giovedì 16 marzo 2017

C'E' CRISI, GRANDE CRISI!

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Quando nel 2008, cominciò questa lunghissima crisi fu chiaro fin quasi da subito che si trattava di una crisi non ciclica e non episodica, come tante altre tipiche del capitalismo. Diversa e più devastante anche della famosa crisi del ’29, perché diverse le condizioni, diverse le motivazioni, diverso l’habitat e gli assetti sociali e mondiali. La globalizzazione e la mercificazione delle umane attività legate sempre più, non solo e non prevalentemente al profitto del capitalista, ma alla speculazione finanziaria, associata ad una indotta richiesta sempre maggiore di merci a prezzi sempre più bassi  e conseguenti sfruttamenti di risorse a prezzi sempre crescenti ha creato un cortocircuito sistemico e non limitato al solo periodo interessato. Da come si valuta e da come se ne uscirà sapremo se la lezione di questi anni sarà servita a qualcosa o se continueremo nella folle corsa verso l’autodistruzione. Le risposte della politica e dell’economia “classica” sono state insufficienti, sbagliate e hanno fondamentalmente peggiorato gli effetti della crisi stessa, non leggendola e non affrontandola con le giuste armi e la giusta visuale.
Per certi aspetti, anche giustamente, è stata abbandonata, in nome della complessità, la visione novecentesca della società, e la conseguente visione ideologica che puntava al riscatto collettivo dell’essere umano. Si è dato spazio e dignità a forme sempre più esasperate di competizione tra gruppi e singoli esaltando, oltremisura, il ruolo dell’IO rispetto al NOI. Ricordate il mantra, ancora in voga anche tra di noi, della meritocrazia e della rottamazione? Ebbene in quest’ottica e in questa condivisione passiva della logica che c’era dietro, invece che esaltare le potenzialità di ognuno e indirizzarle ad un balzo qualitativo generale, si sono giustificate e aperte all’accettazione sociale le gabbie dei peggiori istinti egoistici e al conseguente massacro sociale, sia che interessi gli stati, gruppi o singoli. Ovviamente nulla è casuale, se questo è stato fatto, appare evidente che dietro ci siano interessi precisi. Gli interessi di quegli stessi che, pur essendo i maggiori responsabili della crisi, dalla stessa hanno ricevuto i migliori benefici.
Ritornando alla domanda che, da sempre ci si fa, del che fare? Appare chiaro che chiunque voglia uscire da questa crisi e combatterne i nefasti effetti, non può farlo ricorrendo ad una semplice operazione di maquillage.
Tanto per essere più chiari e precisi, il semplice ricorrere ai classici parametri della crescita economica, pur apparendo come la risposta più semplice e comprensibile al momento, non è certamente quella più adeguata. Si diceva all’inizio crisi sistemica e non episodica. Forza lavoro sempre più abbondante e sempre più a buon mercato con sempre meno posti da occupare. Materie prime e beni essenziali (es. l’acqua), sempre più scarsi e fonte di speculazioni globali e monopolistiche. Presenza di una finanza che salvaguarda esclusivamente se stessa e il proprio ruolo dominante svincolata da qualsiasi dovere sociale o politico di sussidiarietà. Un ambiente e le sue risorse che, seppur immenso, non è illimitato e con il massiccio sfruttamento legato esclusivamente alla logica del profitto rischia  di portare l’umanità ad un default collettivo senza precedenti, non fra mille anni  ma in pochi decenni. Mettiamoci anche le guerre, le carestie, le ingiustizie sociali di quelle parti del mondo da sempre considerata come territori da sfruttare e depredare, con le conseguenti migrazioni bibliche di questi anni, e il quadro è abbastanza completo per essere non preoccupati, ma atterriti. E, purtroppo, sembrano inadeguati e limitati anche gli strumenti e le letture forniti dalla politica, anche quella ideologica, legate come sono, ad un riscontro immediato e misurabile in termini di risultati elettorali. E’ indubbio che rispetto le problematiche drammaticamente esplose con la crisi attuale, ma già presenti  nel corpo sociale da tempo, il capitalismo soprattutto nella sua forma più recente e cinica, quello liberista finanziario,appare senza dubbio, come il maggiore responsabile e, di conseguenza,il più  inadeguato a fornire risposte e soluzioni. Risposte e soluzioni che possono partire solo da quelle forze e da quegli ideali che partendo da una base di ricerca di giustizia, eguaglianza e libertà possono, più facilmente e più logicamente, fare proprie nuove visioni e nuove tematiche da iniettare nel proprio dna politico senza rischiare grosse crisi di rigetto. Ecco quindi che veniamo al noi e a quello che ognuno può fare nel suo piccolo. Forse non è un caso che, in alcuni paesi, la crisi abbia prodotto effetti più pesanti che per altri, come nel caso dell’Italia. E non è un caso, forse, che il tutto sia stato esponenzialmente aggravato, da una lettura da parte della sinistra, sbagliata e in controtendenza rispetto i propri presupposti ideali prima che ideologici. Se questo può essere vero, e secondo me è un aspetto da non sottovalutare, una delle cose da fare è cercare di risostruire quel tessuto connettivo che faceva della sinistra, in passato, il principale baluardo contro gli eccessi e le ingiustizie insite nel sistema capitalista. Nessun nostalgico riproporsi di schemi e simboli che appartengono al sentimento e alla storia personale e collettiva, ma la proposizione con forza del concetto che, se non si parte dalla lotta alle disuguaglianze, non potremo mai sperare di innestarle e contaminarle con successo con le nuove tematiche. Quelle che parlano di un’economia sostenibile, di una salvaguardia ambientale, di un cambiamento sostanziale anche di usi e consumi personali. Troppo spesso queste sono legate, nella proposta,  a forme di francescanesimo o di pauperismo che, per gran parte della popolazione mondiale (e anche italiana) in condizioni di sofferenza e povertà non potrebbero mai, non solo, essere recepite e fatte proprie, ma sicuramente avversate e combattute.
Questa è la sfida che abbiamo di fronte, queste sono secondo me, le possibilità che abbiamo. Se stiamo passivamente ad aspettare che un’inversione di tendenza venga da coloro che ne sono i responsabili rischieremmo la paralisi e il default collettivo, non finanziario, non economico ma globale.


MIZIO