domenica 20 novembre 2016

ERA NO PRIMA E SARA' NO ADESSO

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La governabilità legata alla stabilità è il nuovo (ma mica poi tanto) mantra che anima le scelte e gli indirizzi della politica negli ultimi decenni. Inseguito e sollecitato soprattutto dalla classe imprenditoriale, da quella finanziaria che vedevano, e vedono, nella rappresentanza e nella conseguente dialettica, un freno a quelle che sono considerate le loro priorità. Priorità indicate sempre sotto la lente di parametri e interessi economici che quasi mai vanno a braccetto con un sentimento di equità e giustizia.
La presunta superiorità del sistema maggioritario (meglio se bipolare o, addirittura, bipartitico),è legata a quell’altro mito della sua altrettanto presunta modernità visto che è adottato da quei paesi considerati all’avanguardia, primi fra tutti quelli anglosassoni.
Se vogliamo indicare una data simbolo che demarchi un prima e un dopo nella questione, non possiamo che risalire al referendum del 1993 ove la maggioranza degli italiani (non io) sotto l’onda emotiva dello scandalo di tangentopoli e della caduta del muro di Berlino con le sue conseguenze, scelse di abbandonare il sistema elettorale proporzionale, mantenendone soltanto una percentuale del 25% con la nuova legge  adottata, denominata Mattarellum. Da allora non sono mai terminati gli attacchi tesi a limitare sempre più quegli aspetti legati alla rappresentatività per spostare l’asse sempre più verso la stabilità. Detto in parole povere, chi vince si prende tutto per 5 anni e, a fronte di una sempre maggiore complessità della società, si tenta di rispondere con una semplificazione e una limitazione alla massima potenza della partecipazione e della vita politica.
Da questo punto di vista l’introduzione del sistema maggioritario ha prodotto limitati effetti, vista la frequenza con cui sono continuati a cadere e cambiare i governi. Ha prodotto molti più effetti sulla partecipazione e sul legame che, dal dopoguerra, legava la stragrande maggioranza degli italiani all’attivismo e condivisione della vita politica. Recisi i rami degli ideali, del senso di appartenenza, della delega rappresentativa, lentamente ma progressivamente ci siamo avvicinati a quelle democrazie avanzate cui si faceva riferimento prima con percentuali di partecipazione al voto di poco superiore al 50% e con una ancor più misera partecipazione alla vita attiva dei partiti, divenuti progressivamente sempre più comitati elettorali o d’affari. Partiti che, prima erano punti di riferimento collettivi e popolari (anche quelli cosiddetti borghesi), e che dopo, nel migliore dei casi, sono stati visti come opportunità per “svoltare” nella vita o come strumenti al servizio di interessi poco chiari e, molto spesso, ancor meno leciti.
Sono usciti dalla porta per non rientrare più la dialettica, il confronto, la mediazione, il senso di giustizia sostituiti dall’insulto, dall’ astio, dal posizionamento svincolato dalla ragione e affidato solo all’essere contro. La nuova parola d’ordine diventa vincere, a prescindere dal “come” e dal “per cosa”.
La sinistra e la destra spostano le truppe e gli interessi  verso il centro, dando vita a soluzioni ibride al limite della peggiore ingegneria genetica, denominate centrodestra e centrosinistra in cui, spesso, all’interno dello stesso schieramento predominano sospetti e sgambetti. Prodi, D’Alema, Berlusconi, ancora Prodi, ancora Berlusconi, e poi Monti, Letta, fino ad arrivare all’attuale Renzi l’elenco di chi si è succeduto alla guida dei non pochi governi indica chiaramente che anche l’unico obbiettivo condiviso, quello della stabilità, non è stato raggiunto.
Qualcuno, sano di mente, può in tutta sincerità, affermare che queste stagioni politiche siano state caratterizzate, oltre che dalla stabilità, dal buon governo, dalla giustizia ed equità?
Si può affermare che la società italiana abbia fatto quel salto qualitativo che le avrebbe permesso di superare i limiti e le contraddizioni delle stagioni precedenti?
Personalmente e, credo insieme alla stragrande maggioranza degli italiani, posso affermare tranquillamente di no, anzi si sono registrati notevoli passi all’indietro su temi fondamentali come quello dei diritti sociali, della rappresentanza, della democrazia.
Già sento qualcuno che comincia a pensare: ”Va bene, però dimentichi che c’è stata la globalizzazione, l’Europa, la nuova moneta e le nuove politiche comunitarie e bla bla bla….”. No, non lo dimentico, anzi, credo che le scellerate scelte fatte dei paesi europei in termini economici, di giustizia, di solidarietà, sarebbero stati senz’altro migliori se avesse prevalso un principio di eguaglianza e di rappresentatività, piuttosto che gli interessi delle lobby economiche e finanziarie che, trovano nel sistema elettorale semplificato il loro habitat preferito.
Chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui si aspetterà adesso , legittimamente, una conclusione.
Siamo alla vigilia dell’ennesimo, forse decisivo, attacco alla costituzione. La parola d’ordine adesso è resistere. E resistere vuol dire VOTARE NO il 4 dicembre al referendum.
Subito dopo, partire per ricostruire un habitat politico idoneo alla rappresentanza degli ultimi e dei penultimi, mettendo da parte egoismi, visioni personalistiche e limitate. Rimettere in discussione quelle che sembrano essere, ormai, pietre tombali su alcune questioni, a cominciare dalla legge elettorale che, per me, deve ritornare ad essere proporzionale, magari non pura, ma proporzionale.
E per ripartire col piede giusto non si può, a mio modestissimo parere, che ripartire da sinistra.
Ad maiora!


MIZIO

sabato 12 novembre 2016

SOLO A VOLTE




Quando è solo
e per farsi compagnia
sceglie tra pensieri
raccolti per la via.

Progetta un mondo
che sembri migliore
e inciampa sempre
nel suo lato peggiore.

Si cambia un momento
per poi ritrovarsi indietro
a carezzare ancora
la stessa palla di vetro.

Un’intuizione, una sola
anche di seconda mano
ma che sia quella giusta
buona per il sacro e il profano.

Ché duellar con le parole
armati di penna e malinconia,
a volte, ma solo a volte,
fa vincer  la  poesia.


MIZIO

martedì 1 novembre 2016

TREMORI E TIMORI


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La terra trema e non sembra fermarsi, come il cuore in gola che batte sempre più forte. Le ferite alla montagna, i colpi di maglio sulle case, sulle chiese. Il nostro paese come corpo di novello Cristo oltraggiato, torturato che, fattosi  carne, riesce solo a tremare. Sta superando, ormai, anche, la paura e invoca solo pace.
Le ferite che non sanguinano nemmeno più e, forse, sono le peggiori. Quelle che non cicatrizzeranno, quelle che rimarranno lì e bruceranno tutte le notti rinnovando ogni volta, non solo il terrore, ma la rassegnazione per un destino già segnato.
Il cuore verde dell’Italia, il corpo vivo, l’anima stessa del nostro paese, la catena che unisce non solo idealmente tutta la nostra penisola si scopre fragile, indifesa, novella vestale oltraggiata, non sappiamo se da un dio capriccioso e cinico o da esseri umani convinti d’essere a sua immagine e somiglianza.
Dopo essere stati cacciati dall’Eden sembrerebbe che i monti dell’Appennino Centrale siano i luoghi e i paesaggi che più gli si avvicinino. Forse, per questo, tanti grandi spiriti dell’anima, dell’arte, del bello si sono dati appuntamento in questi luoghi. Non è un caso che qui ogni monte, ogni pietra, ogni albero trasudi spiritualità e senso della meraviglia, di fronte al quale anche il più incallito dei miscredenti non può che rimanere in rispettoso silenzio.
Lo stesso silenzio che rimane dopo gli imprevisti, improvvisi, agghiaccianti schiaffi che la natura infligge alle nostre certezze.
Uscendo dalle immaginifiche metafore, affascinanti quanto si vuole, ma stucchevoli rispetto il dramma consumato si rende quanto mai necessario porsi la domande del che fare da oggi in poi.
Prendere atto dell’ineluttabilità degli eventi è il primo necessario passo. Pensare che tutto possa ritornare come prima senza una presa di coscienza, che nulla potrà essere come era è, invece, il principale errore da evitare.
L’altro errore da evitare, anche se può sembrare antitetico rispetto, il primo è  pensare a forme di eradicazione sociale e culturale di quei luoghi. La ricostruzione, per quanto lunga, difficile, costosa non può che avvenire mantenendo salde le radici e i sentimenti in quei luoghi, pena una seconda e ancora più dolorosa strage di anime.
Norcia, Amatrice, Castelluccio nel nostro immaginario possono continuare a vivere anche senza ricostruirle, ma per chi di quei luoghi è figlio e, anche custode per le generazioni future, non possiamo immaginare qualcosa di diverso da un ritorno a casa.
Quando avvengono accadimenti del genere sembriamo tutti presi e coscienti della nostra pochezza e della nostra impotenza. E, se singolarmente, riusciamo anche a trovare una scala classificatoria di valori con un’alta valenza morale, nel trasferire il tutto a dimensioni politiche e collettive le riposizioniamo in maniera diversa e moralmente discutibile.
Senza girarci troppo intorno, un paese come l’ Italia (ma non solo) che molto più di altri è sottoposto a rischi sismici, con la presenza di vulcani ad alta potenziale pericolosità, di fragilità diffusa del territorio, oltre ad essere esposta, vista la posizione, a fenomeni di accoglienza di enormi masse di disperati dall’Africa, può legare il suo destino e quello di milioni di cittadini alle ferree, ciniche, insensibili logiche finanziarie e neo liberiste di un’Europa a trazione bancaria?
Sembra di capire che, al momento, i fondi stanziati per i soccorsi e l’assistenza dei terremotati non saranno inseriti tra le spese correnti e non peseranno nel rapporto debito Pil, ed è già un piccolo passo avanti, ma è solo la punta dell’iceberg. Proprio per quello che si diceva un attimo prima la situazione geologica e geografica dell’Italia la pone in condizione di estrema precarietà e rende improcrastinabile e necessaria la programmazione di un piano pluriennale di messa in sicurezza dell’intero territorio. Per fare questo si rende prioritaria, anche perché estremamente giusto, la revisione delle leggi, dei trattati che limitano la spesa pubblica e la libera circolazione delle persone (argomenti in apparenza poco accomunabili ma sottoposti alle stesse inconcepibili logiche di trattati sottoscritti non con le penne e il cuore, ma con la calcolatrice in mano).
Le leggi, i trattati, le norme quando palesano limiti ed errori è giusto che debbano e possano essere sottoposti a riletture e correzioni. L’ economia quando svincolata dalla finanza e sottoposta al controllo e alla mediazione della politica è uno strumento utile e necessario regolatore sociale. Laddove questo non è, e non sia ritenuto possibile, mantenendo ostinatamente inalterate, scale di valori antitetici con la logica e la vita stessa, non credo sia una bestemmia denunciarne i limiti e prospettare, anche, scelte conseguenti.
Il territorio italiano, la sua storia, la sua bellezza, i suoi abitanti se non possono evitare i tremori della natura devono e possono evitare il timore di essere considerati come i passeggeri di terza classe del Titanic. Perché se è vero che, se la nave affonda, affondano tutti, ma quelli che hanno meno possibilità di sortirne fuori vivi sono proprio quelli che già sono, per natura, o scelta, sotto la linea di galleggiamento.
Ad maiora


MIZIO