martedì 15 dicembre 2020

UN PARTITO, DATEMI UN PARTTO

C'è un disperato bisogno...anzi no. Forse sono io che ho un disperato bisogno di un partito, serio, organizzato, presente, ideologico, ma anche pragmatico se servisse per migliorare le condizioni degli ultimi. Novecentesco o millenians che sia, perché non è certo questo il punto. L'importante è che sappia stare laddove serve stare e non dove conviene. Che sappia scegliere sempre secondo coscienza e non secondo convenienza. Che sia affidabile, non interpretabile e non episodico. Che non segua la moda del momento ma rappresenti valori senza tempo. I cui dirigenti e componenti scelgano l'empatia, la giustizia, la pace e l'amore. Si l'amore, quello necessario, indispensabile, libero e equilibrato. L' odio lo si lasci a chi vive per vincere e impone la competizione tra gli esseri umani, come elemento naturale e ineluttabile. Nelle guerre e nella violenza si son sempre pasciuti lor signori e ad affondare sono sempre stati i poveracci. Nell'amore si deve e si può trovare spazio, ragione e realizzazione per la vera rivoluzione. Si potrebbe dire che detta così, l'esigenza epidermica di un riferimento di tal fatta possa derivare da una carenza quasi affettiva. E, per certi versi, lo è sicuramente, anche se la linea immaginata non è certo quella del porgere l'altra guancia ma quella dell'utilizzare la parte migliore di ognuno. Se la politica, l'appartenenza, la vita stessa non viene vissuta con la giusta dose di passionalità e dandole un senso che vada oltre il soddisfacimento della quotidianità, perde gran parte del suo valore. Inoltre, credo si sia anche stanchi (parlo sempre per me stesso), di somigliare a quei topini da vlaboratorio messi in un labirinto. Labirinto cui cambiano continuamente i percorsi, per il solo gusto sadico di fare stupide prove utili, forse ad altri, ma non certo ai topini stessi. Si avverte il bisogno di una meta (parlo sempre per me) di qualcuno che ne indichi la strada e di chi ci tenga compagnia nel percorso. Troppi gli esperimenti da laboratorio politico, fatti sulla buona fede dei sempre più smarriti spettatori. Troppe messe in scena con gli stessi poco credibili attori e con gli stessi ripetuti, retorici, improbabili canovacci, degni, al massimo, di una sceneggiatura da telenovela. Non servono, perlomeno non per i tanti, e non si sente il bisogno di questo. Così come non si sente quello della difesa strenua della propria piccola, orgogliosa ma impalpabile identità. Sono ormai (ahimè) abbastanza maturo e attento per capire le ragioni pavide degli uni e anche la rabbia feroce degli altri. Ma, altrettanto sicuro che non servano né l'opportunismo spacciato per necessario realismo ma nemmeno l'intransigenza, sia pur coerente, ma sterile. Essendo presente, in entrambi gli aspetti, il serio rischio di rappresentarsi in senso limitato e retorico. Il perché di questa riflessione mi pare chiaro che venga, sia da un percorso fatto di tappe, accidenti e fallimenti personali, che lasciano l'amaro in bocca ma, soprattutto, dal vedere reiterati errori, liturgie, passaggi che pensavamo veramente appartenenti a un passato non più proponibile. Ma forse, non sono neanche errori, sono calcoli, speranze, investimenti per un prossimo futuro personale, altrimenti incerto. Gente che ha limitato coscientemente la democrazia votando la diminuzione dei parlamentari. Gli stessi che non hanno la forza (o la volontà?) di cambiare in senso proporzionale una legge elettorale, si preparano una scialuppa di salvataggio, più o meno con le stesse parole d'ordine e modalità. Imbarcando un po' di tutto e sperando, insieme a quegli altri dell'altro cantiere della sinistra, di rimanere attaccati alla nave madre del PD e sperando di essere tratti a bordo nelle prossime elezioni. Non mi scandalizzo e non condanno ma, evitiamo di prenderci in giro. È una questione di rispetto reciproco. Si potrebbero riportare dichiarazioni e intenti di qualche anno fa che, cambiando solo la data, sembrano l' esatta fotocopia delle speranzose, entusiastiche, emozionate dichiarazioni attuali. D'altra parte non posso neanche non sottolineare l'incapacità e l'orgogliosa supponenza di essere nel giusto, che impedisce ai tanti cespugli della sinistra radicale di trovare una base comune non per autopromozione, ma per diventare quello strumento critico, alternativo, significativo e credibile di cui vi sarebbe tanto bisogno per i lavoratori e per gli ultimi in generale. Ma se non siamo in grado di cambiare neanche noi stessi, difficilmente si può pensare di cambiare il mondo. Così noi continueremo ad avvertire coscientemente, ma con sempre meno speranze, la necessità di qualcosa in cui tornare ragionevolmente a credere. MIZIO