venerdì 27 ottobre 2017

MA CHE SEI ANCORA DI SINISTRA?

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Destra e sinistra non esistono più, sono concetti superati. Le vecchie ideologie appartengono alla storia (che tanto neanche studiamo e conosciamo). Questo mantra ci viene ripetuto spesso (troppo) da più parti. E viene ripetuto, in particolare a chi ancora si ostina a definire una propria appartenenza precisa a sinistra. Perchè, l'avrete notato, per i rigurgiti di destra e fascisti, non si usano gli stessi toni e gli stessi sguardi di compatimento, anzi si tollerano e si giustificano in nome della libertà d'espressione.
E già, troppo spesso il superamento degli "opposti estremismi", non si sa come e perchè, porta dritto dritto a sposare o tollerare posizioni storicamente di destra. 
Ora, cerco di spiegare brevemente per i semplici d'animo perchè destra e sinistra esistono e esisteranno sempre e comunque come concetti ideali contrari e divergenti.
Se sinistra e destra vengono identificati con gli attuali schieramenti politici , scaturiti dalla rottamazione della prima repubblica, devo ammettere che un fondo di ragione esiste. Esiste per colpa e responsabilità, principalmente di una sedicente sinistra che ha sposato un'ottica e visione della società, da sempre appartenuta alle classi dominanti, facendone proprie politiche e interessi, pur senza rinunciare apertamente alla propria collocazione politica. Per cui leggi e riforme, dal precariato, al Job's act, alla buona scuola a migliaia di altre, pacificamente attinenti a politiche di destra, vengono messe in atto da chi si ostina a definirsi di sinistra. Questo gattopardismo, questo machiavellismo, tipicamente nostrano è quello che ha portato, e porta molti, a buttare il bambino insieme all'acqua sporca. Per cui, invece di impegnarsi a ricostruire un tessuto politico, ideale e sociale che marchi le differenze, ci si affida alla più facile soluzione del rottamare, oltre le persone, anche gli ideali. 
Essere di sinistra o di destra non attiene esclusivamente all'appartenenza a questo o quel partito, ma vuol dire guardare il mondo con due ottiche diverse. La sinistra storicamente, nelle sue varie definizioni è, comunque, quella che cerca di portare avanti visioni politiche che tendono a una società solidale, giusta e all' uguaglianza tra gli esseri umani (potremmo definirla la ricerca della felicità per tutti). La destra, altrettanto chiaramente, esalta il singolo rispetto la comunità, promuovendo la competizione tra le persone di cui si accettano e si esaltano le differenze in nome di una selezione "naturale" in cui i più bravi, (spesso solo più furbi e forti) è giusto che debbano prevalere. Quindi, accettazione del capitalismo come unico sistema possibile. Accettazione della logica del profitto e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Rifiuto di concetti come l'uguaglianza e il non riconoscimento di quelli che possiamo definire diritti universali. 
Se questi, per molti, sono concetti e differenze superate fanno bene a seguire i pifferai di Hamelin di turno. 
Io, da parte mia rivendico orgogliosamente la mia appartenenza e adesione ai valori storici della sinistra, pur cosciente che bisognerà lavorare molto per ricostruirne identità e credibilità..

lunedì 4 settembre 2017

GOCCE



Gocce

Siamo gocce,
come gocce nel mare
Siamo acqua,
figli di un temporale
Uguali ma diversi
nell'eterno ritornare.
Mizio

mercoledì 16 agosto 2017

ORMAI ABBIAMO UNA CERTA...


Risultati immagini per giovani e anziani uniti

In genere quando si arriva a una certa età……Certo, già dire certa età mi rendo conto sia approssimativo, ma per qualcuno, la certa, comincia già dopo i 30, per altri  progressivamente più avanti. Facciamo conto, quindi che la certa età sia quella in cui comincia a essere sempre più presente la fastidiosa sensazione che qualcosa di importante ti stia sfuggendo dalle mani. Il momento in cui ti accorgi che del presente non riesci ad apprezzare neanche la buona musica, perché la paragoni a quella che consideri la tua. Il tuo tempo sembra sia solo quello di anni prima  immobile e cristallizzato nei ricordi. Dove tutto era più bello, tutto più facile, tutto anche, se non soprattutto il futuro. Il futuro ha però una fastidiosa, sinistra caratteristica. Ed è quella di trasformarsi rapidamente in presente, spesso senza darci neanche modo di accorgercene e poter, così, elaborare un nuovo e più affascinante domani da inseguire.
Troppo spesso si vive con il portabagagli della memoria e del vissuto appesantiti da tonnellate di ricordi che col tempo si trasformano facilmente in rimpianti e, anche se raramente, in rimorsi. In questo credo ci siano diversi livelli e  codici di lettura.
Possiamo guardare il fenomeno dal punto di vista della perdita degli affetti, dei primi rapporti emozionali che, inevitabilmente per leggi di natura immutabili, ci vengono a mancare sempre troppo presto. Coloro che ci generano e ci amano per primi e di più sono destinati a lasciarci soli prima o poi. Ma questo tipo di rimpianto per  il legame spezzato e speciale è, sicuramente quello più comprensibile essendo legato a momenti di tenerezza, di affetto, di senso di protezione e sicurezza, ma anche quello, alla fine, più accettabile
Guardiamo invece l’aspetto che più mi intriga e che ha più ricadute sul sociale. Quante volte sentiamo dire, o diciamo noi stessi. “Eh, ai miei tempi si che si lottava”. “Ai miei tempi si che ci facevamo rispettare”, “Ai miei tempi si che la politica era tutta un’altra cosa”. Confesso che anch’io in momenti di particolare animosità ho avuto la debolezza di richiamare quei tempi. Niente di più sbagliato!
Questi tempi, il presente è nostro quanto lo era quello di allora. I miei tempi erano e saranno sempre tutti quelli che avrò la ventura di attraversare fino all’ultimo respiro. Solo a quel punto, e neanche un secondo prima, non lo saranno più. Il trascorrere dell’esistenza, le modifiche, i cambiamenti del pensiero, dell’azione, della pratica volenti o nolenti ci accompagnano sempre e siamo costretti ad attraversarli costantemente. Non esiste un punto X in cui si possa diventare spettatori passivi del fluire del tempo e della vita. Sembra persino scontato che, ad alcuni anni e ad alcuni momenti, si resti sentimentalmente attaccati, ma mai fino al punto di mitizzarli e giustificare così l’abbandonarsi al disinteresse. Quante volte sento dire: “Io ho dato, adesso tocca ai giovani”. Detto quasi sempre con un tono di sfida generazionale come a dire: “Vediamo di cosa sono capaci”.
I giovani, ma anche quelli meno giovani, devono trovare in ognuno di noi un esempio non da seguire, non da emulare, ma che li aiuti nella comprensione, nella maturazione fino al punto di far scattare in loro la molla: “Cavolo se lui/lei ha ancora questa voglia, questa passione, forse potrei farcela anch’io”. I giovani odiano e respingono, giustamente, i sermoni, le prediche, le morali, la retorica ma sono  estremamente sensibili all’esempio, alla coerenza alla rettitudine morale.
A questo punto, scusate, devo, però fare un riferimento al passato. Le sezioni dei partiti e dei movimenti extra parlamentari erano piene di persone, in gran parte giovani che oggi sono mie coetanee. Bene,  mi chiedo dove sono finite? Qualcuna non ci sarà più, purtroppo, ma la stragrande maggioranza dovrebbe essere ancora tra noi. Sono in poltrona? Sono stanchi, delusi e si sono rinchiusi nel loro recinto a rimuginare sui bei tempi andati?. Non è che questa disaffezione dei giovani verso la politica e, più in generale, alle cose di comune interesse, in parte potrebbe derivare proprio dal fatto che tanti, troppi hanno tirato i remi in barca troppo presto? Abbiamo forse lasciato disegnare la politica e le sue scelte a quelli che meno potevano rappresentare quell’esempio cui si accennava sopra? Abbiamo lasciato che la politica venisse interpretata in maniera speculativa e che divenisse agli occhi dei più giovani, nel migliore dei casi, un modo per svoltare nella vita?
Ecco questo è il compito di chi pensa di essere arrivato ad una “certa”. Vivere compiutamente il suo tempo nel segno della trasmissione di esperienza ed esempi di vita. Non riempire l’apparente vuoto col rimpianto e il rancoroso rapporto col tempo che passa.
Combattiamo l’invidia sociale, combattiamo anche quella generazionale.


MIZIO 

domenica 23 luglio 2017

TRA INCENDI; AUTOSTRADE E......


L'Italia sta bruciando. Dove non ci sono stati roghi forse è perchè era già bruciato tanto in altre stagioni. La situazione idrica provocata dalla siccità sta assumendo connotazioni drammatiche anche in zone che finora sembravano escluse da questo problema,ad esempio, come Roma che a memoria d'uomo non aveva mai avuto problemi di approvvigionamento idrico.I danni di questa e delle altre stagioni siccitose che si susseguono con sempre maggiore frequenza li stiamo cominciando a scontare e li sconteremo sempre più negli anni a venire. Stiamo andando incontro ad una catastrofe, forse senza precedenti, e il nostro paese sembrerebbe in pole position, tra i paesi industrializzati, a dover fare i conti con i nefasti effetti del cambiamento climatico.Abbiamo firmato l' accordo di Parigi sul clima, ma già sappiamo che è un pannicello caldo e insufficiente ad affrontare la vastità del problema, con l'aggravante che non è stato sottoscritto neanche da tutti i paesi (ad es. Usa che hanno ritirato la firma). Se continueremo con questo trend non sarà solo un problema di qualche in grado in più e, quindi, di dover stare all'ombra nelle ore più calde. L'innalzamento del livello dei mari derivante dallo scioglimento dei ghiacci polari renderà inabitabili e improduttive milioni di ettari di territorio oggi coltivabile o abitato. Cambierà il clima e i paesaggi che abbiamo imparato a conoscere da millenni. Cambierà la morfologia, la vegetazione, la fauna e sicuramente cambieranno forzatamente, in peggio, le nostre abitudini e i nostri stili di vita.Oggi ci preoccupiamo dell'arrivo dei migranti dall'Africa, tra pochi decenni potremmo essere noi costretti a spostarci da un paese diventato progressivamente inospitale.I cambiamenti, l'evoluzione, le estinzioni, anche di massa, fanno parte della storia del pianeta e non saremo certo noi a poterle impedire. Quello che possiamo fare è impedire che avvengano in tempi ristretti e per nostra responsabilità..Cosa che, per altro, sta già accadendo e non solo in linea puramente ipotetica.Siamo coscienti che fare questo vuol dire mettere in discussione un intero modello di sviluppo basato sullo sfruttamento intensivo, dell'ambiente, delle materie prime e anche degli esseri umani. Questo modello nelle sue varie versioni possiamo ricondurlo tranquillamente sotto un'unica denominazione: modello capitalista.Anche per questo non può essere sufficiente una semplice operazione di maquillage ad un modello ormai paragonabile ad un organismo che finirà per divorare se stesso. Un pò come il serpente di questa simpatica storiella zen. 
"Come si uccide un serpente? 
Il serpente è ghiotto di marmellata di albicocche. Si spalma la marmellata sulla schiena del serpente dal labbro superiore alla coda. Il serpente comincia a mangiarsi dalla coda e quando ha mangiato anche la testa l'avrai sterminato."
Appare, quindi non importante, ma fondamentale che si costituisca anche politicamente e socialmente un fronte che faccia argine a questa follia e che si manifesti ovunque ci sia la possibilità di impedire scempi o semplicemente continuare come nulla fosse. Per fare un esempio piccolo ma indicativo. E' in dirittura d'arrivo l'apertura dei cantieri della famigerata autostrada Roma Latina. A parte qualche sporadica e isolata manifestazione contraria, la stragrande maggioranza si disinteressa della questione e molti addirittura fanno addirittura il tifo affinchè si faccia in fretta.E, in questo caso non si tratta neanche della vecchia questione dell'uovo e della gallina, perchè l'autostrada oggi non è certo avere l'uovo subito ma è sicuramente non avere la gallina domani. Gallina rappresentata da territori, già compromessi, che verranno tolti per sempre dalla possibilità di essere goduti dai più e di poter svolgere il loro compito regolatore e di protezione. Ettari di zone protette e di pregio naturalistico devastati, ettari di produzione agricola resi improduttivi, centinaia di aziende danneggiate o addirittura fatte chiudere. Centinaia di posti di lavoro a rischio nel lungo termine. Sarà un' autostrada il cui scopo sociale sarà il profitto di alcuni a scapito del bene collettivo e dei poveri utenti che saranno costretti a pagare. Quando mai si sono visti 14 caselli su 50 km di autostrada? 
La semplice messa in sicurezza della Pontina, evidentemente non è affare appetibile.Qualcuno ancora per giustificare l'opera fa finta di credere alla favoletta dei capitali privati Sono pronto a scommettere che il capitale pubblico alla fine sarà la parte maggiore dell'investimento o, comunque sarà superiore a quello della semplice sistemazione della strada esistente o, ma è un sogno alla costruzione finalmente della metropolitana leggera tra Roma e Pomezia, progettata da decenni , o al raddoppio della linea Roma-Nettuno.E, in ogni caso, dopo aver visto i miliardi utilizzati per salvare le banche , quelli utilizzati per gli F35, quelli per le missioni militari in giro per il mondo, non credo di essere più disposto ad accettare la scusa del "non ci sono fondi sufficienti" . Ci dobbiamo rendere conto che di fronte a certe situazioni, con il disastro incombente di cui si parlava all'inizio, non esiste ragion di stato e tantomeno del privato, che giustifichi il consumo, lo sfruttamento del territorio, l'avvelenamento delle risorse idriche, l'impoverimento e l'inquinamento dei mari e dei fiumi. Anzi va incentivato il ripristino ambientale di tutte quelle zone inquinate e devastate. Ormai ogni metro quadro di territorio è da difendere come il più prezioso dei beni di famiglia. Perchè da quello che saremo in grado di lasciare alle generazioni successive dipenderà la stessa possibilità di sopravvivenza del genere umano. Sembra argomento abbastanza convincente, o no?

MIZIO

sabato 15 luglio 2017

CHI HA PAURA DELL'UOMO NERO?

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Nel paese in cui ci si è sempre arrangiati con metodi border line con la legalità e la moralità. Il paese in cui il concetto di libertà è inteso molto spesso come anarchia comportamentale a proprio  uso e consumo. Dove le leggi sono fatte per essere aggirate prima ancora che rispettate. Dove l’evasione fiscale piccola o grande è vista con compiacimento. Dove quando prendiamo una sacrosanta multa siamo pronti a far causa o ad affidarci all’amico compiacente nell’ufficio giusto per farcela togliere Dove l’llegalità e i metodi mafiosi siamo riusciti ad esportarla in tutto il mondo più della pizza e degli spaghetti. Un paese dove si è quasi sempre votato per clientela e favoritismi diretti o indiretti ebbene proprio in questo paese le bacheche di Fb, le discussioni nei bar o per la strada ormai hanno un filo comune che le lega e che trova spesso complicità ed approvazione. Sono troppi, sono delinquenti, rimandiamoli al paese loro. Ormai tutti i giorni e più volte al giorno ci sono siti e persone che rilanciano sdegnati notizie vere, presunte o, spesso false, di crimi commessi da extracomunitari. Ci sono partiti e movimenti che su questo ci sguazzano e attirano consensi. Questi atteggiamenti hanno anche ridato voce e visibilità a movimenti che, in uno stato serio, sarebbero da tempo stati relegati nelle pagine più vergognose dei libri di storia o nel registro degli indagati. Non sarò certo io a dire che l’ondata migratoria massiccia non rappresenti un problema. Ma sono anche cosciente che il problema più grosso ce l’hanno loro con la disperazione, con i drammi e le tragedie che li hanno portati fino da noi. Come sono cosciente che tra di loro ci sia anche chi delinque. Mi pare che sono esseri umani e non c’è alcuna comunità umana ove elementi di delinquenza non siano presenti. Nel loro caso c’è anche una forte molla di carattere psicologico come quella di avere a portata di mano quel benessere sognato e inseguito e non poterne godere Ma questo continuo esaltare le notizie di reati quando, questi, riguardano i migranti, oltre che aumentare il senso di  insicurezza collettiva (paura) rende ancora più difficile un confronto sereno, per quanto possibile, con il problema. e con le sue eventuali e possibili soluzioni. D’altra parte che questo sia vero lo dicono le statistiche, i reati commessi dagli stranieri sono, percentualmente, più o meno in linea con quelli commessi dagli italiani. Quindi va condannato, come è normale che sia, l’atto delinquenziale e non l’aggravante, dell’ essere stato commesso da uno straniero. Uno stupro perpetrato da un italiano non è meno grave e odioso di uno commesso da un immigrato (magari di colore) ma non ha la stessa rilevanza mediatica e lo stesso tasso d’indignazione. Lo spaccio di droga non fa schifo perché il pusher è marocchino (e anche perché il grande trafficante che lo utilizza quasi sempre è italiano) ma perché la cultura dello sballo e della morte che la droga comporta va rigettata e combattuta a prescindere. Il fenomeno dell’emigrazione si  deve analizzare nella sua gestione e risoluzione nell’ottica che non sia quella dell’emergenza. Perché ormai il fenomeno è endemico e strutturale. Come endemici e strutturali sono i motivi che li portano a rischiare la vita in traversate del deserto e in mare aperto vedendo morire spesso i propri cari. Non voglio parlare delle responsabilità storiche dell’Occidente, e, quindi anche dell’Italia, nelle guerre, nelle carestie, nell’appoggio e finanziamento di regime dittatoriali in cambio di materie prime per le multinazionali, oltre la vergognosa vendita di armi. La mia riflesione puntava soprattutto a sensibilizzare tutti quelli che si fanno facilmente condizionare da notizie, spesso ripeto, anche gonfiate, dimenticando che in casa nostra i primi e, per tanti anni, gli unici a delinquere e a non rispettare le regole siamo stati noi. Pronti, però, di fronte al nero sporco e cattivo a diventare i paladini della legalità e della nostra cultura (si cultura, perché anche di questo si riempiono la bocca, quelli che fino a ieri il massimo impegno culturale prodotto era nel leggere il Corriere dello Sport o Novella 2000).

lunedì 10 luglio 2017



VERRA’
Tutta colpa della memoria
quella che torna a farti male.
Quella che srotola la stessa storia
per riscriverla sempre uguale.
Puoi chiamarla nostalgia,
orologio fermo sul passato
con le lancette sulla malinconia
e il quadrante oscurato.
Verrà il tempo che non sarà
ove riguardare, se vorrai.
Ma quel che è stato rimarrà,
e gli attimi persi non li riavrai.
MIZIO



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martedì 6 giugno 2017

PENSA CHE TI RIPENSA.....


Il pensare è un’ attività indubbiamente tra le più naturali. I pensieri sono preesistenti e si attivano da soli, come il respiro e il battito del cuore, sono autonomi e invadenti .Si appropriano dei tuoi momenti, spesso fino al punto di oscurare quell’attività che, appena un attimo prima, era meritevole di tutta la tua attenzione. Paziente li ascolti e ti lasci sedurre se il loro fascino è degno d’attenzione e cure. Li lasci andare, senza rimpianti, se esauriscono il loro compito con la fugace e inopportuna apparizione in scena.
A volte, capita di intrattenersi talmente intensamente con alcuni di loro, di arrivare a considerare opportuno condividere l’oggetto delle proprie riflessioni  col prossimo e, quando questo capita, diventa tutto molto più complicato. E’ difficile spiegare (ma perché poi?) in quale modo e attraverso quali tortuosi percorsi quell’idea, che tanto ti ha solleticato e stimolato l’anima, sia arrivata fino a te e ti abbia talmente compreso nel suo gorgo da considerarla degna di approfondimenti e confronti. Come trasferire in un altro contenitore qualcosa che è stata filtrata e adattata sulle tue misure. Come trasformare in parole comprensibili un mix di sensazioni, sentimenti visioni in cui tu stesso sei rimasto avvolto
Senza considerare l’ onnipresente zampino dell’ ipervalutazione di autostima e di bulimico egocentrismo. O, anche, anche, il sincero e generoso tentativo di trasferire ad altri un punto di vista conquistato e che, ne siamo sicuri, avrebbe un effetto benefico su chiunque ne venga a contatto e a cui ne vorremmo far comprendere la profondità.
Senza dimenticare, poi, il sottile sadico piacere di costringere il prossimo a lambiccarsi con innumerevoli perché, destinati fatalmente, a rimanere senza risposta ma che, ci si augura, gli facciano adeguata compagnia durante lunghe notti insonni.
Che si vorrà mai dire con questa premessa?
Niente di più e niente di meno di quanto espresso. Ognuno di noi è figlio di se stesso delle sue (in)capacità, del suo essere unico e irripetibile. Allo stesso modo dei mondi e degli astri sospesi, in precario equilibrio, nel vuoto. Ognuno, nella sua diversità, accomunato dall’ obbligo (meglio se cosciente) di essere immerso nello stesso universo. Universo, il cui  ordine ed equilibrio caotico è regolato da leggi preesistenti cui non si può sfuggire pena la collisione con le stesse leggi che lo regolano.
Ecco, quelle leggi molti di noi  le stanno infrangendo, ignorando le regole del gioco. Stiamo strappando il reticolo di relazioni e di sentimenti solidali necessari al mantenimento dell’equilibrio per erigere muri. Ci si erge a carnefici, giudici, angeli vendicatori piuttosto che in pazienti tessitori e costruttori di pace. Ci si rinchiude nella torre d’avorio più alta e impermeabile, non preoccupandosi di lasciare fuori anche la pietà e la giustizia.
Si mina alle fondamenta un equilibrio, instabile, ma necessario.
Per fortuna, a volte, arrivano i pensieri, quelli eternamente liberi e incoscienti alla ricerca di ragione e coscienza e…. rimani sveglio la notte.


MIZIO

giovedì 13 aprile 2017

IL RITORNO


Le storie degli spazi bianchi
Spesso ci sono più cose negli spazi bianchi che nelle parole.


Apro il foglio che il viaggiatore mi ha consegnato, convinto di ottemperare per l’ennesima volta ad un ‘operazione di controllo come mille altre e, invece mi trovo a leggere:
” Spett.le sign.xxxxxx la informiamo che dal giorno 30 aprile 21017 il suo rapporto di lavoro con la nostra società può considerarsi terminato ai sensi del…………….”.
Imbarazzato per l’involontaria intrusione nella vita privata di un estraneo:
“Scusi, credo mi abbia dato un’altra cosa”…
”Ah, scusi lei” Sono completamente frastornato…. Se ha letto avrà capito anche perché”….
“Si non volendo ho letto qualcosa, mi dispiace”……
“Sapesse quanto dispiace a me”
Nel breve dialogo lo guardo con maggiore attenzione. E’ anziano. Uno dei tanti lavoratori che, negli anni scorsi, hanno risalito la penisola per trovare lavoro.
Uno di quei pendolari - non pendolari che scendono una volta al mese a casa. Quelli che vivono in quattro in una stanza come studenti fuori sede. Quelli che vedono i figli ogni volta cresciuti e cambiati. Quelli che non li hanno visti muovere i primi passi, non hanno ascoltato le prime parole.
Quelli che non hanno assistito alle loro recite scolastiche, che non hanno avuto modo di accompagnarli alla partita di calcio o a danza.
Quelli cui, però, è sufficiente sapere che non manca loro nulla per essere in pace con se stessi.
“Va bene, comunque credo che possa usufruire di qualche ammortizzatore sociale che l’accompagni fino alla pensione”
“Non so per lei, ma per me la pensione è un miraggio, sono ancora troppo giovane, per loro, con i miei 60 anni…. Consideri, poi, che i contributi versati dall’azienda riguardano solo gli ultimi venti anni di lavoro. I primi erano in nero.
“Beh, comunque, c’è la liquidazione!”
“Quella l’ho impegnata, quasi tutta, per acquistare una casetta dignitosa per la famiglia… Non è giusto! Non è giusto! Dopo tanti anni di lavoro, di sacrificio, di dedizione all’azienda essere trattati così”
Con le mani tremanti continua febbrilmente a cercare il biglietto. Era solo in quei quattro posti. Mi siedo di fronte a lui:
“Stia tranquillo, si calmi, il biglietto in questo momento non è il problema più importante”.
“Grazie…. Mi scusi se le sto facendo perdere tempo”.
“Non si preoccupi fino a destinazione ho tutto il tempo che vuole. Ma il sindacato che dice? Ha fatto qualcosa?”
“Il sindacato? Eravamo pochi dipendenti. Il rapporto era diretto con il padrone. La parola stessa, sindacato, era proibita. Eravamo la sua famiglia ci aveva sempre detto. Qualcuno che nel passato aveva provato a fare qualcosa è a casa ormai da molti anni”
“Certo che questa crisi….”
“Crisi? Avevamo addirittura aumentato il fatturato. La crisi vera è quella che colpisce sempre i poveri cristi. Loro in qualche modo si salvano sempre”.
“Adesso che farà? Ha qualche propsettiva?”
“Prospettive? A sessant’anni? E chi mi prende più! A casa ancora non sanno niente. Pensano che stia tornando per le feste di Pasqua. Non so dove troverò il coraggio di dirglielo. Con che faccia guarderò mia moglie e miei figli! Con quale animo dovrò dire loro che dovranno rinunciare a studiare. Come farò a spiegare che, probabilmente, dovranno essere loro, adesso, a provvedere a se stessi magari caricandosi uno zaino più vuoto di quanto avessero immaginato fino ad oggi. Sono sincero. Non credo avrò il coraggio di farlo. Non so nemmeno se avrò quello di rientrare in casa”.
“Ma non lo dica neanche per scherzo. Vedrà che sua moglie e i suoi figli capiranno. Li avrete cresciuti sicuramente bene, con dei valori, con l’affetto….
I suoi occhi guardavano, ma non vedevano, le sue orecchie non sentivano già più. Solo le mani continuavano a cercare.
“Ecco è questo, l’ho trovato!”
Lo guardo superficialmente, sicuramente è valido.
E poi, il suo biglietto per la vita l’ha già pagato abbondantemente. Il mio timore in quel momento, è che decida di scendere alla sua prossima fermata. E potrebbe essere l’ultima.
“Arrivederci. Mi raccomando dritto a casa. Vedrà che andrà tutto bene”
“Grazie. Mi scusi per averle fatto perdere tempo e annoiato con i miei problemi”.
“Non si preoccupi, di nuovo arrivederci!”.
Annoiato? Amico mio,no, non sono annoiato. Sono semplicemente e tristemente incxxxxto!
Spero di reincontrarti presto e sarò contento di aspettare ancora che tu trovi il biglietto.

MIZIO

giovedì 16 marzo 2017

C'E' CRISI, GRANDE CRISI!

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Quando nel 2008, cominciò questa lunghissima crisi fu chiaro fin quasi da subito che si trattava di una crisi non ciclica e non episodica, come tante altre tipiche del capitalismo. Diversa e più devastante anche della famosa crisi del ’29, perché diverse le condizioni, diverse le motivazioni, diverso l’habitat e gli assetti sociali e mondiali. La globalizzazione e la mercificazione delle umane attività legate sempre più, non solo e non prevalentemente al profitto del capitalista, ma alla speculazione finanziaria, associata ad una indotta richiesta sempre maggiore di merci a prezzi sempre più bassi  e conseguenti sfruttamenti di risorse a prezzi sempre crescenti ha creato un cortocircuito sistemico e non limitato al solo periodo interessato. Da come si valuta e da come se ne uscirà sapremo se la lezione di questi anni sarà servita a qualcosa o se continueremo nella folle corsa verso l’autodistruzione. Le risposte della politica e dell’economia “classica” sono state insufficienti, sbagliate e hanno fondamentalmente peggiorato gli effetti della crisi stessa, non leggendola e non affrontandola con le giuste armi e la giusta visuale.
Per certi aspetti, anche giustamente, è stata abbandonata, in nome della complessità, la visione novecentesca della società, e la conseguente visione ideologica che puntava al riscatto collettivo dell’essere umano. Si è dato spazio e dignità a forme sempre più esasperate di competizione tra gruppi e singoli esaltando, oltremisura, il ruolo dell’IO rispetto al NOI. Ricordate il mantra, ancora in voga anche tra di noi, della meritocrazia e della rottamazione? Ebbene in quest’ottica e in questa condivisione passiva della logica che c’era dietro, invece che esaltare le potenzialità di ognuno e indirizzarle ad un balzo qualitativo generale, si sono giustificate e aperte all’accettazione sociale le gabbie dei peggiori istinti egoistici e al conseguente massacro sociale, sia che interessi gli stati, gruppi o singoli. Ovviamente nulla è casuale, se questo è stato fatto, appare evidente che dietro ci siano interessi precisi. Gli interessi di quegli stessi che, pur essendo i maggiori responsabili della crisi, dalla stessa hanno ricevuto i migliori benefici.
Ritornando alla domanda che, da sempre ci si fa, del che fare? Appare chiaro che chiunque voglia uscire da questa crisi e combatterne i nefasti effetti, non può farlo ricorrendo ad una semplice operazione di maquillage.
Tanto per essere più chiari e precisi, il semplice ricorrere ai classici parametri della crescita economica, pur apparendo come la risposta più semplice e comprensibile al momento, non è certamente quella più adeguata. Si diceva all’inizio crisi sistemica e non episodica. Forza lavoro sempre più abbondante e sempre più a buon mercato con sempre meno posti da occupare. Materie prime e beni essenziali (es. l’acqua), sempre più scarsi e fonte di speculazioni globali e monopolistiche. Presenza di una finanza che salvaguarda esclusivamente se stessa e il proprio ruolo dominante svincolata da qualsiasi dovere sociale o politico di sussidiarietà. Un ambiente e le sue risorse che, seppur immenso, non è illimitato e con il massiccio sfruttamento legato esclusivamente alla logica del profitto rischia  di portare l’umanità ad un default collettivo senza precedenti, non fra mille anni  ma in pochi decenni. Mettiamoci anche le guerre, le carestie, le ingiustizie sociali di quelle parti del mondo da sempre considerata come territori da sfruttare e depredare, con le conseguenti migrazioni bibliche di questi anni, e il quadro è abbastanza completo per essere non preoccupati, ma atterriti. E, purtroppo, sembrano inadeguati e limitati anche gli strumenti e le letture forniti dalla politica, anche quella ideologica, legate come sono, ad un riscontro immediato e misurabile in termini di risultati elettorali. E’ indubbio che rispetto le problematiche drammaticamente esplose con la crisi attuale, ma già presenti  nel corpo sociale da tempo, il capitalismo soprattutto nella sua forma più recente e cinica, quello liberista finanziario,appare senza dubbio, come il maggiore responsabile e, di conseguenza,il più  inadeguato a fornire risposte e soluzioni. Risposte e soluzioni che possono partire solo da quelle forze e da quegli ideali che partendo da una base di ricerca di giustizia, eguaglianza e libertà possono, più facilmente e più logicamente, fare proprie nuove visioni e nuove tematiche da iniettare nel proprio dna politico senza rischiare grosse crisi di rigetto. Ecco quindi che veniamo al noi e a quello che ognuno può fare nel suo piccolo. Forse non è un caso che, in alcuni paesi, la crisi abbia prodotto effetti più pesanti che per altri, come nel caso dell’Italia. E non è un caso, forse, che il tutto sia stato esponenzialmente aggravato, da una lettura da parte della sinistra, sbagliata e in controtendenza rispetto i propri presupposti ideali prima che ideologici. Se questo può essere vero, e secondo me è un aspetto da non sottovalutare, una delle cose da fare è cercare di risostruire quel tessuto connettivo che faceva della sinistra, in passato, il principale baluardo contro gli eccessi e le ingiustizie insite nel sistema capitalista. Nessun nostalgico riproporsi di schemi e simboli che appartengono al sentimento e alla storia personale e collettiva, ma la proposizione con forza del concetto che, se non si parte dalla lotta alle disuguaglianze, non potremo mai sperare di innestarle e contaminarle con successo con le nuove tematiche. Quelle che parlano di un’economia sostenibile, di una salvaguardia ambientale, di un cambiamento sostanziale anche di usi e consumi personali. Troppo spesso queste sono legate, nella proposta,  a forme di francescanesimo o di pauperismo che, per gran parte della popolazione mondiale (e anche italiana) in condizioni di sofferenza e povertà non potrebbero mai, non solo, essere recepite e fatte proprie, ma sicuramente avversate e combattute.
Questa è la sfida che abbiamo di fronte, queste sono secondo me, le possibilità che abbiamo. Se stiamo passivamente ad aspettare che un’inversione di tendenza venga da coloro che ne sono i responsabili rischieremmo la paralisi e il default collettivo, non finanziario, non economico ma globale.


MIZIO

martedì 28 febbraio 2017

LA COSCIENZA NON GIOCA A PALLONE


"Spesso ci sono più cose negli spazi bianchi tra le righe, che nelle parole".

Nella borgata dove si abitava in mezzo a prati spelacchiati e cantieri i punti di riferimento per noi ragazzini erano pochi e perfettamente adeguati all’ambiente circostante. Il bar con il biliardino e il televisore, la sezione del PCI con il campo di bocce, la parrocchia con l’oratorio e il campo di calcio. Quello grande, con le porte regolari le strisce bianche, qualche gradinata di tubi Innocenti che per noi, abituati a giocare negli spiazzi sterrati o, addirittura sul’asfalto, aveva lo steso fascino del Maracanà, dove, ci si immaginava novelli Pelè a segnare valanghe di gol tra tifosi festanti. La realtà era molto diversa. Su quel campo non potevamo giocare, perché si pagava l’affitto e, addirittura non potevamo neanche vedere le partite di infima categoria che si giocavano la domenica perché, anche le 100 lire necessarie per entrare, erano troppe per le esigue risorse delle nostre tasche.
Quello che, però, mancava in risorse economiche si colmava con la fantasia e l’ingegno.
Come detto prima, la zona era sempre piena di cantieri, in stragrande maggioranza abusivi, anche questi vietati per noi, ma per altri motivi, che però avevano la caratteristica di offrire punti d’osservazione elevati buoni per guardare la partita domenicale . Un po’ lontani e un po’scomodi ma a scrocco, e questo ne rendeva accettabile qualsiasi disagio. In genere ci posizionavamo dietro una delle porte perché spesso il pallone usciva e noi si faceva a gara per riprenderlo e calciarlo con forza ributtandolo nel campo superando il muro e la rete che lo recingeva.
A quei tempi anche possedere un pallone da calcio era un privilegio non da poco, e il proprietario di questo tesoro aveva un potere quasi illimitato su tutti gli altri potendo decidere chi poteva giocare e chi no, in quale squadra o ruolo. E si parlava di palloni  nel migliore dei casi marca Supertele, leggerissimi, o S.Siro, più pesanti ma sempre di gomma. Figurarsi possedere il sogno, il miraggio, l’utopia rappresentato  dal mitico pallone di cuoio quello riservato ai grandi e ai danarosi che potevano giocare nel campo pagando.
Quindi, si capisce facilmente che, quando capitava di averlo anche per pochi attimi tra le mani, l’emozione era forte, talmente forte da far ipotizzare anche un’azione criminale.
Ci si rimuginava a lungo, si studiavano strategie, si valutavano i rischi e i compromessi con la coscienza nel caso in cui avessimo deciso veramente di saltare il fosso della legalità. Devo dire che gli scrupoli di coscienza erano messi a tacere abbastanza facilmente, quello che condizionava molto erano le eventuali conseguenze sia legali, ma soprattutto quelle legate alla reazione dei genitori. Le nostre madri e ancor più i padri non seguivano il metodo Montessori. Avevano poco tempo e molto da fare, quindi seguivano la via classica ma, decisamente,  più rapida ed efficace del terrore. Terrore che si materializzava sotto forma di battipanni, pantofole, cinghie o, in mancanza di questi strumenti, di robusti scapaccioni.
Il rischio era quindi altissimo ma la tentazione, domenica dopo domenica si faceva sempre più forte. E si sa che, se la carne è debole, quella di ragazzini di periferia di fronte a un pallone di cuoio era praticamente carta velina.
Si trattava, alla fin fine solo di trovare l’attimo, la situazione più favorevole.
Situazione che si venne a creare una domenica mattina quando un giocatore calciò con forza il pallone spedendolo oltre la porta dalle nostre parti e, subito dopo, l’arbitro fischiò la fine dell’incontro. Praticamente la situazione perfetta! I giocatori rientravano negli spogliatoi, i pochi spettatori paganti uscivano dalla parte opposta, l’arbitro parlottava in campo e il pallone era lì, con tutta la sua capacità seduttiva e tentatrice apparentemente ignorato da tutti. Ovviamente da tutti gli altri ma non certo da noi e da me.
Uno sguardo circolare in cerca di conferme, un tumulto emotivo e, improvvisamente il buio della ragione. L’istinto predatorio s’impossessò delle mie gambe. Uno scatto, scapicollandomi dalla posizione rialzata, lo prendo! E’ mio, e comincio a correre cercando di nasconderlo sotto la maglietta, ovviamente con scarsi risultati. Gli altri, forse per paura, o per creare un diversivo, comunque spiazzati dagli eventi improvvisi, scappano in direzioni diverse. Io da solo con l’oggetto delle mie più recondite fantasie finalmente tra le mani, attraverso strade, prati, nascondendomi dietro i muri e le poche macchine parcheggiate. Immaginando e, temendo, che fosse stata messa in atto una gigantesca caccia all’uomo. Faccio un giro lunghissimo con il cuore in gola per tornare a casa e far perdere le tracce.
Bene, arrivato in vista di casa, sembra che nessuno mi abbia seguito. I miei pavidi complici, invece, erano già lì ad aspettarmi. Curiosi come scimmie con gli occhi scintillanti immaginando epiche partite ci si strappava il pallone di mano, lo si esaminava, si provava qualche palleggio. Non era il Maracanà, nè S.Siro o l’Olimpico ma in quel momento eravamo tutti Rivera, Pelè o Mazzola.
A quell’età l’euforia pur contagiosa e sopra le righe è , pur sempre, di breve durata e lascia spazio e tempo ad altre considerazioni. “Chi lo tiene?” , “Ah, io non posso”. “Mia madre farebbe mille domande”, “Se lo sa mio padre, mi tronca le gambe””, “Maurì, l’hai preso tu. Lo devi tenere tu”. E’ vero, il desiderio era spasmodico e collettivo ma l’autore materiale ero stato io. Non potevo sfuggire alle mie responsabilità. Considerando, inoltre, che la cosa mi dava anche quel famoso potere che, nello specifico, diventava praticamente assoluto. Il rischio era grosso, ma poteva valerne la pena.
Dopo molte esitazioni cento possibili soluzioni ,valutando tutte le opzioni decisi di nasconderlo dove mio padre teneva attrezzi e carabattole varie. Tanto, sicuramente, di notte, non sarebbero servite.
Passai una notte insonne in un misto di timore, di finto orgoglio e la scoperta di quel fastidioso sentimento che scoprii, in seguito, chiamarsi rimorso.
Mi alzai prestissimo per controllare che nessuno avesse scoperto il provvisorio nascondiglio. Si erano alzati presto anche i miei amici.”Ti hanno detto qualcosa?”, “T’hanno scoperto?”, “Dove l’hai messo?”, “Dai vallo a prendere”.
“Si lo prendo, ma dove ci giochiamo?”. “Hai ragione qui ci vedono”, “Vicino alla strada potrebbe passare qualcuno che lo riconosce”, “Sullo stradone davanti al campo sportivo neanche a parlarne”.
La situazione era seria. Eravamo ricchi, ma non si poteva e non ce la sentivamo di rischiare il riformatorio o i ceffoni per esibire la nostra ricchezza.
La giornata passò in tutt’altra maniera rispetto quella che l’avevamo immaginata.
Dubbi, paure, proposte fantasiose per aggirare l’ostacolo come quella che prevedeva di colorare il pallone per renderlo irriconoscibile.
Eravamo più simili alla “Banda degli onesti”,del  film di Totò che a un nugolo di ragazzini spensierati. E, quello che stava peggio. ero proprio io. Io ero l’autore, io il responsabile, io che avrei avuto la punizione più severa, forse pure i lavori forzati.
Ed ero sempre io che avevo quel magone, quel qualcosa che si agitava nella giovane anima e che, con la sua vocina, mi diceva: “Hai sbagliato, non si ruba, pentiti,”. E più cercavo di zittirla e più continuava:”Tu non sei un ladro, hai fatto una fesseria, puoi e devi rimediare….”.
Si rimediare, sembra facile! Adesso mi presento al campo e dico: “Scusate ho preso in prestito il vostro pallone”, Oppure “L’ho trovato, per caso è vostro?”
No, no, non potevo e, poi avrei rischiato di perdere la faccia e il rispetto dei i miei compagni. No! Non me lo potevo permettere. Dovevo cercare di uscirne con dignità e pagando il prezzo più basso possibile.
Passò un’altra notte difficile in cui scoprii che la coscienza quando ci si mette è veramente una rompiscatole, più dei genitori, più del prete e delle paure che ci infondeva al catechismo. Però al mattino arrivò l’illuminazione. Si avrei fatto così!
Avrei zittito la vocina e ne sarei uscito con dignità agli occhi degli altri.
Dopo un’altra giornata piena di dubbi e domande rimirando, sempre con circospezione e attenti che nessuno ci vedesse,  l’oggetto dei desideri uscii dopo cena con la scusa di andare un attimo a prendere una cosa da un amico. Presi il pallone, lo nascosi, ma non era tanto necessario, perché era già buio. Arrivai dietro il campo di calcio, lo tirai fuori da sotto la maglietta, lo carezzai un’ultima volta, non senza rimpianto, lo alzai e con tutta la forza e la rabbia che avevo lo calciai al di là del muro.
Ecco giustizia era fatta! Era ritornato là dove doveva stare ed io, pur con un certo magone, sentii allentarsi quella morsa alla bocca dello stomaco e la vocina che diceva: ”Bravo! Sono orgogliosa di te! Oggi hai imparato una cosa che ti porterai dietro per tutta la tua vita”.
“Oh, stai zitta , per favore, non l’ho fatto  per te!”,
“Si, lo so, l’hai fatto per te stesso”.
Al mattino successivo tutti aspettavano il pallone invece arrivò, ufficialmente, la notizia che durante la notte era stato rubato. E, un pochino da carognetta, insinuai anche il sospetto, che potesse trattarsi, addirittura di qualcuno di noi. E, lo so, non era corretto ma la mia buona azione l’avevo già fatta, non pretendiamo troppo da un bambino. Avrei avuto tempo e modo negli anni a venire di imparare ad ascoltare quella vocina che, quando serve, non manca mai di farsi sentire e di cui sono diventato, nel frattempo il migliore amico.


MIZIO

sabato 21 gennaio 2017

IL MIO ABRUZZO


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I miei primi amici d'infanzia erano abruzzesi, figli di quei "cafoni" che dalle montagne della Marsica arrivavano a popolare le periferie romane. Servivano braccia forti e abituate alla fatica per stare dietro al boom edilizio speculativo degli anni 60/70. Si sacrificavano, si spaccavano la schiena per dare ai loro figli la possibilità di sfuggire a un destino già segnato. E' con loro che ho conosciuto quel modo di stare al mondo. In punta di piedi, delicatamente ma con l'ostinazione e la determinazione che solo una vita di sacrifici in un ambiente duro poteva dare. E' stato anche grazie a loro che ho cominciato la scoperta di quella regione così vicina ma così lontana nelle loro storie nostalgiche, fantastiche e affascinanti piene di lupi, orsi e trote da prendere con le mani nei torrenti dall' acqua ghiacciata.
Poi arrivò la scoperta di Ignazio Silone che, di quelle terre e di quelle genti ne fu il cantore. Sapeva raccontare e far emergerne l' ingenua visione del mondo fatta di rapporti naturali e quasi immutabili, accettati anche nella loro crudezza, ma da sfidare continuamente per mitigarne gli effetti.
Abruzzo forte e gentile! In questa semplice frase è raccolto un mondo che parla di donne e uomini votati alla fatica, alla durezza della vita ma capaci, ostinatamente di andargli incontro col sorriso e la consapevolezza raggiunta grazie a un antico equilibrio. Equilibrio della natura che ha permesso la sopravvivenza di un ambiente unico in Italia e, forse in Europa. Equilibrio nei rapporti tra esseri umani e non. Equilibrio, fondamentalmente con se stessi.
Per chi non lo conosce provi ad andarci, percorra le sue valli incassate fra i monti, passeggi fra le sue faggete, trattenga il respiro alla vista dell'orso o del camoscio. Ci vada con l'anima depurata dall'aspettativa tipica del vacanziero colonizzatore bulimico . Lo percorra con la flemma e la serenità che le genti e i paesaggi infondono e capirà perchè l'Abruzzo e gli abruzzesi ce l'hanno sempre fatta e continueranno sempre a farcela, anche in questa occasione.

Forza Abruzzo .