Siamo
arrivati quasi alla fine di questa lunga, tormentata, difficile campagna
elettorale sul referendum costituzionale. Ci si arriva stremati, consumati,
convinti che, comunque, in questo periodo storico una spaccatura così profonda
nel paese non la ritenevamo assolutamente necessaria, al di là delle cosiddette
questioni nel merito della riforma. Le quali, avrebbero avuto bisogno, laddove
si fosse deciso di intervenire su di essa, di ben altro clima di confronto, di
elaborazione e proposte le più condivise possibili.
Però,
come si dice, “cosa fatta capo ha” e, in attesa di consumere le ultime ore di
impegno per conquistare qualche ultimo indeciso alla causa del no, vorrei
portarmi già al 5 dicembre e prefigurare l’Italia prossima ventura nel caso,
non augurabile, vinca il si. Lo faremo anche dopo, in ogni caso, con i dati e
le reazioni relative al risultato reale e non ipotetico, ma intanto può essere
un modo simpatico e per valutare le proprie capacità di analisi politica.
Analisi che partono, non da posizioni o da ponderate elucubrazioni frutto di
studi e approfondite ricerche, ma da semplici sensazioni derivanti dal vivere
quotidiano tra, e, insieme alla cosiddetta ”ggente”.
Mi
pare che tutti siano stati d’accordo che, chiunque vinca, il sole continuerà a
sorgere, tento per citare Obama. L’Italia continuerà a doversi confrontare con
i suoi mille problemi, probabilmente anche con la stessa classe politica,
responsabile prima, anche se non unica, dell’attuale situazione. Non sarà tre
volte Natale o festa tutto il giorno. I precari, i disoccupati, i lavoratori,
avranno gli stessi identici problemi del 3 dicembre.
Quindi?
Cambiare tutto per non cambiare nulla?
Calma!
Qualcosa cambierà, anche se per avvertirne gli effetti ci sarà da aspettare qualche
tempo. Perché la riforma costituzionale messa in piedi, non sortirà alcun
effetto se non accompagnata da una riforma elettorale conseguenziale
(L’Italicum?) all’interno della ogica di semplificazione politica e del
bipolarismo.
Quindi
avremo un Senato che non sarà più eletto dai cittadini, checchè se ne dica,
perchè così è scritto chiaramente nella riforma. La Camera dei deputati con un
premio di maggioranza superiore a quello, già discutibile, attuale non sarà più rappresentativa ma potrebbe essere
espressione di una minoranza più o meno significativa.
Allora,
tutto bene Madama Dorè, vista con l’ottica del supremo interesse della
stabilità e della governabilità.
Sfuggono,
però, alcuni particolari a questa visione paradisiaca, prefigurata da alcuni di
“lor signori” (cit. Fortebraccio per chi lo ricorda).
La
situazione economica e sociale italiana è, per chi l’avesse dimenticato,
drammatica. Le criticità del disagio e di inclusione non sembrano poter essere
superate in tempi brevi, nonostante in queste ultime ore ci si sforzi di far
intravedere scenari positivi, e lo sarà,a maggior ragione, con la vittoria del
si.
Senza
voler entrare nel merito di tutte le analisi che confermano l’aumento dei
poveri, la difficoltà di accesso di un numero sempre maggiore alle prestazioni
sanitarie, alla possibilità di studio e spesso di sopravvivenza, ma , tenendola,
comunque, presente, a tutto questo noi andiamo a togliere quella che è la
possibilità di mediazione politica e sociale che può dare la rappresentanza,
garantita dalla costituzione vigente.
Avremo,
quindi e logicamente, un aumento della forza attrattiva di visioni populiste e
massificatrici, con un probabile spostamento elettorale verso queste o, a un
rassegnato astensionismo (già decisamente troppo alto ad oggi). Questo nel
migliore dei casi. Perché c’è anche il rischio, non solo teorico, che, a fronte
dell’impossibilità di vedere rappresentate legalmente e democraticamente le
proprie criticità, ci possa essere una recrudescenza e un aumento di forme di
illegalità, a quel punto difficilmente condannabili, fino ad arrivare ad un
aumento possibile, di consensi a forme anche di confronto violento.
Negli
ultimi tempi abbiamo già assistito a forme di repressione, spesso brutale, di
forme di contrapposizione sociale con relativa diminuzione degli spazi
democratici di manifestare il proprio pensiero o il proprio disagio.
Conseguentemente, nel caso malaugurato, di una recrudescenza di tali
manifestazioni nel quadro prefigurato, mi sembra logico aspettarsi un ulteriore
giro di vite in questo senso.
La
sinistra credo, si debba porre seriamente il problema, perché storicamente e,
logicamente, è da quella parte che sono mancate quelle risposte fino ad oggi.
Quelle risposte che puntellano, sostengono con un’azione politica non
frammentata e non episodica, le aspettative dei settori più disagiati della
società.
Se
dovesse (ripeto, malauguratamente e in via ipotetica) vincere il si il compito
della sinistra sarebbe di quelli da far tremare le vene nei polsi e penso sia inutile, e
persino dannoso, oggi prefigurare scenari che tengono conto solo dei nostri
desiderata personali e non di una responsabilità storica e politica più
complessiva.
Comunque,
per consolarci, sono convinto che vincerà il NO, e potremo tranquillamente
continuare nei nostri balletti e nelle nostre sterili polemiche, continuando a
non capire cosa si muove e cosa si aspetta chi è schiacciato e messo al muro da
questo sistema, a prescindere dal voto referendario che rappresenterebbe solo
la ciliegina su una torta che è, comunque, già pronta da tempo.
Ad
maiora
MIZIO