sabato 29 giugno 2013

BENVENUTI IN ITALIA? NO IN BANGLADESH


Lo avete letto il decreto per il lavoro giovanile?  Quello che dovrebbe rappresentare il ritrovato orgoglio di essere italiani in Europa? È sublime. L’Italia farà di tutto per portarci in Bangladesh. Anche perché finalmente in quel paese lontano, sfruttare il lavoro minorile sta diventando un po’ più complicato; poi, in Bangladesh ora c’è più attenzione, si sta rafforzando il sistema educativo scolastico, ed è maggiore la protezione per i ragazzi di strada.
Portare il Bangladesh in Italia sarà più semplice – lo dice il decreto – facilitando la formazione professionale di schiavi senza istruzione e cultura, agevolando così il più ottimale controllo della forza lavoro. C’è voluto molto tempo e molto impegno, ma alla fine dopo la cancellazione e la distruzione delle tutele dei lavoratori, e dei sindacati, tutto è stato più semplice.
Così da ieri girano su Internet i consigli di chi guarda lontano, non so quanto pilotati dalla propaganda, che consigliano agli esaminandi di far scena muta agli orali e lasciarsi bocciare, garantendosi così di poter essere assunti come schiavi da qualche imprenditore lungimirante. Un diploma potrebbe tenerti ancor troppo lontano dal mondo del lavoro, lo stesso che invece pensavi di poterti guadagnare con un po’ di fatica. Il caso limite quello dei diplomandi di una scuola alberghiera, che con la pergamena in mano vedranno sfumare l’assunzione a loro promessa.
Certo, se non fosse motivo d’orgoglio da sbandierare in Europa, questo decreto potrebbe prima far ridere e poi far scoppiare la rivoluzione, ma tanto ormai lo abbiamo imparato che non sarà certo per questo che andremo a fare le barricate sulle strade, né lasceremo a terra i cadaveri dei nemici.
In realtà ho letto molti commenti soddisfatti per il decreto svuota scuole (e cervelli) come del resto resta alta la tensione per la difficilissima approvazione del tanto agognato reddito di cittadinanza. Argomento ostico, lo so. “Come si fa ad essere contrari?” o peggio: “Sei contraria solo perché è una proposta di Grillo”.
Avete provato a chiedere a un ragazzo di 18 anni che ha votato per il Movimento, cosa sia il reddito di cittadinanza? Io l’ho fatto e la risposta è stata più o meno: “Ti danno almeno 600 euro col quale puoi vivere, se sei cittadino italiano. Tanto il lavoro non c’è.”
E si comprende quali siano stati i danni arrecati dalla demolizione della scuola e dell’istruzione. Si comprende quale fosse il disegno di chi tanto alacremente si è impegnato – la gelmini ministro fu un colpo di maestria – per impoverire e uccidere il pensiero di almeno due generazioni.
Hanno stravolto i sogni, hanno cambiato le speranze, hanno annichilito la gioventù. E quando qualcuno ha tentato di conservarsi a dispetto di tutto e di tutti, hanno annullato le loro proteste, hanno incentivato l’uso della forza, e il resto lo conosciamo tutti … o almeno si spera.
Potrei concludere dicendo che l’unica speranza è da trovare in una guerra di liberazione, ma sarebbe un reato d’opinione e ancora non ho avuto tempo di studiare le nuove proposte per annullare anche la libertà di pensiero espressa sui blog, quindi non lo dirò, che di guai ne ho già abbastanza. Tanto prima o poi ci chiuderanno la bocca, e quando lo faranno nemmeno allora faremo la rivoluzione, troveremo un’altra bocca che blateri per noi.

Rita Pani (APOLIDE)

lunedì 24 giugno 2013

MUOIONO LE API ? E ALLORA?



Sappiamo esattamente cosa uccide le api. L’estinzione delle colonie di api in tutto il mondo non è un grande mistero come vorrebbero farci credere le aziende chimiche. La natura sistemica del problema lo rende un affare complesso, ma non impenetrabile. Gli scienziati sanno che le api stanno morendo a causa di una serie di fattori quali pesticidi, siccità, distruzione del loro habitat naturale, riscaldamento globale e coì via. Le cause di tale scomparsa sono in relazione tra loro e strettamente connesse ma sappiamo che il responsabile è l’uomo e che le cause principali sono i pesticidi e la distruzione del loro habitat naturale.

I biologi hanno trovato tracce di 150 diversi pesticidi chimici nel polline delle api, un cocktail di pesticidi mortale secondo Eric Mussen, apicoltore della University of California. Le aziende chimiche Bayer, Syngenta, BASF, Dow, DuPont e Monsanto hanno scrollato le spalle per questa complessità sistemica, come se il mistero fosse troppo complesso per essere svelato. Non hanno messo in atto alcun cambiamento in merito alle politiche sui pesticidi. Dopo tutto, la vendita di veleni a coltivatori in tutto il mondo, è vantaggiosa.

Come se non bastasse, l’habitat delle api selvatiche si riduce di anno in anno a causa dell’attività agroindustriale che distrugge praterie e foreste per lasciar spazio alle monocolture che sono contaminate dai pesticidi. Per fermare il processo di estinzione delle api, dobbiamo rivedere il nostro sistema agricolo malato e distruttivo.

La scomparsa delle api

L’Apis mellifera, o ape mellifera, nativa d’Europa, Africa e Asia occidentale, sta scomparendo. Anche l’ape mellifera orientale, o Apis cerana, sta dando i primi segni di estinzione.

Tale estinzione non è un fatto irrilevante. Le api mellifere, sia selvatiche che domestiche, sono responsabili dell’80% dell’impollinazione del nostro pianeta.

Una sola colonia di api può impollinare 300 milioni di fiori ogni giorno. I cereali sono principalmente impollinati dal vento ma i cibi più salutari, quali frutta, noci e verdura sono impollinate dalle api. Settanta delle 100 specie di colture alimentari dell’uomo, che corrispondono al 90% del nutrimento mondiale, sono impollinate dalle api.

Tonio Borg, commissario europeo per la salute e le politiche dei consumatori, ha calcolato che le api “contribuiscono all’agricoltura europea per una cifra pari a 22 miliardi di euro (30 miliardi di dollari US)”. Nel mondo si stima che il valore dell’impollinazione connessa alla produzione di cibo per l’uomo, da parte delle api, superi i 265 miliardi di euro (350 miliardi di dollari US). L’estinzione delle api è una sfida come il riscaldamento globale, l’acidificazione degli oceani e la guerra nucleare. L’uomo difficilmente sopravvivrebbe ad un’estinzione totale delle api.

Le api operaie (femmine) vivono per alcuni mesi. Le colonie producono continuamente nuove api operaie durante il periodo primaverile e in quello estivo. La produzione invece rallenta durante i periodi invernali. Solitamente il numero di api in un alveare o in una colonia diminuisce dal 5 al 10% durante l’inverno per ristabilirsi durante la primavera. Durante gli anni meno fortunati una colonia può perdere il 15-20% delle sue api.

Negli, USA, primo paese in cui le api hanno iniziato a scarseggiare, le perdite invernali raggiungono il 30-50% o peggio. Nel 2006 David Hackenberg, un apicoltore con 42 anni di esperienza, ha rilevato perdite del 90% tra i suoi 3000 alveari. La National Agriculture Statistics Service (NASS, branchia statistica del Dipartimento dell’Agricoltura USA, n.d.t.) dimostra la scomparsa delle api: si è passati da 6 milioni di alveari nel 1947 a 2,4 milioni di alveari nel 2008, una riduzione del 60%.

Il numero delle colonie di api operaie per ettaro fornisce una visione critica sulla salute delle colture. Negli Stati Uniti, tra le coltivazioni che richiedono impollinazione da api, il numero di colonie è diminuito del 90% rispetto al 1962. Le api non fanno in tempo a sostituire le perdite invernali e subiscono la perdita del loro habitat naturale.

L’Europa reagisce ma gli Stati Uniti esitano

In Europa, Asia e Sud America il numero di perdite annuale è inferiore a quello degli Stati Unti, ma la tendenza è simile con una risposta più incisiva. La Rapobank sostiene che in Europa le perdite annuali raggiungono il 30-35% e che il numero di colonie per ettaro è diminuito del 25%. Negli anni ’80, a Sichuan, in Cina, i pesticidi destinati alla coltivazione di pere hanno annientato le api locali e gli agricoltori locali sono ora costretti ad impollinare a mano con i piumini da spolvero. Uno studio scientifico delle Autorità Europee per la Sicurezza Alimentare mostra che tre dei pesticidi più largamente utilizzati (clothiniadina, imidacloprid e thiametoxam), a base di nicotina, costituiscono un rischio elevato per le api.

Un report scientifico di Greenpeace identifica sette principali pesticidi mortali per le api, inclusi i tre colpevoli a base di nicotina, oltre a clorpyriphos, cypermethrin, deltamethrin e fipronil. I tre neonecotinoidi agiscono sul sistema nervoso dell’insetto. Si accumulano nelle singole api e in intere colonie, anche nel miele che usano per sfamare le larve appena nate. Le api che non muoiono immediatamente, subiscono effetti sistemici subletali, difetti dello sviluppo, debolezza e perdita dell’orientamento.

La scomparsa lascia scampo a poche api e quelle che sopravvivono sono deboli e devono lavorare di più per produrre miele in un habitat consumato. E’ questo l’incubo che sta portando alla scomparsa delle colonie d’api.

L’ imidacloprid e il clothianidin sono prodotti e commercializzati dalla Bayer: la thiamethoxam è invece prodotta dalla Syngenta. Nel 2009 questi tre veleni hanno raggiunto un giro d’affari di 2 miliardi di euro sul mercato mondiale. Quasi il 100% del mercato mondiale di pesticidi, piante e semi geneticamente modificati (OGM) è controllato da Syngenta, Bayer, Dow, Monsanto e DuPont. Nel 2012, un tribunale tedesco ha condannato Syngenta per falsa testimonianza per aver nascosto il report prodotto dalla multinazionale stessa che spiegava come il granturco geneticamente modificato avesse causato la morte del bestiame. Negli Stati Uniti l’azienda ha sborsato 105 milioni di dollari per una causa collettiva per aver inquinato l’acqua potabile di oltre 50 milioni di cittadini con il suo pesticida Atrazine. Oggi queste inquinanti aziende finanziano campagne da milioni e milioni di euro per negare le loro responsabilità in relazione alla scomparsa delle colonie d’api.

Lo scorso Maggio, la Commissione Europea ha proibito l’utilizzo dei neonicotinoidi per due anni e un divieto più lungo su altri pesticidi. Gli scienziati utilizzeranno questo tempo per favorire il recupero delle api sul lungo termine.

Nel frattempo gli Stati Uniti tergiversano e sostengono le aziende che producono e commercializzano i veleni mortali. Mentre l’Europa a maggio entrava in azione, l’EPA (Agenzia americana per la protezione dell’ambiente) stava approvando l’uso dei pesticidi nicotinoidi, nonostante il report del ministero americano dell’agricoltura rivelasse i rischi legati alla scomparsa delle colonie d’api. Sempre nello stesso mese, il presidente Obama ha firmato i famigerato “Monsanto Protection Act“, scritto dai lobbisti della Monstanto, grazie al quale le compagnie biotecnologiche ottengono l’immunità nelle corti federali degli Stati Uniti per i danni causati alle persone e all’ambiente dai loro interessi commerciali.

Le soluzioni esistono

Il buonsenso potrebbe risanare e proteggere il mondo delle api. Le soluzioni sono state fornite da gruppi di apicoltori esperti, contadini, dalla Commissione Europea e da un report scritto da Greenpeace, Bees in Decline, e sono le seguenti:

•          Proibire i sette pesticidi più pericolosi;
•          Proteggere la salute degli impollinatori preservando l’ambiente in cui vivono;
•          Ripristinare l’agricoltura biologica.

L’agricoltura biologica è la nuova tendenza verso il futuro che porterà ad una stabilizzazione della produzione di alimenti per l’uomo e alla protezione delle api e del loro habitat. Il Bhutan è il primo paese al mondo ad avere una politica agricola biologica al 100%. Il Messico ha proibito il granturco geneticamente modificato per proteggere le specie native. Lo scorso gennaio otto paesi europei hanno proibito le colture OGM e l’Ungheria ha bruciato più di mille acri di granturco contaminato da varietà OGM. In India, negli ultimi due anni, lo scienziato Vandan Shiva con un gruppo di piccoli agricoltori ha iniziato una resistenza biologica contro l’agricoltura intensiva.

L’agricoltura ecologica, o biologica, non è sicuramente una novità. E’ la tecnica agricola più utilizzata nella storia. Le colture bioligiche resistono ai danni provocati dagli insetti evitando le grandi monocolture e preservando la biodiversità. Le colture biologiche ristabiliscono i nutrimenti del terreno con la concimazione, evitano l’erosione del terreno dovuta al vento e al sole ed evitano l’impiego di pesticidi e fertilizzanti chimici.

Ripopolando e rinforzando le colonie d’api l’agricoltura biologica favorisce l’impollinazione che a sua volta favorisce il rendimento agricolo. L’agricoltura biologica sfrutta i servizi naturali dell’ecosistema, la filtrazione dell’acqua, l’impollinazione, la produzione di ossigeno ed il controllo dei parassiti. I coltivatori biologici hanno richiesto un miglior sistema di ricerca e sostegno da parte delle industrie, dei governi, dei coltivatori e del pubblico, per poter sviluppare tecniche di coltura biologica, migliorare la produzione e mantenere sano l’ecosistema. La rivoluzione agricola promuoverebbe diete equilibrate nel mondo e supporterebbe le colture ad uso umano evitando l’utilizzo di terreni per i pascoli e i biocombustibili.

Ecosistemi

La questione delle api è un avvertimento da parte dell’ecosistema che ancora non riusciamo a comprendere completamente. L’agricoltura biologica è parte di una più grande svolta di consapevolezza umana. Gli oppositori delle grandi aziende si aggrappano alla presunta libertà di consumo, guadagno, ignorando l’abbondanza della nostra terra in favore dei profitti. Ma l’accumulo di denaro non ci aiuterà contro l’estinzione, non riporterà i terreni perduti, né curerà le colonie di api del mondo.

L’umanità subirà severe punizioni se non rimedia ai propri errori. L’equilibrio dei sistemi che regolano la terra è delicato e potrebbero raggiungere il punto di non ritorno e collassare. Le api ad esempio lavorano per un tornaconto modesto e marginale rispetto all’energia che mettono per raccogliere il nutrimento per le colonie. Nei periodi invernali, quando le morti aumentano dal 10 al 50% , le rimanenti api sono indebolite dalle tossine e l’habitat si restringe in quel modo, il ritorno in termini di energia è quasi a livello zero. Muoiono più api, raggiungono in poche l’età adulta e intere colonie sono distrutte. Questa crisi è una lezione fondamentale di ecologia.

Rachel Carson ha predetto questi problemi sistemici 50 anni fa. Gli ecologisti ed ambientalisti ne parlano da allora. La scomparsa delle colonie d’api, il riscaldamento globale, la distruzione delle foreste e l’estinzione sono le emergenze ambientali più urgenti. Salvare le api sembra uno dei nodi principali per ristabilire l’equilibrio ecologico del pianeta.

DI REX WEYLER

greenpeace.org

domenica 23 giugno 2013

IN ITALIA LACRIME PER TUTTI

Euro

“La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo, rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale. […] Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni”.

Le parole del Direttore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella Relazione Annuale suonano come una sferzata nel giorno in cui la disoccupazione rilevata ad aprile segna un 12% e un inimmaginabile 40,5% per i giovani tra i 15 e i 24 anni.

Quanto sono lontani i tempi in cui ci veniva detto che da questa crisi saremmo usciti prima e meglio degli altri!

Eppure le parole di Visco giungono all’indomani della conclusione della procedura per deficit eccessivo per l’Italia. Tutto bene quindi? Stiamo finalmente uscendo dal tunnel?

Non è il caso di cullarci in facili illusioni, dato che l’allentamento del “pressing” nei confronti dell’Italia è probabilmente dovuto al peggioramento delle condizioni economiche degli altri partner Europei.

La Grecia, dopo due salvataggi e un haircut sui titoli di Stato, si trova con un debito pubblico esattamente agli stessi livelli del 2010 a 310 miliardi di euro e con un debito/Pil previsto per il 2013 al 175%.

La Spagna dopo aver chiuso un 2012 con un deficit del 10,6% rispetto al Pil, nel 2013 e 2014 non riuscirà a contenere il deficit al di sotto del 6% del Pil. Il problema più preoccupante resta legato alla tenuta sociale, con una disoccupazione del 27%, che colpisce il 56% dei giovani.

La crisi nel settore edilizio è ben lontana dal rimarginarsi, con ricadute pesanti sulla solidità del mondo bancario. Un ulteriore aspetto ben delineato nelle raccomandazioni dell’Unione Europea è rappresentato dal forte deficit delle tariffe elettriche; il loro riallineamento rischia di aggravare in modo ancora più incisivo la povertà delle fasce più deboli della popolazione.

Ma anche i paesi considerati virtuosi, non sempre a ragione, mostreranno tutti i limiti di una spesa pubblica che illude i propri cittadini di poter vivere al di sopra delle proprie possibilità; la Francia ad esempio negli ultimi 10 anni ha sempre presentato un deficit delle finanze pubbliche e nel 2013 l’Ocse prevede che aggiungerà un altro 4% di deficit/Pil, ben al disopra della fatidica soglia del 3% di Maastricht.

La Commissione Europea ha pensato bene di concedere un posticipo al rientro, ma le problematiche strutturali del paese sono notevoli: il sistema di tassazione è complesso e scarsamente efficiente; le generose misure di sostegno del reddito mettono a volte in competizione la vacanza lavorativa con la ricerca di un impiego; i giovani tendono ad avere un basso livello scolastico e una scarsa qualificazione, spesso conoscono solo la lingua madre, ancorati a una consuetudine che poteva essere soddisfacente nel passato coloniale.

Anche la Germania, si presenta sempre più vulnerabile a un calo dei consumi dei partner europei; probabilmente quest’anno dovrà registrare un deficit dei conti pubblici, seppur frazionale. Le elezioni del Bundestag sono ormai vicine, sarà interessante vedere il giudizio tedesco sulla gestione della crisi da parte di chi ha guidato una nazione che apparentemente è la più solida, ma che ora potrebbe mostrare dei piedi di argilla e vacillare sotto il suo stesso peso.

Concludendo, la crisi sta ora trasferendosi dai paesi periferici dell’Eurozona a quelli sinora considerati più solidi, che si trovano proprio per questo ancora più impreparati a convivere con queste problematiche.
Si potrebbe dire che in questo caso “mal comune” è foriero di lacrime per tutti.

Dalla relazione annuale del Direttore della Banca d'Italia .

DAL SUD AMERICA SPINE PER GLI USA


CELAC

Vivere protetti dalla contaminazione e far parte di un sistema economico rispettoso di salute e ambiente sono argomenti divenuti finalmente un obiettivo culturalmente condiviso piuttosto importante. Le conseguenze del danno ambientale complessivo stanno divenendo visibili e inconfutabili e far finta di nulla equivale oggi, per tutti, a condurre l’umanità verso il baratro. Col trascorrere degli anni si sono moltiplicati eventi e associazioni che hanno come finalità discutere di rivoluzione sostenibile e benessere ambientale, a livello globale, divenendo anche sempre più strategici e operativi. I Paesi dell’America Latina, da sempre protagonisti di controverse vicende di sfruttamento delle popolazioni più svantaggiate, devastazione delle ultime foreste pluviali e dell’ambiente in generale, nel 2011 hanno costituito il Cumbre Empresarial de Estados Latinos Americanos y Carabeños (CELAC), decisi ad affrontare i temi scomodi dello sviluppo etico, nascosti per decenni dalle pressioni conservatrici di multinazionali e lobby di legno e cibo.

Il CELAC è nato a Caracas, Venezuela, e raggruppa 33 Paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Si è costituito principalmente come meccanismo regionale di dialogo e accordo politico dove consolidare l’integrazione dei partecipanti in vista di obiettivi comuni. Quest’anno, e precisamente a gennaio, l’organizzazione si è riunita in Cile, a Quito, per discutere il rafforzamento delle capacità nazionali, sub-regionali e regionali di disegnare efficienti e innovative politiche ambientali da attuare nel breve e lungo periodo. L’aspetto, tuttavia, più straordinario della giovane organizzazione è la missione perseguita che prevede, tra le altre cose, di trovare una modalità operativa che integri le politiche ambientali latinoamericane con quelle europee (tra le più ambiziose a essere onesti) per ottenere miglioramenti più veloci su scala globale.

Durante questi incontri, come da prassi, le maggiori autorità in materia ambientale definiscono le priorità condivise in tema di tutela della natura e di sviluppo eco-sostenibile e sviluppano un’agenda in cui si articolano le attività dei Paesi membri. I temi più discussi da politici e tecnici sono, neanche a dirlo, il valore della biodiversità, il cambio climatico, la produzione a basso impatto, la tutela delle risorse marine, costiere e idriche e, non ultimo, il disarmo nucleare.

Rilevante e utile a scuotere l’interesse di politici ed economisti è stata anche la riattivazione delle negoziazioni relative alla Ronda de Doha (il trattato sulla liberalizzazione del commercio internazionale dei prodotti agricoli che dovrebbe aiutare i popoli emergenti, tra cui appunto quelli latinoamericani). Aprire e facilitare il commercio mondiale è importante per i Paesi in via di sviluppo, ma allo stesso tempo rende fondamentale una svolta in chiave sostenibile degli stessi; il Brasile per esempio è primo nell’uso di agrotossici, con effetti devastanti, confermati da anni di ricerche scientifiche, su contadini, operai e consumatori locali e che dunque potrebbero avere sulle popolazioni del resto del mondo qualora le frontiere commerciali fossero aperte senza alcun controllo. Questo è il motivo per cui oggi in Sud America si discute con tanta chiarezza della transizione dal modello agricolo canonico all’agroecologia che tra le altre cose garantisce l’equilibrio della biodiveristà, grazie anche alla ripartizione della terra da coltura in proprietà più piccole, non invasive per il territorio.

Sono piccole grandi vittorie quelle che sta collezionando il CELAC attraverso le sue strategie: cominciano a nascere come funghi modelli di successo che dimostrano la realizzabilità di soluzioni eco-sostenibili applicate alla produzione e all’economia. In ballo per questi Paesi emergenti c’è molto di più che l’interruzione del loro stato di “esportatore di commodities”, governi e popolazioni pretendono ormai la riconquista della loro sovranità alimentare e la liberazione dal pesante giogo occidentale e sopratutto degli Stati Uniti che da sempre perpetrano in queste terre il ruolo di conquistadores senza scrupoli. Queste motivazioni, unite a un sentimento di simpatia verso chi tenta tra mille difficoltà di investire in un futuro migliore per tutta la Terra, dovrebbero spingere ciascuno di noi a fare del proprio meglio per sostenere il cambiamento, ovunque metta radici.

Agnese Ficetola
Sociologa

Consulente in Sociologia dell’Ambiente

mercoledì 19 giugno 2013

LA VIA DI MEZZO

La politica è forse l’unica professione per la quale non si considera necessaria alcuna preparazione specifica.”


A ben pensarci, non può essere che così: qualsiasi altra interpretazione del suffragio universale è fallace, menzognera, disutile. Abbiamo appena provato sulla nostra pelle i frutti di un governo di “sapienti”, di platonica memoria, ed abbiamo verificato quanto sia antidemocratica ed inutile una simile operazione, che rischia veramente di far precipitare il Paese in un incubo (quello c’è già) dal quale non si riesce più ad uscire poiché ipnotizzati dalla soggezione verso i “sapienti” i quali, come perfidi serpenti incantatori, continuano ad intessere le trame del loro maleficio.

E’ interessante ascoltare una breve intervista pubblicata dal Fatto Quotidiano dove (senza saperlo) si confrontano da due diverse sponde Vendola e Cuperlo: non si tratta, qui, di dare giudizi sulla collocazione politica dei due o quant’altro, bensì d’analizzare attentamente il testo.

Mentre Vendola ammette la crisi iniziata nel 2008, ma assegna ai “rimedi” proposti in sede europea la vera causa del tracollo italiano, Cuperlo è ingabbiato nella rete europea fino al collo e balbetta soluzioni che – ben sa – essere impraticabili e di cortissimo respiro.(*)

Osserviamo, brevemente, l’alfa e l’omega (per adesso) della vicenda:


“Il piano di intervento (del Piano Paulson N. d. A.), che all'inizio prevedeva una soglia nominale massima non superiore ai 700 miliardi di dollari, complessivamente ammontò a 7.700 miliardi di dollari. Tale quantitativo di liquidità venne immesso sul mercato bancario a tassi vicino alla zero dalla Federal Reserve, a sostegno delle banche non solo americane, ma anche europee (come Royal Bank of Scotland e UBS) durante il biennio di crisi 2007-2009.”


Salto numerose fasi della crisi, per giungere agli effetti finali:


“Nella notte tra il 28 e il 29 giugno 2012 il Consiglio Europeo nel tentativo di trovare un argine alla crescente esposizione dei paesi dell'Eurozona (in particolare alcuni paesi mediterranei tra cui Italia e Spagna che pongono in veto allo scopo di esercitare pressione sul Consiglio) alla crisi di fiducia degli investitori, deliberò di implementare l'utilizzo del MES come copertura dai rischi di rifinanziamento degli stati e di fare del MES, accanto al Fondo europeo di stabilità finanziaria, un meccanismo di preservazione dall'aumento incontrollato dei rendimenti dei titoli pubblici, attribuendo agli stessi la funzione di intervenire acquistando per conto della BCE titoli di debito pubblico sul mercato secondario, a condizione che il paese richiedente sottoscrivesse un documento di intesa e si impegnasse a rispettare severe condizioni. In più venne attribuita al fondo la capacità di ricapitalizzare le banche senza l'intermediazione dei governi nazionali.” (ibidem)



Ecco: “a condizione che il paese richiedente sottoscrivesse un documento di intesa e si impegnasse a rispettare severe condizioni.” Qui sta la radice delle nostre disavventure: un impegno preso da qualcuno che non era stato eletto a sottoscrivere qualsiasi impegno per mantenere quella “stabilità” e quei “rendimenti”.

Quell’uomo fu Mario Monti.

Insomma, dobbiamo pagare di tasca nostra per finanziare, e dunque capitalizzare, un fondo al quale potremmo accedere soltanto pagando un interesse (sui soldi nostri!) e accettare qualsiasi provvedimento di austerità. Fantastico: è come pagare l’assicurazione dell’auto e poi, quando hai un incidente, essi usano quei soldi per concederti un finanziamento, sempre che tu non superi mai più i 90 all’ora, altrimenti ti sequestrano l’auto e tutto il resto.



Oggi, gli effetti dei subprime americani – ai quali la burocrazia bancaria ed europea ha aggiunto una serie di “rimedi” che sono peggio della cura – mostra i suoi artigli.

Il governo Letta è una ciofeca: ingabbiato fra i veti incrociati, fra gli ex montiani che non contano nulla in Parlamento – ma dettano l’agenda grazie alle loro potenti amicizie in Europa, dal Bilderberg alla BCE – fino ai 101 traditori del PD, che affossarono la volontà popolare di gran parte del loro elettorato per sostenere l’agenda europea, galleggia, ogni tanto beve, ma non vede l’ora di tornare a riva. Nuotare nel mare della grande politica non è per loro, s’è capito.

Perché non stilano una nuova legge elettorale? Prima di tutto perché questa conviene a tutti gli inciuciatori di questo mondo, e poi perché aprirebbe la via a nuove elezioni, vade retro satana, sembra di sentirli minacciare.

Quindi, rimarranno lì fin quando “qualcosa” non li smuoverà: poco probabile un Berlusconi indebolito, meno ancora un Grillo che s’è incasinato da solo. Vivacchieranno, fra una batosta e l’altra (per noi): cos’avevate capito?



Nel frattempo, s’affidano all’alleato di sempre: gli USA. Tutti se ne vanno dall’Afghanistan – ci pensano persino gli americani! – ma noi restiamo. Ogni tanto riportiamo a casa un cadavere, ma quando c’è il morto “fresco” non se ne deve parlare per rispetto, quando il morto è “muffito” passa in cavalleria.

Oh, scorrendo la lista dei militari italiani morti all’estero c’è da rabbrividire: morti per fuoco amico, per suicidio, una miriade per incidente stradale, un'altra bella quota per aeromobili che cascano (oh, ma ‘sti elicotteri italiani non sarebbe meglio mandarli ad una revisione?), chi è annegato, chi è saltato su una mina, chi si è sparato da solo per un “incidente”...va beh, lasciamo perdere.

I morti, finora, sono 54: sui feriti non ho trovato dati, ma in una guerra sono almeno cinque volte i morti. Insomma, le perdite di una battaglia.

Qui, sarebbe già un bel risparmio andarsene perché le cifre ufficiali sono fasulle: parlano di 1 miliardo l’anno, ma nelle “pieghe” dei bilanci militari si nasconde altro e si pensa che siano almeno due. Per una guerra che non si può vincere, ossia una guerra persa: ma questi “volontari” che vanno a morire per niente, ci pensano?



L’altro bel capitolo riguarda gli F-35 i quali – fra nazioni che si ritirano dal programma e dubbi sul velivolo che giungono dall’amministrazione USA stessa – stanno diventando lo zimbello del terzo millennio. Col russo T-50, in arrivo intorno al 2015, al costo di un quarto di un F-35 e, sembra, più affidabile.

Ma l’italia ha bisogno di questi aerei?

Passino i 30 (versione B) per le due portaerei – ma gli americani pensano di cancellare proprio la Versione B ad atterraggio verticale – che sarebbero necessari per giustificare la costruzione delle stesse: insomma, passi la vecchia Garibaldi, ma la nuova Cavour non si capisce proprio cosa l’abbiano costruita a fare.

In ogni modo, se la versione B non sarà costruita, le due portaerei rimarranno “a secco” di aerei: fantastico per una portaerei! Faranno le navi trasporto truppe per gli americani: garantito.



Gli altri F-35 “normali” – quelli per l’AMI – non servono ad una mazza: sono ancora in consegna gli Eurofighter! E poi: una nazione che non riesce più a garantire reddito e sicurezza sociale, perché va ad impelagarsi in queste faccende?

Questo, tanto per mettere in chiaro alcuni consistenti risparmi che si potrebbero ottenere dal settore militare: una forza di “difesa” che è in grado di “recapitare” senza problemi una bomba ad Herat, ma che non riesce a difendere Taranto o La Spezia da un’incursione di cacciabombardieri nemici. Ci torneremo – con argomenti convincenti – in un prossimo articolo.

Il piatto forte, però, è un altro: inutile girarci attorno, perché stiamo sempre valutando all’interno dell’esistente, in altre parole non c’allontaniamo dalla tana.

Proprio in questi giorni, Silvio Berlusconi fa la voce grossa perché Letta non batte i pugni a Bruxelles: non ha mica torto, però si dimentica quando fu lui a belare come un agnellino a Bruxelles. Ricorda?



Il dibattito, allora, verte su “cosa” dire a Bruxelles, “come” rispondere a Francoforte, “quali” sono le strategie e le tattiche più incisive.

I lettori, forse, non meditano abbastanza sugli effetti della crisi greca: io non ci sto più a sentirmi cittadino italiano ed europeo, mi fa moralmente schifo che qualcuno – magari a Timbuctu – mi identifichi come appartenente ad una simile genia.

La distruzione della Grecia è stata un’operazione pianificata: il debito greco è risibile, perché allora scatenare una vera e propria guerra contro Atene, per nulla dissimile dalle sanguinarie occupazioni che Berlino portò avanti in Europa dal 1939 al 1945?

Una vicenda neocoloniale tutta interna all’Europa: ecco cos’è la crisi greca, manca solo un Gauleiter ad Atene e l’occupazione sarebbe perfetta. Ecco un breve, agghiacciante, brano:


"Le limitazioni iniziali sono scomparse quando è stata inghiottita la Germania dell’Est nel 1990. L’allora Cancelliere Helmut Kohl stabilì la linea: “La Germania ha chiuso con il passato; in futuro potrà apertamente dichiarare il suo ruolo di potenza mondiale, un ruolo che ora è necessario ampliare.” Il ministro degli esteri Kinkel fu ancora più chiaro: “Occorre padroneggiare due compiti paralleli: all’interno del paese dobbiamo tornare a essere un unico popolo, all’esterno è ora di arrivare a ottenere qualcosa che abbiamo mancato due volte di realizzare. In accordo con i nostri vicini dobbiamo trovare la nostra strada verso un ruolo che corrisponda ai nostri desideri e al nostro potenziale.” Il suo riferimento al doppio fallimento della Germania, che ora deve trovare coronamento, fu davvero allarmante. Un deputato del partito della Merkel lo ha recentemente aggiornato: “E’ ora che in Europa si parli tedesco!”


Gli interessi ci sono, e sono poco visibili.

I tedeschi iniziarono con l’avventura balcanica subito dopo l’unificazione (non persero tempo! Giusto un paio d’anni) ed oggi hanno quasi completato la nuova autostrada Fiume-Dubrovnik, che traversa tutta la ex-Jugoslavia da Nord a Sud. Grazie al “compiacente” risultato del referendum montenegrino (55,1%, ci voleva il 55%) ottenuto chiudendo improvvisamente le frontiere con la Serbia la mattina del referendum (molti montenegrini contrari alla separazione stavano per affluire) ed organizzando, parimenti, viaggi aerei gratuiti dalla Germania per i montenegrini favorevoli, oggi sanno che quell’autostrada potrà giungere ai confini con l’Albania.

Quella è soltanto un nuovo protettorato italiano: non ci vorrà molto a traversarla (come si ripete, per versi differenti, la Storia, eh?). Dopodichè, ecco la Grecia: vi chiederete il perché. Diamine! Perché la Grecia possiede un porto (Il Pireo) piazzato proprio nel centro del Mediterraneo, che accorcia la via per Amburgo d’almeno duemila miglia!

Anche i greci lo sanno, e provarono ad intessere trattative con i cinesi ma la Germania aumentò la pressione del tacco sulla loro testa e furono costretti a desistere, nonostante il COSCO Group ed il suo manager, Wei Jiafu, affermassero, all’inizio del 2012:

“Sono venuto qui per riportare il porto del Pireo al posto che gli spetta. Ci auspichiamo che entro un anno divenga il principale scalo commerciale del Mediterraneo. In Cina abbiamo un proverbio: ‘Costruisci il nido e l’aquila arriverà. Abbiamo costruito un nido nel vostro paese per attirare l’aquila cinese. Questo è il contributo che vi stiamo offrendo”.



Infine, c’è un precedente culturale che spaventa. Emir Kusturica, nel film Underground, presenta un’immaginaria rete stradale sotterranea (che non si deve vedere, occultata, proprio perché esistente ma d’altra natura, politica) dove transita un po’ di tutto: mezzi militari, camion civili, profughi. In alto, campeggiano due cartelli stradali: a sinistra Berlino, a destra Atene.

Che fare, dunque, di questa Europa oramai egemonizzata dalla Germania, nella quale aspettiamo, oramai, soltanto di finire paese-satellite, sempre che ci vada bene? Partiamo dall’euro.


Le posizioni, rispetto all’euro, sono perlomeno 4:


1) Dall’euro non si può uscire e va bene così;

2) Bisogna uscire assolutamente dall’euro;

3) Bisogna cacciare dall’euro le nazioni più ricche;

4) Bisogna pretendere da posizioni di forza una revisione dei trattati.



La prima soluzione è quella sostenuta da gran parte dell’establishment: va bene così? Trovate voi le soluzioni, senza subissarci di tasse né continuare a toglierci diritti. Nemmeno il caso di parlarne.



La seconda soluzione ha una pecca: la metà degli italiani crede nell’euro più che nel Padre Nostro. Chi li convince della trappola? Un referendum? E quando mai la Corte Costituzionale lo farà passare!

E’ pur vero che, oggi, c’è più materiale a disposizione, più siti che ne parlano, ma in Tv quando si parla di uscire dall’euro si viene presentati come dei nichilisti, gente che vuole soltanto sfasciare tutto. E quel 50%, (molto variabile secondo i sondaggi, questo è quello più favorevole) prima che cali, passeranno molti anni, se non decenni.



La terza soluzione – proposta dal premio Nobel Stiglitz e sposata, in Italia, da Alberto Bagnai – sembra più avvincente. Bagnai dà per scontato che alla Germania “l’affare” convenga giacché – tanto per semplificare – ha già succhiato i Paesi mediterranei fino all’osso e dunque potrebbe abbandonarli al loro destino.


Attualmente, però, non sembra questa la politica tedesca: vanno sempre giù più pesante nelle richieste d’austerità e di rigore di bilancio, ma non sembrano voler mollare la presa. La Germania ha anche altri mercati oltre all’Europa del Sud: l’euro le va bene come moneta forte per pagare meno le materie prime, per poi esportare prodotti tecnologici in altre aree. L’Est, ad esempio, la Russia, la Cina, ecc.

Premetto di non essere un economista e, perciò, la soluzione di Bagnai deve essere più articolata: siamo certi che la Germania “molli l’osso”? E se l’area industriale del Nord Italia (seconda in Europa per mole) facesse gola al punto da non battere ciglio fino al disastro totale italiano, per poi acquistare per due soldi? Non dimentichiamo che, sotto sotto, questo era l’obiettivo di Miglio e della prima Lega Nord, che lo sapessero o no quelli che vanno ai raduni “cornuti”: per questo, oggi, la Lega non serve più a nessuno.


L’ultima soluzione sembra la più avvincente, ma ci vuole una forza politica che sappia quel che fa, la proponga e la porti avanti. Cosa?

Ci sono alcune cosette che si possono fare prima d’uscire dall’euro: quali?

Anzitutto, sospendere unilateralmente il trattato di Shengen: si può fare dalla sera alla mattina.


L’Austria – come forse saprete – non permette il transito dei TIR stranieri sul suo territorio: vuoi passare l’Austria? Mettilo sul treno (delle ferrovie austriache) e paga. Anche la Svizzera opera in questo modo.

Siamo il Paese che detiene il maggior patrimonio culturale del mondo! E’ patrimonio dell’umanità! Vogliamo mostrare un paesaggio colmo di TIR in colonna? Giammai.

Basta una semplice legge:


“I trasporti autostradali, che non abbiano partenza od arrivo in Italia, non possono attraversarla, bensì salire sugli appositi treni”. Punto.

Vi rendete conto di cosa significa?


Gran parte dell’industria spagnola è in mani tedesche, più l’esportazione spagnola di frutta e verdura nel centro-Europa: c’è un volume di traffico – da e per la Germania – spaventoso, di tedeschi e spagnoli. Volete passare? Sul treno, e pagare. Altrimenti, fatti tutta la Francia per andare a Monaco di Baviera.

Vuoi entrare in Italia a Trieste per andare in Germania? Stessa musica, altrimenti passa dall’Ungheria per andare a Monaco.

Siamo convinti che una “cosuccia” del genere renderebbe più malleabili i tedeschi nel loro procedere “über alles” per l’Europa. Moooolto più malleabili: se lo fanno Austria e Svizzera...

In alternativa, potrete sempre sbarcare le merci nei porti italiani: la legge non si applica se la merce è in partenza dal territorio italiano.

Insomma, siamo stufi di questi TIR con targhe di mezzo mondo che intasano soltanto le nostre strade!



Poi c’è la questione del patrimonio artistico: è meraviglioso, unico, stupendo...grazie, già lo sappiamo...

Però bisogna mantenerlo.

Per caso – cari europei del Nord – avete mai dato uno sguardo ad una carta sismologica dell’Europa?

Ma guarda te...sempre i soliti sfigati...Italia, Balcani e poco altro. Il resto dell’Europa? Un bel verde rassicurante, mai visto un terremoto.

Capirete bene che non potete lasciarci “sul gobbo” la responsabilità di mantenere in piedi tutto questo po’ po’ di “patrimonio culturale dell’umanità”, vero? Sono certo che ne converrete.

Perciò, basta una leggina:


“Per ogni monumento o pregevolezza artistica sul territorio italiano è prevista un’apposita tassa di salvaguardia per tale patrimonio, da stabilirsi nella quota del 20% sul biglietto d’ingresso, che sarà immessa in un apposito fondo – senza possibilità di storno – per il mantenimento del patrimonio artistico. Gli italiani, o i cittadini che vivono in Italia, ne sono esentati alla presentazione della carta d’identità o del permesso di soggiorno. In alternativa, i turisti potranno richiedere l’apposita “antiquities card” alla frontiera, al prezzo complessivo di 100 euro. ”


E diamo lavoro a qualche architetto ed operatori di restauro, così il PIL cresce! Non verrete più perché costa troppo? Siete proprio degli avaracci con una mentalità anti-europea: ci dispiace, niente Colosseo, Fori Imperiali, Piazza S. Marco, Piazza dei Miracoli...più qualche decina di migliaia di castelli e palazzi nobiliari. Bye bye.


Allo stesso modo – siccome c’è un ampio patrimonio storico subacqueo – è necessario avere fondi per riportarlo alla luce, mica lasciarlo in mano ai contrabbandieri d’antichità. Convenite, no?


“Ogni imbarcazione da turismo straniera che transiti nelle acque territoriali italiane, e nella zone d’interesse economico esclusivo (24 miglia) è soggetta ad una tassa di 100 euro.”


Non sarete mica così meschini da non voler proprio recuperare la nave oneraria romana sulla quale avete gettato l’ancora del vostro yacht da 30 metri e 10 milioni di euro, no?



Bene, per ora non c’è altro, ma molto può essere fatto: nell’attesa che gli economisti trovino il modo di uscire dalla trappola dell’euro, queste cose possono essere fatte. Qualche legge, forse, ve l’approveranno pure, più difficile per Shengen e per i TIR. Ma che una simile proposta sia stata bocciata, seppur a maggioranza, dal Parlamento italiano farebbe già rizzare le orecchie ai burocrati del Santo Euro.



Forza, invece di stare lì a trastullarvi con gli scontrini o sulle espulsioni di questo o quell’altro: siete o non siete “cittadini” inviati dal popolo? 



martedì 18 giugno 2013

LE STORIE DEGLI SPAZI BIANCHI: "GIOLITTI E ROSINA"

"Spesso ci sono più cose negli spazi bianchi tra le righe, che nelle parole". 



Lo si incontrava spesso al tramonto, quando tornava dai prati e campi che, all’epoca, ancora circondavano di verde la città. A volte in bicicletta portando in precario equilibrio dei sacconi enormi di erbe selvatiche: cicoria, pimpinella, finocchio selvatico, borragine e tante altre che lui conosceva e sapeva cogliere nei tempi e nei modi giusti, molto più spesso accompagnato dalla sua fedele compagna Rosina!
Era castana, di media statura con i fianchi robusti ma non pesanti, occhioni dolci, orecchie regolari e mobili esattamente come ci si aspettava che fossero e una coda in perenne movimento. Coda?... Già proprio coda.Già, che sciocco, non avevo ancora detto che Rosina era un’asina, una bellissima, paziente e, spesso, cocciuta asina.
Giolitti amava la sua asina, e il sentimento si era rafforzato da quando la sua compagna l’aveva lasciato solo qualche anno prima. Giolitti veniva da Norcia, non conoscevo il suo vero nome, era chiamato così perché quando era giovane  era uno dei più attivi socialisti e uno dei primissimi simpatizzanti del neonato Partito Comunista Italiano del ’21 del suo paese. Fu costretto dalla miseria e dalle prepotenze fasciste nei suoi confronti a  spostarsi a Roma, dove non era conosciuto e, dove, magari, sperava di trovare un lavoro che, qualunque fosse stato , sarebbe stato comunque migliore del nulla che lasciava al paese.
Ma, anche allora, per un giovane figlio di braccianti, praticamente analfabeta e senza arte ne parte, non era facile trovare lavoro. In più il suo carattere ribelle lo portava sempre a non accettare sfruttamento e ingiustizie. E, quindi, a Roma cominciò a guadagnarsi da vivere sfruttando l’unica cosa che conoscesse: le piante e le erbe offerte gratis da quella terra cui aveva  provato a sfuggire .
A quei tempi la natura era ancora molto prossima alla città. Quindi non ebbe mai bisogno di un mezzo di locomozione che non fossero le due gambe. Nonostante la guerra e la fame, c’erano, comunque, sempre persone facoltose disposte a pagare bene per qualche chilo di cicoria o un mazzetto di asparagi selvatici. Tra l’altro quell’attività gli permetteva anche di non destare eccessivi sospetti per l’altra missione che svolgeva in quel periodo, quella dell’antifascista militante. Non era un vero e proprio partigiano ma svolgeva incarichi di trasporto di messaggi, documenti e grazie al suo vagabondare per la campagna, passava informazioni ai partigiani sugli spostamenti delle truppe tedesche e dei fascisti intorno la città.
Poi la guerra finì, i fascisti si trasformarono rapidamente in democristiani, l’Italia si avviava al suo grande boom economico che cambiò tutto, o quasi, perché Giolitti, invece, continuò a cercare erbe nei prati e ad essere comunista. Dicerie, da lui mai confermate, dicevano che avesse anche sepolto delle armi abbandonate dai militari tedeschi nel suo giardino, per essere pronto il giorno che sarebbe scoccata l’ora X della rivoluzione.
Era solito quasi tutte le sere passare nella sezione della borgata ove affascinava noi giovani militanti con le  sue storie di gioventù e cantando canzoni popolari o di lotta passando indifferentemente da Bella ciao allo Zigo Zago. Nonostante l’età avanzata non era indifferente al fascino femminile rappresentato in quei tempi dalle giovani compagne con i loro jeans, le ampie gonne colorate e qualche più rara minigonna simboli del ritrovato orgoglio femminile. Quando era in vena di confidenze si avventurava a raccontare le sue conquiste giovanili, demolendo in noi la visione di una generazione  puritana e timorata di dio, svelando intrecci,aspetti pruriginosi e disinibiti che ci sorprendevano e incuriosivano.
In breve per noi era rapidamente diventato un mito e aspettavano sempre con ansia il suo apparire nel cortiletto che circondava la sezione, pronti a cantare con lui bandiera rossa ma soprattutto ad ascoltare la sua saggezza contadina. Le ragazze del circolo lo adoravano sopportando con buona pazienza i suoi abbracci, non si sa quanto disinteressati.
A volte si assentava per alcuni giorni per ritornare al paese natio e la sezione sembrava, e lo era veramente, più vuota e triste.
Era da poco arrivata la primavera, quando un giorno lo vedemmo arrivare col suo passo incerto e la sua figura sghemba, frutto di una vita dura e di fatica. qualcosa era cambiato in lui, era triste, stava piangendo, gli abbracci che cercava non erano quelli abituali, scherzosi e un po’ maliziosi: “ Non c’è più!.... Rosina  è morta”.
La notizia ci colpì come un pugno allo stomaco, sapendo il profondo legame che c’era tra i due e vederlo in quello stato di prostrazione profonda ci portò a considerare, forse per la prima volta, cosa veramente fosse Giolitti.
Un anziano, o meglio, un vecchio che per trovare valide motivazioni per vivere aveva due sole cose: una era la speranza di non morire democristiano, come amava ripetere, l’altra era una certezza, rappresentata da Rosina che adesso, però, non c’era più.
A volte si paragona la fragilità dei vecchi a quella dei bambini, non è così. Il vecchio è molto più indifeso, non ha più la cosa più importante per un essere umano: la speranza.
Continuò a venire in sezione ma sempre più di rado, quasi in maniera automatica, come a ripetere i gesti e i passi che gli avevano segnato la vita. L’entusiasmo, l’allegria  la sua risata contagiosa si fecero sempre più rari e malinconici. Niente più Bella Ciao o lo Zigo Zago, solo silenzi, occhi umidi e persi nel vuoto.
Lui aveva sempre manifestato un desiderio, quello di portarci a far vedere il suo paese natio, i luoghi della sua infanzia e gioventù. Noi glielo avevamo promesso ma, come spesso capita, altre cose prendevano sempre il sopravvento e la cosa fino a quel momento era stata sempre rimandata. Bene, quel momento era giunto, glielo dovevamo a lui e a Rosina.
Quella mattina presto fu il primo ad arrivare all’appuntamento nel luogo concordato con il bus affittato per l’occasione. Sicuramente non aveva dormito per l’emozione e l’agitazione.
Mano a mano che ci inoltravamo nel verde dell’Umbria e poi nella Valnerina, lui ringiovaniva a vista d’occhio, e ci faceva da cicerone cercando di non tralasciare nessun particolare che paresse importante farci notare.
Arrivati a Norcia, la sua andatura sghemba sembrò, per miracolo, un ricordo e ci portò per vicoli, chiese, case e luoghi che voleva condividessimo con lui con un'agilità e una velocità che non gli conoscevamo. Ci consigliò cibi e vino da consumare, ci presentò ai suoi vecchi compagni (quei pochi ancora in vita), lanciò qualche improperio all’indirizzo di qualche religioso, da buon mangiapreti, tipico di quei tempi ma, fatalmente e inesorabilmente arrivò il momento di ripartire.
Era forse un addio e lui lo sentiva, guardò a lungo il paese, le mura, i prati, il fiume…la sua vita. Il ritorno, complice, anche la stanchezza fu meno gaio e allegro dell’andata, soprattutto per Giolitti.
Arrivò la fine dell’estate e insieme ai primi temporali una sera arrivò la notizia,: “Hanno portato Giolitti in ospedale, sta molto male”.
Il giorno dopo lo andammo a trovare, non lo vedemmo... se n’era andato con la sua compagna e con Rosina due ore prima.
Il funerale laico nel cortile della sezione cantando Bandiera Rossa, Bella ciao e… naturalmente anche lo Zigo Zago. A pugno chiuso salutammo per l’ultima volta Giolitti.


MIZIO

Qui sotto lo "Zigo, Zago"


giovedì 13 giugno 2013

E ALLORA CHE FARE?





Dopo circa un anno e mezzo che, con parte del poco tempo libero, porto avanti questo blog. Molti mi dicono: “ma a che serve, chi te lo fa fare?” In effetti ci sono migliaia di blog simili e la stragrande maggioranza migliori sia dal punto di vista dei contenuti che della veste grafica (considerate che dal punto di vista informatico sono poco più che un apprendista stregone). Ma dopo molti anni di attivismo politico, da cui mi sono allontanato per l’incompatibilità caratteriale a sottostare alle logiche dell’arte del compromesso, ho passato il tempo successivo alla ricerca di qualcosa che desse un senso “nobile” all’esistenza e di chiavi di comprensione diverse dalle illogiche verità ufficiali di ciò che ci circonda. Ho incontrato, così progressivamente, i temi ambientali  ed ecologici, oltre i temi più elevati e più intimi della ricerca di una spiritualità diversa, lontana dai riti delle chiese. che lasciasse spazio alla ricerca della giustizia anche sulla Terra, non accettando un dio che rimanda il tutto ad un ipotetico e fideistico “dopo”.
Dentro, ovviamente, ardeva sempre la fiamma della condivisione e dello scambio. Cercando ho incontrato gruppi e associazioni di varia natura, formate da persone degne o addirittura eroiche, ma sempre comunque che presupponevano l’adesione aprioristica alla logica gerarchica del gruppo. E anche questo per il mio carattere richiedeva troppe accettazioni e compromessi.
Mi è venuto così in aiuto internet e la possibilità attraverso questo di condividere pensieri e speranze con un numero enormemente maggiore di persone e con la possibilità di attingere ad una fonte praticamente inesauribile di informazioni.
Dal volantino ciclostilato, dal tazebao murale alla bacheca virtuale  più efficace, moderna
e completa il passo non è stato né breve, né facile ma comunque logico.
Compiacendomi delle migliaia di contatti avuti sinora, credo sia giunto il momento di  cominciare ad affrontare con chi vorrà e avrà la pazienza di seguirmi, oltre le critiche e le denunce (sempre necessarie e imprescindibili) le possibili visioni , non certo soluzioni, ma prospettive, punti di vista alternativi per cominciare a lavorare “Per un futuro diversamente moderno”.

Quando eravamo bambini e si pensava al 2000, lo si immaginava pieno di meraviglie tecnologiche, automobili volanti, viaggi interplanetari e con i grossi problemi dell’umanità, guerre, fame, carestie, razzismi finalmente superati e risolti.
Come sappiamo le cose sono andate in maniera diversa, non solo non si sono risolti i  vecchi problemi ma se ne sono aggiunti degli altri: inquinamento, riscaldamento globale, effetto serra, disastri ambientali, estinzioni in massa di migliaia di specie animali e vegetali, migrazioni bibliche di milioni di persone in fuga da guerre e fame. Unica nota positiva e che, in qualche misura, ha rispettato le speranze infantili, l’enorme sviluppo scientifico e tecnologico che ha messo a disposizione dell’umanità nuovi strumenti. Telefonini,  televisioni, internet hanno facilitato enormemente, se usati in maniera corretta, conoscenza e condivisione. Sono diventati, invece, invece strumenti diabolici  quando usati per altri fini, ma d’altra parte questo è il destino dell’umanità da sempre. Ricercare l’equilibrio nell’uso di qualsiasi strumento la natura o l’ingegno umano ci metta a disposizione. La scoperta e l’uso  del ferro fu un’ottima cosa, se fosse stata utilizzata solo per la costruzione di utensili utili e non per la costruzione e il perfezionamento delle armi rendendole sempre più efficaci.
E’ una cosa talmente semplice e ovvia che non ci sarebbe neanche bisogno di sottolinearla, ma evidentemente c’è qualcosa a livello di programmazione genetica o spirituale che fa prevalere nell’essere umano la componente più primitiva e più legata a paure ancestrali. Per cui amo la pace ma costruisco le armi, ovviamente, non per offendere ma per difendermi; è stato, quindi, sufficiente il primo Caino della storia per dare vita a una serie sempre più complessa e intricata di azione-reazione che mantiene sempre vivo e giustificato quell’assioma, essendo praticamente impossibile risalire alle responsabilità prime. Lo si accetta come un dato di fatto, immutabile.
Non sono serviti a far capire l’inutilità di questo gioco i messaggi e le vite esemplari di personaggi come Gesù Cristo, Ghandi, S. Francesco, Budda e migliaia di altri che si sono spesi e spesso sacrificati per affermare alla fin fine una cosa semplice e ovvia: siamo tutti e tutto intimamente legati da quel filo misterioso chiamato vita, e per capirlo, specialmente oggi con potenziali culturali notevolmente più elevati rispetto al passato, non ci vuole poi molto, e non c’è bisogno di essere legati a una visione religiosa o spirituale della vita, è sufficiente un’analisi che sia logica e scevra da pregiudizi.
E proprio investendo in questa facilità di comprensione di alcune cose che oggi sarebbe possibile ipotizzare società e mondo diversi.
Chi mi ha seguito sul blog e nella vita sa che politicamente sono schierato a sinistra, intendendo con questo , non tanto e non solo l’adesione ad un partito o movimento specifico,  legato forzatamente alla conquista del potere, ma ad un’idea di fondo che vede nella maggior distribuzione di benessere possibile  tra tutti gli esseri umani e la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo la sola via per la condivisione di progetti comuni che portino ad un’evoluzione pacifica tra gli uomini. Lo sfruttamento e l’accumulo di ricchezze rese possibili da una visione della società basata sulla competizione e sul liberismo (che non vuol dire libertà) crea inevitabilmente ingiustizie, ed è, quindi, da considerarsi immorale. Non vi è alcuna ragione, che sia logica, per scegliere un modello che escluda la solidarietà, la giustizia, la libertà che non sia permeata di egoismo e di prevaricazione, anche se avallata da idee e modelli economico-scientifici.
Modelli che, tra l’altro, stanno dimostrando in questo periodo drammaticamente tutti i loro limiti e le loro contraddizioni.
Da giovane combattevo il “sistema”, come veniva genericamente chiamato il modello di società presente all’epoca e che consideravo già allora ingiusto e discriminatorio (e lo era veramente), ma la caduta di partiti, personaggi potenti che identificavo come “sistema”, mi dimostrarono che la storia era molto più complessa e oscura. Quelli che combattevo, e giustamente, allora come oggi, non erano altro che i servi sciocchi o consapevoli, d’interessi molto più grandi e complessi.
Grande finanza internazionale, Capitalismo, Massoneria (che c’entra sempre), Religioni organizzate,  Impero del male (America), Illuminati, demoni, alieni, rettiliani, ci può stare tutto e il contrario di tutto.
Il risultato alla fine non cambia ed è questo che mi interessa, le discriminazioni aumentano, la folle corsa verso l’autodistruzione non accenna a rallentare, la fame, la miseria, la guerra, piaghe bibliche che non si rimarginano ma, anzi, imputridiscono.
Ed è da ciò che non muore la voglia di contribuire in qualche modo al cambiamento.
Io non ho ricette miracolistiche da portare, per il semplice fatto che sono già presenti da anni . Alcune le ritroviamo in concetti d’estrazione mistico/religiosa e parlano di fratellanza, comunanza, spiritualità, rispetto per natura e ambiente, che però nella gestione temporale del sentimento religioso organizzato (nel nostro caso la Chiesa) si trasformano in aspetti assolutamente secondari perché quel che conta è che il mio Dio è più vero del tuo e del suo! Se fosse ancora tra noi Gesù Cristo, credo non avrebbe troppi problemi a disertare le stanze vaticane e a frequentare magari qualche circolo sociale interrazziale o qualche manifestazione ( ovviamente non violenta) contro guerre e ingiustizie.
Altre le ritroviamo nelle teorie marxiste che danno una valenza scientifico- filosofica-economica alla necessità di distribuire la ricchezza fra tutti.
Lo so, sono ricette talmente banali che fanno sorridere i complicatori di professione di affari semplici, gli azzeccagarbugli di turno che vendono fumo, prezzolati per nascondere la verità, e fanno sorridere anche i pensierosi e seriosi ricercatori di soluzioni (in buona fede spesso) a volte peggiori del male che si vuole curare
Ma le cose, checchè se ne dica, sono molto più semplici, bisogna soprattutto cominciare a lavorare su noi stessi, essere pronti ad  abbandonare idee preconcette nel momento in cui se ne presentino di migliori. Non c’è nulla di male ad essere meno monolitici.
Non c’è bisogno di essere cristiano, musulmano o comunista per capire che la collaborazione, la condivisione e la conoscenza sono le uniche strade per un progresso che sia vero, globale, sostenibile:
Ovviamente, intendendo per progresso non solo quello scientifico, tecnologico ma soprattutto quello morale ed etico.
Noi diamo per scontato, in genere, che l’essere umano sia per sua natura portato alla competizione e alla violenza, ma se andiamo a vedere nel corso della storia da dove sono nati i conflitti e le violenze dalle più barbare alle più moderne e sottili, scopriamo che sempre e comunque sono nata dalla brama di potere e dal profitto materiale o morale che ne consegue. Colombo non avrebbe mai scoperto l’America se, qualcuno non lo avesse finanziato, attirato dai possibili guadagni che la nuova via per le Indie avrebbe comportato, né, tantomeno avrebbe finanziato le successive spedizioni alla ricerca del mitico Eldorado. Non sappiamo quale sarebbe stata l’evoluzione del mondo e dell’umanità se non ci fosse stata la molla della cupidigia e del potere, sicuramente ci sarebbero terre in cui vivrebbero in equilibrio e armonia ancora i legittimi abitanti, invece di invasori massacratori in nome di dio!
Ma tutto questo appartiene ormai alla storia e non possiamo certo cambiarla, quello che possiamo fare è cercare, per quanto possibile, di cambiare il futuro, ognuno all’interno dei propri percorsi culturali, politici o religiosi. In ogni idea, in ogni ipotesi di società futura si possono ritrovare quegli elementi che ci portano a riconsiderare lo sviluppo sociale ed economico finora perseguito,  presentato come l’unico possibile. La vita non è e non deve essere una scommessa o una maledizione divina, sta ad ognuno di noi cambiarla cominciando da noi stessi, rifuggendo dalle facili contestazioni frutto della pigrizia, dell’ignoranza e dell’interesse che predicano l’inutilità di ciò.
Tanto, male che andrà, avremo cambiato noi stessi e, vi assicuro, non è assolutamente cosa da poco.
Quindi impegno, coraggio, coerenza in ogni ambito della nostra vita, Candidi come colombe ma astuti come serpenti, per rifuggire i facili richiami dei pifferai magici che non mancheranno di certo. Con la conoscenza e la consapevolezza si potrà togliere progressivamente l’acqua putrida in cui sguazzano gli squali che ci vogliono rassegnati e divisi, sostituendola con acqua fresca di sorgente apportatrice di vita, idee e energie nuove, questa volta al servizio dell’umanità tutta e non di una ristretta, egoista oligarchia.


MIZIO