martedì 24 febbraio 2015

CONSUMO DI SUOLO A ROMA NEGLI ULTIMI 15 ANNI

L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha stimato che in Italia il consumo di suolo procede inarrestabilmente al ritmo di 8 mq al secondo.
Ecco com’è cambiato il volto di Roma negli ultimi 15 anni: 22 zone a confronto tra il 1998 e il 2013 (Francesco Montillo).


sabato 21 febbraio 2015

IL "S. PAOLO" PROFETICO DI PASOLINI

“L’opposto della religione non è il comunismo. L’opposto della religione è il capitalismo (senza regole, crudele, cinico, puramente materialista), la causa dello sfruttamento di esseri umani da parte di altri esseri umani, culla del culto del potere, orrenda tana del razzismo.” - Pier Paolo Pasolini

pasolini

Probabilmente ateo, Pier Paolo Pasolini (1922-1975), disse che era credente perché fu blasfemo. Intendeva dire che fu tale in un film su San Paolo. (Nelle sue intenzioni) il film sarebbe dovuto essere religioso, spiegò, perché “nei sacri riti antichi, come in tutte le religioni contadine, ogni benedizione è pari a una maledizione”.



La sceneggiatura, che scrisse tra il 1968 e il 1974, non fu mai portata sul grande schermo, in parte perché il Vaticano (che peraltro, gli aveva assegnato un premio per Il Vangelo secondo San Matteo, un film del 1964), attaccò il suo film Teorema, del 1967, (narrante) la storia di un Dio che discende in terra in una tradizionale famiglia borghese, vicino a Milano. Egli ne seduce sessualmente i membri - padre, madre, figlia, figlio, e la domestica - e poi li lascia. Le conseguenze di questa seduzione e di questo abbandono sono tragiche: il suicidio, la promiscuità, la follia, e il miracolo, a rischio della vita, della levitazione della cameriera da un alta balconata. Trasformazioni ontologiche radicali. Il padre, deciso a togliersi la vita, sale nudo su una collinetta, che i Milanesi chiamano “la montagnetta”. Ricoperta ora di fogliame, la collina è costituita dalle macerie accumulatesi durante i bombardamenti alleati su Milano, nella seconda guerra mondiale.

In Vaticano (il film) non piacque. Il suo organo di stampa, l’Osservatore romano, scrisse che in Teorema il diavolo (in persona) aveva visitato la famiglia per cui, guardarsi bene dall’andare a vedere il film al cinema. Effettivamente, nella sua raffigurazione del venir meno delle convenzioni sociali e dell’abbandono alle passioni, il divino era rappresentato da un dio Dionisiaco in una manifestazione apocalittica, ovverossia la rivelazione. Non si poteva essere così imperdonabilmente blasfemi da far annunciare il messaggio della rivelazione da un dio pagano. Così, il San Paolo di Pasolini divenne una vittima di Teorema e non fu mai portato sul grande schermo.


Ma noi abbiamo la sceneggiatura. Tradotta magistralmente e con un’eccellente introduzione di Elizabeth A. Castelli, pubblicata dalle edizioni Verso con una prefazione di Alain Badiou, il “San Paolo: una sceneggiatura” di Pasolini, rappresenta, nelle parole di Badiou, “un lavoro letterario di primaria grandezza”. La domanda principale che porta al cuore del problema è: può ogni ideale rivoluzionario (nel caso specifico, il Cristianesimo, NdT), sopravvivere alla sua istituzionalizzazione?

Come acutamente osserva Badiou:

“La sceneggiatura dovrebbe essere letta non come un opera incompiuta come in effetti fu, ma come il manifesto sacrificale di ciò che costituisce, qui come altrove, la realtà di ogni Ideale (e cioè): l’apparente impossibilità della sua (effettiva) realizzazione.”

In una sorta di testamento spirituale, pubblicato postumo, Pasolini scrisse:

“Ogni religione formale, nel senso che la sua istituzione è diventata ufficiale, non solo non è necessaria per migliorare il mondo, ma addirittura lo peggiora."

Per Pasolini, il Cristianesimo, nel suo contesto originale è stata una positiva forza sociale, opponendosi allo schiavismo e cambiando (per sempre) l’Impero Romano, ma, come la sceneggiatura fa chiaramente intendere, si trattò di una breve fase rivoluzionaria fra due diritti, la legge imperiale dell’antica Roma e la nuova legge imperiale della chiesa Cristiana. In questo interregno quando “il vecchio non è ancora morto e il nuovo non è ancora nato” (Antonio Gramsci) è possibile dar vita ad una (vera) democrazia popolare in una società comunitaria.

Ci sono voluti quarant’anni perché la tesi provocatoria di un Cristianesimo sovversivo riaffiorasse con forza nella comunità degli studiosi. Ed è un peccato che Pasolini non portò mai su celluloide il suo San Paolo perché la sua analisi del primo Cristianesimo inteso come forza scardinante la dominazione Romana è centrale per una rivoluzionaria comprensione del Cristianesimo pre - istituzionale.

Oggigiorno, la tesi pasoliniana di un Cristianesimo anticolonialista, emergente dai domini orientali dell’Impero (Antioca fu la terza più importante città dell’Impero Romano) avrebbe aperto nuovi scenari negli studi tradizionali Paolini. Nel corso degli ultimi trent’anni, i ricercatori e i teorici postcolonialisti , le femministe e gli studi di antropologia politica hanno insistito sull’importanza del contesto storico nella lettura delle Lettere di San Paolo. Già ai tempi di Pasolini, il revisionismo incalzava. Nel 1962, uno studioso svedese di San Paolo, Per Boskow, pubblicò uno studio: “Rex Gloriæ. La regalità di Cristo nella Chiesa primitiva” (edizioni Stockolm: Almquist and Wiksell, 1962), che ipotizzava che le prime forme nascoste di rivolta (verso Roma) erano da ricercarsi nei primi culti e rituali cristiani. Un San Paolo (seppure discretamente) compromesso nei giochi politici dell’Impero avrebbe cozzato contro la tradizione Protestante che lo vedeva, altresì, come l’apoteosi dell’uomo religioso (pio), “l’uomo di fede”, (e questo) fin da quando Martin Lutero trovò nelle lettere di San Paolo ai Romani la sua personale “giustificazione nella fede” per rompere con la Chiesa di Roma.

Il ritrovato interesse in San Paolo nel dopoguerra, comunque, non poté, (suo malgrado), dissociarsi dagli interrogativi sempre più incalzanti riguardanti le responsabilità della Chiesa Cristiana nell’orrore del genocidio degli Ebrei europei - l’Olocausto. Particolarmente nella tradizione protestante, la conversione di Paolo (al Cristianesimo, NdT) è stata elaborata in antitesi all’Ebraismo. Per definizione, nel Cristianesimo, un Cristiano non è un Ebreo e dunque le origini di San Paolo nel Giudaismo sono state oscurate evidenziando (altresì) favorevolmente una (sua) personale e avvincente ricerca della salvezza in Cristo. Contribuì all’Olocausto questa versione Manichea della doppia identità di San Paolo - e, di conseguenza, della doppia identità del Cristianesimo?

L’impulso a leggere San Paolo diversamente dal canone tradizionale è così diventato un imperativo morale ed un compito storico. Gli studi esegetici rivelanti forme di resistenza (verso l’Impero Romano) nel Nuovo Testamento cominciarono seriamente e diedero i loro frutti negli anni ‘80. A partire dai lavori pioneristici di Simon R. F. Price: “Rituali e Potere”, (trattante) il (tema del) culto nell’Impero Romano in Asia Minore. (Studiando le pratiche religiose) nelle città dove San Paolo si rese e predicò fino (ad arrivare) agli studi di antropologi politici come James C. Scott, Erik Heen e altri, avrebbe dovuto essere confermata l’idea Pasoliniana di presentare il Cristianesimo come un attore politico nel quadro conflittuale tra l’Impero e i suoi sudditi orientali e del mondo Greco. Sicuramente, mettersi al passo con questa rivoluzione (esegetica) degli studi Paolini ha pesato sulla decisione di tradurre e pubblicare per la prima volta in inglese questi testi vecchi di decenni.

Non possiamo essere sicuri che Pasolini abbia subito l’influenza dei tumulti teologici che covavano sotto la superficie degli studi Paolini nel mondo Protestante, ma quello che noi sappiamo con certezza è che, negli anni in cui lavorò al suo San Paolo (1968 - 1974), s’incontrò e intrattenne un regolare carteggio con un cordiale teologo in Vaticano, che doveva senz’altro essere informato sull’importantissimo svolta morale che stava attraversando la teologia Cristiana a causa dell’Olocausto. Gli interrogativi sul ruolo svolto dal Vaticano nell’indulgenza verso il Nazismo abbondavano, dopo tutto.

In tutti i suoi scritti dell’età matura, Pasolini accusò la Chiesa di essersi trasformata, all’inizio del 19° secolo,nel giocattolo di una borghesia religiosamente apatica, nello strumento della sua legittimità, in uno sforzo di sopravvivenza, forse, per seguitare a essere una efficiente istituzione compiacente i valori delle democrazie liberali introdotti dalle lotte sociali durante la Rivoluzione Francese. Nella visione di Pasolini, il compromesso della Chiesa con una cinica, secolare, avida e controrivoluzionaria borghesia ha rimosso l’anima dal suo corpo. Non stando più dalla parte degli oppressi, la Chiesa è diventata irrilevante. Anzi, più che irrilevante: è diventata criminalmente repressiva. Ma, è stato questo compromesso con la classe dominante un fatto a sé stante, oppure si tratta di una costante nell’evoluzione del Cristianesimo? E’ stato questo il verme che ha divorato il cuore della Chiesa fin dai suoi albori?

Naturalmente, è estremamente rischioso “chiudere l’argomento” sugli evanescenti, autodistruttivi, volutamente instabili, lavori di Pasolini. Facendo eco a Marx, (questi studi) urlano “domande su ogni cosa,” e in particolare sull’autore medesimo. La sceneggiatura appare essere lanciata in un furioso vortice dialettico di contraddizioni. Non appena si pensa di avere afferrato cosa Pasolini volesse dire, subito dopo la certezza non esiste più. La sofferenza di San Paolo, per esempio, tormentato e debilitato da una misteriosa malattia, sembra essere rappresentativa della sofferenza dell’umanità intera, costituendo la sua componente religiosa. La sua sicurezza nell’organizzazione delle comunità cristiane, risultato dalla sua alta condizione sociale, la sua educazione, la sua professionale (e retorica) formazione, costituiscono il suo lato attivo, energico, mondano. “Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (San Paolo, Romani 7:14-25), implora San Paolo, riferendosi ai suoi bisogni corporei e ai suoi doveri verso Dio. L'agitazione mentale ed emozionale che il testo crea con queste contraddizioni (almeno in questo lettore, Luciana Bohne, NdT) deriva dai "più puri e provocatori effetti di Brechtiana alienazione”. Il film avrebbe intensificato questo effetto, ponendo la parola e l'immagine in un conflitto di significato sullo schermo. Tuttavia, vorrei azzardare una risposta: la sceneggiatura si sforza di confermare che il dilemma era lì fin dall'inizio. Il racconto negli Atti degli Apostoli della fondazione del Cristianesimo mistifica la storia. Pasolini fa un esempio: l'incontro della dirigenza evangelica in un evento conosciuto come "l'incidente di Antiochia”. Non solo San Paolo si era attirato l'inimicizia mortale dei fanatici farisei a causa dell’evangelizzazione della nuova religione, ma (si era attirato) anche l'opposizione di Pietro e dei suoi seguaci per aver convertito i “Gentili”, senza prima averli "giudeizzati" (cioè trasmettendo la Legge di Mosè).

Durante "l’incidente di Antiochia", la sceneggiatura raffigura Pietro e Paolo in un faccia a faccia ravvicinato quasi venendo alle mani sulla questione della "giudeizzazione" dei Gentili. Luca, l'autore degli Atti (la storia della fondazione della Chiesa), appare distaccato, aristocratico, ironico, divertito dalla cacofonia di questo turbolento incontro che si trasforma in un cupo silenzio. Più tardi, nel suo studio lussuoso, Luca, spassionato, metodico, butta giù, nella sua "elegante scrittura", una versione sterilizzata, il compendio di una soluzione amichevole alla planetaria disputa sul rapporto tra cristianesimo ed ebraismo, al termine del quale si alza dalla sedia e fa un rutto soddisfatto. L’Ebraismo si è dissolto. Luca è raffigurato come un consumato propagandista; Pasolini lo descrive come l’incarnazione di Satana. E a Satana, (presenza) invisibile, Luca, con tono dimesso (dirà): "La Chiesa è solo una necessità" (il corsivo su "solo" è di Pasolini). Per illustrare ulteriormente l’inaffidabilità di Luca, Pasolini gli dà un complice: Satana. Quando la Chiesa è tutto fuorché essere fondata, con l'incombente adesione di Timoteo alla diocesi di Efeso, Luca e Satana (quest’ultimo appare solo di schiena) brindano alla " loro chiesa " con una bottiglia di champagne: Bevono e si ubriacano, evocando tutti i crimini della Chiesa: una enorme lunga lista di papi criminali, di compromessi della Chiesa con il potere, di prepotenza, di violenza, di repressioni, di ignoranza, di dogmi. Alla fine, i due sono completamente ubriachi e se la ridono pensando a Paolo, che è ancora là fuori, in giro per il mondo, a predicare e a organizzare. In un tono rievocativo delle poeticamente splendide “bestemmie” del Faust dell’iconoclasta Christopher Marlowe, Pasolini racconta i pensieri di Satana: La Chiesa è fondata.

Il resto non è altro che una lunga appendice, un'agonia. Il destino di Paolo non interessa a Satana: si salvi e vada in Paradiso, in ogni caso. Satana e il suo sicario [l’eventuale assassino di Paolo, un picchiatore fascista che disprezza l'ideologia "anti - israelita " di Paolo] ridono sarcastici, soddisfatti. Non solo il corso della Chiesa ufficiale, ma anche il destino di Paolo è segnato, non ci sarà più bisogno di evangelizzare; la Chiesa si farà carico "delle cure pastorali" e gestirà i suoi fedeli dai pulpiti delle ormai proliferanti Chiese.

Uno di queste è in Efeso, che Pasolini ambienta nella Napoli contemporanea. Mentre una voce fuori campo continua a far sentire la voce di Paolo comporre la sua lunga lettera a Timoteo, offrendo purezza, modestia, prudenza, continenza, gravità, pietà - tutte le virtù dell'umiltà che limitano l'orgoglio - la cinepresa ci mostra lo scandalo dell’orgoglio, del lusso, del potere di classe, dell'eccesso:

In grande pompa, ecco Timoteo, vestito letteralmente in oro, schiacciato sotto la mitra, quasi irriconoscibile. E tutt’intorno, il multicolorato e magnificamente carnevalesco coro degli altri prelati ... Un gruppo di autorità: alti ufficiali, gonfi come tacchini nelle loro grandi uniformi; uomini politici, nei loro doppiopetto neri, con facce vecchie volgari e ipocrite; la folla delle loro dame ingioiellate e i loro servi, ecc , ecc. L'altare è incastonato in oro - un vero e proprio vitello d’oro - pieno di plateali ostentazioni barocche, un’opera di incredulità totale, ufficiale, minacciosa, ipocritamente mistica e glorificante, clericale, del maestro (Pasolini, NdT).

Ite, missa est. E' finita, (resta ancora a) sbarazzarsi di Paolo, il cui zelo evangelico sembra essere inarrestabile e istituzionalmente imbarazzante. Il San Paolo (di Pasolini), come noto, è ambientato nel 20° secolo. I luoghi sono, dunque, modificati: Gerusalemme diventa Parigi, soprattutto durante l'occupazione nazista (i nazisti stanno ai romani; i farisei sono i collaborazionisti Petainisti e i francesi reazionari, di cui Paolo ne fa parte); Damasco diventa Barcellona, all'indomani della vittoria fascista in Spagna; Antiochia è la "razionale" Ginevra; Atene diventa la moderna, intellettualmente scialba, "dolce vit(osa)" Roma; e la Roma Imperiale è collocata a New York, il ventre della nuova bestia imperiale.

Dopo la conversione di Paolo alla Parola (del Signore) (per analogia, la Resistenza antifascista), che praticamente coincide con la fine della seconda guerra mondiale, i suoi viaggi evangelici lo portano attraverso tutta Europa, (un continente) ora in festa nel consumismo post-bellico. I suoi viaggi acquistano una caratteristica picaresca. In alcune delle scene più comiche e satiriche, (Paolo) predica assurdamente a un pubblico immorale: a Bonn, predica agli industriali, provocando una rivolta neo - nazista; a Ginevra, sconvolge gli imperturbabili simpatizzanti cristiani e potenziali benefattori con la sua eccessiva enfasi sulla continenza sessuale; a Roma annoia i suoi sonnecchianti e arricchiti ospiti con la sua retorica arcaica sulla fede Cristiana, mentre prima hanno ascoltato una mistica celebrità pop, simile a Krishnamurti; al Greenwich Village di New York, predica obbedienza alle autorità ad un sonnecchiante gruppo di ribelli neri, giovinastri strafatti di mariijuana, attivisti contro la guerra, femministe, e ai giovani e disperati profughi dall’entropia mentale ed emozionale della classe media di periferia. Anche qui, (Paolo) provoca una rivolta, nella quale la polizia interviene e lo arresta. Così, alla fine, se non altro per aver provocato le autorità e avere predicato male, bisogna sbarazzarsene. Pasolini lo fa uccidere (dal sicario di Satana, il fondamentalista pro - israelita picchiatore fascista) come Martin Luther King, sul balcone di un sudicio hotel nel West Side di Manhattan, l’esatta replica del Lorraine Motel a Memphis (dove Martin Luther King fu ucciso, NdT). Il suo sangue gocciola giù sul marciapiede e forma una "pozzanghera rosa".

Gli eventi della vita di questo San Paolo cinematografico vanno dal periodo nazi- fascista al 1968, "l'era della falsa libertà, in realtà voluta dal nuovo potere riformista e permissivo, che è anche il potere più fascista della storia" (dalla postfazione di Ward Blanton; il corsivo è mio). In altre parole, fino al tempo del nostro fascismo liberale postmoderno (Pasolini effettivamente utilizzò il termine "fascismo liberale" negli anni settanta). Ma cos’è che a noi importa alla fine, (forse) questo antico crimine della Chiesa istituzionale? Anche prima della morte per sofferenza(3) del pio San Paolo – (alla fin fine) che cosa significa tutto questo? Per un intellettuale come Pasolini e la sua generazione di italiani anti- fascisti, non c'era (forse) una "fede" alternativa nel materialismo scientifico – nel marxismo? Ci sono dei passaggi nella sceneggiatura che mostrano ciò che Pasolini chiamava "l'ipocrisia del marxismo [istituzionale]", un tema che già aveva elaborato ne “Le ceneri di Gramsci”, nel 1957. (Pasolini), per esempio, lamentava che gli intellettuali culturalmente borghesi del Partito comunista italiano (di cui lui faceva parte), fossero generalmente astrusi dalle masse e dai (suoi) amatissimi pasoliniani innocenti furfantelli che erano i giovani insignificanti criminali del sottoproletariato (dopo tutto non rubavano soldi pubblici, come (invece fanno) i rispettabili senatori e i politici), (gli intellettuali erano astrusi) dai contadini e dai lavoratori che, diversamente dalla borghesia, ancora riuscivano a sopravvivere grazie all’assistenza della solidarietà umana – del comunismo, religioso o scientifico. Infatti, la critica al marxismo istituzionale, al "partito", ecc., corre parallela ed è analoga alla critica verso la Chiesa, (due istituzioni) entrambe fallite nel coltivare una cultura popolare proletaria da opporsi alle edonistiche, individualistiche, consumistiche e, infine, anti - umane perversioni ideologiche della neo - capitalista (sue parole) cultura borghese. E qui, devo per forza riprendere Gramsci, una delle maggiori e permanenti personalità che influenzarono Pasolini (uno dei primi fu Rimbaud). In senso figurato, di fronte alla tomba di Gramsci, (Pasolini) implora il suo maestro ne “Le ceneri di Gramsci”: "Mi chiederai tu, morto disadorno, d’abbandonare questa disperata, passione di essere nel mondo?”.

Antonio Gramsci (1891-1937), intellettuale marxista, teorico politico, sociologo della cultura, fu un membro fondatore del Partito Comunista Italiano e morì in una prigione fascista. (Gramsci) è meglio conosciuto per la sua teoria dell'egemonia culturale, che spiega come la classe al potere mantiene il suo status quo e lo perpetua attraverso le sue istituzioni culturali. Già Lenin aveva utilizzato il termine. Era una elaborazione di Marx ed Engels i quali sostenevano che "le idee dominanti di ogni epoca sono sempre state le idee della sua classe dominante", sebbene l'Ideologia tedesca (opera di Marx ed Engels), scritta nel 1846-1847, non fu pubblicata fino al 1932 (e solo in Unione Sovietica). Se l'affermazione di Gramsci era vera, come avrebbe potuto affermarsi una rivoluzione proletaria se la coscienza di classe del proletariato era formata esclusivamente dalle istituzioni borghesi? Oppure, come potrebbe piuttosto una società di contadini e di lavoratori sostenere l'assalto del consumismo di mercato che annebbia la mente e che avrebbe condotto, a suo avviso, ad un "cataclisma antropologico" irreversibile trasformando le persone in cose, in un colpo solo sfruttatori e sfruttati, vittime e carnefici?

L'avvento alla metà degli anni '50 del "boom economico" in Italia, l'accessibilità ai beni materiali, in particolare la televisione, ha causato l'immediato imborghesimento della vita quotidiana italiana, rappresentata satiricamente ne “La Dolce Vita” di Federico Fellini, “La speculazione edilizia” di Italo Calvino, “La noia” di Alberto Moravia e “L'avventura” di Michelangelo Antonioni. Il San Paolo di Pasolini, scritto negli edonistici anni '60 e negli anni ’70, gli "anni di piombo", la campagna terroristica condotta dai servizi segreti italiani - "lo stato parallelo" - in collaborazione con la CIA per far fare un salto indietro alla democrazia popolare, oggi suona come una profezia. Inspiegabilmente, come se ci vedessimo allo specchio, in un futuro non troppo lontano, Pasolini descrive una Parigi in preda al terrore di un "anti - terrorismo" nazista. Stefano, un giovane partigiano in una nascente resistenza, a malapena in età di arruolamento (come il fratello più giovane di Pasolini, Guido, partigiano, ucciso a diciannove anni in un imboscata nel 1945), viene fucilato dai nazisti. Paolo, in questa fase, uno zelante ufficiale, di fatto, una acritico collaborazionista delle forze di occupazione naziste, assiste all'esecuzione del giovane Stefano. Egli ne è angosciato, persino ossessionato, ma non (per questo) viene meno il suo zelo collaborativo verso gli occupanti nazisti. Essi sono la legge, e lui è un avvocato. Il suo dovere è quello di servire la legge. "Nel volto di Paolo" si legge nella sceneggiatura. Assistiamo a qualcosa di peggio del male: vediamo la bassezza, la ferocia, la decisione di essere abbietti, l’ipocrisia che motiva tutto in nome della Legge, della Tradizione - o di Dio. Tutto questo non può che rendere quel volto disperato, troppo.

Quello che segue la scoperta dell’attività della Resistenza e l'esecuzione di Stefano è un'orgia di crudeltà, che si estende fino ai limiti del genocidio e oltre. Partendo da una citazione, "Era come un segnale per la persecuzione" (Atti 6:1-8:3), Pasolini descrive come l'oscenità della repressione nazista debba essere rappresentata: Nuovo materiale documentario d'archivio. Ma questa volta (lo scenario) deve essere rappresentato nel modo più tremendo possibile, quasi insopportabile alla vista: arresti, incursioni, sparatorie, impiccagioni, deportazioni di massa, esecuzioni di massa, sparatorie nelle strade e nelle piazze, cadaveri abbandonati sui marciapiedi, sotto i monumenti, penzolanti dal lampioni, impiccati, impiccati. Le deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento; vagoni pieni di cadaveri. Si aggiungano teste decapitate, bombe e ancora bombe tossiche, gli ospedali e le scuole bombardate. Droni killer. Rifugi antiaerei bombardati. Assedi in stile medievale (chiamati sanzioni) esigere le vite di 500.000 bambini (un record). Due, tre, molti Abu Ghraib: uomini trasformati in cani, l’osceno sadismo della più grande democrazia del mondo. Aggiungiamo a tutto questo molto altro, e vediamo nelle immagini d'archivio dell'era fascista l'immagine dei nostri tempi.

C’è ancora qualcuno che dubita che il San Paolo di Pasolini non sia stata una profezia?
Luciana  Bohne
Luciana BOHNE è cofondatrice del Film Criticism, un giornale di studi sul cinema, e insegna alla Edinboro University in Pennsylvania.


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mercoledì 11 febbraio 2015

ECONOMIA ECOLOGICA


Risultati immagini per economia ecologica

Abbiamo il piacere di presentarvi l’intervento che l’ingegnere energetico Carlo Federico Marazzi ha tenuto in occasione del Festival Culturale per la Cooperazione Officina Futuro con la speranza annunciata di aprire il dialogo tra economisti e professionisti di altre discipline.

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Dato il poco tempo a disposizione, cercherò di spiegare cos’è l’economia ecologica nei suoi tratti essenziali. In realtà ogni punto meriterebbe di essere approfondito a parte. Così questa mia breve esposizione di oggi può essere, tutt’al più, considerata come un promemoria di lavoro.

INTRODUZIONE
Ci è stato detto che la crisi economico–finanziaria, importata dagli Stati Uniti nel 2008, e tutt’ora in atto, è stata originata dallo scoppio della bolla immobiliare negli USA e dalla cartolarizzazione dei mutui subprime. Poi, una volta giunta in Eurolandia, questa crisi si è ulteriormente aggravata a causa del sistema economico finanziario qui esistente (sistema dell’euro) e del rilevante indebitamento privato con l’estero dei Paesi del Sud Europa. Questo è senz’altro vero, ma la verità completa è che questa crisi mondiale è una crisi sistemica, causata da molti fattori che si influenzano a vicenda.
L’attuale dibattito sulla crisi economica che si sta tiepidamente aprendo anche alle voci non allineate, considera, con un’insistenza martellante, alcune presunte cause della crisi economica ma trascura un tassello molto importante, la cui conoscenza è indispensabile per capire, in tutta la sua complessità e gravità, la crisi che stiamo vivendo. In verità, c’è un silenzio quasi assordante su una causa fondamentale di questa crisi economico– finanziaria: il progressivo esaurimento delle risorse energetiche del pianeta ed il suo progressivo inquinamento. Nonostante la loro rilevante importanza sull’economia, gli aspetti energetici della crisi sono ancora completamente taciuti dai media, sia per la grande complessità del tema, che è di natura sistemica, ma anche per l’assoluta impreparazione della classe dirigente del Paese ad affrontare l’argomento e a proporre soluzioni.
I rendimenti decrescenti di produzione dell’energia, dovuti alla sempre minore accessibilità alle risorse energetiche, e le azioni di mitigazione per contrastare gli effetti del cambiamento climatico stanno sottraendo sempre più risorse all’economia reale, tanto che ne rimangono sempre di meno per produrre beni e servizi. Questi, sono i veri fattori che hanno innescato la crisi economico–finanziaria e che stanno portando al collasso il nostro attuale sistema socioeconomico.
Il problema energetico è un problema molto complesso e, senza una solida conoscenza di base delle varie problematiche, è facile prendere degli abbagli e cadere in luoghi comuni. Personalmente ritengo fondamentale che tutti abbiano almeno una conoscenza elementare dei problemi che ci affliggono a causa delle caratteristiche del nostro esistente sistema socioeconomico, fortemente dipendente dai combustibili fossili. Non è lontano il giorno in cui dovremo prendere delle decisioni molto importanti riguardo al nostro futuro stile di vita.

IL SISTEMA SOCIOECONOMICO DOMINANTE
Per tratteggiare l’attuale sistema socioeconomico, che è dominante in questa nostra epoca decadente e post capitalista, potremmo dire che è un sistema neoliberista, totalmente materialista e dogmatico, sostenuto dalla tecnologia della produttività, che è figlia di una scienza riduzionista. E’ un sistema la cui economia si impone sulla Natura per dominarla e non per comprenderla.
E’ un sistema socioeconomico, basato sul debito, progettato per crescere all’infinito, per poter agevolmente ripagare gli interessi, ma è un sistema strutturalmente instabile (per errore di progetto), che tende a collassare non appena cessa di crescere. Purtroppo, su un pianeta dalle risorse finite com’è il nostro, un tale sistema non può crescere all’infinito e già oggi incominciamo a vedere i primi limiti alla crescita. Limiti che si manifestano con una sempre minore accessibilità alle risorse materiali del pianeta, con un inquinamento in crescita esponenziale e con l’incapacità, da parte di questo sistema economico, di gestire la mutata realtà del mondo mentre si avvicina ai suoi limiti. La più lampante dimostrazione dell’ inadeguatezza del nostro sistema socioeconomico, è la presente crisi che, nonostante le reiterate parole tranquillizzanti dei politici, non finirà mai e che, per meglio comprenderne le origini, la dovremmo più correttamente chiamare terzo shock petrolifero (dopo i primi due degli anni ‘70).
Quello attuale è un sistema socioeconomico superbo e ambizioso. E’ privo di ogni riferimento etico e pretende di presentarsi come una disciplina scientifica per acquisire quell’autorevolezza, propria delle scienze naturali ed imporre le sue presunte verità. La sua teoria economica, giustificandosi con l’econometria, pretende di promuovere delle semplici correlazioni al rango di leggi fisiche, senza però rendersi conto che i suoi modelli econometrici non sono così solidi come i modelli della fisica e senza neppure sapere che, dopo Gödel e Popper, neanche la fisica può pretendere che i suoi modelli rappresentino la verità.
Per continuare ad alimentare l’illusione di una crescita infinita (che è fisicamente impossibile), da qualche decennio il sistema socioeconomico si sta, per così dire, dematerializzando. Ne è un segno evidente l’abnorme crescita dell’economia finanziaria la quale, era (e doveva rimanere) un semplice ed utile servizio dell’economia reale ma che, data la sua natura virtuale e basata sul nulla, si è pericolosamente gonfiata ed oggi è di un ordine di grandezza superiore all’economia reale.

NECESSITA’ DELLA CRESCITA ECONOMICA INFINITA
Gli economisti del sistema economico dominante, per giustificare la loro teoria della crescita economica infinita, anche su un pianeta dalle risorse limitate, precisano che quello che intendono far crescere indefinitamente è il valore dei beni e dei servizi e non la quantità fisica di energia e di materia necessarie per produrli. Però, con questa loro affermazione, dimostrano di credere in una tecnologia taumaturgica che permetterà di produrre beni e servizi reali, sia pure di valore sempre crescente, ma con un uso di risorse energetiche e materiali tendente a zero. Anche se, al momento, c’è ancora spazio per migliorare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse e quindi per ridurre ancora un po’ i flussi di materia e di energia, a parità di bene prodotto, è comunque evidente che non è possibile dematerializzare completamente l’economia. Quello che questi economisti affermano è solo una pia illusione. La verità è che anche in macroeconomia esiste un limite alla crescita infinita del PIL.
Perché la classe politica dirigente difende tenacemente la crescita infinita? Perché crede che essa, da sola, possa risolvere efficacemente e tutto in una volta diversi problemi di natura politica, quali: la sovrappopolazione, l’ingiusta distribuzione dei redditi, la disoccupazione ed il degrado ambientale. Ad esempio, i politici credono che la crescita economica risolva il problema della disoccupazione perché stimola gli investimenti oppure, ancora, che la crescita economica renda più tollerabile il problema dell’ ingiusta distribuzione dei redditi fra le classi sociali perché, con l’aumento del PIL procapite, tutti si arricchiscono, anche i poveri.
Senza crescita infinita, invece, i politici sono costretti ad individuare e adottare soluzioni politiche specifiche per i diversi problemi sociali. Soluzioni che, potendo essere radicali, impopolari e richiedere grandi sacrifici, sono molto restii ad imporre e fortemente osteggiate dalle diverse fasce sociali.



ECONOMIA ECOLOGICA O ECOFISICA
Immersi come siamo in una crisi economica globale, irrisolvibile con l’attuale sistema socioeconomico, in un mondo sempre più in stato di emergenza, con focolai di guerra sparsi ovunque, al limite della sostenibilità dell’uso delle risorse naturali, sentiamo un urgente bisogno di costruire un nuovo sistema socioeconomico, dal volto umano. Un sistema che opera contemporaneamente su due piani, diversi ma corrispondenti: il piano reale, che assicura che l’attività economica, quella dello scambio di beni e servizi, sia ben piantata nella realtà, ed il piano spirituale che garantisce che l’economia dell’uomo si sviluppi all’interno e nel rispetto dei limiti dell’Ecosistema di cui è parte e in profonda armonia con la Natura e le sue leggi.
Il nuovo sistema socioeconomico, che chiamiamo “Ecologico” o anche “Ecofisico” per ricordare, secondo l’originario significato greco della parola composta, che si fonda sulla disciplina e l’arte di operare contemporaneamente sui due piani: quello della realtà e dello spirito, questo sistema dicevo è progettato per regolare, in modo ecologico, sostenibile e resiliente, i rapporti economici tra gli uomini e per amministrare le risorse del pianeta, senza superare i limiti naturali dell’Ecosistema.
L’ecofisica può ben essere annoverata, insieme all’arte, all’estetica e alla vera politica, tra le discipline che aiutano l’uomo a riprodurre nel suo mondo convenzionale, nei rapporti tra i suoi simili, l’armonia dell’universo, l’ordine ”naturale” delle cose.
L’ aspirazione a condurre l’attività economica umana, in armonia con le leggi della Natura e dell’etica, deriva dal fatto che sentiamo ormai impellente la necessità:
  di avere una classe politica capace di allocare al meglio le limitate risorse del pianeta per l’esclusivo benessere della collettività;
  di avere imprenditori che esercitano l’attività economica in modo sostenibile;
 di avere economisti che consigliano i potenti (quelli che decidono), solo dopo aver meditato a lungo e aver maturato una profonda sensibilità sul ruolo dell’uomo all’interno dell’Ecosistema, sul delicato equilibrio con le altre specie viventi e sul valore intrinseco delle risorse materiali del pianeta.
Il nuovo sistema socioeconomico “ecofisico”, per potersi pienamente attuare, richiede soprattutto il cambiamento della nostra visione del mondo. Noi dobbiamo smettere di giocare il ruolo di consumatori inermi, teleguidati dalla pubblicità. Dobbiamo tornare a pensare con la nostra testa e riprendere in mano il nostro destino. Dobbiamo imparare ad essere pro-sumatori (produttori e consumatori insieme), dobbiamo imparare più mestieri (il concetto dei nostri vecchi di: imparare l’arte e metterla da parte) per essere più resilienti e autonomi (ad esempio: imparare a coltivare l’orto, fare piccoli lavori di manutenzione, riparare strumenti, rammendare, ecc.). Dobbiamo impegnarci a ricostruire, nella nostra comunità, un’economia locale promossa anche da una moneta locale che non sia basata sul debito. Dobbiamo vivere più centrati ed equilibrati, essere più fiduciosi in noi stessi e meno ansiosi, più poveri di beni materiali e più ricchi di relazioni umane, più collaborativi e meno competitivi. Dobbiamo infine pretendere da tutti il rispetto dei valori e della dignità umana e specialmente dalla classe che ci dirige.

LA DIPENDENZA DEL SISTEMA ECONOMICO DALL’ENERGIA
L’attuale sistema socioeconomico è fortemente dipendente dai combustibili fossili. Tutti i beni e i servizi prodotti dall’economia sono realizzati e trasportati con macchine che funzionano con i combustibili fossili (soprattutto petrolio).
A partire dagli inizi del ‘900, negli Stati Uniti, un Paese che si stava industrializzando grazie alla scoperta di ingenti quantità di petrolio sul suo territorio, gli economisti hanno rilevato una forte correlazione tra il Prodotto interno lordo (PIL) del Paese ed il suo consumo complessivo di risorse energetiche fossili. Una correlazione che poi si è scoperta valida anche per altri Paesi del mondo occidentale, anch’essi in via di industrializzazione. La persistenza, nel tempo, di quella correlazione ha indotto gli economisti a pensare che fosse una vera e propria legge della natura.
Fu così che, il rapporto tra l’energia netta totale prodotta dalle risorse fossili ed il Prodotto interno lordo (PIL) divenne un indice e prese il nome di intensità (di dipendenza) energetica dell’economia del Paese. Con la scoperta di questa legge, gli economisti non ebbero più dubbi: per assicurare al Paese la tanto desiderata crescita economica continua non si doveva fare altro che garantire un’ analoga crescita del consumo delle risorse energetiche fossili.

Energy Return on Energy Invested (EROI)
Dalla considerazione che, per ottenere energia, (in genere) si deve spendere energia, deriva un importante indice della qualità energetica: l’ EROI, detto anche tasso di ritorno energetico (dell’energia investita), che assume il significato di quanta energia si ottiene per unità di energia investita. Un modo di capire il concetto di EROI, è di pensare a quando facciamo il pieno di benzina. Sappiamo intuitivamente che l’EROI è molto grande perché l’energia che la benzina ci fornisce, per far funzionare la nostra auto, è molto maggiore di quella che è stata spesa per produrla (per estrarre il petrolio dal giacimento, per raffinarla, per trasportarla presso il rifornitore, per pomparla nel serbatoio della nostra auto)

Rapporto di intensità energetica (EIR)
Purtroppo l’EROI ha lo svantaggio di essere un indicatore un po’ difficile da valutare e, tutto sommato, abbastanza soggettivo. C’è invece un altro indice della qualità energetica che è più facile da calcolare: l’EIR o Rapporto di Intensità Energetica che misura il ritorno economico dell’energia spesa e assume il significato di quanto PIL è prodotto da un determinato sistema socioeconomico, per unità di spesa energetica. Il Paese che ha un indice EIR alto, ha un sistema socioeconomico molto efficiente nel trasformare le risorse energetiche disponibili in Prodotto Interno Lordo (PIL).
Purtroppo i dati dimostrano che gli indici EROI e EIR stanno calando in molti Paesi del mondo e questo è tra le principali cause delle attuali difficoltà economiche e della recessione.

LE CARATTERISTICHE DELL’ECONOMIA ECOLOGICA
Il sistema socioeconomico ecofisico è a basso profilo energetico e pone maggiore enfasi agli investimenti ecologici strategici piuttosto che ai consumi. Gli investimenti ecologici sono sostenibili e si distinguono da quelli tradizionali perché sono connotati da tassi di rendimento inferiori e da tempi di ritorno più lunghi, caratteristiche che implicano cambiamenti dei soggetti investitori e ridefinizione degli obiettivi.
Con riferimento ai soggetti investitori, gli investimenti ecofisici, data la loro minore redditività, sono prevalentemente guidati dal settore pubblico e puntano ai seguenti obiettivi:
  ridurre l’utilizzo delle risorse materiali
  garantire la piena occupazione
  costruire infrastrutture per lo sviluppo di attività sociali
  promuovere le tecnologie delle fonti energetiche rinnovabili,
  privilegiare le tecnologie dell’efficienza nei processi (rispetto alle tecnologie della produttività),
  salvaguardare l’Ecosistema (assistere i servizi ecosistemici e armonizzare l’attività economica con la biosfera e con la sfera inorganica: il clima). Nella visione ecofisica, l’Ecosistema è l’ unico sistema, enormemente complesso, che comprende tutta la vita sul nostro pianeta ed è composto da due importanti sotto–sistemi: il sistema delle specie viventi (biosfera) ed il sistema dei costituenti fisico–chimici che sostengono la vita (sfera inorganica). Pertanto, nella visione ecofisica, e questo è il punto fondamentale, il sistema socioeconomico (composto dagli uomini e dalla loro economia e tecnologia) è un sotto–sistema dell’Ecosistema e come tale deve e può vivere solamente all’interno dell’Ecosistema. In definitiva, il sistema socioeconomico ecofisico è peculiare perché:
  è caratterizzato da un più elevato rapporto tra investimenti pubblici e investimenti privati
  promuove l’economia dei servizi e le attività economiche a basso impatto ambientale dove il maggior valore aggiunto delle relazioni umane giustifica un maggior impiego di lavoro umano per unità di servizio reso
  considera della massima importanza il valore intrinseco del capitale naturale e dei servizi ecologici forniti dall’Ecosistema e li internalizza nei propri modelli di calcolo
 è un sistema socioeconomico stabile perché intrinsecamente sostenibile (non deve dipendere dalla continua crescita dei consumi)

CONCLUSIONI
A conclusione di questo mio intervento vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che esistono dei problemi che non si possono risolvere, semplicemente perché sono mal posti e intrinsecamente contraddittori. Non riusciremo mai a risolvere la crisi mantenendo un sistema socioeconomico basato sulla crescita infinita su un pianeta finito. L’unico esito possibile sarà il collasso.
Però, abbiamo ancora una speranza. Dobbiamo solo capire che occorre cambiare l’approccio per risolvere un problema ben posto. E la soluzione salta effettivamente fuori ed è quella di fare una transizione ordinata verso un sistema socioeconomico ecofisico. Ma dobbiamo farla al più presto perché, più tarderemo, maggiore sarà la probabilità che avvenga in modo caotico.

Signori, Benvenuti nel mondo senza soluzioni semplici ai problemi complessi.
Carlo Federici Marrazzo



martedì 10 febbraio 2015

VECCHIO O NUOVO? E' UGUALE!


Dopo aver fatto l nostro dovere di persone sdegnate (giustamente), indignate (giustamente), dubbiose (giustamente), non è forse il caso di cominciare a fare una serie di analisi sui motivi che sono dietro determinati avvenimenti?
Sappiamo tutti dell'impatto e del ruolo degli Stati Uniti e dei paesi occidentali in genere, nel tentare, di controllare e intervenire in determinati territori senza che nessuno richiedesse di farlo.
Sappiamo dell'integralismo islamico che legge con altri occhi la nostra libertà e la nostra democrazia. 
Sappiamo dell'intolleranza xenofoba e razzista che non vede oltre il proprio naso e che per qualche voto in più darebbe vita a guerre sante. 
Sappiamo tutto, ma difficilmente dal’apparente sapere passiamo a pensieri conseguenti.
Ci sarebbero guerre per il petrolio con assetti sociali e uno sviluppo economico diverso? 
Ci sarebbero moti religiosi se non alimentati da un’intollerabile diseguaglianza sociale?
Ci sarebbero imbecilli che assediano centri di accoglienza per rifugiati politici se non ci fosse la povertà, e la conseguente ignorante rabbia?
Tutto ciò comporta certamente uno sforzo di analisi, di riflessione, di domande,, ma anche, e soprattutto, di risposte.
Siamo diventati timorosi nel dire che il vero cancro è, ed è sempre stata, la discriminazione sociale e  le intollerabili diseguaglianze che da questa dipendono.
Condizione, questa, necessaria per garantire al potere ceti e popoli disperati da utilizzare a piacimento per il mantenimento dello status esistente.
Tutto ciò ha un nome ben preciso: Capitalismo!
Ci siamo illusi che nelle moderne democrazie occidentali le classi sociali andassero ormai verso l' omologazione ed una pari dignità. Abbiamo pensato che coniugare il rispetto delle regole democratiche, tipiche della società borghese, con il rispetto e migliori condizioni esistenziali dei ceti proletari fosse condizione sufficiente per il superamento delle barriere sociali e dei muri economici disinnescando, in questa maniera, le legittime rivendicazioni popolari per un periodo di tempo sufficiente affinchè si ricreassero le condizioni per il ripristino del vecchio e immutabile assetto sociale, basato su disuguaglianza e ingiustizia.
Abbiamo alle spalle, purtroppo, anche il fallimento dell’utopia comunista con le esperienze del socialismo reale che, nate per creare l’uomo nuovo e la società nuova sono, con il tempo, diventate mere rappresentazioni di facciata di un nuovo modo di esercitare il potere in maniera vessatoria (Anche se, a onor del vero, in questo caso non c’erano discriminazioni sociali. Riguardava tutti!).
E’ vero quando si afferma che la società è cambiata, che il mondo non è più lo stesso e, di conseguenza, non si può guardare e analizzare con i vecchi schemi ideologici, ma è altrettanto vero che i rapporti di forza (e lo vediamo in questi anni di crisi) sono rimasti gli stessi, modificandone solo gli aspetti esteriori. Gli attuali speculatori predoni del nuovo capitalismo economico sono i nuovi padroni del vapore e, a differenza del vecchio classico padrone, svincolati dal rapporto di dipendenza dal prodotto e dal plus-valore aggiunto del vecchio rapporto padrone-operaio, esercitano il potere in maniera più cinica e spietata.
Dall’altra parte, la componente operaia e, in genere, dei lavoratori dipendenti è andata progressivamente diminuendo, sostituita dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione che sposta la produzione là dove più conviene. 
Sono nate così nuove forme di proletariato svincolate anch’esse, come il nuovo capitalismo, dal classico rapporto col plusvalore creato sul prodotto finito.
Sono le masse, soprattutto, ma non solo, giovanili magari laureate e impiegate in settori sottopagati, finalizzati alla realizzazione del maggior guadagno possibile con la minore spesa. Esempio tipico gli operatori dei call center, pagati (poco) non per il lavoro e il tempo ad esso dedicato ma in funzione di quanto questo sia produttivo per il gestore.
Tutto questo, come sappiamo, aiutato e permesso dalla connivenza di una classe politica incapace di opporre alcunchè allo strapotere finanziario , rinunciando a priori alla dirigenza dell’ economia ma., anzi, da questa, farsi dirigere e condizionare.
Ritorniamo ai nostri operatori di call center, giovani, diplomati, spesso laureati magari con master e ulteriori specializzazioni che, a differenza, degli operai classici della vecchia catena di montaggio sindacalizzati e con una netta coscienza di classe, pur soffrendo la loro situazione, non danno vita ad un sentire comune di appartenenza tale da mettere in discussione il loro ruolo e la loro posizione.
Ritorniamo ancora più indietro nel ragionamento, a quando si è accennato  all’ apparente superamento delle barriere sociali nelle moderne democrazie, ecco, questa scarsa reattività degli sfruttati del secondo millennio è in gran parte dovuta al non sentirsi appartenente ad una classe subordinata e che la propria condizione sia frutto del caso  la cui soluzione appartiene, non a un cambiamento sostanziale e globale della società, ma ad una propria capacità di tirarsene fuori individualmente.

Nuovo capitalismo, nuovi sfruttati, nuove povertà uguale nuova progettualità. 
Il nemico ha cambiato pelle, è più lontano, meno definito occorre, quindi, che anche noi che ancora crediamo nelle potenzialità dell’essere umano di cambiare in meglio, ci inventiamo nuove forme di lotta, nuove progettualità, se necessario anche rinunciando a schematismi ideologici scarsamente applicabili oggi e, ancor meno, condivisi. Fermo restando l’obiettivo finale di una società più giusta, più libera, basata sul rispetto e la condivisione anziché sulla sopraffazione e la competizione. Che poi si chiami comunista, socialista o del sole credo importi poco alla stragrande maggioranza.
Lavoriamo per questo, portando le nostre esperienze e le nostre speranze, ma essendo disposti anche a mettere da parte qualche nostra convinzione e qualche nostro sentimentalismo, cui , però a nessuno dovrà essere permesso di chiedere di rinunciare.
Ad maiora!


MIZIO