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martedì 10 ottobre 2023
COMUNITA'...MA DE CHE?
In relazione ad ogni avvenimento più o meno grave che accade in qualche parte del mondo nelle dichiarazioni sia dei media, che dei politici si fa un costante riferimento alla cosiddetta Comunità Internazionale. Una Comunità che, a seconda delle circostanze, condanna, solidarizza o appoggia Tizio o Caio. Ma tradotto in soldoni chi e cosa è questa Comunità Internazionale?
Logica vorrebbe che tale entità sia rappresentata dal consesso internazionale più ampio possibile che si conosca, l'ONU. E che, conseguentemente, sia l'opinione espressa da tale istituzione o perlomeno, dalla maggioranza dei partecipanti. Però, leggendo anche molto superficialmente le notizie in merito, veniamo a scoprire che la stragrande maggioranza delle risoluzioni ONU approvate, sono rimaste lettera morta. Non hanno quasi mai, minimamente rappresentato un vincolo tale da condizionare o risolvere le questioni in oggetto. E pensiamo, tanto per non fare nomi e rimanere alla cronaca, alla questione palestinese e anche alla guerra in Ucraina.
All'ONU sono state votate risoluzioni, anche a grande maggioranza, esattamente contrarie e contrastanti con quelle che ci raccontano, espresse dalla Comunità Internazionale.
Quindi appare chiaro che la cosiddetta comunità è un concetto veicolato e valevole solo in alcuni paesi e porzioni del pianeta. Concetto che risale ad una presunzione di superiorità che, se già molto discutibile nei secoli scorsi, oggi appare totalmente fuori da ogni contesto e logica. Sembrano questioni di lana caprina, a fronte dei drammi e delle tragedie odierne. Ma è proprio dalla sottovalutazione dei linguaggi e dai messaggi meno esibiti, che passano i condizionamenti e e le distorsioni nelle letture degli accadimenti. Le stesse distorsioni e condizionamenti che i poteri, in ogni angolo del mondo, hanno sempre usato per distrarre e tenere divisi e sfruttabili interi popoli.
MIZIO
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lunedì 4 maggio 2020
NULLA SARA' COME PRIMA
Questa
pandemia, oltre la paura, i lutti, i danni economici, la reclusione
forzata ha posto, o permesso che emergessero e che si facessero
strada interrogativi legati più intimamente ai destini singoli e
collettivi. Sarà possibile dopo questa esperienza, che tutto possa
tornare come prima?
Sarà
possibile far finta che tutto lo tsunami emotivo, esistenziale
vissuto in questi giorni, possa esaurirsi e considerarlo alla stregua
di un brutto sogno?
Al
momento possiamo tranquillamente affermare che per molti, già non
sia e non potrà essere così. Intanto per chi ha sofferto lutti e
sofferenze sarà impossibile dimenticare. Per intere classi
professionali, dal personale sanitario e a tutti quelli che per
scelta o obbligo hanno dovuto sfidare il contagio, oltre la
soddisfazione per il servizio svolto e la felicità per esserne
usciti indenni, risulterà difficile dimenticare. E, anche per chi
più semplicemente ha dovuto cambiare radicalmente il proprio stile
di vita chiudendosi in casa, non sarà semplice riprendere come
niente fosse.
La
scienza, la politica, la chiesa, il mondo del calcio, il mondo
industriale, le varie associazioni rappresentative ecc. ecc. in
questi giorni hanno offerto contemporaneamente il meglio e il peggio
di sé dando l'impressione di non essere gli strumenti più adeguati
e idonei per affrontare situazioni emergenziali come queste.
E anche
i singoli che, a questi soggetti delegano, o comunque volenti o
nolenti, demandano decisioni e responsabilità, non hanno dato grande
prova di maturità e serenità di giudizio. Più che a un cosciente e
responsabile atteggiamento improntato alla prudenza e alla
consapevolezza della gravità, abbiamo assistito alla discesa in
campo delle tifoserie più scalmanate e prive quasi di filtri. Quasi
l'importante non fosse limitare i danni se ma esprimere la soddisfazione
per gli errori e le pecche del “nemico”.
E non
solo la politica ha dato pessima prova di sé, ma anche tutti quei
soggetti elencati prima, compreso il mondo scientifico che dovrebbe
essere quello più asettico e meno incline a condizionamenti o a
speculazioni interessate.
Quasi
tutti, comunque hanno convenuto su una cosa, nulla potrà essere come
prima, nonostante i desideri e le nostalgie dei più.
La
questione, adesso, è capire in che modo e in quale direzione
dovranno essere indirizzati gli sforzi affinchè veramente, il
prossimo futuro, oltre che diverso, possa essere anche migliore di
prima.
Credo
che, nonostante,alcune buone intenzioni, il rapace mondo degli
affari, degli interessi, del profitto, della speculazione stia
affilando le armi affinchè il tutto cambi certo, ma se possibile in
peggio, e a proprio favore.
La
politica non promette nulla di buono avendo scelto, da una parte,
quella attualmente al governo, di continuare a legare i propri
destini a quelli di un'Europa che, se possibile, anche in questa
occasione ha dimostrato il peggio di sé. L' altra capace solo di
contrapporsi polemicamente, strumentalmente e a prescindere, al
governo, ma totalmente incapace di portare avanti un proposta
credibile e percorribile.
Poi
abbiamo alcuni tra coloro che potrebbero avere buone idee di
organizzazione e giustizia sociale e con motivazioni ideali sufficienti
per elevarne le azioni ma che comunque, continuano a preferire il
piccolo cabotaggio della critica ideologica, quasi fine a sé stessa
visto che viene espressa parcellizzata e ininfluente da ognuno dalla propria piccola torretta testimoniale. E, paradossalmente lo si fa quasi
coscientemente, argomentando le situazioni con gli stessi obiettivi e
addirittura gli stessi termini. Cosa, allora, impedisca il naturale, logico passaggio al riconoscimento e all'accettazione di ciò, sembra più argomento da
psicanalisi che politico.
Se la
sinistra vuole avere ancora una sua ragion d'essere che non può
essere limitata al solo ruolo di grillo parlante o di denuncia
critica. In questa prossima fase dovrà essere soprattutto
propositiva. Non certo, per arrivare ad avere un'ammucchiata di sigle
da spendere elettoralmente, ma per rappresentare visivamente e
realisticamente una proposta politica comprensibile e accettabile dai
più.
Per
quale motivo, ad esempio, qualsiasi esperienza di sinistra finisce
per raccogliere poche adesioni, e quelle poche quasi esclusivamente
all'interno di un mondo piccolo borghese, di autoreferenzialità
intellettuale o politica? Da decenni, ormai, non si riesce a
passare più attraverso il setaccio a maglie strette del giudizio e del favore delle masse
operaie o del sottoproletariato.
Eppure
l'habitat naturale della sinistra di classe dovrebbe essere quello,
non certo il salotto borghese dei talk show. Gli sforzi dei singoli,
ammirevoli quanto si vuole, ma se protagonisti in un teatro dalla platea
vuota, rappresentano un inspiegabile spreco di energie e competenze.
Dovremmo
saperlo, dovremmo averlo già capito da tempo con chi dovremmo
ritornare a parlare. Lo sport preferito, sembra essere ormai, anche
dalle nostre parti lo sprezzante giudizio da maestra di scuola
elementare, che si erge e si fa beffe dell'ignoranza diffusa
criticando e sottolineando con la penna rossa l'errato uso del
congiuntivo.
Cosa
giusta e importante, ma non al punto di farne una discriminante e un
fossato che divide le persone e gli ambienti sociali. Si è, al
massimo, ritornati a parlare di loro, anche sinceramente, ma non con
loro
Si
dovrebbe riscoprire nel poco di DNA popolare residuo rimasto degli
antichi legami, che in fondo è più necessario essere simili e
vicini al pensiero dell'operaio che vota Lega piuttosto che al
giovane, rampante, rappresentante della piccola media borghesia i cui
spazi o ambizioni sociali personali, trovano il proprio posto nei
salotti del politically correct.
Quindi ,
sembra chiaro, che, volenti o nolenti, da questa pandemia ne dovremmo
uscire profondamente cambiati. Lo sforzo che ci aspetta non è quello
di riannodare semplicemente il filo di un discorso interrotto, ma
proprio di provare a cambiarlo radicalmente quel discorso.
Già
oggi, la crisi economica conseguente, trascinerà nei gorghi della
povertà milioni di persone. L'abbiamo già visto nell'enorme
disparità di risorse cui è stato possibile far ricorso nei diversi
paesi. E quanto appaia insufficiente e minimo, il pur grande sforzo,
in proporzione, che il nostro paese ha potuto e potrà fare. Quante
spade di Damocle, oltre quelle già presenti sono puntate sulle
nostre teste, ultima quella del declassamento del rating, appena un
centimetro sopra il baratro del paese spazzatura. Abbiamo visto
quanto l'egoismo e le paure di questa Europa rappresenti più che
un'opportunità, una trappola a tempo ben congegnata, cui bisogna
opporsi con altri modi e tempistiche rispetto quelli usati finora. Ad
esempio, appare illogico e poco democratico che, a fronte di una
maggioranza di paesi che firmano un documento richiedendo alcune
cose, una minoranza di paesi (4) rappresentanti una minoranza, anche
di popolazione e di potenza economica, vi si opponga e abbia un potere di veto. In questi casi
non deve prevalere la motivazione del “E ma se usciamo dall'Europa
sarebbe peggio”, ma mettere quella minoranza con le spalle al muro
ed, eventualmente, mettere loro in condizione di valutare se è il
caso di rompere con la maggioranza dei paesi Euro con relativa exit.
Ribaltare,
con la coltivazione di alleanze stabili e convergenti, il paradigma
che vuole alcuni paesi nel ruolo d i censori ed esaminatori ed altri
in quello di scolaretti da mettere in riga. Non deve, non può e non
si può più permettere che funzioni così.
La
pandemia, quasi come una nemesi, parte proprio da quella Cina, paese
simbolo della nuova economia mondiale, che più e meglio di altri ha
saputo sfruttare quella globalizzazione voluta e attuata dalle
multinazionali per massimizzare i profitti, ma che si sta ritorcendo
contro gli stessi che l' hanno promossa e sponsorizzata.
La
politica, a partire da quella che viene vista come la nazione guida,
gli USA e il loro presidente Trump, figlia anch'essa di una visione
esclusivamente economicista di corto respiro e di ancor più limitata prospettiva, si è rivelata dove un po' di più dove un pò meno,
totalmente incapace e inadeguata al ruolo. Mancano leader capaci di
interpretare un ruolo che sia diverso da quello del ragioniere o dell'
architetto di equibri politici che, tropppo spesso diventano
equilibrismi inutili e incomprensibili. Recuperare una visione
umanistica e complessiva intorno ai valori, ai bisogni vitali e
primari della vita umana, sembra quanto mai indispensabile. Difficile
farlo partendo dalle sole parole d'ordine che ci hanno accompagnato
fino ad oggi poichè, almeno nella prima fase di proposizione, non ci
sarebbe tempo e modo per riportarle ad antichi valori e splendori.
Troppo il discredito e il disvalore che nel tempo si sono accostati,
a torto o ragione, a quei termini. Soprattutto per la stragrande
maggioranza dei giovani che, nel migliore dei casi, ne conoscono
appena il significato storico, legato però, ad un passato
decisamente non replicabile. Un'opera di ricostruzione senza mettersi
in discussione complessivamente, appare oltre che difficilmente
credibile, anche con una tempistica non adeguata alle esigenze del
momento.
Il
nemico era e rimane il capitalismo in ogni sua forma. La liberazione
dell'uomo dalla schiavitù del lavoro, dal bisogno e dallo
sfruttamento deve rimanere l'obiettivo, non solo sentimentalmente
utopico, ma praticato coerentemente e ostinatamente in ogni momento.
Esclusi e censurabili qualsiasi tipo di astuzie, tatticismi,
speculazioni, operazioni spregiudicate e poco comprensibili.
Linearità, chiarezza, coerenza, impegno, competenza dovranno essere
obbligatoriamente le linee guida che qualsiasi movimento, partito,
associazione voglia provare a proporsi per un cambiamento in senso
progressista, dovrà seguire. Ne saranno capaci? Dubito ma essendo
l'unica opzione valida, varrebbe la pena provarci. Prossimamente
cercheremo, anche di affrontare non solo il cosa, ma anche il come
sia possibile porci di fronte ai grandi temi che ci sono di fronte in
un'ottica di avanzamento sociale e ambientale complessivo.
Ad
maiora!
MIZIO
venerdì 24 aprile 2020
PANDEMIA - PANDETUA
In
questi giorni di lunga “prigionia” forzatamente ci si dedica di
più ad aspetti e interessi, se vogliamo secondari, rispetto quelli
che abitualmente si coltivano.
Si
sperimentano anche forme di pensiero più spontanee e anarchiche del
solito, lasciandole libere di avventurarsi anche su sentieri tanto
tortuosi quanto però, affascinanti. Inoltre questa pandemia sembra aver esaltato alla massima potenza tutte le visioni, reali,
verosimili, fantasiose, complottiste, esoteriche che hai frequentato
più o meno direttamente e più o meno condividendone lo spirito.
Quindi
ci si avventura in riflessioni che, normalmente, pur essendo già
tue, non si dedica loro. alcuna attenzione.
Quindi
ritorniamo al concetto di trinità e della sacralità derivante del
numero tre, già analizzata in altre occasioni. Cosa che non è appannaggio della sola visione cristiana,
anzi affonda le sue radici in culture e visioni sia religiose
che filosofiche diverse o, per guardare anche più vicino a noi, alla moderna
psicanalisi. La suddivisione una e trina della visione spirituale, corpo,
anima, spirito trova una naturale corrispondenza nella triplicità
istinto, intelligenza, coscienza della moderna e più condivisibile scienza.
Come
direbbe qualcuno verrebbe da pensare giustamente:”Ma che
c'azzecca?”
C'azzecca,
perchè questa pandemia, evento epocale e quasi unico nelle vita e
nella recente storia dell'umanità, ha liberato e reso, se non
accettabili e comprensibili, almeno degni di attenzione dubbi e
interpretazioni più o meno fantasiosi. Tutti aspetti che trovano,
poi, fertile terreno di diffusione e crescita nella debolezza figlia
della paura. O quanto sia deresponsabilizzante l'ingenua, ma
consolatoria sensazione, di essere nelle mani di oscuri manovratori
del nostro destino sia personale che collettivo. D'altra parte,
storicamente, pur di non ammettere la propria condizione di congenita
debolezza e precarietà legata al nostro essere umani, in viaggio
casuale su questa palletta spersa nello spazio, si preferisce
indirizzare strali e responsabilità su altro, meglio se oscuro e
mimetizzato abilmente.
Quindi
possiamo già cominciare a vedere come, visioni e atteggiamenti, già
presenti normalmente, vengano esaltati e coltivati in modo compulsivo
privo anche dei normali filtri censori dai più, e in modo
speculativo interessato da parte di altri.
Prego
chi abbia voglia di continuare a leggere di non provare eccessivo
stupore, né di coltivare dubbi sulla sanità mentale del
sottoscritto pur avendo, legittimamente, tutta la libertà di pensare
che siano solo fesserie. Cercheremo di camminare come novelli Dante e
senza alcun Virgilio, in equilibrio sulla stretta cengia che ci
divide dalle perigliose e dolorose esperienze delle anime del
Purgatorio. Cercando di non inibirci la possibilità,anche di leggere,
ascoltare e condividere riflessioni, punti di vista che, anche se
frutto di fantasie esasperate,possano rappresentare comunque, un
qualcosa degno d'attenzione se non altro perchè totalmente
disconnessi da interessi di alcun tipo.
La
nostra vita sociale da sempre è inquadrata e codificata in una
visione condivisa dell'esistente. Dalle verità scientifiche, alle
narrazioni storiche per finire alle regole morali e all'etica.
Partendo da queste basi il singolo e le comunità si rapportano tra
loro dando vita alle varie organizzazioni sociali, politiche,
religiose ecc. che conosciamo. Sulla giustizia, libertà o
composizioni di tali aspetti condivisi, si polarizzano,
conseguentemente, le varie forme di pensiero tese ad aggiudicarsi la
fetta più grande di potere, ricchezza e visibilità possibile.
Detta
questa prima banalità aggiungiamone un'altra. L'avventura della
vita, pur essendo costretta e forzatamente all'interno di regole collettive imposte, rimane sempre e comunque un' esperienza assolutamente
personale, non condivisibile e non comprensibile se non sommariamente
da nessun altro per quanto simile o anche empaticamente, legato.
Da
questa banale considerazione nasce ad esempio il famoso: “Non
giudicare”.
Nel caso, si cerchi di giudicare l'atto ma non chi lo compia. Non sapremo mai
se nelle stesse identiche condizioni sociali, familiari, culturali
noi avremmo agito diversamente. Ovviamente, questo, socialmente non
deve e non può essere concepito come una deresponsabilizzazione
assoluta, ma per immaginare l'eventuale sanzione o punizione
all'interno di una visione che ne preveda il recupero e la relativa comprensione della negatività dell'atto commesso.
Come si vede spesso, le grandi verità, possono essere di una semplicità disarmante potenzialmente condivise e comprensibili anche da soggettività diverse, ma prive di pregiudizi.
Come si vede spesso, le grandi verità, possono essere di una semplicità disarmante potenzialmente condivise e comprensibili anche da soggettività diverse, ma prive di pregiudizi.
Perciò
vediamo che abbiamo stabilito già una prima categoria di lettura.
Quella visibile, comunemente accettata e condivisa. Cosa utile, se
non necessaria, per la possibilità di concepire la vita sociale di
soggetti altrimenti troppo diversi. Ovviamente in questa visione tralascio volutamente,
perchè non funzionale a quello che vorrei dire, il giudizio sulla
giustizia o meno di tale organizzazione, che attiene ad un altro livello
di lettura e ragionamento.
Dobbiamo, quindi, considerare gli altri due livelli di lettura e percezione
che sono molto più del primo, legati al vissuto, alle visioni e
sensibilità personali.
Uno di
questi è legato strettamente al proprio livello intellettivo che,
come sappiamo non è uniformemente uguale ma, come le caratteristiche fisiche,
diverso per ognuno, unico e indivisibile. Ma come il fisico può
essere, però soggetto a cambiamenti evolutivi, compresi, però, in uno spazio
più-meno, limitato e riferito sempre al potenziale del singolo e diverso per ognuno.
In
genere è in questo spazio che, se solleticato e stimolato nel senso giusto, blandendo
l'intelligenza o l'ego degli interessati, si inviano, attecchiscono e
crescono i migliori o i peggiori messaggi. Messaggi più o meno interessati
della politica, delle religioni, dei potentati o, anche del
cosiddetto complottismo, tanto in voga recentemente. Cose che in assenza di un atteggiamento
laicamente critico facilmente si possono trasformare in verità
incontestabili, che necessitano e spingono ad atteggiamenti di fedeltà cieca e assoluta.
Da qui
nascono le necessità, da parte di alcuni, di trasformarsi, e anche con orgogliosa ostentazione, in megafoni viventi e difensori ad oltranza
di un'idea o visione. Ruolo che nobilita e gratifica facendo provare un
appagante senso di superiorità ed esclusività.. La convinzione di servire una verità
(sia pur quasi sempre soggettiva) ci dà un'appagante sensazione di aver trovato quella
posizione nel mondo, cui sentiamo di aver diritto-dovere.
Per
ritornare a bomba sulla questione pandemia e fare un esempio
leggibile. Avrete notato con quale facilità e con quale convinzione
ognuno difenda la propria posizione e quante di queste siano frutto
di assoluta fantasia e meno credibili anche delle più astruse convinzioni dei popoli più antichi. Abbiamo visto di tutto, da teorie con basi più o meno
scientifiche, ad altre più interessate politicamente ed economicamente o
addirittura al complottismo più o meno astruso,al servizio di chissà quale segretissimo piano di conquista del mondo e dell'universo intero.
Il terzo
livello è quello che, più di tutti gli altri risulta mimetizzato e
nascosto rispondendo, molto più dei precedenti ad una sensibilità
assolutamente personale e unica. Talmente unica nella sua originalità da sembrare priva dei normali filtri cognitivi, facendo appello ad altri intimi codici di giudizio.
Quelli che sono annidati nella parte più profonda e intima del nostro essere.
Spirito, coscienza, Es, super io, subconscio, ognuno lo identifica
con un nome diverso, ma, sostanzialmente ci si riferisce alla stessa
zona del nostro sentire.
Ed è,
fondamentalmente, quella con cui raramente, e quasi sempre con disagio,ci troviamo a confrontare il nostro agire pubblico rispetto quello che
avremmo sentito più naturalmente nostro.
Ora, a
fronte di questa situazione, sembra più che normale che, soprattutto
in situazioni estreme come questa pandemia, sentimenti più
epidermici come la paura prendano il sopravvento determinando giudizi
e atteggiamenti comprensibili ma censurabili. Una minoranza
sostanziosa fa dell'esercizio critico e si butta a capofitto nella
necessaria opera di conoscenza. Territorio in cui le notizie e le
informazioni passano senza un preliminare asettico e dovuto esame, ma
rispondendo in via prioritaria, alla propria visione. Comprensibile,
in quanto la cosa più complicata è ammettere che, forse, qualcosa
del nostro percorso sia da mettere in discussione.
Quelli,
purtroppo una minoranza, che riescono consapevolmente o meno, a
utilizzare anche il terzo livello e a raggiungere un equilibrio
stabile e duraturo dell'intero proprio essere, sono coloroi che
sembrano i più (e forse lo sono) equilibrati, i meno coinvolti apparentemente, dagli eventi al punto di dare l'impressione di avere
nel disinteresse l'aspetto prevalente del proprio carattere. Cosa,
ovviamente, non veritiera ma frutto di una costante ricerca di un
equilibrio interiore che, in mezzo a mille dubbi e difficoltà viene
però vissuto dagli interessati come un atteggiamento indispensabile
e non solo utile. Soprattutto a sé stessi prima che ad altri.
Sarebbero
poi, quei soggetti che spesso e involontariamente, vengono presi ad
esempio sia negli aspetti positivi, facendone un riferimento anche morale, quanto
in negativo per quanto in grado di scuotere le cattive coscienze altrui.
Tutto questo ragionamento per provare a capire, da un punto di vista originale e decentrato, il perchè l'enorme massa di informazioni, soprattutto in questi periodi nodali storici, ci travolga e, favorita dai moderni mezzi informatici passi, quando va bene, al vaglio solo del primo livello e raramente del secondo. Quasi mai si utilizza anche il terzo. Sia per una congenita disabitudine e difficoltà a farne uso, sia per il timore di apparire troppo fuori dal coro con relativo rischio di isolamento sociale.
In ultimo, ma non per rilevanza vorrei ricordare, soprattutto a tutti quelli che ingenuamente e inconsapevolmente si trasformano in spacciatori di fake, di bufale vere e proprie se non addirittura di falsità costruite ad arte per delegittimare l'esistente e spianare la strada a personaggi equivoci, interessati e pericolosi, di provare a sfilarsi dal loro ruolo di Ascari di costoro.
Per questi va bene qualsiasi cosa, politica, religione, complottismo, medicina, economia, l'importante è instillare il virus del dubbio, proponendo visioni e chiavi di lettura che spostano il punto di vista da quello più ovvio, banale ed efficace. Non perchè non ci siano piani o intenzioni subdole e segrete, ma se non usiamo la lettura (che vale sempre) del cui protest, ci allontaniamo da quello che dovrebbe essere il principale impegno personale e collettivo di battersi sempre e comunque per la giustizia, per seguire fantasie o depistaggi inutili e dannosi.
Quindi quando si leggono o si viene a conoscenza di qualcosa, si tenga sempre presente, prima di farle proprie e divulgarle, che raramente, per non dire mai, le informazioni e le grandi verità possono essere divulgate a tutti. Laddove comunque, dovessero arrivare, si avrebbe bisogno dei filtri cognitivi giusti per decodificarli nel modo giusto e, soprattutto per non darli in pasto a chiunque. Il risultato, lo vediamo, è un imbarbarimento progressivo che continuamente contribuiamo ad alimentare più o meno consapevolmente.
MIZIO
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sabato 15 luglio 2017
CHI HA PAURA DELL'UOMO NERO?

Nel paese in cui ci si è sempre arrangiati con metodi border line con la legalità e la moralità. Il paese in cui il concetto di libertà è inteso molto spesso come anarchia comportamentale a proprio uso e consumo. Dove le leggi sono fatte per essere aggirate prima ancora che rispettate. Dove l’evasione fiscale piccola o grande è vista con compiacimento. Dove quando prendiamo una sacrosanta multa siamo pronti a far causa o ad affidarci all’amico compiacente nell’ufficio giusto per farcela togliere Dove l’llegalità e i metodi mafiosi siamo riusciti ad esportarla in tutto il mondo più della pizza e degli spaghetti. Un paese dove si è quasi sempre votato per clientela e favoritismi diretti o indiretti ebbene proprio in questo paese le bacheche di Fb, le discussioni nei bar o per la strada ormai hanno un filo comune che le lega e che trova spesso complicità ed approvazione. Sono troppi, sono delinquenti, rimandiamoli al paese loro. Ormai tutti i giorni e più volte al giorno ci sono siti e persone che rilanciano sdegnati notizie vere, presunte o, spesso false, di crimi commessi da extracomunitari. Ci sono partiti e movimenti che su questo ci sguazzano e attirano consensi. Questi atteggiamenti hanno anche ridato voce e visibilità a movimenti che, in uno stato serio, sarebbero da tempo stati relegati nelle pagine più vergognose dei libri di storia o nel registro degli indagati. Non sarò certo io a dire che l’ondata migratoria massiccia non rappresenti un problema. Ma sono anche cosciente che il problema più grosso ce l’hanno loro con la disperazione, con i drammi e le tragedie che li hanno portati fino da noi. Come sono cosciente che tra di loro ci sia anche chi delinque. Mi pare che sono esseri umani e non c’è alcuna comunità umana ove elementi di delinquenza non siano presenti. Nel loro caso c’è anche una forte molla di carattere psicologico come quella di avere a portata di mano quel benessere sognato e inseguito e non poterne godere Ma questo continuo esaltare le notizie di reati quando, questi, riguardano i migranti, oltre che aumentare il senso di insicurezza collettiva (paura) rende ancora più difficile un confronto sereno, per quanto possibile, con il problema. e con le sue eventuali e possibili soluzioni. D’altra parte che questo sia vero lo dicono le statistiche, i reati commessi dagli stranieri sono, percentualmente, più o meno in linea con quelli commessi dagli italiani. Quindi va condannato, come è normale che sia, l’atto delinquenziale e non l’aggravante, dell’ essere stato commesso da uno straniero. Uno stupro perpetrato da un italiano non è meno grave e odioso di uno commesso da un immigrato (magari di colore) ma non ha la stessa rilevanza mediatica e lo stesso tasso d’indignazione. Lo spaccio di droga non fa schifo perché il pusher è marocchino (e anche perché il grande trafficante che lo utilizza quasi sempre è italiano) ma perché la cultura dello sballo e della morte che la droga comporta va rigettata e combattuta a prescindere. Il fenomeno dell’emigrazione si deve analizzare nella sua gestione e risoluzione nell’ottica che non sia quella dell’emergenza. Perché ormai il fenomeno è endemico e strutturale. Come endemici e strutturali sono i motivi che li portano a rischiare la vita in traversate del deserto e in mare aperto vedendo morire spesso i propri cari. Non voglio parlare delle responsabilità storiche dell’Occidente, e, quindi anche dell’Italia, nelle guerre, nelle carestie, nell’appoggio e finanziamento di regime dittatoriali in cambio di materie prime per le multinazionali, oltre la vergognosa vendita di armi. La mia riflesione puntava soprattutto a sensibilizzare tutti quelli che si fanno facilmente condizionare da notizie, spesso ripeto, anche gonfiate, dimenticando che in casa nostra i primi e, per tanti anni, gli unici a delinquere e a non rispettare le regole siamo stati noi. Pronti, però, di fronte al nero sporco e cattivo a diventare i paladini della legalità e della nostra cultura (si cultura, perché anche di questo si riempiono la bocca, quelli che fino a ieri il massimo impegno culturale prodotto era nel leggere il Corriere dello Sport o Novella 2000).
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giovedì 16 marzo 2017
C'E' CRISI, GRANDE CRISI!

Quando
nel 2008, cominciò questa lunghissima crisi fu chiaro fin quasi da subito che
si trattava di una crisi non ciclica e non episodica, come tante altre tipiche
del capitalismo. Diversa e più devastante anche della famosa crisi del ’29,
perché diverse le condizioni, diverse le motivazioni, diverso l’habitat e gli
assetti sociali e mondiali. La globalizzazione e la mercificazione delle umane
attività legate sempre più, non solo e non prevalentemente al profitto del
capitalista, ma alla speculazione finanziaria, associata ad una indotta
richiesta sempre maggiore di merci a prezzi sempre più bassi e conseguenti sfruttamenti di risorse a
prezzi sempre crescenti ha creato un cortocircuito sistemico e non limitato al
solo periodo interessato. Da come si valuta e da come se ne uscirà sapremo se
la lezione di questi anni sarà servita a qualcosa o se continueremo nella folle
corsa verso l’autodistruzione. Le risposte della politica e dell’economia
“classica” sono state insufficienti, sbagliate e hanno fondamentalmente
peggiorato gli effetti della crisi stessa, non leggendola e non affrontandola
con le giuste armi e la giusta visuale.
Per
certi aspetti, anche giustamente, è stata abbandonata, in nome della
complessità, la visione novecentesca della società, e la conseguente visione
ideologica che puntava al riscatto collettivo dell’essere umano. Si è dato
spazio e dignità a forme sempre più esasperate di competizione tra gruppi e
singoli esaltando, oltremisura, il ruolo dell’IO rispetto al NOI. Ricordate il
mantra, ancora in voga anche tra di noi, della meritocrazia e della
rottamazione? Ebbene in quest’ottica e in questa condivisione passiva della
logica che c’era dietro, invece che esaltare le potenzialità di ognuno e
indirizzarle ad un balzo qualitativo generale, si sono giustificate e aperte
all’accettazione sociale le gabbie dei peggiori istinti egoistici e al conseguente
massacro sociale, sia che interessi gli stati, gruppi o singoli. Ovviamente
nulla è casuale, se questo è stato fatto, appare evidente che dietro ci siano
interessi precisi. Gli interessi di quegli stessi che, pur essendo i maggiori
responsabili della crisi, dalla stessa hanno ricevuto i migliori benefici.
Ritornando
alla domanda che, da sempre ci si fa, del che fare? Appare chiaro che chiunque
voglia uscire da questa crisi e combatterne i nefasti effetti, non può farlo
ricorrendo ad una semplice operazione di maquillage.
Tanto
per essere più chiari e precisi, il semplice ricorrere ai classici parametri
della crescita economica, pur apparendo come la risposta più semplice e
comprensibile al momento, non è certamente quella più adeguata. Si diceva
all’inizio crisi sistemica e non episodica. Forza lavoro sempre più abbondante
e sempre più a buon mercato con sempre meno posti da occupare. Materie prime e
beni essenziali (es. l’acqua), sempre più scarsi e fonte di speculazioni
globali e monopolistiche. Presenza di una finanza che salvaguarda
esclusivamente se stessa e il proprio ruolo dominante svincolata da qualsiasi
dovere sociale o politico di sussidiarietà. Un ambiente e le sue risorse che,
seppur immenso, non è illimitato e con il massiccio sfruttamento legato
esclusivamente alla logica del profitto rischia
di portare l’umanità ad un default collettivo senza precedenti, non fra
mille anni ma in pochi decenni.
Mettiamoci anche le guerre, le carestie, le ingiustizie sociali di quelle parti
del mondo da sempre considerata come territori da sfruttare e depredare, con le
conseguenti migrazioni bibliche di questi anni, e il quadro è abbastanza
completo per essere non preoccupati, ma atterriti. E, purtroppo, sembrano
inadeguati e limitati anche gli strumenti e le letture forniti dalla politica,
anche quella ideologica, legate come sono, ad un riscontro immediato e
misurabile in termini di risultati elettorali. E’ indubbio che rispetto le
problematiche drammaticamente esplose con la crisi attuale, ma già
presenti nel corpo sociale da tempo, il
capitalismo soprattutto nella sua forma più recente e cinica, quello liberista
finanziario,appare senza dubbio, come il maggiore responsabile e, di
conseguenza,il più inadeguato a fornire
risposte e soluzioni. Risposte e soluzioni che possono partire solo da quelle
forze e da quegli ideali che partendo da una base di ricerca di giustizia,
eguaglianza e libertà possono, più facilmente e più logicamente, fare proprie
nuove visioni e nuove tematiche da iniettare nel proprio dna politico senza
rischiare grosse crisi di rigetto. Ecco quindi che veniamo al noi e a quello
che ognuno può fare nel suo piccolo. Forse non è un caso che, in alcuni paesi,
la crisi abbia prodotto effetti più pesanti che per altri, come nel caso dell’Italia.
E non è un caso, forse, che il tutto sia stato esponenzialmente aggravato, da
una lettura da parte della sinistra, sbagliata e in controtendenza rispetto i
propri presupposti ideali prima che ideologici. Se questo può essere vero, e
secondo me è un aspetto da non sottovalutare, una delle cose da fare è cercare
di risostruire quel tessuto connettivo che faceva della sinistra, in passato,
il principale baluardo contro gli eccessi e le ingiustizie insite nel sistema
capitalista. Nessun nostalgico riproporsi di schemi e simboli che appartengono
al sentimento e alla storia personale e collettiva, ma la proposizione con
forza del concetto che, se non si parte dalla lotta alle disuguaglianze, non
potremo mai sperare di innestarle e contaminarle con successo con le nuove
tematiche. Quelle che parlano di un’economia sostenibile, di una salvaguardia
ambientale, di un cambiamento sostanziale anche di usi e consumi personali.
Troppo spesso queste sono legate, nella proposta, a forme di francescanesimo o di pauperismo
che, per gran parte della popolazione mondiale (e anche italiana) in condizioni
di sofferenza e povertà non potrebbero mai, non solo, essere recepite e fatte
proprie, ma sicuramente avversate e combattute.
Questa
è la sfida che abbiamo di fronte, queste sono secondo me, le possibilità che
abbiamo. Se stiamo passivamente ad aspettare che un’inversione di tendenza
venga da coloro che ne sono i responsabili rischieremmo la paralisi e il
default collettivo, non finanziario, non economico ma globale.
MIZIO
domenica 20 novembre 2016
ERA NO PRIMA E SARA' NO ADESSO
La
governabilità legata alla stabilità è il nuovo (ma mica poi tanto) mantra che
anima le scelte e gli indirizzi della politica negli ultimi decenni. Inseguito
e sollecitato soprattutto dalla classe imprenditoriale, da quella finanziaria
che vedevano, e vedono, nella rappresentanza e nella conseguente dialettica, un
freno a quelle che sono considerate le loro priorità. Priorità indicate sempre
sotto la lente di parametri e interessi economici che quasi mai vanno a
braccetto con un sentimento di equità e giustizia.
La
presunta superiorità del sistema maggioritario (meglio se bipolare o,
addirittura, bipartitico),è legata a quell’altro mito della sua altrettanto
presunta modernità visto che è adottato da quei paesi considerati all’avanguardia,
primi fra tutti quelli anglosassoni.
Se
vogliamo indicare una data simbolo che demarchi un prima e un dopo nella
questione, non possiamo che risalire al referendum del 1993 ove la maggioranza
degli italiani (non io) sotto l’onda emotiva dello scandalo di tangentopoli e
della caduta del muro di Berlino con le sue conseguenze, scelse di abbandonare
il sistema elettorale proporzionale, mantenendone soltanto una percentuale del
25% con la nuova legge adottata,
denominata Mattarellum. Da allora non sono mai terminati gli attacchi tesi a
limitare sempre più quegli aspetti legati alla rappresentatività per spostare l’asse
sempre più verso la stabilità. Detto in parole povere, chi vince si prende
tutto per 5 anni e, a fronte di una sempre maggiore complessità della società,
si tenta di rispondere con una semplificazione e una limitazione alla massima
potenza della partecipazione e della vita politica.
Da
questo punto di vista l’introduzione del sistema maggioritario ha prodotto
limitati effetti, vista la frequenza con cui sono continuati a cadere e
cambiare i governi. Ha prodotto molti più effetti sulla partecipazione e sul
legame che, dal dopoguerra, legava la stragrande maggioranza degli italiani all’attivismo
e condivisione della vita politica. Recisi i rami degli ideali, del senso di
appartenenza, della delega rappresentativa, lentamente ma progressivamente ci
siamo avvicinati a quelle democrazie avanzate cui si faceva riferimento prima
con percentuali di partecipazione al voto di poco superiore al 50% e con una
ancor più misera partecipazione alla vita attiva dei partiti, divenuti progressivamente
sempre più comitati elettorali o d’affari. Partiti che, prima erano punti di
riferimento collettivi e popolari (anche quelli cosiddetti borghesi), e che dopo,
nel migliore dei casi, sono stati visti come opportunità per “svoltare” nella
vita o come strumenti al servizio di interessi poco chiari e, molto spesso, ancor
meno leciti.
Sono
usciti dalla porta per non rientrare più la dialettica, il confronto, la
mediazione, il senso di giustizia sostituiti dall’insulto, dall’ astio, dal
posizionamento svincolato dalla ragione e affidato solo all’essere contro. La
nuova parola d’ordine diventa vincere, a prescindere dal “come” e dal “per cosa”.
La
sinistra e la destra spostano le truppe e gli interessi verso il centro, dando vita a soluzioni ibride
al limite della peggiore ingegneria genetica, denominate centrodestra e
centrosinistra in cui, spesso, all’interno dello stesso schieramento
predominano sospetti e sgambetti. Prodi, D’Alema, Berlusconi, ancora Prodi,
ancora Berlusconi, e poi Monti, Letta, fino ad arrivare all’attuale Renzi l’elenco
di chi si è succeduto alla guida dei non pochi governi indica chiaramente che
anche l’unico obbiettivo condiviso, quello della stabilità, non è stato
raggiunto.
Qualcuno,
sano di mente, può in tutta sincerità, affermare che queste stagioni politiche
siano state caratterizzate, oltre che dalla stabilità, dal buon governo, dalla giustizia
ed equità?
Si
può affermare che la società italiana abbia fatto quel salto qualitativo che le
avrebbe permesso di superare i limiti e le contraddizioni delle stagioni
precedenti?
Personalmente
e, credo insieme alla stragrande maggioranza degli italiani, posso affermare
tranquillamente di no, anzi si sono registrati notevoli passi all’indietro su
temi fondamentali come quello dei diritti sociali, della rappresentanza, della
democrazia.
Già
sento qualcuno che comincia a pensare: ”Va bene, però dimentichi che c’è stata
la globalizzazione, l’Europa, la nuova moneta e le nuove politiche comunitarie
e bla bla bla….”. No, non lo dimentico, anzi, credo che le scellerate scelte
fatte dei paesi europei in termini economici, di giustizia, di solidarietà,
sarebbero stati senz’altro migliori se avesse prevalso un principio di
eguaglianza e di rappresentatività, piuttosto che gli interessi delle lobby
economiche e finanziarie che, trovano nel sistema elettorale semplificato il
loro habitat preferito.
Chi
ha avuto la pazienza di leggere fin qui si aspetterà adesso , legittimamente, una
conclusione.
Siamo
alla vigilia dell’ennesimo, forse decisivo, attacco alla costituzione. La
parola d’ordine adesso è resistere. E resistere vuol dire VOTARE NO il 4
dicembre al referendum.
Subito
dopo, partire per ricostruire un habitat politico idoneo alla rappresentanza degli ultimi e dei penultimi,
mettendo da parte egoismi, visioni personalistiche e limitate. Rimettere in
discussione quelle che sembrano essere, ormai, pietre tombali su alcune
questioni, a cominciare dalla legge elettorale che, per me, deve ritornare ad
essere proporzionale, magari non pura, ma proporzionale.
E
per ripartire col piede giusto non si può, a mio modestissimo parere, che
ripartire da sinistra.
Ad
maiora!
MIZIO
martedì 1 novembre 2016
TREMORI E TIMORI
La
terra trema e non sembra fermarsi, come il cuore in gola che batte sempre più
forte. Le ferite alla montagna, i colpi di maglio sulle case, sulle chiese. Il
nostro paese come corpo di novello Cristo oltraggiato, torturato che,
fattosi carne, riesce solo a tremare. Sta
superando, ormai, anche, la paura e invoca solo pace.
Le
ferite che non sanguinano nemmeno più e, forse, sono le peggiori. Quelle che
non cicatrizzeranno, quelle che rimarranno lì e bruceranno tutte le notti rinnovando
ogni volta, non solo il terrore, ma la rassegnazione per un destino già segnato.
Il
cuore verde dell’Italia, il corpo vivo, l’anima stessa del nostro paese, la
catena che unisce non solo idealmente tutta la nostra penisola si scopre
fragile, indifesa, novella vestale oltraggiata, non sappiamo se da un dio
capriccioso e cinico o da esseri umani convinti d’essere a sua immagine e
somiglianza.
Dopo
essere stati cacciati dall’Eden sembrerebbe che i monti dell’Appennino Centrale
siano i luoghi e i paesaggi che più gli si avvicinino. Forse, per questo, tanti
grandi spiriti dell’anima, dell’arte, del bello si sono dati appuntamento in
questi luoghi. Non è un caso che qui ogni monte, ogni pietra, ogni albero
trasudi spiritualità e senso della meraviglia, di fronte al quale anche il più
incallito dei miscredenti non può che rimanere in rispettoso silenzio.
Lo
stesso silenzio che rimane dopo gli imprevisti, improvvisi, agghiaccianti
schiaffi che la natura infligge alle nostre certezze.
Uscendo
dalle immaginifiche metafore, affascinanti quanto si vuole, ma stucchevoli
rispetto il dramma consumato si rende quanto mai necessario porsi la domande
del che fare da oggi in poi.
Prendere
atto dell’ineluttabilità degli eventi è il primo necessario passo. Pensare che
tutto possa ritornare come prima senza una presa di coscienza, che nulla potrà
essere come era è, invece, il principale errore da evitare.
L’altro
errore da evitare, anche se può sembrare antitetico rispetto, il primo è pensare a forme di eradicazione sociale e culturale di quei luoghi. La
ricostruzione, per quanto lunga, difficile, costosa non può che avvenire
mantenendo salde le radici e i sentimenti in quei luoghi, pena una seconda e
ancora più dolorosa strage di anime.
Norcia,
Amatrice, Castelluccio nel nostro immaginario possono continuare a vivere anche
senza ricostruirle, ma per chi di quei luoghi è figlio e, anche custode per le
generazioni future, non possiamo immaginare qualcosa di diverso da un ritorno a
casa.
Quando
avvengono accadimenti del genere sembriamo tutti presi e coscienti della nostra
pochezza e della nostra impotenza. E, se singolarmente, riusciamo anche a trovare
una scala classificatoria di valori con un’alta valenza morale, nel trasferire
il tutto a dimensioni politiche e collettive le riposizioniamo in maniera
diversa e moralmente discutibile.
Senza
girarci troppo intorno, un paese come l’ Italia (ma non solo) che molto più di
altri è sottoposto a rischi sismici, con la presenza di vulcani ad alta
potenziale pericolosità, di fragilità diffusa del territorio, oltre ad essere esposta,
vista la posizione, a fenomeni di accoglienza di enormi masse di disperati dall’Africa,
può legare il suo destino e quello di milioni di cittadini alle ferree,
ciniche, insensibili logiche finanziarie e neo liberiste di un’Europa a
trazione bancaria?
Sembra
di capire che, al momento, i fondi stanziati per i soccorsi e l’assistenza dei
terremotati non saranno inseriti tra le spese correnti e non peseranno nel
rapporto debito Pil, ed è già un piccolo passo avanti, ma è solo la punta dell’iceberg.
Proprio per quello che si diceva un attimo prima la situazione geologica e
geografica dell’Italia la pone in condizione di estrema precarietà e rende
improcrastinabile e necessaria la programmazione di un piano pluriennale di
messa in sicurezza dell’intero territorio. Per fare questo si rende prioritaria,
anche perché estremamente giusto, la revisione delle leggi, dei trattati che limitano
la spesa pubblica e la libera circolazione delle persone (argomenti in
apparenza poco accomunabili ma sottoposti alle stesse inconcepibili logiche di
trattati sottoscritti non con le penne e il cuore, ma con la calcolatrice in
mano).
Le
leggi, i trattati, le norme quando palesano limiti ed errori è giusto che
debbano e possano essere sottoposti a riletture e correzioni. L’ economia quando svincolata dalla finanza e sottoposta al controllo e alla mediazione della
politica è uno strumento utile e necessario regolatore sociale. Laddove
questo non è, e non sia ritenuto possibile, mantenendo ostinatamente inalterate,
scale di valori antitetici con la logica e la vita stessa, non credo sia una
bestemmia denunciarne i limiti e prospettare, anche, scelte conseguenti.
Il
territorio italiano, la sua storia, la sua bellezza, i suoi abitanti se non
possono evitare i tremori della natura devono e possono evitare il timore di essere
considerati come i passeggeri di terza classe del Titanic. Perché se è vero che,
se la nave affonda, affondano tutti, ma quelli che hanno meno possibilità di
sortirne fuori vivi sono proprio quelli che già sono, per natura, o scelta,
sotto la linea di galleggiamento.
Ad
maiora
MIZIO
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venerdì 26 agosto 2016
TERREMOTI NECESSARI
Abbiamo
riempito l’Italia di asfalto e cemento, abbiamo bucato, traforato, deviato
fiumi, espropriato, distrutto, prosciugato sorgenti, creato laghi, cancellato
panorami, coste e montagne. Il tutto snobbando con un’alzata di sopracciglio,
le proteste, le perplessità, le esigenze di chi in quei luoghi ha convissuto
per secoli con rispetto e all’interno di un rapporto equilibrato con l’ambiente
circostante.
Non è la nostalgica riproposizione dei bei tempi andati o del buon
selvaggio capace di convivere con la natura e i suoi rischi. Perché i
terremoti, anche distruttivi, ci sono sempre stati, come alluvioni e
inondazioni. Fenomeni che non si potevano (e non si possono ) prevedere né fermare.
Quello che possiamo fare, grazie alle moderne tecnologie e alle conoscenze
acquisite nel corso dei secoli da ricerca e scienza, è di utilizzarle al
meglio per la prevenzione, lo studio e la salvaguardia di comunità umane e
naturali.
Oltre
l’impatto devastante con rischi non sufficientemente considerati delle
cosiddette grandi opere “indispensabili” quanti miliardi di euro costeranno? Tutte
risorse che andranno a pesare, insieme ai danni ambientali, in un bilancio futuro come saldo negativo in
termini sia economici che sociali.
Anche l’ONU ci fa sapere che l’Italia è in
ultima posizione in quanto a prevenzione, strutture e adeguamenti per la
sicurezza del territorio. Mentre siamo sicuramente all’avanguardia per linee Alta velocità, rete
autostradale, cattedrali e opere inutili progettate e costruite per i grandi
eventi.
L’Italia,
che si dimostra straordinariamente solidale e generosa in occasioni tragiche, è
però incapace di controllare e amministrare il quotidiano. Per guadagnare 5 minuti tra
Roma e Milano non ci si ferma neanche di fronte il rischio di provocare potenziali
danni in città come Firenze.
Italia,
paese dalla natura e dal patrimonio artistico tanto preziosi e straordinari
quanto ignorati e fragili, non può e non deve permettersi distrazioni o delegare
ad un ipotetico futuro la presa di coscienza di tale realtà e la necessità di
scelte conseguenti.
Introdurre
nel sentimento e nelle coscienze colletive, prima ancora che nelle regole scritte,
che gli aspetti economici, gli interessi finanziari non potranno e non dovranno
mai avere la prevalenza rispetto la salvaguardia e la messa in sicurezza del
territorio, delle comunità che le abitano e della stessa vita umana.
Ma, si dirà, il debito pubblico, gli accordi con l’Europa da rispettare, il fiscal compact
che ha strangolato gli enti locali, come si fa, dove troviamo le risorse.
Ecco
il punto focale attorno il quale, anche se si vuol far finta di niente, ruota
tutto il discorso e ritroviamo il bandolo della matassa.
I
soldi si trovano e ci sono solo per quelle opere che garantiscono ,
speculazioni e salvaguardano interessi che ricadono nell’immediato e
limitatamente ad alcuni soggetti. Quei, come li definisco io, “lor signori”, che
con argomentazioni supportate dagli "Azzeccagarbugli” di turno, tentano (riuscendoci) di
convincerci che sono opere necessarie per lo sviluppo e la modernizzazione del paese oltre che per creare posti di lavoro, anche se precario e limitato nel tempo.
Gli
stessi che sono i guardiani degli interessi finanziari e speculativi della nuova economia
globale che salvaguarda i profitti, il libero scambio di merci al più basso
costo possibile, bypassando esigenze vitali di singoli e di interi popoli. Gli
stessi che considerano moralmente accettabile il sacrificio di migliaia di
esseri umani in guerre “umanitarie”. Che obbligano milioni di uomini e donne a
migrazioni bibliche per sfuggire a guerre e fame e farli, poi, finire ammassati e
sfruttati in lager ai margini delle ricche e accoglienti democrazie.
Si
dirà che c’entra tutto questo con i terremoti?
C’entra
come c’entrano tutte le altre migliaia di cose che non vanno nella nostra
moderna società. C’entra e c’entrano tutte quelle speculazioni e quei
condizionamenti che ci portano a giustificare e a considerare prioritario l’interesse
economico, piuttosto che gli interessi della sopravvivenza e salvaguardia del
pianeta e dell’umanità.
Non
aspettiamoci che questa presa di coscienza, che questa inversione di tendenza
parta da lor signori o dall'alto. Deve maturare, crescere all’interno di ognuno di noi che
senta questa esigenza.E, conseguentemente, maturare la convinzione e la necessità di trasformarla, con
azioni e prese di posizioni, in qualcosa di visibile e tangibile. Ognuno nel proprio
ambito sia esso politico, sociale, religioso, filosofico, morale.
Siamo
vigili e presenti laddove questi pericoli si manifestano e si concretizzano, si
sensibilizzi il proprio parente, il vicino di casa, si rompa le scatole al
politico, all’amministratore locale, al professionista che dovrà decidere o
attuare determinate cose.
Se
i terremoti, le alluvioni non si possono
prevedere, si possono sicuramente limitare i danni e salvaguardare vite umane, città,
borghi e territori con scelte politiche, economiche, di prevenzione e di
salvaguardia ma soprattutto con una presa di coscienza, singola e collettiva che dia vita a un terremoto politico e sociale tanto auspicabile quanto necessario.
Ad maiora
MIZIO
venerdì 19 agosto 2016
TEMPO AL TEMPO?

Sicuramente molti ricordano quella scena di uno dei tanti film di Fantozzi, in cui il megapresidente galattico si rivolge al sottoposto umiliato, con queste parole:”Non si preoccupi del tempo, Fantocci. Posso aspettare… Io!
Ecco,
il tempo. Si dice che sia galantuomo e che alla fine agisca come una livella
che tutti riporta alla stessa dimensione di miseri esseri umani naufraghi
inconsapevoli dell’avventura della vita.
Una
delle maggiori preoccupazioni dell’essere umano è stato quello della sua
misurazione, necessaria per scandire e organizzare la vita sociale. In altro
ambito filosofi, teologi e pensatori di ogni tipo e di ogni epoca ne hanno fatto oggetto di riflessioni
speculative, di opere d’arte, poetiche, letterarie.
In
un mondo che negli ultimi decenni ha accelerato esponenzialmente i suoi ritmi
il tempo è diventato sempre più un elemento relegato a funzioni statistiche
relative alla velocità di produzione con parametri che sempre più si
allontanano da quelli delle persone per essere adattati a quelli di una
competizione produttiva globale.
L’anticipazione
profetica di Villaggio trova attualmente la sua applicazione pratica non solo
nella singola vessazione parodistica del povero impiegato, cui necessitava far
percepire la distanza di classe con il padrone, ma è diventato un comune
sentire condiviso, inconsapevolmente, pure dalle “vittime”.
Questo
senza dubbio è da ascrivere come uno dei maggiori successi di manipolazione e
condizionamento di massa da parte del “potere”. Sembra quasi di essere entrati
in una dimensione atemporale o di tempo sospeso, in cui tutto viene sacrificato
e rimandato ad un possibile, ma improbabile futuro ricco, oltre che di
possibilità economiche, anche di tempo da dedicare a sè e ai propri cari e ai
propri interessi.
Tutto
questo, e cerco di riportare il tutto ad una dimensione più vicina a noi, è
avvenuto nella consapevole o meno, della (non) azione delle forze politiche e
sindacali. Quella politica (in particolare di sinistra) e quel sindacato il cui
compito storico sarebbe quello di rappresentanza e di salvaguardia della vita
di tutti, in particolare dei milioni di Fantozzi è rimasta alla finestra,
testimone muta, distratta e, per certi aspetti, complice
La
politica per sua natura spesso diventa retorica e immaginifica, prospettando
futuri meravigliosi a fronte di sacrifici immediati. Ma mentre prima il sogno
del Sol dell’avvenire (sia pur utopico), segnava percorsi di lotte e conquiste
con ricadute positive e tangibili nel quotidiano delle persone, oggi le scelte
fatte “responsabilmente” lo peggiorano a fronte di improbabili miglioramenti ,
il cui confine, come l’utopia, viene spostato sempre più in avanti. I tempi
della politica non sono più in lento ma progressivo avvicinamento a quelli
della vita ma sempre più velocemente se ne stanno allontanando. I giovani,
magari laureati, i precari, i
disoccupati del Sud, ma non solo, gli esodati, le donne e uomini separati senza
sostegno hanno i loro bisogni vitali oggi! Non domani, dopodomani o chissà quando.
E’ un attimo passare da giovane precario di belle speranze a precario cronico.
Ancor meno tempo ci vuole per passare da disperato di mezza età a clochard o
suicida. Una società che invecchia senza preoccuparsi di provvedere al proprio
ricambio è una società destinata ad estinguersi ma sembra, che questo aspetto
nel dibattito politico, sia totalmente assente e non percepito.
Sono
partito dal tempo come valore messo in discussione per arrivare all’azione
politica non casualmente ma attraverso un ragionamento che ha una sua logica e importanza fondamentale
(ovviamente per me). Frutto forse dell’età che avanza ma, soprattutto di
un’analisi oggettiva condivisa da molti, e di una presa d’atto di una qualità
di vita enormemente peggiorata, sia nell’immediato che nelle realistiche
prospettive.
Chi
mi conosce sa che non sono un nostalgico. Sono teneramente e sentimentalmente
legato a quelle che erano idee, lotte, forme d’organizzazione della mia
gioventù, ma anche realisticamente cosciente che sono improponibili oggi nelle
stesse forme.
Ma
sono anche coscientemente convinto che la politica a sinistra deve riprendere
il suo ruolo che non può essere quello di mediatore e pacificatore sociale in
nome di un luminoso, ipotetico
futuro. Deve ricominciare a
tessere la trama per un vestito e una politica che, pur in un’ottica utopica
(necessaria per motivazioni, adesioni e fidelizzazioni), venga cucito sulle
misure dei bisogni attuali, in particolare dei soggetti più disagiati.
Chi
ha tempo non aspetti tempo! E a noi non ne è rimasto molto.
Ad
maiora
MIZIO
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sabato 23 luglio 2016
LA PAURA CI FA DEBOLI!
Il
primo atto da fare è prendere atto che qualcosa è cambiato e pure rapidamente.
Tutto ciò che era stato costruito dalle generazioni precedenti (in particolare
nei paesi occidentali) in materia di democrazia, difesa del più debole, di
inclusione sociale è stato prima messo in discussione, e poi progressivamente
spazzato via. L'arma ideologica utilizzata, quella della globalizzazione
economica e della speculazione finanziaria, ha messo in competizione i
disperati di tutto il mondo in nome del profitto. Operazione non calata dal
cielo, nè scritta nel destino dell'umanità. Ma scelta consapevole di una lobby,
questa si globale, che fa dell'adorazione del profitto e dell'esercizio del
potere assoluto (in questo caso finanziario) la propria religione da servire e
onorare con i propri sacerdoti. Imprenditori, politici, economisti, giornalisti
e prezzolati di tutte le risme.
I
conflitti, anche se non combattuti con le armi (ma non mancano assolutamente
neanche quelli, anzi) stimolano e motivano ovviamente reazioni da parte
sopratutto di chi coltivai lo stesso disegno egemonico (sia pur con matrice
apparentemente diversa) e preparano il terreno per uno scontro di potere.
Liberismo
economico e fondamentalismo islamico alla fin fine sono più simili di quanto si
possa credere. Entrambi puntano all'annichilimento dell'essere umano e della
sua libertà. Da una parte si utilizzano mezzi più "democraticamente
accettabili" e "puliti", dall'altra si bypassano i passaggi
intermedi per arrivare direttamente al risultato finale.
L'angoscia
e l'impoverimento di centinaia di milioni di disperati creati da questo sistema
sono il substrato ideale per chi, invece, molto più semplicemente, ne
indirizza, utilizzando la religione come molla, la rabbia e la disperazione
contro i suoi simboli e i suoi rappresentanti.
Il
terrorismo finanziario ed economico miete le sue vittime facendole morire
lentamente, togliendo loro speranza e alimentando l'angoscia per il domani. (E
solo chi ha vissuto questi sentimenti può capire l'abisso di paura e
disperazione in cui si precipita e da cui, spesso, se ne esce con soluzioni
estreme).
L'altro
è, per certi aspetti, di più facile comprensione, puntando a mietere
direttamente vittime inconsapevoli e spargere terrore diffuso ponendo, tra
l'altro le basi per altrettante reazioni rabbiose, razziste e xenofobe.
E'
un ginepraio da cui non è facile nè scontato che se ne possa uscire, ma che,
comunque, ci mette di fronte la domanda che da sempre accompagna i periodi di
forte tensione e apparentemente insolubili: Che fare?
Ovviamente,
non sono assolutamente in grado di offrire risposte, ma credo che già
riconoscere la stessa impronta egemonica in entrambe le componenti prese in
considerazione, possa essere un passo avanti. Passo che ci porta inesorabilmente
a quello successivo, il riconoscimento che tutta l'umanità è sotto attacco
inconsapevolmente (di cui una parte con le armi) e che limitarsi alle condanne
estemporanee non risolve e non aiuta la comprensione.
Abbiamo
fortemente urgenza di una terza via. Quelle del secolo scorso appaiono oggi,
non certamente sbagliate, ma sicuramente insufficienti a offrire risposte che
non siano settoriali. Potrebbero diventare una buona base se innervate e
arricchite dalle visioni forse utopiche ma necessarie dei movimenti no-global
del nuovo millennio. Rivedere i rapporti tra capitale e lavoro è necessario ma
è altrettanto necessario farlo all'interno di una visione che veda la
salvaguardia del pianeta e dell'umanità tutta. Quindi lotta ai fondamentalismi
di qualsiasi genere siano essi finanziari, politici o religiosi. Impegno per il
perseguimento e l'allargamento delle coscienze che vanno sottratte al populismo
e alla rabbia. La redistribuzione di beni e diritti all'interno di un
riequilibro complessivo dell'economia e dell'utilizzo delle risorse naturali,
deve essere la linea guida di qualsiasi forza, partito o movimento che voglia
sfuggire a questa logica fuorviante di scontro fra civiltà.
Ci
vogliono paurosi e rancorosi, riproviamo ad essere protagonisti e propositivi.
Ad
maiora
MIZIO
martedì 5 luglio 2016
IL PROBLEMA E' CHI GUIDA!
Molti
incidenti stradali sono causati da imprudenza, alta velocità, guida in stato di
ubriachezza o sotto l'effetto di droghe. In base a questo nessuno si sognerebbe
di vietare l'uso della macchina a tutti indiscriminatamente ma si adottano,
giustamente, pene e sanzioni per chi si rende responsabile di tali
comportamenti. Ora, se paragoniamo la democrazia all'automobile e i partiti ai
guidatori, nel sentimento comune oggi, si addossano al mezzo le responsabilità
che non sono proprie. Senza voler ricordare che la Costituzione (la più bella
del mondo che tutti diciamo di voler difendere) attribuisce ai partiti la
titolarità di rappresentare la democrazia dei cittadini, assistiamo ad una
gogna mediatica che, bypassando analisi e responsabilità tutti accomuna in un
unico giudizio che non lascia scampo. I partiti sono vecchi, vanno superati,
sono, corrotti (tutti) immorali, frequentati dagli esemplari peggiori del
delinquere nazionale. Ecco poi, il successo di movimenti che si chiamano fuori
dallo schema classico dei partiti, e,
spesso, anche delle forme democratiche. Con la libertà assoluta di poter dire
tutto e il contrario di tutto data dal loro apparente non schieramento o
appartenenza.
Diciamo
subito che alcuni partiti (guarda caso in genere quelli più votati e
rappresentativi, nulla o poco, hanno
fatto per non essere considerati come covi d'interessi privati più che
pubblici, ma sono stati, comunque, legittimati nel loro operare dalla
democratica espressione di voto. Quindi il problema andrebbe spostato su chi li
ha scelti come propri rappresentanti, in soldoni su tutti noi.
Sappiamo
che il popolo italiano subisce il fascino del pifferaio di Hamelin, dell’uomo
della provvidenza. Badando, in linea di massima, più ad un’esteriorità gestuale
e istrionica del messaggio che ai suoi contenuti, godendo di pancia piuttosto
che di testa. Salvo poi, a fronte dell’evidenza, ricredersi diventandone il più
severo e crudele censore.
Così
sono passati i Mussolini, La Democrazia Cristiana, Craxi, Berlusconi, e
passeranno i Renzi , i Salvini , i Grillo & co.
Quindi
spostare l’attenzione sulla forma partito, minimale e insufficiente secondo
alcuni, esaltando il ruolo dei movimenti (necessari, indispensabili, ma non
alternativi) crea di fatto quel vulnus democratico che lascia spazio alla
disaffezione, alla critica preconcetta, al seguire le maree dell’istant time e
che perdono di vista un’ipotesi complessiva di ordine sociale.
Come
già detto gran parte delle responsabilità non possono essere che addossate a
chi ha permesso per supponenza, superficialità, interesse che tale sentimento
sia stato condiviso da una maggioranza più o meno cosciente e consapevole. Si è
parlato, e si parla molto, di abbandono
del modello novecentesco, come fosse quello lo snodo da cui ha avuto origine il
male. Mentre nella mia lettura meno elaborata e che vola decisamente più bassa,
quell’abbandono repentino, quella rottura improvvisa e traumatica è uno dei
motivi dell’attuale momento di difficoltà.
I
partiti novecenteschi (chiamiamoli così per comodità) oltre una loro visione di
società e di organizzazione della stessa, erano portatori, con la loro presenza
capillare, con le loro strutture consolidate di valori condivisi e
condivisibili e, l' aderenza a quei valori, permetteva loro, ad esempio,
l’espressione di una classe dirigente sentita, sicuramente più vicina e attenta
ai bisogni del proprio popolo. Il cambiamento, che era ovviamente, ed è sempre
necessario, si è basato esclusivamente su un bilancio da cui sono state tenute
fuori alcune voci come la fidelizzazione, l’organizzazione dal basso, la
formazione culturale di una classe dirigente, il mantenimento dell’utopia o del
sogno come motore e stimolo per il coinvolgimento emotivo, tutte cose estranee
in gran parte alla forma movimento e nuova che si vorrebbe alternativa al partito
classico.
Non
a caso coloro che maggiormente rappresentano il legittimo desiderio di
cambiamento, lo stesso lo presentano come rottamazione, riaprendo ogni volta
nuovi capitoli destinati a chiudersi sempre più in fretta basandosi su volti,
nomi, circostanze legate a momenti di respiro corto e poco lungimirante.
Ci
si accapiglia per lo 0,5 % in più o in meno e si trascura il 50% che non
partecipa più, si innescano polemiche infinite su apparentamenti e comunanza d’interessi
legate a specifiche situazioni, dando loro valenza nazionale e assoluta. Si parla
in ambiti sempre più ristretti perché non si ha molto di più della propria
parola da offrire ad una platea, eventualmente, più vasta. Gli obbiettivi
diventano sempre più minimali, limitandosi speso a dichiarazioni d’intenti e a
peculiarità etiche, morali di facile recepimento ma senza ambizioni e disegni
di cambiamento complessivo.
Ogni
cambiamento che voglia avere un respiro ampio e per certi aspetti, rivoluzionario,
deve tenere forzatamente in considerazione anche il percorso pregresso, per
migliorarlo, per renderlo attuale e recepibile anche dalle nuove e meno nuove
generazioni.
Le
fratture traumatiche, il buttare l’acqua sporca col bambino dentro, hanno
forse, creato più danni che benefici. Ci vorrà tempo ma, se riusciamo ad uscire
dal ragionamento minimalista, e a riappropriarci di un’identità visibile e
percepibile ai più con uno sforzo, non dialettico ma d’azione e presenza
continua, riallacciando i fili con le situazioni di marginalità, indirizzando
un sentimento comune di rabbia o rassegnazione verso una speranza di cambiamento
collettivo, forse un ruolo ancora lo potremmo avere.
Partiti e movimenti, ognuno nel proprio ambito e ruolo.
Partiti e movimenti, ognuno nel proprio ambito e ruolo.
Ad
maiora
MIZIO
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