lunedì 20 agosto 2018

La mancanza del “limite” e il dissolvimento del desiderio


Pubblichiamo un altro prezioso contributo del Dott. Maurizio Santopietro con un suo particolare punto di vista sull'evoluzione dei rapporti e la sessualità.


E’ profondo l’interesse, di grande parte della gente, per l’Amore, (nella manifestazione prevalentemente sessuale o di coppia), per la Salute (concepita come assenza di malattie), per il Danaro (come fonte di potere, di successo personale e sociale), così come vengono considerati generalmente nel nostro Paese. Questi argomenti affascinano talmente tanto che i cosiddetti “operatori dell’occulto” costruiscono intere fortune e, considerando che nel mese di dicembre * abbondano le richieste di previsioni, di oracoli, di predizione del futuro, mi sembra utile ragionare su questi temi, tentando una diversa argomentazione. Nel campo dell’Amore, ad esempio, o più precisamente nell’espressione sessuale, sembra (apparentemente) paradossale come, in un periodo di disinibizione culturale (video, grafica, cinematografica, televisiva, ecc…), aumentino i disturbi da “mancanza di desiderio sessuale”. Disturbi che difficilmente si manifestavano, o di cui non si sentiva parlare prima degli inizi settanta. La morale dominante relativa alla sessualità era condizionata fortemente dalla concezione religiosa, spingendo verso una mentalità “bigotta”, almeno nelle relazioni pubbliche, dal momento che fungeva da vero e proprio tabù sociale. La sessualità era “giustificata” in funzione della procreazione, all’interno del rapporto coniugale, cosicché ogni altra variazione “sul tema” apparteneva ad ambiti “immorali”, legati a concezioni “perverse”. Senza però voler entrare nel merito del giudizio morale in modo specifico anzi, limitando il raggio delle valutazioni secondo altri punti di vista, si noti come emerga, nei confronti del periodo “presessantottino”, una profonda diversità di modelli comportamentali esibiti nell’esecuzione dei rituali del corteggiamento, per quello della “prima volta”, per l’incontro a scopo sessuale. Queste condotte sociali richiedevano tempi nettamente più lunghi, rispetto a quelli attuali, per realizzare il fine principale, costituito appunto dalla gratificazione sessuale. In queste epoche snaturale” deterrente contro la perdita di desiderio. Allora il punto da dibattere diventa il seguente: esisteva già tale forma di disturbo sessuale, oppure non era rilevato? O non se ne era a conoscenza? Di fatto la concezione inibitoria implicita nel costume sessuale dominante, rendeva l’esperienza intima, altamente privata, quasi segreta e profondamente desiderata. Se così fosse, sarebbe proprio il ”tabù sociale”, il “modulatore” della ricerca al soddisfacimento del piacere sessuale! Infatti, in quanto “limitato” dal contesto socio-culturale (periodo di “repressione istintuale”), il piacere sessuale sembra allora essere legato, entro una certa misura, al “piacere di trasgredire” e al “piacere della conquista” (il premio). Ai nostri giorni accade, infatti, esattamente l’opposto, i “contatti” eterosessuali sono iperfacilitati e la consumazione del comportamento sessuale avviene in tempi molto più rapidi, inoltre il confine del limite morale, legato all’esperienza sessuale, si sposta troppo rapidamente, da non permettere adeguati processi di assimilazione e di accomodamento del sistema di “credenze” individuale. In seguito a tali cambiamenti di costume, cade in modo drastico e improvviso il “limite”, assieme alle ideologie che culturalmente lo legittimava, e assieme altri fattori fra cui: a) l’emersione di modelli morali “libertini” (da quello naturalistico dei “Figli dei Fiori” quello consumistico della “prestazione”); b) l’accentuazione dell’ansia di “prestazione” (soprattutto maschile); c) il cambiamento del ruolo sociale della donna e dell’uomo; d) la scoperta della sessualità femminile, di cui (quasi) nulla si sapeva, e che ha spiazzato il maschio, ex “dominatore”, soprattutto in rapporto al punto precedente. Tutto ciò ha concorso alla produzione di problematiche relazionali-sessuali difficilmente prevedibili in termini epidemiologici, considerando la liberalità dei nuovi approcci alla sessualità. E’ probabile che il processo culturale di ridefinizione del costume sessuale sia avvenuto in modo “traumatico”, sia rispetto al criterio temporale (lasso di tempo molto breve, per un processo di assimilazione compatibile con il ritmo di interiorizzazione psicologica), sia concettualmente (le credenze, secolarmente consolidate, difficilmente sono sostituibili nello spazio di poche generazioni). Tutto ciò ha provocato, secondo me, una profonda “rottura delle abitudini” storicamente acquisite, tra i modelli emergenti e la risposta individuale, causando un certo disorientamento verso il modo di vivere l’esperienza sessuale. In altre parole, si sarebbe creata una grande spaccatura tra la nuova e la veccia concezione culturale (ogni cambiamento è una naturale crisi), e tra i “nuovi costumi sessuali” e i modelli psicologici individuale (sistema di credenza personale). Del resto, le vecchie concezioni morali possedevano “proprietà statiche”, avendo avuto una durata per generazioni e generazioni, conferendo quindi stabilità di ruolo, di aspettative, generando sicurezza psicologica; al contrario, i tempi tecnologici condizionando continuamente le nuove concezioni (si pensi alle tecniche di contraccezione, a internet, alla realtà virtuale, ecc..), e spostando repentinamente i confini morali della sessualità, estremizzandoli (lo scambio di coppia è un opzione una volta impensabile, ad esempio), producono effetti ansiogeni e incertezza. Sul piano proprio del costume diventa più difficoltoso discriminare il “lecito” dall’illecito e tra ciò che è sano e ciò che è “malato” (ad esempio, l’omosessualità, che riguarda la scelta dell’”oggetto sessuale” adulto, era considerata, ancora decenni fa, una “patologia”), e così via. I “limiti”, per l’elevato grado di incoerente complessità della nostra vita socio-economica, non sono più identificabili come una volta, e non solo nello specifico ambito sessuale, ma anche nella sfera a) dell’educazione pedagogica (bambini che non ricevono più sufficientemente “no”, che non provano più piacere dei continui giocattoli ottenuti senza “merito”); b) in quella alimentare (come nel caso dell’anoressia, caratterizzata dall’“assenza” di desiderio del cibo, o del suo contrario, la bulimia); c) in quella civica (in cui l’emersione egoistica dell’Io non fa vedere il confine del rispetto per gli altri); d) in quella scolastica (in cui il ruolo dell’insegnante è sganciato dalla funzione pedagogico-educativa), ecc… Cadendo il limite si dissolve il relativo desiderio, e ciò contribuisce alla formazione di altri comportamenti sintomatologici delle diverse sfere comportamentali, infatti, venendo a mancare i vari “piaceri” , (cioè l’altra faccia del limite), si riducono i fattori di coesione delle funzioni e delle parti dell’Io. E’ opportuno perciò insegnare nell’educazione globale, un sano apprendimento dei “limiti”, al di là delle ideologie culturali di volta in volta dominanti.

Dott. Maurizio Santopietro



N.B.: L’articolo è già stato pubblicato da “L’attualità”, n.1 Gennaio 2004toriche, la “non facilità” a soddisfare il bisogno sessuale, sembra porsi quasi come una sorta di “

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