mercoledì 12 agosto 2015

IL PUNTO A SINISTRA


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Non è certo tempo di consuntivi, ovviamente, ma pare che la necessità impellente manifestata da molti, della costituzione di un soggetto unico a sinistra, si presenti con maggiore difficoltà rispetto il previsto. Si pensava che l’esperienza greca, quella spagnola, la deriva liberista del centrosinistra e del Pd favorissero la riappropriazione di spazi più consoni da parte di forze con un substrato ideale e sociale simile, che potessero essere superate quelle posizioni verticistiche utili più a magnificare le proprie qualità e velleità che ad aggregare e promuovere soluzioni. Si parla di disagio sociale (chiamarla povertà da quasi fastidio anche a noi) ma non essere tra i poveri nè fisicamente né propositivamente non ha facilitato certo il  rapporto, la funzione di rappresentanza e difesa che dovrebbe essere scontato e naturale.
Non si è più presenti fisicamente nelle periferie urbane, si è lasciato il posto a forze come la Lega e Casa Pound. Nei posti di lavoro si è delegata la rappresentanza esclusivamente ai sindacati più o meno collusi o depotenziati. Si demonizzano giustamente, ma senza proporre alternative credibili, le posizioni di un Salvini, di Grillo di neofascisti più o meno mascherati rimanendo sterilmente con il cerino in mano acceso dei buoni propositi e dei buoni sentimenti.
Abbiamo visto che la demonizzazione dell’avversario da sola non basta e non serve.  Serve, invece, esserci nei problemi, serve proporre alternative percorribili che diano un senso credibile alla critica a quella demagogia che specula su bisogni e rabbia.
Chi oggi vive il disagio del non lavoro, della precarietà esistenziale o, addirittura, quando sconfina nella disperazione assoluta, non può capire le logiche, argomentate, raffinate motivazioni che rendono necessarie, giuste e umane le azioni, ad esempio, nei riguardi dei migranti. A parte i soliti mestatori e speculatori di professione il grosso è rappresentato da un razzismo che possiamo definire di “necessità” e che ha fin troppo facile presa se accanto alle doverose misure d’accoglienza non si portano avanti contestualmente proposte, iniziative e, soprattutto convivenza e presenza tangibile nei luoghi e nelle problematiche del disagio capace di abbattere le barriere tra esseri umani. Le lotte per il soddisfacimento dei bisogni primari possono e devono  accomunare disperati nostrani e stranieri senza competizioni e classifiche, tutte figlie dello stesso cinico sistema.
Per troppi anni la politica e i politici di sinistra si sono rinchiusi nei salotti, nel talkshow, nei convegni e dibattiti ad uso e consumo proprio autoreferenziandosi a vicenda lasciando sfilacciare lentamente e progressivamente il rapporto con il proprio habitat naturale. Alcuni convinti che bastasse una diversa composizione elettorale e la presenza negli organi di governo per cambiare dall’interno, altri convinti che non si dovesse  e non si potesse accettare compromessi convinti che valga più la propria purezza e identità che la possibilità di modificare, anche se di poco, in meglio la condizione dei più disagiati.
Per questo oggi assistiamo ancora a difficoltà di comunicazione tra le varie anime. Non si è capito che non bisogna e non serve continuare a dialogare tra noi, ne verrebbe fuori al massimo un riposizionamento in un nuovo soggetto delle stesse identiche incomprensioni, degli stessi limiti e delle stesse motivazioni che ci hanno accompagnato sin qui.
Vendola, Civati, Ferrero, Fassina sono personalità apprezzabili e stimabili per storia e formazione, ma siamo sicuri che il nuovo possa e debba ripartire dai nomi?
Uno qualsiasi di questi personaggi che oggi si presenti nelle borgate romane o nell’hinterland milanese o in qualsiasi altro posto di disagio e precarietà come pensate che possa venire accolto? Con ovazioni o con il sentirsi rinfacciare scelte, fallimenti ed errori commessi?
Non possiamo permettercelo! All’interno di qualunque soggetto vada a formarsi devono irrompere nuove energie, idee coltivate perché vissute sulla pelle, personalità che sappiano interpretare i bisogni non perché letti sulle statistiche Istat ma perché empaticamente fatti propri per storia personale o scelta.
Qualcuno in questo ci vedrà del populismo, e in parte forse è vero, ma questi sono tempi in cui tirare di fioretto non serve a nessuno. Al padre di famiglia licenziato, al giovane senza futuro, alla donna sfruttata per pochi euro a fare pulizie o nei campi, agli insegnanti precari servono azioni, identità, obiettivi per cui lottare e riconoscersi. Riscoprire il valore della lotta per il raggiungimento di un obiettivo condiviso e non in funzione solo elettorale (anche se necessario), per ricreare un tessuto connettivo affinchè il disagio e il problema di uno sia percepito come il disagio e il problema di tutti.
Se la sinistra sarà in grado, e convintamente, perseguirà questo obiettivo senza ansie da risultato immediato, credo non sia difficile pronosticare un nuovo e crescente entusiasmo che ne supporterebbe l’azione.
Se, al contrario, si risolverà il tutto in una ricerca alchemica in cui fondere proporzionalmente forze e personalità, pronte magari, al primo stormir di foglie, a rinfacciarsi reciprocamente errori e scelte, allora saremo costretti a continuare a ricordare e rimpiangere Berlinguer e Pertini.


Ad maiora

MIZIO

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