sabato 13 ottobre 2018

LA' DOVE PISCIANO I CANI

Ci sono più cose negli spazi bianche fra le righe che nelle parole scritte.


Breve estratto iniziale di un testo, in gran parte autobiografico che prima o poi vedrà la luce!




La' dove adesso portano a pisciare i cani, ho dormito io. Sembra impossibile che un prato, fortunatamente diventato un parco strappato alla speculazione edilizia, possa aver ospitato, neanche troppi anni fa, un'intera comunità. Una comunità che è stata per gli anni dell'infanzia anche la mia. Le maestose rovine degli acquedotti con la loro presenza millenaria ci facevano da scudo e da riferimento. Quello che oggi distratti running con l'occhio fisso sul cardiofrequenzimetro e coppie in cerca di tranquillità vedono come un angolo in cui rifugiarsi per sfuggire al caos dell'incombente città era il nostro habitat. Il panorama creato dalle fila dei palazzi che nascevano come funghi alterando continuamente la skyline, erano il nostro orizzonte e il nostro confine. Fortunatamente alle spalle si stendeva ancora la campagna romana che tentava di resistere alle bramosie dei palazzinari e porgeva la mano ai primi declivi dei Colli Albani. Campi di grano, vigneti, pinete erano la nostra savana e la nostra Amazzonia. Nulla chiedevano e molto davano, compresi i bagni nella marrana che allora era limpida e non insozzata da mille schifezze, in cui facevamo conoscenza sul campo e senza insegnanti di pesci, rane, tritoni e rettili. Ogni metro quadro è stato testimone di qualche nostra avventura. Ogni albero ha conosciuto il nostro stupore e la nostra, anche crudele, innocenza. Innocenza messa, presto a dura prova dall'incontro, che inevitabilmente diventava scontro, con l'habitat meschino, razzista e snob della piccola e media borghesia che, intanto progressivamente, si avvicinava. Eravamo i figli dei sottoproletari, eravamo gli zingari, come con disprezzo ci chiamavano. Eravamo i figli delle ultime vittime della guerra i cui genitori avevano faticato più di altri per rimettersi in piedi. Cui si erano aggiunti nel frattempo i figli degli emigranti dall'Abruzzo, dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Calabria, finiti relegati ai margini della grande città bisognosa di mano d'opera. La storia, anche ripensando all'oggi, alla fin fine racconta sempre sé stessa anche se con interpreti diversi. Ero circondato da figure come quelle descritte da Pasolini, cinici, sfrontati, costantemente sopra le righe, potenzialmente anche violenti ma fondamentalmente disarmati nella tragica impotenza a fronte di un mondo che cambiava troppo in fretta per i loro semplici schemi di lettura e capacità di decodifica.
In questo humus poteva nascere, e sarebbe stato anche comprensibile, un mix esplosivo di rabbia, di voglia di rivalsa a tutti i costi e anche di violenza cieca. Per fortuna, come cantava anche il grande Faber, dal letame nascono soprattutto fiori. Nello specifico, grazie anche a figure fondamentali nella nostra crescita sono nati molti fiori mossi dalla voglia giustizia e non di vendetta, dalla smania di conoscenza, dalla ricerca di un riscatto in termini di conquista di dignità e coscienza. Fiori che nel tempo si sono, quasi naturalmente, trasformati in impegno sociale, politico, per alcuni anche religioso ma, per tutti, fondamentalmente in un continuo tentativo di costruzione di un mondo in cui non ci siano classifiche di merito, ma solo persone con i loro sogni e i loro bisogni.
E di questo cammino di ricerca e conquista, non facile e irto di ostacoli, con molte dolorose cadute  e altrettanti momenti entusiasmanti che cercheremo di parlare. Ne parleremo non certo con la voglia o la presunzione di insegnare alcunchè, convinti come siamo, che l'avventura della vita sia per sua natura solitaria e non trasmettibile, se non a grandi linee.

MIZIO

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