonia alla quale dare un ordine da eseguire senza discussione.

Nasce così l’asse conservatore italiano che guiderà l’Italia verso la sua totale resa incondizionata al sistema finanziario speculativo europeo. E questa loro vittoria deve spingere tutti gli italiani a diventare più maturi, più responsabili, a comprendere che è necessario adesso iniziare una fase di profonda argomentazione, elaborazione e continua attività della cittadinanza per difendersi e cominciare a organizzare la propria salvaguardia, perché tra dieci giorni, l’intero “sistema paese” finisce ufficialmente sotto il perentorio controllo politico del sistema finanziario speculativo. Pioverà un fiume di denaro sulla Repubblica Italiana, probabilmente fin dalla prossima settimana, sia in borsa, sia sui fondi di investimento che a favore dei nostri bpt che vedranno, all’improvviso, una ottima performance sui mercati. Ma non arriverà neppure un euro né alle imprese nè alla cittadinanza. Siamo finiti dentro il film “Le mani sulla città” del 1963. Lì ritorna l’Italia, a quel punto della propria Storia. Conclude così il proprio processo di regressione  iniziato con Silvio Berlusconi venti anni fa. Con l’elezione di Stefano Rodotà, il paese avrebbe dato l’avvio alla costituente collettiva per la nascita della Terza Repubblica. Con la dissoluzione del PD l’intera collettività paga il prezzo della incapacità degli italiani di affrontare la realtà (e il conseguente lutto mai elaborato) per la fine del comunismo del 1989.

Finisce la Seconda Repubblica, oggi. Ma non nasce la Terza.

L’attuale indecorosa classe politica dirigente prende atto della situazione e promuove la Prima Repubblica, lanciando quindi al paese un messaggio chiaro, forte, netto, preciso. La Seconda Repubblica è fallita: ritorniamo ai giochi del privilegio precedenti all’epoca post-moderna, quindi alla Prima Repubblica. Da domani ritorniamo –per scelta dell’attuale parlamento- a considerare le istituzioni e l’attività politica dell’esecutivo secondo gli standard della Prima Repubblica, attraverso una fitta ragnatela di amicizie e incroci azionari di banche, fondazioni, istituzioni finanziarie, tutte quante sotto la benedizione e l’appoggio di chi, come Giuliano Amato, nella sua potente qualità di presidente del consiglio in pectore, come qualcuno ha già ipotizzato, rappresenta la sintesi delle oligarchie del privilegio delle antiche dinastie aristocratiche della rendita parassitaria. Per il momento, l’attuale classe politica dirigente italiana ha scelto di ritornare ufficialmente alla costituzione del Medioevo Italiano. E’, in assoluto, la pagina più nera, delittuosa e regressiva per il nostro paese. L’aspetto positivo consiste nel fatto, come la Storia ci insegna, che i sistemi autoritari non reggono l’urto dell’opposizione quando ci si trova a una crisi di sistema, come nel caso dell’Italia. Con questa scelta effettuata pochi minuti fa, l’Italia sceglie ufficialmente lo “stato perenne dell’assoluta immobilità” provocando la spaccatura del paese tra istituzioni rappresentative e volontà della cittadinanza, in un momento storico nel quale “i cittadini” irrompono nell’agone pubblico pretendendo di avere una voce nel nome di un bene comune e delle esigenze del servizio pubblico. Non dureranno molto, lo sanno anche loro. Non dureranno molto proprio perché vince il mondo della Prima Repubblica defunta venti anni fa. E non si tratta di resurrezione, bensì di riesumazione.

Verremo governati dai cadaveri della Storia.

L’aspetto positivo è che esiste, oggi, la possibilità di una nuova consapevolezza collettiva, attivata grazie alla rete, che è immediata, grazie ai social networks, grazie anche alle primarie del PD, che hanno portato in parlamento dei candidati “diversi” i quali hanno scelto di rendere conto ai propri elettori delle loro azioni piuttosto che rispondere ai dettami della segreteria,  grazie al flusso perenne delle notizie e delle informazioni che forniranno sempre e di continuo la materia necessaria per capire, comprendere, e quindi elaborare ciò che i defunti riesumati stanno combinando. E’ inutile usare mezzi termini retorici. Abbiamo condotto tutti una bella battaglia politica iniziata diversi anni fa per cambiare questo paese.

L’abbiamo persa.

Ma la loro è una vittoria di Pirro.

di Sergio Cori Modigliani

lunedì 15 aprile 2013

UNO E TRINO


Viviamo tempi di grande trasformazione che si riflette in tutti gli aspetti della società.




Dopo un ventennio di aspro bipolarismo, il nuovo Parlamento ci offre tre poli, divisi da divergenze insolubili, almeno in apparenza. Intanto la chiesa cattolica ha cambiato volto. Dopo millenni di alleanze con tutti i poteri forti, ora parla di povertà che non ha mai debellato. Sono strani casi del destino? No, tutto previsto: sono i riflessi di un cervello umano, lacerato dalle contraddizioni e finora incapace di trovare la propria integrità.

Il cervello umano è trino e disegnato per divenire uno.

La trasformazione in atto è l’evoluzione del cervello, il transito da un’identità frammentata – diverse opzioni, tensioni, “volontà” che sovente sono mere velleità – a una volontà chiara e coerente con gli intenti di ogni essere: prosperità, amore, amicizia, armonia, benessere comune. Sono quelli che la Natura realizza, senza banche, eserciti o farmaci. Perché l’umanità è in questo stato disperato? Perché ha un suo scopo: la propria evoluzione genetica, la scoperta di sé, la comprensione delle sue emozioni, la realizzazione del grande sogno. E’ l’utopia, libertà individuale e armonia collettiva, abbondanza, gioia, trasparenza, tutto ciò che nessun potere ha dato, né può dare.

Il potere si basa sulla divisione tra le diverse fedi e/o classi sociali, la distribuzione iniqua delle risorse e lo sfruttamento di quelle umane come tanti sanno. Pochi si rendono conto, invece, che il potere è di fatto impotente, oltre che incapace; è il riflesso di una divisione interiore che chi vuole oggi però ricomporre in una sintesi superiore. Basta volerlo e interrogarsi sul significato della realtà. Questo mondo è reale? No, è virtuale, una matrix basata su “valori” – PIL, spread, interessi bancari, fede in un “dio” che prima crea e poi proibisce il sesso, il “dio” che ti caccia dal paradiso – “valori” inventati da pochi e imposti a tanti. E se smettessimo di dare credito a questi presunti “valori”? La ricchezza è creata dai popoli, non da banche, chiese o governi.

Come scrivo nel mio nuovo libro Baby Sun Revelation, il cervello umano è composto di tre cervelli che hanno, ciascuno, proprie funzioni, memorie e concezioni dello spazio e del tempo:

La corteccia è ritenuta la sede dell’intelligenza e dell’innovazione; formula “soluzioni” a problemi di cui non verifica la realtà, coltiva ideali che non riesce a realizzare, crede al “nemico” che impedisce la loro realizzazione, invece di riconoscere la propria ignoranza.

Il limbico è il cervello emozionale, paralizzato per millenni dalla paura di un “dio” che ti punisce in eterno per reati si sesso e, ora, dalla rabbia verso le istituzioni e/o il “nemico” di turno. Il limbico può ritrovare tutta la rosa delle emozioni, legare il sesso all’amore invece che al possesso, riconoscere l’Amore universale che non ha confini, né limiti di tempo o di energia.

Il rettiliano è il cervello che di fatto comanda i comportamenti umani: è istinto di conservazione, legato alla temporalità, alla sessualità e alla sopravvivenza; è astuto come il serpente, pronto a cambiare faccia pur di rimanere sul trono.


Queste funzioni sono presenti in ogni individuo, ma non è difficile riconoscere che sono rappresentate dai tre poli, ora presenti in Parlamento ed è facile supporre che l’astuto rettiliano riesca a prendere il sopravvento e così a conservare se stesso. Dietro tutti e tre c’è la comune volontà di conservare se stessi e di sopravvivere, in un modo o nell’altra alla “catastrofe” che si profila imminente. Non è affatto la fine del mondo, ma quella di un sistema, fondato su “valori” virtuali, basati su un “dio unico” che tutti venerano senza discutere: il tempo. Tutti i processi vitali, dal concepimento alla rigenerazione cellulare sono miliardi di volte più celeri di quella freccia inesorabile – il tempo – in base alla quale si “deve” calcolare tutto dai salari agli interessi bancari, dai profitti ai moti degli astri. Oggi ci sono grandi novità che smentiscono la divisione tra cielo e terra che ha contribuito alla solitudine dell’umanità e a quella sindrome della scarsità che finora ha reso ogni uomo nemico dell’altro. I limiti di energia non esistono affatto. Per un elenco dettagliato rinvio al mio ultimo libro, Baby Sun Revelation. Qui ne cito solo alcune.

Le date della storia possono essere tutte sbagliate: sono infatti basate sulla radioattività beta, considerata finora costante, radioattività che, invece, sta cambiando per opera del vento solare che altera pure le leggi consuete della chimica.

Il nostro ciclo delle acque dipende dai raggi cosmici, perché questi raggi – particelle a velocità enormi che spazzano l’intero universo osservato – influenzano la formazione delle nuvole.

Il riscaldamento globale concerne tutto il sistema solare e forse di tutto l’universo osservato – una matrix – un Film in 3D che ormai è finito.


Non è la fine del mondo, né tanto meno quella dell’umanità.

E’ il collasso di una mentalità meccanicista, un’opportunità strepitosa per chi vuole la libertà, sente un risveglio interno, riconosce che la Natura è abbondanza e che basterebbe deporre le armi, coltivare amicizia e rispetto, per ritrovare la prosperità della Natura che si rigenera senza bisogno di petrolio e/o di reattori nucleari, governi e chiese. Il cielo e la terra stanno cambiando a ritmi ultra celeri, in modi che la scienza non riesce a spiegare e che perciò nasconde. Un esempio pratico è la notizia che tutti i giornali hanno riportato, riproducendo le immagini fornite di recente dalla sonda Planck, con la scritta “la luce più antica”. Così tutti credono che questa “luce antica” sia la prova della teoria del Big Bang. Nessuno si chiede perché la vedono ora, nel 2013. Il perché è semplice, anche se sfugge alle menti più acute. La luce elettromagnetica è senza tempo, comprende il passato, che gli strumenti possono osservare, e anche il futuro che le menti scientifiche calcolano, senza però comprendere i possenti cambiamenti in atto nel presente, quelli che invece la coscienza sente.

La scienza è senza coscienza, cioè senza presente, ripropone un futuro simile al passato dal quale l’azione umana è esclusa.

La quarta via è la coscienza del ruolo sovrano della Vita

Il sole in cielo si sta spegnendo… ma c’è un altro Sole che dà vita ed energia nucleare benefica e salutare

Molti “esperti” sono pronti a fornire “soluzioni” a problemi… inventati, mentre altri ripetono ciò che è stato detto e ridetto: c’è un governo occulto, un’élite globale – Roschild, Rockfeller, case regnanti, Bindelberg, etc – che prospera sulle principali lobby armi, cemento, farmaci… per ora affama, bombarda i popoli e, intanto, progetta il “nuovo” ordine mondiale, controllo globale, farmaci imposti, divisione tra i registrati nella rete e in non registrati e, quindi, abbandonati a se stessi da parte del solito, vecchio e astuto potere che sa come conservare se stesso: con la pubblicità. Parlarne male è come parlarne bene, comunque suscita attenzione, rabbia e paura, quelle particolare emozioni che rendono i popoli e anche i colti gli intellettuali, le pecore di un gregge dormiente al seguito di un qualche pastore. Oggi si sta squarciando il velo che finora ha nascosto il futuro, futuro che è sempre esistito, è abbondante e prospero, futuro che gli occhi umani e anche quelli artificiali degli strumenti scientifici non possono osservare. Può, invece, rendersene conto chi procede lunga la quarta via, quella della propria evoluzione, usa cioè in modo conscio la MATERIA BIANCA del proprio cervello. Simile a una MADRE premurosa e attenta a tutti i bisogni, questa materia comunica in modi “misteriosi” per la scienza e, invece, sensibili per chi osserva se stessa/o.

La quarta via, la coscienza, è l’eterno presente, il senso di identità che ci accompagna sempre ed è disposta ad attraversare una “catastrofe” salutare: la fine del credito nei “valori” finti della matrix e l’inizio della coscienza che esistono infiniti mondi intelligenti, infinite matrix o matrici, tutte animate da un’unica Fonte. La coscienza è l’armonia dei propri tre cervelli, la coerenza tra le azioni nel presente e i fini che ci proponiamo per il futuro, trasparenza e sincerità, rispetto per se stessi e verso gli altri, amicizia e collaborazione, etica naturale.
di Giuliana Conforto

sabato 13 aprile 2013

SONO SAGGIO ANCH’IO



Terminato il gravoso impegno dopo la nomina del presidente Napolitano, i dieci saggi hanno emesso la loro ricetta per l’Italia. Dando un rapido sguardo sembrerebbe il classico caso in cui la montagna ha partorito il topolino. Verrebbe da domandarsi: e questi sarebbero i saggi, figuriamoci gli altri cosa avrebbero potuto escogitare!
Vediamo qualche punto:
Superare la vecchia legge elettorale!  Ma và, geniale! Non ci aveva ancora pensato nessuno.

Riduzione dei parlamentari e il Senato trasformato nella camera delle regioni. Anche questa proposta assolutamente nuova e rivoluzionaria.

Si deve fare la legge sul conflitto d’interessi. L’ho detto anch’io più di 20 anni fa.

Reddito minimo: soluzione da valutare, anche se non si sa dove prendere i soldi. Ma era proprio questo che ci saremmo aspettati da dei saggi, qualche colpo di genio.

Il finanziamento pubblico ai partiti non si può abolire, pena una carenza di democrazia dovuta all’impossibilità per molti di fare politica. Costituzione di organi di controllo “indipendenti” (da chi?)

Il primo problema dell’Italia è il lavoro! Anche mio figlio studente è da tempo che era arrivato alla stessa conclusione, e io non lo considero saggio.

Riduzione del carico fiscale alle famiglie e alle imprese, altra grande intuizione di cui mi pare si vocifera da anni con il risultato che nel frattempo il carico fiscale è aumentato a dismisura.

Inoltre la proposta della creazione di ulteriori organismi di garanzia per i problemi della Giustizia. Una Corte politica oltre il CSM e la creazione di “Comitati etici” per le due camere.

Chicca finale: le intercettazioni vanno fatte solo per cercare le prove non il reato, quindi io posso programmare un omicidio al telefono e non essere incriminato nel caso l’intercettazione riguardasse la ricerca di prove per un altro reato!

Presidente Napolitano, era veramente necessaria questa pantomima e, se proprio doveva esserci magari bastava scendere in strada e chiedere a qualsiasi passante quali fossero le esigenze del paese. Magari sarebbero uscite anche altre priorità e, forse anche qualche soluzione!

MIZIO

giovedì 11 aprile 2013

LA PASIONARIA DEL PRIVILEGIO


File photo of Britain's former Prime Minister Baroness Thatcher attending a service to commemorate the 25th anniversary of the liberation of the Falkland Islands at Pangbourne College in southern England

Margaret Thatcher è stata una rivoluzionaria. Una rivoluzionaria che ha segnato la storia del suo paese, dell’Europa, del mondo. È stata la “Pasionaria del privilegio”, come la definì il primo ministro laburista Harold Wilson, ha smantellato pezzo per pezzo i fondamenti della democrazia, consegnandola nelle mani della parte più perversa dell’economia capitalistica, quella finanza deregolata sulla quale si è illusa di costruire le fortune di un paese che ha voluto post-industriale.
Ha trionfato, ha spezzato le reni a una classe operaia che non si è più risollevata e, nonostante nell’ultimo decennio sia stato chiaro a chiunque fosse intellettualmente onesto quanto fossero d’argilla i piedi della sua rivoluzione conservatrice, muore nel suo letto come il suo amico Augusto Pinochet.

Se siete precari, se vi è stata negata una scuola pubblica adeguata, se siete malati e non avete diritto a un’assistenza sanitaria pubblica degna e non vi potete permettere quella privata, se pensate che la pensione non sarà mai affar vostro, allora potete ringraziare la Baronessa. Figlia di un droghiere costruì il proprio fisico bestiale nel farsi accettare da quella classe dirigente della quale bramava essere membro. Quante ne deve aver passate per arrivare dov’è arrivata, circondata com’era da decine di persone meglio nate di lei per sesso e condizione sociale. Resterà celebre il suo sostenere che la società non esistesse e che solo gli individui meritassero la sua attenzione, in un’orgia retorica di libertà e meritocrazia che in soldoni garantiva solo chi era già libero dal bisogno e meritevole per censo, per meglio affondare e sfruttare tutto il resto del paese e del mondo. Doveva farsi più realista del re, più dura di tutti loro. E lo è diventata. Come iniziazione, già da ministro dell’istruzione, nel 1970, cominciò col rubare il latte ai bambini. La “milk snatcher” privò i bambini proletari di quell’apporto calorico fino ad allora garantito dallo stato. Tre anni dopo anche il suo intimo Pinochet cominciò così, appena si sollevò il fumo del bombardamento della Moneda a Santiago del Cile dopo l’11 settembre. Quel latte pubblico, quel latte popolare risultava così odioso ai leader di quella nuova stagione politica che per sconfiggere i lavoratori organizzati decisero di cominciare dall’affamarne i figli.

Sul comodino teneva Friedrich von Hayek e Milton Friedman e quell’Inghilterra keynesiana, che il suo stesso partito aveva contribuito a costruire come lenimento allo scontro sociale, divenne spazzatura. Almeno lei, laureata a Oxford, aveva qualcosa sul comodino, il suo amico Ronald Reagan nulla. Voleva lo scontro, lo cercò, lo trovò, lo vinse. Contro tutti, contro i sindacati, contro l’IRA irlandese, indifferente allo sciopero della fame di Bobby Sands e dei suoi, morti come mosche, contro l’Unione Sovietica. La storia continuerà a interrogarsi se lei e Reagan la sconfissero davvero o quanto questa crollò su se stessa, avvizzita e improponibile. Con l’URSS alla sua crisi finale però tutto fu più facile per la rivoluzione conservatrice che non ebbe più bisogno di pattare con nessuno. Furono liberi di vedere un mondo semplificato dove i loro interessi coincidevano con quelli della società. I corpi intermedi, le rappresentanze di classe, l’equilibrio della trattativa, tutto perdeva di senso. Avevano vinto loro.

Margaret Thatcher fu la grande costruttrice del mondo unipolare e del pensiero unico, di una globalizzazione neoliberale proposta come la mondializzazione dei valori della libertà e della democrazia e che si è rivelata un’illusione occidentalista che ne ha invece marcato il declino e segnato in peggio le esistenze di chiunque sia nato dagli anni ’60 in avanti. Ai nostri genitori è toccato il miglior slot della storia, hanno goduto di buone scuole pubbliche, servizi sociali, salute, e sono andati in pensione –per la prima e forse unica volta della storia- con assegni dignitosi. A noi e ai nostri figli –thanks to Mrs. Thatcher- è toccato il baratro.

Grande statista chi butta a mare due terzi della società per dimostrare quanto è brava a far star meglio la parte più privilegiata. Se Silvio Berlusconi consigliò la giovane precaria di trovarsi un fidanzato ricco, sintesi perfetta della conservazione maschilista, Margaret Thatcher ha fatto di meglio: si è fidanzata con tutti i ricchi del paese. È nell’etica immorale dell’aiutare solo chi è già forte a essere ancora più forte, nella balla scientifica del merito che ha affondato milioni di diseredati, nella pretesa di una tassazione uguale per tutti -ricchi e poveri- e proprio per questo più iniqua, è nell’odio senza quartiere contro ogni valore di solidarietà e comunità in collaborazione con un sistema mediatico che imponeva consumi, consumi e consumi, come gli unici valori meritevoli il segno del suo trionfo e della desolazione attuale. Il suo sovranismo antieuropeo fu proverbiale e forse piacerebbe molto oggi a chi non vede nell’Europa l’unica costruzione meritevole di essere difesa. Ma è lei, come ha detto autorevolmente Romano Prodi, la madre della crisi attuale, disegnando un mondo affidato solo al mercato che oggi segna il declino dell’Europa stessa e dell’Occidente.

È lei che ruppe l’egemonia culturale della sinistra socialdemocratica che aveva dominato il dopoguerra e l’ha sostituita con un’egemonia oppressiva, quella del neoliberismo e dell’individualismo più duro, darwinista più che calvinista. Amica per la pelle di dittatori sanguinari come Augusto Pinochet (per la liberazione del paziente inglese si spese come per nessuno dopo l’uscita da Downing Street), nemica giurata di eroi positivi come Nelson Mandela, che per lei era solo un “terrorista”, non aveva tabù. Neanche quello di lanciare la bomba atomica su di una città di 12 milioni di abitanti come Buenos Aires. Se lo portò dietro, il gingillo atomico, pronto all’uso alla bisogna. Il gioco delle parti con quell’ubriacone di Massera, il dittatore argentino succeduto a Videla, fu magistrale. O lui o lei: entrambi i regimi erano in crisi di consenso. Nel momento di massima difficoltà per Margaret Thatcher, che si avviava senza gloria a perdere le elezioni dell’83, dopo quattro anni di governo fallimentare per gli stessi tories e con la disoccupazione alle stelle (vinse comunque solo per la divisione dell’opposizione), l’avventurismo dei generali argentini alle Malvinas/Falkland fu il più gradito dei regali: quel consenso che non poteva avere in politica economica e che solo i monopoli mediatici facendole da grancassa le magnificavano, lo ottenne facendo capo al decrepito nazionalismo imperialista dell’Union Jack e delle cannoniere.


Modernissima nell’intuire nel neoliberismo la nuova frontiera del conservatorismo, seppe guardare indietro, all’imperialismo classico delle cannoniere e della regina Vittoria per stringere a coorte il popolo britannico e costruire nella bandiera quel consenso che non poteva avere spingendo senza pietà milioni di persone fuori del mercato del lavoro. Come sempre la nazione vince sulla classe, la comunità militarizzata vince su quella solidale. Trionfò, nel remoto sud dell’Atlantico e quindi nelle urne, e andò avanti a smantellare la base industriale del paese che l’industria aveva inventato due secoli prima. Per lei avere più disoccupazione non significava niente, non era lei a pagare e indusse il “nemico”, perché nemico erano per lei i lavoratori organizzati, alla disperazione.

Con lei il conservatorismo smise di essere il partito dello status quo per presentarsi come quello della trasformazione. Erano i sindacati, perfino quelli britannici prudenti e responsabili, a essere di colpo vecchi, a essere un freno al “riformismo”, una parola con un secolo di passato progressista e sequestrata con lei dall’altro campo. Fu così, sulle macerie di una sconfitta totale della classe lavoratrice, che il suo principale emulatore si rivelò essere quel giovane arrivista di Tony Blair. Privatizzazioni come quella delle ferrovie, un monopolio naturale, sono un monumento all’inefficienza del neoliberismo: più care, più scadenti, più pericolose, più costose per lo stato costretto a sovvenzionarle per tenerle sul mercato. Oggi in Gran Bretagna ci sono più disoccupati, meno studenti universitari, meno riserve auree, più debito. Solo la finanza ha distribuito un po‘ di ricchezza, ma dal 2008 in avanti anche questa, col sistema bancario, ha avuto bisogno di quasi mille miliardi di soldi pubblici per restare in piedi. Lo Stato glieli ha dati. Per le banche ce ne sono sempre.

Chi scrive viveva a Londra in quella fine di novembre del 1990 quando Margaret Thatcher fu messa in minoranza da John Major e dovette abbandonare dopo undici anni e mezzo il numero 10 di Downing Street. Conservai a lungo la copia dell’Economist che ne tesseva le lodi in un lungo speciale. Aveva creato tanta ricchezza, è vero. Compiacere i ricchi era la sua ossessione. Ma a che prezzo questa ricchezza era stata creata si poteva leggere in quello stesso speciale. Durante il suo governo per ogni cittadino britannico che aveva passato verso l’alto l’assicella delle 50.000 sterline di reddito annuo, ben dieci lavoratori avevano dovuto scendere verso il basso al di sotto della linea delle 5.000. Per fare un ricco le fu necessario spingere dieci persone verso la povertà. È questo il prezzo del neoliberismo. I media monopolisti mostrano incessantemente chi ce l’ha fatta. Ma da Brixton a Civitanova Marche, l’eredità di Margaret Thatcher è pianto e stridore di denti.

Gennaro Carotenuto 

lunedì 8 aprile 2013

MORIA DI DELFINI. ANCORA COLPA NOSTRA!


Delfino spiaggiato sulle coste del Tirreno

Siamo ormai a un vero bollettino di guerra, quello che conta un centinaio di cetacei (prevalentemente delfini della specie “stenella striata”) spiaggiati e morti sulle coste italiane dall’inizio del 2013. Una vera e propria ecatombe che vi avevamo raccontato qualche settimana addietro (riferita in particolare alle coste della Toscana) e che, come  appunto scritto nel precedente articolo, gli scienziati hanno approcciato con cautela, non essendo certi di cause e motivazioni. Tuttavia tutte le carcasse rinvenute fino a oggi presentano un comune denominatore: tracce di infezioni batteriche e virali. Apparentemente quindi, si pensava che l’uomo e le sue azioni fossero estranei alla questione. E invece, udite udite, siamo ancora una volta protagonisti.

Ma andiamo con ordine: la maggior parte dei ritrovamenti sono avvenuti lungo le coste del Tirreno, Toscana appunto, Lazio, Calabria e Sicilia. La scena agli occhi di veterinari, forze dell’ordine e semplici passanti, sempre la stessa: animali in fin di vita in preda a spasmi o tremori oppure carcasse arenate. Talvolta i corpi erano in stato di decomposizione talmente avanzato da essere irriconoscibili anche a un occhio esperto. Badando alla semplice sintomatologia si è dunque appurato subito come questi splendidi abitatori dei mari siano stati colti da infezioni batteriche e da infestazioni parassitarie, come affermano Sandro Mazzariol, coordinatore dell’Unità di Pronto Intervento (CERT), che interviene in caso di spiaggiamenti anomali, e Cristina Casalone, coordinatore dei laboratori zooprofilattici che effettuano le diagnosi su cetacei spiaggiati; indagando però un po’ più in profondità, alla radice del problema pare che il vero problema dei delfini sia una grave depressione del sistema immunitario, quello che insomma aiuta ogni animale a far fronte alle malattie (che poi li hanno “materialmente” uccisi, infatti).

Veniamo quindi al dunque. Le pessime condizioni del sistema immunitario di questi cetacei avrebbe determinato (nella maggior parte dei casi) la loro morte rendendoli incapaci di reagire alle infezioni: ma cosa avrebbe causato questa debolezza immunitaria? La forte contaminazione marina da inquinanti ambientali come PCB e DDT. Nulla di nuovo insomma, semplicemente va preso atto ancora una volta che stiamo sopprimendo la vita del Pianeta e pian piano, di conseguenza, anche la nostra; si, perché se è vero che l’uomo è apparentemente più capace di sopravvivere all’inquinamento ambientale e curare le affezioni da esso derivante è altrettanto vero che probabilmente arriveremo a un punto in cui anche per noi sarà impossibile “resistere”.

I delfini, come gli altri abitanti del mare, sono sentinelle dello stato di salute dell’ambiente, sarebbe il momento giusto per ascoltare con maggiore attenzione i segnali che la natura ci sta mandando e correre velocemente ai ripari, cominciando come vi diciamo sempre da noi e dalle nostre azioni quotidiane.

da "Attenti all'uomo"

sabato 6 aprile 2013

IL LAVORO E' UNA PUNIZIONE DIVINA


Oggi, mentre camminavo, ho pensato al mercato. Ma non ai mercati classici, quelli pieni di box, mercanzia di ogni tipo, alimenti, pesci e venditori che urlano, cantano, ammiccano e offrono. No, il mercato mio, quello virtuale, quello che in verità non esiste perché altro non è che un insieme di relazioni tra soggetti: il mercato del lavoro.   Sarà perché è il mio mestiere, sarà perché al singolare è uno fra i più evocati, camminando mi è venuto in testa. È strano come il mercato del lavoro, contrariamente a quelli declinati al plurale, “i mercati”, non abbia particolari desideri: a oggi non ho sentito mai dire “il mercato del lavoro vuole…” o “il mercato del lavoro ci chiede…” Lui, che dev’essereil fratello povero o sfortunato della altrimenti opulenta famiglia dei mercati, ha piuttosto “necessità di…”, “ha bisogno di…” Credo sia un po’ legato e imbolsito perché da molti anni la cura è sempre la stessa: stretching e iniezioni per aumentarne la flessibilità.
Io un’idea me la sono fatta, ma ammetto che pur potendomi fregiare del titolo di esperto, sempre meno ne capisco. O forse è la categoria di esperto a essere sopravvalutata oppure sono soltanto io a essere un cazzone.

lavoro-punizione

Intanto, qualche puntino sulle “i” bisognerà pur metterlo: se abbiamo cento asini e ottanta carote sarà molto difficile che ogni asino abbia una carota. Credo che su questo possiamo concordare tutti, belli e brutti, piddini e grillini, maschi e femmine, destra e sinistra.

Quindi su cosa dovremmo concentrarci, sull’alleggerire l’asino per farlo arrivare prima alla carota oppure sull’aumentare le carote?

Perché la scelta non è indifferente. E visto che la strategia prevalente è stata quella di lavorare sull’asino, così che fosse più reattivo, più rapido, più leggero, più capace di affrontare le mutate condizioni, significa che noi viviamo in un sistema costruito per ottanta asini e che venti saranno sempre in esubero: se le carote saranno abbastanza grandi da generare scarti sufficienti bene, ma con carote rachitiche tipiche dei periodi di crisi pietà l’è morta…

C’è anche chi dice che se si vedono asini particolarmente reattivi, rapidi ecc. da fuori, dal resto del mondo inizieranno a tirarci carote oppure le carote cresceranno da sole, spontaneamente, ansiose di offrirsi agli asini. Oppure gli asini dovranno farsi “imprenditori di sé stessi” e inventarsela la carota.

Il mercato del lavoro è difficile da intrappolare in una metafora, asini e carote, i posti al cinema (occupati, non occupati, distrutti creati, comodi e scomodi, con spettatori che entrano e che escono), spiegano – come tutte le metafore in fondo – i meccanismi fino a un certo punto.

Intanto perché “il mercato del lavoro” non esiste, ma è un concetto teorico forse valido per l’analisi generale (l’insieme degli occupati, l’insieme dei disoccupati e via dicendo), per farsi un’idea di massimo, ma quasi inutile dal punto di vista operativo.

Contano “i mercati”: per esempio, se sono un idraulico…lasciamo perdere gli idraulici!

Se sono un insegnante entrerò in uno specifico mercato del lavoro che è quello dell’insegnamento, che ha le sue regole: concorsi, chiamate, domande a istituti pubblici e privati, competenze, acquisizione di competenze. E bisogna conoscerlo per potersi orientare, per avere qualche possibilità. E si sa pure quanti posti potranno essere disponibili, quanti quelli “fissi”, quanti quelli “mobili”.

Questo vale per quasi tutti i mestieri e le professioni, ciascuna ha un suo mercato. E in questo mercato vige un certo evoluzionismo: vince il più “adatto”, dove a volte il più adatto non è il più serio, il più bravo o il più preparato, ma quello con più relazioni, più “accozzato”, “il figlio di…” (non nel senso della professione della mamma, di di genitori abbienti e ben introdotti, of course).


Resta la sensazione che in tutto questo ci sia qualcosa di profondamente sbagliato. Mi occupo di mercato del lavoro dai tempi della mia tesi di laurea e la situazione è peggiorata. Questo nonostante leggi, pacchetti di leggi, riforme e controriforme. Ma forse avevano ragione Aris Accornero e Fabrizio Carmignani nel libro che mi convinse a studiare questo argomento e a fare una tesi di laurea sulla disoccupazione: è un’attenzione fatta esclusivamente di parole!

Quando iniziai a occuparmi di mercato del lavoro i soggetti più deboli erano le giovani donne del Sud Italia con bassa scolarizzazione e oggi mi sa che è la stessa cosa. La differenza è che ieri la disoccupazione era un passaggio probabile in una traiettoria di vita: finivi le scuole, mettevi in conto – in virtù dell’alta disoccupazione giovanile – un certo periodo, più o meno lungo, alla ricerca di un lavoro, ma entro una certa età eri sicuro di trovarlo. Infatti, superati i 35/40 anni i tassi di disoccupazione, soprattutto quella maschile, erano poco significativi anche da noi.

Oggi non è più così e la disoccupazione, anche quella mascherata (perché siamo pieni di cassaintegrati che non rientreranno mai al lavoro precedente), è un evento che può capitare a tutte le età.

Da qui la grande truffa nel dividere “insider” da “outsider”, padri da figli, come ha fatto questa destra maledetta – che il diavolo se la pigli – nella repubblica delle banane in cui viviamo (con simpatie anche dalla parte avversa, che di polli che si credono aquile grazie a dio ne abbiamo anche noi!).

Ad un certo punto sembrava che le tutele dei lavoratori delle grandi imprese fossero un ostacolo all’assunzione dei figli i quei lavoratori e che il problema fosse tutto lì! Non che mancasse una politica industriale, uno straccio di idea di futuro, un minimo di governo dell’economia, una visione laica delle dinamiche produttive e non dogmatica da taliban del mercato “che fa bene tutto, basta lasciarlo stare…”

Occultando il fatto però che padri e figli sono legati e che i figli in genere sono mantenuti dai padri e che se tu non tuteli il padre, ma lo sostituisci col figlio, senza prevedere una stato sociale capace di far fronte a un mutato equilibrio sociale, fai esplodere il sistema.

Perché sostituisci chi è tutelato con chi è indifeso, chi può mantenere anche altri con chi a malapena riesce a mantenere sé stesso. Quindi, l’obiettivo vero qual è?

Aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro o disarmare i padri, indebolendo la classe lavoratrice, giovani compresi?

Non vi pare che i diversi strumenti messi in campo, le diverse varianti di stage e tirocini, non servano per selezionare e modellare lavoratori che abbiano quale caratteristica principale la docilità?

Perché sembra che l’inadeguatezza sia tutta dal lato dell’offerta del lavoro e mai da quella della domanda, anche quando l’insufficienza della nostra classe imprenditoriale è palese e dimostrabile dalla scelta costante della via più facile?

Come se non fosse chiaro che chi sul mercato resta, in fin dei conti, è chi lavora sulle innovazioni di prodotto e non chi scarica sulla forza lavoro ogni problema e tira a scardinare le organizzazioni sindacali, cercando di trasformarle (senza grandissima e diffusa opposizione a dire il vero, che teniamo famiglia tutti…) in complici, da antagoniste quali dovrebbero essere, almeno in una sana democratica dialettica fra interessi contrapposti…

Perché la cosiddetta “concertazione” avrà pure portato un pochino di pace sociale, ma ha anche drenato immense risorse dalla tasche di chi lavora a quelle di redditieri vari.

Nel linguaggio comune poi si fa pure confusione fra le parti in gioco, perché “offerta di lavoro” sembra essere chi offre posti di lavoro, cioè imprese, pubblica amministrazione e famiglie; mentre “domanda di lavoro” invece sembra essere chi il lavoro lo chiede, cioè i lavoratori disoccupati. Invece è esattamente il contrario.

Agire sul lato dell’offerta (i “quattro pilastri” UE del Trattato di Lisbona questo esplicitamente promuovono, con l’accento posto su “occupabilità”, “adattabilità”, “imprenditorialità” e “pari opportunità”) significa in qualche modo scaricare la responsabilità dello Stato, che si ritira dall’economia e dal suo governo (in ottemperanza al dogma), sui lavoratori, che si devono industriare per essere più appetibili e la funzione dello Stato che non è quella di promuovere l’economia attraverso la creazione di lavoro (più carote), ma coi servizi ai lavoratori (cioè allenando gli asini alla corsa…).

È chiaro che la partita è tutta politica e poco tecnica: gli strumenti dell’economia sono per l’appunto “attrezzi” ed è inutile attribuire loro caratteristiche che non hanno. A ben vedere, tutta questa enfasi sui mercati, con l’attribuzione di caratteri antropomorfici (i mercati “chiedono” e reagiscono come fossero esseri animati e dotati di senso) rientrano in quei meccanismi detti “euristiche” di cui scrivevo ieri.

È necessario quindi ragionare attorno al concetto di “job guarantee“, ovvero di garanzia del lavoro e impegnare le istituzioni, dalle comunità locali fino all’UE passando per lo Stato, nella promozione del lavoro.

Il fatto che fino a oggi non ci siano stati risultati significativi può voler significare che le soluzioni adottate sono semplicemente inutili, se non dannose. Esiste la necessità di implementare e manutenere le competenze, oggi a rischio di obsolescenza, ci sono settori dove si può produrre ad alto valore aggiunto con rispetto dei diritti e dell’ambiente (due dei tre lati del triangolo della sostenibilità).

Anche se nel mio cuore io continuo a inseguire il sogno di Karl Marx per il quale bisognava abolire la condizione di lavoratore, non estenderla a tutti gli uomini!

Perché, non dimentichiamolo, il lavoro è una punizione divina, non un dono.
Di Marcello Cadeddu

mercoledì 3 aprile 2013

IL MISTERO DEL FUOCO SACRO DI GERUSALEMME


Una fiamma che non brucia nel Santo Sepolcro. Un fenomeno già apparso ai primi cavalieri crociati che conquistarono Gerusalemme. La ricerca degli scienziati russi mette in campo sconosciute frequenze di onde radio. Una antica tecnologia di una civiltà scomparsa utilizzata a scopi religiosi? 


Il mistero del "Santo Sepolcro"
Dopo la conversione al cristianesimo dell'imperatore Costantino, l'Impero romano venne totalmente cristianizzato. Di conseguenza i templi pagani su tutto il territorio dell’Impero vennero distrutti e i loro sacerdoti incarcerati e mandati al confino a Skytopolis in Siria per essere rieducati.
Nel 325, il Vescovo di Gerusalemme durante il Concilio di Nicea chiese all'Imperatore di abbattere i templi pagani che esistevano nella “Città Santa” e di edificare nuovi templi che mettessero in evidenza i luoghi che erano stati il teatro delle vicende attribuite alla nascita e alla morte del Cristo.
La prima opera urbanistica, seguita personalmente da Elena, la madre di Costantino, fu quindi la costruzione, nel 335, della basilica costantiniana conosciuta poi come il "Santo Sepolcro".
Sebbene la narrazione dei Vangeli ponesse il luogo della sepoltura del Cristo ben fuori delle mura vecchie di Gerusalemme, come è anche oggi convinzione delle Chiese protestanti, la basilica venne realizzata all'interno della città prendendo il posto di un importante tempio pagano preesistente, dedicato alla dea Venere, fatto costruire dal precedente imperatore Adriano nel 135.
Abbattuto il tempio pagano, per edificare il nuovo edificio vennero apportate radicali modifiche all'ambiente, demolendo parte di una collina e asportando cospicuo materiale roccioso. La basilica una volta ultimata risultò costituita da tre chiese collegate tra di loro e comprendeva al suo interno, come in un diorama, i principali luoghi dello scenario descritto dal Vangelo, come il monte Golgota della crocifissione e la cripta dove sarebbe stato sepolto, per poi risorgere, il Cristo.
A seguito delle crociate in Terra Santa, iniziate intorno all’anno Mille, la basilica venne gestita per qualche tempo dai cattolici, per ultimi dai frati dell'Ordine francescano. Nei secoli seguenti Gerusalemme fu riconquistata dall’Impero Ottomano che tuttavia concesse ai pellegrini cristiani l'accesso alla basilica che intanto aveva subito numerose modifiche strutturali e di stili.

Dal 1852 le autorità ottomane che dominavano il territorio, a fronte delle cruente dispute tra le varie confessioni cristiane che vantavano, ciascuna, il possesso esclusivo della basilica, la diedero in concessione al Patriarcato ortodosso con il decreto conosciuto con il nome di "Statu quo". Oggi la basilica del Santo Sepolcro, detta anche "Chiesa della Resurrezione”, è la sede del Patriarcato ortodosso di Gerusalemme che regola indiscusso le celebrazioni dei cattolici e degli armeni all’interno della basilica.
Proprio questo edificio, che rappresenta la meta di migliaia di pellegrinaggi di fede cristiana, è al centro di un particolare e misterioso fenomeno conosciuto come il “Fuoco Sacro” di Gerusalemme.
Accade infatti che da secoli, in occasione della Pasqua ortodossa, nel corso della cerimonia religiosa del Sabato Santo, all’interno della cripta deputata ad essere la tomba del Cristo si manifesti una fantasmagorica pioggia di fuoco che scende dalle pareti fino al piccolo altare.
C’è da aggiungere che il fenomeno si mostra solamente quando nella cripta officia il Patriarca ortodosso o un Vescovo da lui delegato. Quando altri religiosi hanno provato a sostituire gli ortodossi, non sono mai riusciti ad ottenere alcun risultato. Il che induce a pensare che evidentemente le gerarchie ortodosse possiedano qualche particolare conoscenza che porta ad attivare il misterioso fenomeno.
Un evento impressionante che per il suo impatto mediatico ricorda per molti versi quello della liquefazione del “sangue di San Gennaro” a Napoli. Inutile dire, in questo caso, che San Gennaro non è mai esistito e che persino la Chiesa cattolica ha preso le dovute distanze dall’evento.
La fiamma che i fedeli ricevono dal Patriarca ortodosso ha la caratteristica di non bruciare chi la tocca per circa trenta minuti

Il fenomeno della fiamma fredda
La cerimonia del “Sacro Fuoco” segue una accurata prassi. La mattina del Sabato Santo avvengono accurati e minuziosi controlli, da parte della polizia israeliana, all’interno della cripta deputata a tomba del Cristo al fine di escludere categoricamente la presenza di qualche oggetto in grado di produrre il “Sacro Fuoco”. Quindi la cripta viene sigillata.
Verso sera il Patriarca ortodosso di Gerusalemme, dopo essersi tolto tutti i paramenti sacri ad eccezione della tunica rituale ed essere stato accuratamente perquisito dalle autorità civili, entra nel Sepolcro, a candele spente, e si inginocchia a pregare.
Ed è qui, immediatamente oppure dopo qualche ora di preghiera, che sul marmo che ricopre la lastra della tomba cominciano ad apparire scintille di fuoco come gocce luminose.
I testimoni che hanno avuto modo di osservare il fenomeno raccontano di aver sentito un forte schiocco precedere la loro formazione. Altri raccontano di aver sentito un forte e prolungato sibilo, accompagnato quasi simultaneamente da lampi di luce blu e bianchi che iniziano a serpeggiare sulle pareti come dei flash impazziti.
Il Patriarca raccoglie le gocce di fiamma con l’aiuto di batuffoli di cotone e con questi accende le torce e le candele che sono all’interno della cripta. C’è chi dice che alle volte le torce si accendono addirittura da sole, spontaneamente, mentre il Patriarca è intento a pregare.
Poi il Patriarca esce dalla cripta e porge la fiamma delle sue torce alle torce dei fedeli in attesa che si distribuiscano tra di loro il “Sacro Fuoco”.

E qui avviene un altro fenomeno inspiegabile. Stando al racconto di testimoni diretti, il fuoco che arde sulle torce, benché abbia l’aspetto di una fiamma ordinaria, per diversi minuti non manda calore. Si può porre la mano sulla fiamma senza bruciarsi. E’ consuetudine che i fedeli passino la fiamma delle torce sul viso, sulle folte barbe e sugli abiti senza che si incendi nulla. C’è stato anche chi ha tentato di respirare questo fuoco senza subire alcun danno.
Dopo circa una trentina di minuti, il fuoco prende a scottare e c’è chi ha notato che esso inizia a far male solo dopo che la fiamma delle torce ha cambiato colore, divenendo da azzurrina a rossa.

Una delle misteriose sfere luminose che vengono viste transitare all’interno della basilica durante la cerimonia pasquale del “Fuoco Sacro”

Alcuni cenni storici sul fenomeno
Secondo la convinzione dell’Archimandrite ortodosso Leonide, le più antiche notizie relative al «Fuoco Sacro» di Gerusalemme avrebbero origine nella più profonda antichità.
Del fenomeno ne parlano già San Gregorio di Nissa, nel 350, San Giovanni di Damasco, nel 750, e lo storico della Chiesa Eusebio di Cesarea del IV secolo.
Il cronista della chiesa romano Baronius nel 1500 citava che: "I cristiani occidentali, avendo ripreso Gerusalemme ai Saraceni parlano di aver visto un miracolo quando, il Sabato Santo, le candele si accesero spontaneamente vicino alla tomba del Signore. Sembra che questo miracolo si produca laggiù abitualmente”.
Un aneddoto raccolto tra le cronache dell’intensa storia della basilica del Santo Sepolcro riguarda un episodio accaduto nel 1549, quando gli Armeni, nel tentativo di sostituirsi agli ortodossi, nella conduzione della cerimonia del “Fuoco Sacro” corruppero il sultano Mourat per ottenere il permesso di recarsi nella Chiesa del Santo Sepolcro per presenziare la cerimonia. Estromesso il Patriarca ortodosso fuori dalla cripta, i loro dignitari presero il suo posto all’interno e iniziarono la cerimonia pasquale. In merito a questo episodio, l’arabo Huri Fosi scrisse nel 1910: "Invano gli Armeni invocavano Dio, il Fuoco non voleva discendere. All'improvviso s'udì un rimbombo del tuono e dalla colonna di marmo, presso la quale attendeva il Patriarca ortodosso, apparve il Fuoco". Colonna che ancora oggi si può vedere, squarciata, nei pressi della cripta della tomba del Cristo.
Tutto farebbe pensare che la dinamica del fenomeno del “Sacro Fuoco” sia un segreto ben custodito dal Patriarcato ortodosso attraverso i secoli.
Del resto, ancora oggi non si riesce a dare una spiegazione scientifica al fenomeno della liquefazione del sangue di San Gennaro che si manifesta a Napoli e che palesemente, non essendo mai esistito il Santo in questione, deve rappresentare probabilmente il frutto dell’ingegno di qualche alchimista cristiano del passato in vena di vendere reliquie religiose.

Le rilevazioni dei ricercatori russi
Il fenomeno del “Fuoco Sacro” di Gerusalemme è stato sempre al centro dell’attenzione di vari ricercatori che hanno cercato di spiegarlo da un punto di vista razionale, negando ogni possibile apporto trascendente.
La convinzione di questi ricercatori era che il fenomeno non poteva, per principio, avere nulla di divino poiché l’ubicazione della cripta, deputata ad essere la tomba del Cristo, non rispondeva a quella che avrebbe dovuto essere. Ovvero avrebbe dovuto trovarsi all’esterno delle mura antiche di Gerusalemme, insieme alle tante altre realizzate secondo la consuetudine millenaria.
Nel 2008, in occasione del rito pasquale, il fisico russo Andrey Volkov, introducendosi come uno dei tanti pellegrini nella basilica del Santo Sepolcro, condusse in gran segreto delle misurazioni scientifiche del fenomeno allo scopo di dare una spiegazione

La sua apparecchiatura permise di constatare la presenza di un forte spettro di radiazione elettromagnetica all’interno della cripta e rilevò un inspiegabile impulso sulla frequenza delle onde lunghe proprio al comparire del “Sacro Fuoco”. Volkov ebbe l’impressione di trovarsi di fronte ad una scarica elettrica a bassissimo amperaggio. Ovvero una scarica elettrica di grande effetto psicologico, ma che non poteva essere in grado di produrre danni alle persone.
Volkov, a conferma di questa ipotesi, osservò che la discesa del “Fuoco Sacro” nella cripta si legava ad una inconsueta energia azzurrina che fluiva lungo i muri fino a raggiungere la pietra su cui pregava il Patriarca ortodosso. Fenomeno che oggi, a causa del bombardamento dei flash dei fedeli, risulta difficile da vedere.
Andrey Volkov ha portato a valutare che il plasma elettrico a bassa temperatura può assomigliare ad una fiamma, ma non brucia. Su questa constatazione ha ipotizzato che, se alla base del fenomeno del “Fuoco Sacro” ci fosse il principio di una tecnologia basata sull’elettricità, tutto farebbe pensare che nei batuffoli usati dal Patriarca ortodosso per raccogliere il fuoco e nelle stesse candele, che si accendono da sole, potrebbe esserci qualche sostanza in grado di mantenere la carica elettrica del plasma che poi, dopo un po’ di minuti, si trasformerebbe in una vera e propria fiamma.
Questo potrebbe spiegare perché all’inizio il “Fuoco Sacro” delle candele non scotta ad avvicinarlo, ma solo dopo, a seguito della prolungata azione del plasma elettrico, la fiamma si attiva veramente.

L’eredità di antiche conoscenze dell’Impero romano?
A fronte delle ipotesi avanzate dal ricercatore russo sulla base delle rilevazioni scientifiche effettuate all’interno della cripta è inevitabile chiedersi se il “Fuoco Sacro” non possa trattarsi in effetti della manifestazione di una qualche tecnologia sconosciuta utilizzata dagli ortodossi a scopi religiosi.
Del resto la stessa Chiesa cattolica, che ha disconosciuto il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, nonostante il nutrito seguito di fedeli, non ha mai avuto l’idea di provare a ricevere il “Fuoco Sacro” nel Santo Sepolcro. Anzi non ha mai voluto neppure farne parola.
Potrebbe essere che la Chiesa cattolica sappia che cosa ci sia effettivamente all’origine del fenomeno del “Fuoco Sacro” e possa immaginare l’impatto mediatico negativo che potrebbe avere, prima o poi, sulla sua credibilità dottrinale se utilizzasse anch’essa questo fenomeno.
Vista l’ubicazione della cripta, ricavata sul luogo dove sorgeva una importante e imponente basilica pagana dell’era precristiana, si potrebbe pensare che il fenomeno del “Fuoco Sacro” possa essere in relazione alle conoscenze tecnologiche dell’antico Impero romano cooptate da Costantino per sostenere il nuovo corso della cristianizzazione dell’Impero.
Del resto le scoperte, effettuate recentemente presso la “Domus Aurea” dell’imperatore Nerone, hanno portato a ritenere che gli antichi romani possedessero una avanzata tecnologia in molti campi, che tuttavia non usavano al fine di mantenere un sistema sociale fondato sulla forza lavoro degli schiavi che rappresentavano una testimonianza della grandezza militare e espansionistica dell’Impero.Non è fantasia affermare che i popoli antichi avessero familiarità con l’elettricità. Si ha notizia ad esempio, attraverso la lettura di testi minoici, che le sacerdotesse dell’isola di Creta avevano la capacità di attirare dal cielo le scariche elettriche e di immagazzinare la loro forza per restituirla durante le cerimonie sacre allo scopo di impressionare i fedeli dei loro culti.
E proprio nell’antica Roma l’elettricità doveva essere un fenomeno ben conosciuto. Gli storici romani Plinio e Tito Livio riportano ad esempio che il re Numa Pompilio conosceva il segreto di portare a terra il fulmine di Giove Tonante ed era in grado di immagazzinare la sua forza per scagliarlo a suo piacere verso i suoi nemici o a quant’altro gli piacesse avere come bersaglio.
Il romano Servio Tullio era della convinzione che già i primi abitanti della Terra non avevano mai portato il fuoco ai loro altari, in quanto riuscivano attraverso la preghiera a portare giù dal cielo il “Fuoco celeste”.
Inoltre, nell’ambito delle conoscenze oggi misconosciute dell’Antica Roma, c’è il mistero delle cosiddette “lampade eterne” che illuminavano le notti degli Imperatori romani e che non erano alimentate da olio o da altro combustibile noto.
Agostino, dottore e santo della Chiesa cattolica, è un testimone involontario e degno di considerazione circa l’esistenza di una di queste lampade. E guarda caso cita questa “lampada eterna” proprio in relazione con un tempio dell’Egitto romanizzato dedicato a Venere. La stessa divinità pagana a cui era stata dedicata la basilica di Gerusalemme, fatta edificare dall’imperatore Adriano e sulle cui fondamenta venne fatta costruire da Costantino la basilica del Santo Sepolcro.
Lo squarcio in una delle colonne della basilica prodotto nel 1549 dal “Fuoco Sacro”. Il Patriarca ortodosso era stato allontanato dalla cripta dagli armeni che volevano impossessarsi del fenomeno. Ma non ci riuscirono: il “Fuoco Sacro” si manifestò, contrariamente alla consuetudine, fuori dalla cripta, al fianco del Patriarca ortodosso in attesa


Sfere luminose e altri misteri
Un altro fenomeno legato alla cerimonia pasquale del “Fuoco Sacro” è l’occasionale presenza di piccoli globi luminosi che vengono visti transitare sulle teste dei fedeli.
Molti testimoni affermano di averli visti e fotografati. Altri dicono che questi globi alle volte sono in grado di fermarsi per scendere sui fedeli ad accendere le loro torce.
Un fenomeno che ricorda inevitabilmente quello delle sfere luminose che vengono di tanto in tanto osservate sui “crop circles”, i grandi disegni ricavati nei campi di grano, anch’essi realizzati con l’emissione di onde elettromagnetiche.
Le stesse misteriose onde elettromagnetiche che, sempre in relazione ai crop circles, hanno prodotto, dal 2003 in poi, piccoli incendi inspiegabili nelle case della cittadina di Caronìa, in Sicilia, lasciando senza una spiegazione sulla loro origine la Commissione del Governo italiano che se n'era occupata nel 2007. In questo caso la Procura di Palermo avviò un’inchiesta su ignoti che si riteneva possedessero l’idonea tecnologia per attivare i fasci di onde elettromagnetiche rilevate in occasione dei fuochi spontanei.
di Giancarlo Barbadoro