giovedì 19 giugno 2014

SERVIZI PUBBLICI? COSTO DEL LAVORO? MA VA LA’…..


Cambia il direttore d’orchestra, cambia l’età, cambia l’accento, ma il refrain è sempre lo stesso.
Ma vogliamo dirlo una volta per tutte che quella delle privatizzazioni è un puttanata e un imbroglio bello e buono cantato e ricantato continuamente ai poveri gonzi che bevono tutto da complici o stupidi interpreti di interessi propri o altrui.
Non c’è bisogno di chissà quali analisi o statistiche per sostenere ciò, basta un minimo di informazione e serenità di giudizio. Dagli anni ’90 in poi sono state privatizzate via via le grandi aziende pubbliche: dalle FS, alle PT, alla Telecom, alla Società Autostrade, all’Alitalia, all’ ENI, alle Aziende pubbliche erogatrici di gas e energia sino ad arrivare addirittura a quelle  dell’acqua. Per arrivare infine alle centinaia di aziende a partecipazione statale figlie di quel miracolo economico e di genio italico che era stato l’IRI.
Più di un milione di posti di lavoro persi, a fronte di poche decine di migliaia di assunzioni con contratti a tempo determinato e precario. Centinaia di milioni di euro tolti dal circuito della spesa e dei consumi in nome del risanamento finanziario.
Il risultato lo abbiamo tutti sotto gli occhi: il debito pubblico è aumentato a dismisura in maniera esponenzialmente maggiore rispetto il periodo pre-dismissioni, il grande capitale finanziario e non, ha aumentato in egual misura i propri profitti. La politica, quella nobile arte del confronto e dell’interesse collettivo, ridotta a fare da zerbino ai potentati economici. Una nazione e un popolo ridotto allo stremo da questa sciagurata cura prescritta da medici incapaci o complici.
Allora forse, non erano i servizi pubblici la causa del deficit, forse non era neanche l’altro terribile leviatano, il costo del lavoro, la causa della crisi.
Ma possiamo e dobbiamo ricominciare a dirlo senza vergogna o timore di apparire demodè, la responsabilità prima e unica della crisi, del debito, delle ingiustizie, delle disuguaglianze è il sistema capitalista soprattutto nella sua ultima versione più cinica e spietata, quella liberista finanziaria.

Essere di sinistra, anche non- o post-o neo-comunista vuol dire soprattutto essere anti capitalisti. Identificando nel principio base di tale sistema, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, attraverso la competizione indotta e mirata al raggiungimento del più alto profitto personale l’alfa e l’omega delle storture e delle ingiustizie della  moderna società..
Non riconoscere più questo ha portato a una lettura della realtà attraverso le lenti del pensiero unico con il bel risultato di non essere più in grado di decodificarla e, quindi, dando per scontato che, questa, sia l’unica, immodificabile e possibile.
La politica, quella bella, nobile deve dare soluzioni non limitarsi a dare nome ai problemi, o a fare il contabile amministratore di condominio, per quello ci sono i ragionieri.
La politica deve disegnare progetti, deve ritrovare la capacità di far sognare, deve far sedere di nuovo intorno al tavolo del possibile l’utopia, la poesia e il sano risentimento sociale, e deve farlo in fretta. Il potente può permettersi di aspettare, il diseredato, il disoccupato, il giovane precario, non possono permetterselo, il tempo nell’arco della vita dei singoli non può essere parametrata con i tempi dei massimi sistemi.
Se non si è più in grado di fare questo, vi prego toglietevi dai piedi, mettete su una bella bocciofila organizzate gite sociali, ma non vi occupate più della cosa pubblica. Non nascondete dietro paroloni e concetti astrusi il vostro personale interesse o la vostra incapacità. Sapete? Si riesce a vivere benissimo anche senza tromboni e soloni e anche voi vivreste meglio non dovendo più sacrificarvi per noi.
Ad maiora


MIZIO

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