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martedì 10 ottobre 2023

COMUNITA'...MA DE CHE?

In relazione ad ogni avvenimento più o meno grave che accade in qualche parte del mondo nelle dichiarazioni sia dei media, che dei politici si fa un costante riferimento alla cosiddetta Comunità Internazionale. Una Comunità che, a seconda delle circostanze, condanna, solidarizza o appoggia Tizio o Caio. Ma tradotto in soldoni chi e cosa è questa Comunità Internazionale? Logica vorrebbe che tale entità sia rappresentata dal consesso internazionale più ampio possibile che si conosca, l'ONU. E che, conseguentemente, sia l'opinione espressa da tale istituzione o perlomeno, dalla maggioranza dei partecipanti. Però, leggendo anche molto superficialmente le notizie in merito, veniamo a scoprire che la stragrande maggioranza delle risoluzioni ONU approvate, sono rimaste lettera morta. Non hanno quasi mai, minimamente rappresentato un vincolo tale da condizionare o risolvere le questioni in oggetto. E pensiamo, tanto per non fare nomi e rimanere alla cronaca, alla questione palestinese e anche alla guerra in Ucraina. All'ONU sono state votate risoluzioni, anche a grande maggioranza, esattamente contrarie e contrastanti con quelle che ci raccontano, espresse dalla Comunità Internazionale. Quindi appare chiaro che la cosiddetta comunità è un concetto veicolato e valevole solo in alcuni paesi e porzioni del pianeta. Concetto che risale ad una presunzione di superiorità che, se già molto discutibile nei secoli scorsi, oggi appare totalmente fuori da ogni contesto e logica. Sembrano questioni di lana caprina, a fronte dei drammi e delle tragedie odierne. Ma è proprio dalla sottovalutazione dei linguaggi e dai messaggi meno esibiti, che passano i condizionamenti e e le distorsioni nelle letture degli accadimenti. Le stesse distorsioni e condizionamenti che i poteri, in ogni angolo del mondo, hanno sempre usato per distrarre e tenere divisi e sfruttabili interi popoli. MIZIO

lunedì 4 maggio 2020

NULLA SARA' COME PRIMA




Questa pandemia, oltre la paura, i lutti, i danni economici, la reclusione forzata ha posto, o permesso che emergessero e che si facessero strada interrogativi legati più intimamente ai destini singoli e collettivi. Sarà possibile dopo questa esperienza, che tutto possa tornare come prima?
Sarà possibile far finta che tutto lo tsunami emotivo, esistenziale vissuto in questi giorni, possa esaurirsi e considerarlo alla stregua di un brutto sogno?
Al momento possiamo tranquillamente affermare che per molti, già non sia e non potrà essere così. Intanto per chi ha sofferto lutti e sofferenze sarà impossibile dimenticare. Per intere classi professionali, dal personale sanitario e a tutti quelli che per scelta o obbligo hanno dovuto sfidare il contagio, oltre la soddisfazione per il servizio svolto e la felicità per esserne usciti indenni, risulterà difficile dimenticare. E, anche per chi più semplicemente ha dovuto cambiare radicalmente il proprio stile di vita chiudendosi in casa, non sarà semplice riprendere come niente fosse.
La scienza, la politica, la chiesa, il mondo del calcio, il mondo industriale, le varie associazioni rappresentative ecc. ecc. in questi giorni hanno offerto contemporaneamente il meglio e il peggio di sé dando l'impressione di non essere gli strumenti più adeguati e idonei per affrontare situazioni emergenziali come queste.
E anche i singoli che, a questi soggetti delegano, o comunque volenti o nolenti, demandano decisioni e responsabilità, non hanno dato grande prova di maturità e serenità di giudizio. Più che a un cosciente e responsabile atteggiamento improntato alla prudenza e alla consapevolezza della gravità, abbiamo assistito alla discesa in campo delle tifoserie più scalmanate e prive quasi di filtri. Quasi l'importante non fosse limitare i danni se ma esprimere la soddisfazione per gli errori e le pecche del “nemico”.
E non solo la politica ha dato pessima prova di sé, ma anche tutti quei soggetti elencati prima, compreso il mondo scientifico che dovrebbe essere quello più asettico e meno incline a condizionamenti o a speculazioni interessate.
Quasi tutti, comunque hanno convenuto su una cosa, nulla potrà essere come prima, nonostante i desideri e le nostalgie dei più.
La questione, adesso, è capire in che modo e in quale direzione dovranno essere indirizzati gli sforzi affinchè veramente, il prossimo futuro, oltre che diverso, possa essere anche migliore di prima.
Credo che, nonostante,alcune buone intenzioni, il rapace mondo degli affari, degli interessi, del profitto, della speculazione stia affilando le armi affinchè il tutto cambi certo, ma se possibile in peggio, e a proprio favore.
La politica non promette nulla di buono avendo scelto, da una parte, quella attualmente al governo, di continuare a legare i propri destini a quelli di un'Europa che, se possibile, anche in questa occasione ha dimostrato il peggio di sé. L' altra capace solo di contrapporsi polemicamente, strumentalmente e a prescindere, al governo, ma totalmente incapace di portare avanti un proposta credibile e percorribile.
Poi abbiamo alcuni tra coloro che potrebbero avere buone idee di organizzazione e giustizia sociale e con motivazioni ideali sufficienti per elevarne le azioni ma che comunque, continuano a preferire il piccolo cabotaggio della critica ideologica, quasi fine a sé stessa visto che viene espressa parcellizzata e ininfluente da ognuno dalla propria piccola torretta testimoniale. E, paradossalmente lo si fa quasi coscientemente, argomentando le situazioni con gli stessi obiettivi e addirittura gli stessi termini. Cosa, allora, impedisca il naturale, logico passaggio al riconoscimento e all'accettazione di ciò, sembra più argomento da psicanalisi che politico.
Se la sinistra vuole avere ancora una sua ragion d'essere che non può essere limitata al solo ruolo di grillo parlante o di denuncia critica. In questa prossima fase dovrà essere soprattutto propositiva. Non certo, per arrivare ad avere un'ammucchiata di sigle da spendere elettoralmente, ma per rappresentare visivamente e realisticamente una proposta politica comprensibile e accettabile dai più.
Per quale motivo, ad esempio, qualsiasi esperienza di sinistra finisce per raccogliere poche adesioni, e quelle poche quasi esclusivamente all'interno di un mondo piccolo borghese, di autoreferenzialità intellettuale o politica? Da decenni, ormai, non si riesce a passare più attraverso il setaccio a maglie strette del giudizio e del favore delle masse operaie o del sottoproletariato.
Eppure l'habitat naturale della sinistra di classe dovrebbe essere quello, non certo il salotto borghese dei talk show. Gli sforzi dei singoli, ammirevoli quanto si vuole, ma se protagonisti in un teatro dalla platea vuota, rappresentano un inspiegabile spreco di energie e competenze.
Dovremmo saperlo, dovremmo averlo già capito da tempo con chi dovremmo ritornare a parlare. Lo sport preferito, sembra essere ormai, anche dalle nostre parti lo sprezzante giudizio da maestra di scuola elementare, che si erge e si fa beffe dell'ignoranza diffusa criticando e sottolineando con la penna rossa l'errato uso del congiuntivo.
Cosa giusta e importante, ma non al punto di farne una discriminante e un fossato che divide le persone e gli ambienti sociali. Si è, al massimo, ritornati a parlare di loro, anche sinceramente, ma non con loro
Si dovrebbe riscoprire nel poco di DNA popolare residuo rimasto degli antichi legami, che in fondo è più necessario essere simili e vicini al pensiero dell'operaio che vota Lega piuttosto che al giovane, rampante, rappresentante della piccola media borghesia i cui spazi o ambizioni sociali personali, trovano il proprio posto nei salotti del politically correct.
Quindi , sembra chiaro, che, volenti o nolenti, da questa pandemia ne dovremmo uscire profondamente cambiati. Lo sforzo che ci aspetta non è quello di riannodare semplicemente il filo di un discorso interrotto, ma proprio di provare a cambiarlo radicalmente quel discorso.
Già oggi, la crisi economica conseguente, trascinerà nei gorghi della povertà milioni di persone. L'abbiamo già visto nell'enorme disparità di risorse cui è stato possibile far ricorso nei diversi paesi. E quanto appaia insufficiente e minimo, il pur grande sforzo, in proporzione, che il nostro paese ha potuto e potrà fare. Quante spade di Damocle, oltre quelle già presenti sono puntate sulle nostre teste, ultima quella del declassamento del rating, appena un centimetro sopra il baratro del paese spazzatura. Abbiamo visto quanto l'egoismo e le paure di questa Europa rappresenti più che un'opportunità, una trappola a tempo ben congegnata, cui bisogna opporsi con altri modi e tempistiche rispetto quelli usati finora. Ad esempio, appare illogico e poco democratico che, a fronte di una maggioranza di paesi che firmano un documento richiedendo alcune cose, una minoranza di paesi (4) rappresentanti una minoranza, anche di popolazione e di potenza economica, vi si opponga e abbia un potere di veto. In questi casi non deve prevalere la motivazione del “E ma se usciamo dall'Europa sarebbe peggio”, ma mettere quella minoranza con le spalle al muro ed, eventualmente, mettere loro in condizione di valutare se è il caso di rompere con la maggioranza dei paesi Euro con relativa exit.
Ribaltare, con la coltivazione di alleanze stabili e convergenti, il paradigma che vuole alcuni paesi nel ruolo d i censori ed esaminatori ed altri in quello di scolaretti da mettere in riga. Non deve, non può e non si può più permettere che funzioni così.
La pandemia, quasi come una nemesi, parte proprio da quella Cina, paese simbolo della nuova economia mondiale, che più e meglio di altri ha saputo sfruttare quella globalizzazione voluta e attuata dalle multinazionali per massimizzare i profitti, ma che si sta ritorcendo contro gli stessi che l' hanno promossa e sponsorizzata.
La politica, a partire da quella che viene vista come la nazione guida, gli USA e il loro presidente Trump, figlia anch'essa di una visione esclusivamente economicista di corto respiro e di ancor più limitata prospettiva, si è rivelata dove un po' di più dove un pò meno, totalmente incapace e inadeguata al ruolo. Mancano leader capaci di interpretare un ruolo che sia diverso da quello del ragioniere o dell' architetto di equibri politici che, tropppo spesso diventano equilibrismi inutili e incomprensibili. Recuperare una visione umanistica e complessiva intorno ai valori, ai bisogni vitali e primari della vita umana, sembra quanto mai indispensabile. Difficile farlo partendo dalle sole parole d'ordine che ci hanno accompagnato fino ad oggi poichè, almeno nella prima fase di proposizione, non ci sarebbe tempo e modo per riportarle ad antichi valori e splendori. Troppo il discredito e il disvalore che nel tempo si sono accostati, a torto o ragione, a quei termini. Soprattutto per la stragrande maggioranza dei giovani che, nel migliore dei casi, ne conoscono appena il significato storico, legato però, ad un passato decisamente non replicabile. Un'opera di ricostruzione senza mettersi in discussione complessivamente, appare oltre che difficilmente credibile, anche con una tempistica non adeguata alle esigenze del momento.
Il nemico era e rimane il capitalismo in ogni sua forma. La liberazione dell'uomo dalla schiavitù del lavoro, dal bisogno e dallo sfruttamento deve rimanere l'obiettivo, non solo sentimentalmente utopico, ma praticato coerentemente e ostinatamente in ogni momento. Esclusi e censurabili qualsiasi tipo di astuzie, tatticismi, speculazioni, operazioni spregiudicate e poco comprensibili. Linearità, chiarezza, coerenza, impegno, competenza dovranno essere obbligatoriamente le linee guida che qualsiasi movimento, partito, associazione voglia provare a proporsi per un cambiamento in senso progressista, dovrà seguire. Ne saranno capaci? Dubito ma essendo l'unica opzione valida, varrebbe la pena provarci. Prossimamente cercheremo, anche di affrontare non solo il cosa, ma anche il come sia possibile porci di fronte ai grandi temi che ci sono di fronte in un'ottica di avanzamento sociale e ambientale complessivo.
Ad maiora!

MIZIO

venerdì 24 aprile 2020

PANDEMIA - PANDETUA


CORONAVIRUS, PANDEMIA DI EGOISMO ED IGNORANZA. A chi la tocca, la ...


In questi giorni di lunga “prigionia” forzatamente ci si dedica di più ad aspetti e interessi, se vogliamo secondari, rispetto quelli che abitualmente si coltivano.
Si sperimentano anche forme di pensiero più spontanee e anarchiche del solito, lasciandole libere di avventurarsi anche su sentieri tanto tortuosi quanto però, affascinanti. Inoltre questa pandemia sembra aver esaltato alla massima potenza tutte le visioni, reali, verosimili, fantasiose, complottiste, esoteriche che hai frequentato più o meno direttamente e più o meno condividendone lo spirito.
Quindi ci si avventura in riflessioni che, normalmente, pur essendo già tue, non si dedica loro. alcuna attenzione.
Quindi ritorniamo al concetto di trinità e della sacralità derivante del numero tre, già analizzata in altre occasioni. Cosa che non è appannaggio della sola visione cristiana, anzi affonda le sue radici in  culture e visioni sia religiose che filosofiche diverse o, per guardare anche più vicino a noi, alla moderna psicanalisi. La suddivisione una e trina della visione spirituale, corpo, anima, spirito trova una naturale corrispondenza nella triplicità istinto, intelligenza, coscienza della moderna e più condivisibile scienza.
Come direbbe qualcuno verrebbe da pensare giustamente:”Ma che c'azzecca?”
C'azzecca, perchè questa pandemia, evento epocale e quasi unico nelle vita e nella recente storia dell'umanità, ha liberato e reso, se non accettabili e comprensibili, almeno degni di attenzione dubbi e interpretazioni più o meno fantasiosi. Tutti aspetti che trovano, poi, fertile terreno di diffusione e crescita nella debolezza figlia della paura. O quanto sia deresponsabilizzante l'ingenua, ma consolatoria sensazione, di essere nelle mani di oscuri manovratori del nostro destino sia personale che collettivo. D'altra parte, storicamente, pur di non ammettere la propria condizione di congenita debolezza e precarietà legata al nostro essere umani, in viaggio casuale su questa palletta spersa nello spazio, si preferisce indirizzare strali e responsabilità su altro, meglio se oscuro e mimetizzato abilmente.
Quindi possiamo già cominciare a vedere come, visioni e atteggiamenti, già presenti normalmente, vengano esaltati e coltivati in modo compulsivo privo anche dei normali filtri censori dai più, e in modo speculativo interessato da parte di altri.
Prego chi abbia voglia di continuare a leggere di non provare eccessivo stupore, né di coltivare dubbi sulla sanità mentale del sottoscritto pur avendo, legittimamente, tutta la libertà di pensare che siano solo fesserie. Cercheremo di camminare come novelli Dante e senza alcun Virgilio, in equilibrio sulla stretta cengia che ci divide dalle perigliose e dolorose esperienze delle anime del Purgatorio. Cercando di non inibirci la possibilità,anche di leggere, ascoltare e condividere riflessioni, punti di vista che, anche se frutto di fantasie esasperate,possano rappresentare comunque, un qualcosa degno d'attenzione se non altro perchè totalmente disconnessi da interessi di alcun tipo.
La nostra vita sociale da sempre è inquadrata e codificata in una visione condivisa dell'esistente. Dalle verità scientifiche, alle narrazioni storiche per finire alle regole morali e all'etica. Partendo da queste basi il singolo e le comunità si rapportano tra loro dando vita alle varie organizzazioni sociali, politiche, religiose ecc. che conosciamo. Sulla giustizia, libertà o composizioni di tali aspetti condivisi, si polarizzano, conseguentemente, le varie forme di pensiero tese ad aggiudicarsi la fetta più grande di potere, ricchezza e visibilità possibile.
Detta questa prima banalità aggiungiamone un'altra. L'avventura della vita, pur essendo costretta e forzatamente all'interno di regole collettive imposte, rimane sempre e comunque un' esperienza assolutamente personale, non condivisibile e non comprensibile se non sommariamente da nessun altro per quanto simile o anche empaticamente, legato.
Da questa banale considerazione nasce ad esempio il famoso: “Non giudicare”.
Nel caso, si cerchi di giudicare l'atto ma non chi lo compia. Non sapremo mai se nelle stesse identiche condizioni sociali, familiari, culturali noi avremmo agito diversamente. Ovviamente, questo, socialmente non deve e non può essere concepito come una deresponsabilizzazione assoluta, ma per immaginare l'eventuale sanzione o punizione all'interno di una visione che ne preveda il recupero e la relativa comprensione della negatività dell'atto commesso. 
Come si vede spesso, le grandi verità, possono essere di una semplicità disarmante potenzialmente condivise e comprensibili anche da soggettività diverse, ma prive di pregiudizi.
Perciò vediamo che abbiamo stabilito già una prima categoria di lettura. Quella visibile, comunemente accettata e condivisa. Cosa utile, se non necessaria, per la possibilità di concepire la vita sociale di soggetti altrimenti troppo diversi. Ovviamente in questa visione tralascio volutamente, perchè non funzionale a quello che vorrei dire, il giudizio sulla giustizia o meno di tale organizzazione, che attiene ad un altro livello di lettura e ragionamento.
Dobbiamo, quindi, considerare gli altri due livelli di lettura e percezione che sono molto più del primo, legati al vissuto, alle visioni e sensibilità personali.
Uno di questi è legato strettamente al proprio livello intellettivo che, come sappiamo non è uniformemente uguale ma, come le caratteristiche fisiche, diverso per ognuno, unico e indivisibile. Ma come il fisico può essere, però soggetto a cambiamenti evolutivi, compresi, però, in uno spazio più-meno, limitato e riferito sempre al potenziale del singolo e diverso per ognuno.
In genere è in questo spazio che, se solleticato e stimolato nel senso giusto, blandendo l'intelligenza o l'ego degli interessati, si inviano, attecchiscono e crescono i migliori o i peggiori messaggi. Messaggi più o meno interessati della politica, delle religioni, dei potentati o, anche del cosiddetto complottismo, tanto in voga recentemente. Cose che in assenza di un atteggiamento laicamente critico facilmente si possono trasformare in verità incontestabili, che necessitano e spingono ad atteggiamenti di fedeltà cieca e assoluta.
Da qui nascono le necessità, da parte di alcuni, di trasformarsi, e anche con orgogliosa ostentazione, in megafoni viventi e difensori ad oltranza di un'idea o visione. Ruolo che nobilita e gratifica facendo provare un appagante senso di superiorità ed esclusività.. La convinzione di servire una verità (sia pur quasi sempre soggettiva) ci dà un'appagante sensazione di aver trovato  quella posizione nel mondo, cui sentiamo di aver diritto-dovere.
Per ritornare a bomba sulla questione pandemia e fare un esempio leggibile. Avrete notato con quale facilità e con quale convinzione ognuno difenda la propria posizione e quante di queste siano frutto di assoluta fantasia e meno credibili anche delle più astruse convinzioni dei popoli più antichi. Abbiamo visto di tutto, da teorie con basi più o meno scientifiche, ad altre più interessate politicamente ed economicamente o addirittura al complottismo più o meno astruso,al servizio di chissà quale segretissimo piano di conquista del mondo e dell'universo intero.
Il terzo livello è quello che, più di tutti gli altri risulta mimetizzato e nascosto rispondendo, molto più dei precedenti ad una sensibilità assolutamente personale e unica. Talmente unica nella sua originalità da sembrare priva dei normali  filtri cognitivi, facendo appello ad altri intimi codici di giudizio.
Quelli che sono annidati nella parte più profonda e intima del nostro essere. Spirito, coscienza, Es, super io, subconscio, ognuno lo identifica con un nome diverso, ma, sostanzialmente ci si riferisce alla stessa zona del nostro sentire.
Ed è, fondamentalmente, quella con cui raramente, e quasi sempre con disagio,ci troviamo a confrontare il nostro agire pubblico rispetto quello che avremmo sentito più naturalmente nostro.
Ora, a fronte di questa situazione, sembra più che normale che, soprattutto in situazioni estreme come questa pandemia, sentimenti più epidermici come la paura prendano il sopravvento determinando giudizi e atteggiamenti comprensibili ma censurabili. Una minoranza sostanziosa fa dell'esercizio critico e si butta a capofitto nella necessaria opera di conoscenza. Territorio in cui le notizie e le informazioni passano senza un preliminare asettico e dovuto esame, ma rispondendo in via prioritaria, alla propria visione. Comprensibile, in quanto la cosa più complicata è ammettere che, forse, qualcosa del nostro percorso sia da mettere in discussione.
Quelli, purtroppo una minoranza, che riescono consapevolmente o meno, a utilizzare anche il terzo livello e a raggiungere un equilibrio stabile e duraturo dell'intero proprio essere, sono coloroi che sembrano i più (e forse lo sono) equilibrati, i meno coinvolti apparentemente, dagli eventi al punto di dare l'impressione di avere nel disinteresse l'aspetto prevalente del proprio carattere. Cosa, ovviamente, non veritiera ma frutto di una costante ricerca di un equilibrio interiore che, in mezzo a mille dubbi e difficoltà viene però vissuto dagli interessati come un atteggiamento indispensabile e non solo utile. Soprattutto a sé stessi prima che ad altri.
Sarebbero poi, quei soggetti che spesso e involontariamente, vengono presi ad esempio sia negli aspetti positivi, facendone un riferimento anche morale, quanto in negativo per quanto in grado di scuotere le cattive coscienze altrui.
Tutto questo ragionamento per provare a capire, da un punto di vista originale e decentrato, il perchè l'enorme massa di informazioni, soprattutto in questi periodi nodali storici, ci travolga e, favorita dai moderni mezzi informatici passi, quando va bene, al vaglio solo del primo livello e raramente del secondo. Quasi mai si utilizza anche il terzo. Sia per una congenita disabitudine e difficoltà a farne uso, sia per il timore di apparire troppo fuori dal coro con relativo rischio di isolamento sociale.
In ultimo, ma non per rilevanza vorrei ricordare, soprattutto a tutti quelli che ingenuamente e inconsapevolmente si trasformano in spacciatori di fake, di bufale vere e proprie se non addirittura di falsità costruite ad arte per delegittimare l'esistente e spianare la strada a personaggi equivoci, interessati e pericolosi, di provare a sfilarsi dal loro ruolo di Ascari di costoro.
Per questi va bene qualsiasi cosa, politica, religione, complottismo, medicina, economia, l'importante è instillare il virus del dubbio, proponendo visioni e chiavi di lettura che spostano il punto di vista da quello più ovvio, banale ed efficace. Non perchè non ci siano piani o intenzioni subdole e segrete, ma se non usiamo la lettura (che vale sempre) del cui protest, ci allontaniamo da quello che dovrebbe essere il principale impegno personale e collettivo di battersi sempre e comunque per la giustizia, per seguire fantasie o depistaggi inutili e dannosi.
Quindi quando si leggono o si viene a conoscenza di qualcosa, si tenga sempre presente, prima di farle proprie e divulgarle, che raramente, per non dire mai, le informazioni e le grandi verità possono essere divulgate a tutti. Laddove comunque, dovessero arrivare, si avrebbe bisogno dei filtri cognitivi giusti per decodificarli nel modo giusto e, soprattutto per non darli in pasto a chiunque. Il risultato, lo vediamo, è un imbarbarimento progressivo che continuamente contribuiamo ad alimentare più o meno consapevolmente.

MIZIO


sabato 15 luglio 2017

CHI HA PAURA DELL'UOMO NERO?

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Nel paese in cui ci si è sempre arrangiati con metodi border line con la legalità e la moralità. Il paese in cui il concetto di libertà è inteso molto spesso come anarchia comportamentale a proprio  uso e consumo. Dove le leggi sono fatte per essere aggirate prima ancora che rispettate. Dove l’evasione fiscale piccola o grande è vista con compiacimento. Dove quando prendiamo una sacrosanta multa siamo pronti a far causa o ad affidarci all’amico compiacente nell’ufficio giusto per farcela togliere Dove l’llegalità e i metodi mafiosi siamo riusciti ad esportarla in tutto il mondo più della pizza e degli spaghetti. Un paese dove si è quasi sempre votato per clientela e favoritismi diretti o indiretti ebbene proprio in questo paese le bacheche di Fb, le discussioni nei bar o per la strada ormai hanno un filo comune che le lega e che trova spesso complicità ed approvazione. Sono troppi, sono delinquenti, rimandiamoli al paese loro. Ormai tutti i giorni e più volte al giorno ci sono siti e persone che rilanciano sdegnati notizie vere, presunte o, spesso false, di crimi commessi da extracomunitari. Ci sono partiti e movimenti che su questo ci sguazzano e attirano consensi. Questi atteggiamenti hanno anche ridato voce e visibilità a movimenti che, in uno stato serio, sarebbero da tempo stati relegati nelle pagine più vergognose dei libri di storia o nel registro degli indagati. Non sarò certo io a dire che l’ondata migratoria massiccia non rappresenti un problema. Ma sono anche cosciente che il problema più grosso ce l’hanno loro con la disperazione, con i drammi e le tragedie che li hanno portati fino da noi. Come sono cosciente che tra di loro ci sia anche chi delinque. Mi pare che sono esseri umani e non c’è alcuna comunità umana ove elementi di delinquenza non siano presenti. Nel loro caso c’è anche una forte molla di carattere psicologico come quella di avere a portata di mano quel benessere sognato e inseguito e non poterne godere Ma questo continuo esaltare le notizie di reati quando, questi, riguardano i migranti, oltre che aumentare il senso di  insicurezza collettiva (paura) rende ancora più difficile un confronto sereno, per quanto possibile, con il problema. e con le sue eventuali e possibili soluzioni. D’altra parte che questo sia vero lo dicono le statistiche, i reati commessi dagli stranieri sono, percentualmente, più o meno in linea con quelli commessi dagli italiani. Quindi va condannato, come è normale che sia, l’atto delinquenziale e non l’aggravante, dell’ essere stato commesso da uno straniero. Uno stupro perpetrato da un italiano non è meno grave e odioso di uno commesso da un immigrato (magari di colore) ma non ha la stessa rilevanza mediatica e lo stesso tasso d’indignazione. Lo spaccio di droga non fa schifo perché il pusher è marocchino (e anche perché il grande trafficante che lo utilizza quasi sempre è italiano) ma perché la cultura dello sballo e della morte che la droga comporta va rigettata e combattuta a prescindere. Il fenomeno dell’emigrazione si  deve analizzare nella sua gestione e risoluzione nell’ottica che non sia quella dell’emergenza. Perché ormai il fenomeno è endemico e strutturale. Come endemici e strutturali sono i motivi che li portano a rischiare la vita in traversate del deserto e in mare aperto vedendo morire spesso i propri cari. Non voglio parlare delle responsabilità storiche dell’Occidente, e, quindi anche dell’Italia, nelle guerre, nelle carestie, nell’appoggio e finanziamento di regime dittatoriali in cambio di materie prime per le multinazionali, oltre la vergognosa vendita di armi. La mia riflesione puntava soprattutto a sensibilizzare tutti quelli che si fanno facilmente condizionare da notizie, spesso ripeto, anche gonfiate, dimenticando che in casa nostra i primi e, per tanti anni, gli unici a delinquere e a non rispettare le regole siamo stati noi. Pronti, però, di fronte al nero sporco e cattivo a diventare i paladini della legalità e della nostra cultura (si cultura, perché anche di questo si riempiono la bocca, quelli che fino a ieri il massimo impegno culturale prodotto era nel leggere il Corriere dello Sport o Novella 2000).

giovedì 16 marzo 2017

C'E' CRISI, GRANDE CRISI!

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Quando nel 2008, cominciò questa lunghissima crisi fu chiaro fin quasi da subito che si trattava di una crisi non ciclica e non episodica, come tante altre tipiche del capitalismo. Diversa e più devastante anche della famosa crisi del ’29, perché diverse le condizioni, diverse le motivazioni, diverso l’habitat e gli assetti sociali e mondiali. La globalizzazione e la mercificazione delle umane attività legate sempre più, non solo e non prevalentemente al profitto del capitalista, ma alla speculazione finanziaria, associata ad una indotta richiesta sempre maggiore di merci a prezzi sempre più bassi  e conseguenti sfruttamenti di risorse a prezzi sempre crescenti ha creato un cortocircuito sistemico e non limitato al solo periodo interessato. Da come si valuta e da come se ne uscirà sapremo se la lezione di questi anni sarà servita a qualcosa o se continueremo nella folle corsa verso l’autodistruzione. Le risposte della politica e dell’economia “classica” sono state insufficienti, sbagliate e hanno fondamentalmente peggiorato gli effetti della crisi stessa, non leggendola e non affrontandola con le giuste armi e la giusta visuale.
Per certi aspetti, anche giustamente, è stata abbandonata, in nome della complessità, la visione novecentesca della società, e la conseguente visione ideologica che puntava al riscatto collettivo dell’essere umano. Si è dato spazio e dignità a forme sempre più esasperate di competizione tra gruppi e singoli esaltando, oltremisura, il ruolo dell’IO rispetto al NOI. Ricordate il mantra, ancora in voga anche tra di noi, della meritocrazia e della rottamazione? Ebbene in quest’ottica e in questa condivisione passiva della logica che c’era dietro, invece che esaltare le potenzialità di ognuno e indirizzarle ad un balzo qualitativo generale, si sono giustificate e aperte all’accettazione sociale le gabbie dei peggiori istinti egoistici e al conseguente massacro sociale, sia che interessi gli stati, gruppi o singoli. Ovviamente nulla è casuale, se questo è stato fatto, appare evidente che dietro ci siano interessi precisi. Gli interessi di quegli stessi che, pur essendo i maggiori responsabili della crisi, dalla stessa hanno ricevuto i migliori benefici.
Ritornando alla domanda che, da sempre ci si fa, del che fare? Appare chiaro che chiunque voglia uscire da questa crisi e combatterne i nefasti effetti, non può farlo ricorrendo ad una semplice operazione di maquillage.
Tanto per essere più chiari e precisi, il semplice ricorrere ai classici parametri della crescita economica, pur apparendo come la risposta più semplice e comprensibile al momento, non è certamente quella più adeguata. Si diceva all’inizio crisi sistemica e non episodica. Forza lavoro sempre più abbondante e sempre più a buon mercato con sempre meno posti da occupare. Materie prime e beni essenziali (es. l’acqua), sempre più scarsi e fonte di speculazioni globali e monopolistiche. Presenza di una finanza che salvaguarda esclusivamente se stessa e il proprio ruolo dominante svincolata da qualsiasi dovere sociale o politico di sussidiarietà. Un ambiente e le sue risorse che, seppur immenso, non è illimitato e con il massiccio sfruttamento legato esclusivamente alla logica del profitto rischia  di portare l’umanità ad un default collettivo senza precedenti, non fra mille anni  ma in pochi decenni. Mettiamoci anche le guerre, le carestie, le ingiustizie sociali di quelle parti del mondo da sempre considerata come territori da sfruttare e depredare, con le conseguenti migrazioni bibliche di questi anni, e il quadro è abbastanza completo per essere non preoccupati, ma atterriti. E, purtroppo, sembrano inadeguati e limitati anche gli strumenti e le letture forniti dalla politica, anche quella ideologica, legate come sono, ad un riscontro immediato e misurabile in termini di risultati elettorali. E’ indubbio che rispetto le problematiche drammaticamente esplose con la crisi attuale, ma già presenti  nel corpo sociale da tempo, il capitalismo soprattutto nella sua forma più recente e cinica, quello liberista finanziario,appare senza dubbio, come il maggiore responsabile e, di conseguenza,il più  inadeguato a fornire risposte e soluzioni. Risposte e soluzioni che possono partire solo da quelle forze e da quegli ideali che partendo da una base di ricerca di giustizia, eguaglianza e libertà possono, più facilmente e più logicamente, fare proprie nuove visioni e nuove tematiche da iniettare nel proprio dna politico senza rischiare grosse crisi di rigetto. Ecco quindi che veniamo al noi e a quello che ognuno può fare nel suo piccolo. Forse non è un caso che, in alcuni paesi, la crisi abbia prodotto effetti più pesanti che per altri, come nel caso dell’Italia. E non è un caso, forse, che il tutto sia stato esponenzialmente aggravato, da una lettura da parte della sinistra, sbagliata e in controtendenza rispetto i propri presupposti ideali prima che ideologici. Se questo può essere vero, e secondo me è un aspetto da non sottovalutare, una delle cose da fare è cercare di risostruire quel tessuto connettivo che faceva della sinistra, in passato, il principale baluardo contro gli eccessi e le ingiustizie insite nel sistema capitalista. Nessun nostalgico riproporsi di schemi e simboli che appartengono al sentimento e alla storia personale e collettiva, ma la proposizione con forza del concetto che, se non si parte dalla lotta alle disuguaglianze, non potremo mai sperare di innestarle e contaminarle con successo con le nuove tematiche. Quelle che parlano di un’economia sostenibile, di una salvaguardia ambientale, di un cambiamento sostanziale anche di usi e consumi personali. Troppo spesso queste sono legate, nella proposta,  a forme di francescanesimo o di pauperismo che, per gran parte della popolazione mondiale (e anche italiana) in condizioni di sofferenza e povertà non potrebbero mai, non solo, essere recepite e fatte proprie, ma sicuramente avversate e combattute.
Questa è la sfida che abbiamo di fronte, queste sono secondo me, le possibilità che abbiamo. Se stiamo passivamente ad aspettare che un’inversione di tendenza venga da coloro che ne sono i responsabili rischieremmo la paralisi e il default collettivo, non finanziario, non economico ma globale.


MIZIO

domenica 20 novembre 2016

ERA NO PRIMA E SARA' NO ADESSO

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La governabilità legata alla stabilità è il nuovo (ma mica poi tanto) mantra che anima le scelte e gli indirizzi della politica negli ultimi decenni. Inseguito e sollecitato soprattutto dalla classe imprenditoriale, da quella finanziaria che vedevano, e vedono, nella rappresentanza e nella conseguente dialettica, un freno a quelle che sono considerate le loro priorità. Priorità indicate sempre sotto la lente di parametri e interessi economici che quasi mai vanno a braccetto con un sentimento di equità e giustizia.
La presunta superiorità del sistema maggioritario (meglio se bipolare o, addirittura, bipartitico),è legata a quell’altro mito della sua altrettanto presunta modernità visto che è adottato da quei paesi considerati all’avanguardia, primi fra tutti quelli anglosassoni.
Se vogliamo indicare una data simbolo che demarchi un prima e un dopo nella questione, non possiamo che risalire al referendum del 1993 ove la maggioranza degli italiani (non io) sotto l’onda emotiva dello scandalo di tangentopoli e della caduta del muro di Berlino con le sue conseguenze, scelse di abbandonare il sistema elettorale proporzionale, mantenendone soltanto una percentuale del 25% con la nuova legge  adottata, denominata Mattarellum. Da allora non sono mai terminati gli attacchi tesi a limitare sempre più quegli aspetti legati alla rappresentatività per spostare l’asse sempre più verso la stabilità. Detto in parole povere, chi vince si prende tutto per 5 anni e, a fronte di una sempre maggiore complessità della società, si tenta di rispondere con una semplificazione e una limitazione alla massima potenza della partecipazione e della vita politica.
Da questo punto di vista l’introduzione del sistema maggioritario ha prodotto limitati effetti, vista la frequenza con cui sono continuati a cadere e cambiare i governi. Ha prodotto molti più effetti sulla partecipazione e sul legame che, dal dopoguerra, legava la stragrande maggioranza degli italiani all’attivismo e condivisione della vita politica. Recisi i rami degli ideali, del senso di appartenenza, della delega rappresentativa, lentamente ma progressivamente ci siamo avvicinati a quelle democrazie avanzate cui si faceva riferimento prima con percentuali di partecipazione al voto di poco superiore al 50% e con una ancor più misera partecipazione alla vita attiva dei partiti, divenuti progressivamente sempre più comitati elettorali o d’affari. Partiti che, prima erano punti di riferimento collettivi e popolari (anche quelli cosiddetti borghesi), e che dopo, nel migliore dei casi, sono stati visti come opportunità per “svoltare” nella vita o come strumenti al servizio di interessi poco chiari e, molto spesso, ancor meno leciti.
Sono usciti dalla porta per non rientrare più la dialettica, il confronto, la mediazione, il senso di giustizia sostituiti dall’insulto, dall’ astio, dal posizionamento svincolato dalla ragione e affidato solo all’essere contro. La nuova parola d’ordine diventa vincere, a prescindere dal “come” e dal “per cosa”.
La sinistra e la destra spostano le truppe e gli interessi  verso il centro, dando vita a soluzioni ibride al limite della peggiore ingegneria genetica, denominate centrodestra e centrosinistra in cui, spesso, all’interno dello stesso schieramento predominano sospetti e sgambetti. Prodi, D’Alema, Berlusconi, ancora Prodi, ancora Berlusconi, e poi Monti, Letta, fino ad arrivare all’attuale Renzi l’elenco di chi si è succeduto alla guida dei non pochi governi indica chiaramente che anche l’unico obbiettivo condiviso, quello della stabilità, non è stato raggiunto.
Qualcuno, sano di mente, può in tutta sincerità, affermare che queste stagioni politiche siano state caratterizzate, oltre che dalla stabilità, dal buon governo, dalla giustizia ed equità?
Si può affermare che la società italiana abbia fatto quel salto qualitativo che le avrebbe permesso di superare i limiti e le contraddizioni delle stagioni precedenti?
Personalmente e, credo insieme alla stragrande maggioranza degli italiani, posso affermare tranquillamente di no, anzi si sono registrati notevoli passi all’indietro su temi fondamentali come quello dei diritti sociali, della rappresentanza, della democrazia.
Già sento qualcuno che comincia a pensare: ”Va bene, però dimentichi che c’è stata la globalizzazione, l’Europa, la nuova moneta e le nuove politiche comunitarie e bla bla bla….”. No, non lo dimentico, anzi, credo che le scellerate scelte fatte dei paesi europei in termini economici, di giustizia, di solidarietà, sarebbero stati senz’altro migliori se avesse prevalso un principio di eguaglianza e di rappresentatività, piuttosto che gli interessi delle lobby economiche e finanziarie che, trovano nel sistema elettorale semplificato il loro habitat preferito.
Chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui si aspetterà adesso , legittimamente, una conclusione.
Siamo alla vigilia dell’ennesimo, forse decisivo, attacco alla costituzione. La parola d’ordine adesso è resistere. E resistere vuol dire VOTARE NO il 4 dicembre al referendum.
Subito dopo, partire per ricostruire un habitat politico idoneo alla rappresentanza degli ultimi e dei penultimi, mettendo da parte egoismi, visioni personalistiche e limitate. Rimettere in discussione quelle che sembrano essere, ormai, pietre tombali su alcune questioni, a cominciare dalla legge elettorale che, per me, deve ritornare ad essere proporzionale, magari non pura, ma proporzionale.
E per ripartire col piede giusto non si può, a mio modestissimo parere, che ripartire da sinistra.
Ad maiora!


MIZIO

martedì 1 novembre 2016

TREMORI E TIMORI


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La terra trema e non sembra fermarsi, come il cuore in gola che batte sempre più forte. Le ferite alla montagna, i colpi di maglio sulle case, sulle chiese. Il nostro paese come corpo di novello Cristo oltraggiato, torturato che, fattosi  carne, riesce solo a tremare. Sta superando, ormai, anche, la paura e invoca solo pace.
Le ferite che non sanguinano nemmeno più e, forse, sono le peggiori. Quelle che non cicatrizzeranno, quelle che rimarranno lì e bruceranno tutte le notti rinnovando ogni volta, non solo il terrore, ma la rassegnazione per un destino già segnato.
Il cuore verde dell’Italia, il corpo vivo, l’anima stessa del nostro paese, la catena che unisce non solo idealmente tutta la nostra penisola si scopre fragile, indifesa, novella vestale oltraggiata, non sappiamo se da un dio capriccioso e cinico o da esseri umani convinti d’essere a sua immagine e somiglianza.
Dopo essere stati cacciati dall’Eden sembrerebbe che i monti dell’Appennino Centrale siano i luoghi e i paesaggi che più gli si avvicinino. Forse, per questo, tanti grandi spiriti dell’anima, dell’arte, del bello si sono dati appuntamento in questi luoghi. Non è un caso che qui ogni monte, ogni pietra, ogni albero trasudi spiritualità e senso della meraviglia, di fronte al quale anche il più incallito dei miscredenti non può che rimanere in rispettoso silenzio.
Lo stesso silenzio che rimane dopo gli imprevisti, improvvisi, agghiaccianti schiaffi che la natura infligge alle nostre certezze.
Uscendo dalle immaginifiche metafore, affascinanti quanto si vuole, ma stucchevoli rispetto il dramma consumato si rende quanto mai necessario porsi la domande del che fare da oggi in poi.
Prendere atto dell’ineluttabilità degli eventi è il primo necessario passo. Pensare che tutto possa ritornare come prima senza una presa di coscienza, che nulla potrà essere come era è, invece, il principale errore da evitare.
L’altro errore da evitare, anche se può sembrare antitetico rispetto, il primo è  pensare a forme di eradicazione sociale e culturale di quei luoghi. La ricostruzione, per quanto lunga, difficile, costosa non può che avvenire mantenendo salde le radici e i sentimenti in quei luoghi, pena una seconda e ancora più dolorosa strage di anime.
Norcia, Amatrice, Castelluccio nel nostro immaginario possono continuare a vivere anche senza ricostruirle, ma per chi di quei luoghi è figlio e, anche custode per le generazioni future, non possiamo immaginare qualcosa di diverso da un ritorno a casa.
Quando avvengono accadimenti del genere sembriamo tutti presi e coscienti della nostra pochezza e della nostra impotenza. E, se singolarmente, riusciamo anche a trovare una scala classificatoria di valori con un’alta valenza morale, nel trasferire il tutto a dimensioni politiche e collettive le riposizioniamo in maniera diversa e moralmente discutibile.
Senza girarci troppo intorno, un paese come l’ Italia (ma non solo) che molto più di altri è sottoposto a rischi sismici, con la presenza di vulcani ad alta potenziale pericolosità, di fragilità diffusa del territorio, oltre ad essere esposta, vista la posizione, a fenomeni di accoglienza di enormi masse di disperati dall’Africa, può legare il suo destino e quello di milioni di cittadini alle ferree, ciniche, insensibili logiche finanziarie e neo liberiste di un’Europa a trazione bancaria?
Sembra di capire che, al momento, i fondi stanziati per i soccorsi e l’assistenza dei terremotati non saranno inseriti tra le spese correnti e non peseranno nel rapporto debito Pil, ed è già un piccolo passo avanti, ma è solo la punta dell’iceberg. Proprio per quello che si diceva un attimo prima la situazione geologica e geografica dell’Italia la pone in condizione di estrema precarietà e rende improcrastinabile e necessaria la programmazione di un piano pluriennale di messa in sicurezza dell’intero territorio. Per fare questo si rende prioritaria, anche perché estremamente giusto, la revisione delle leggi, dei trattati che limitano la spesa pubblica e la libera circolazione delle persone (argomenti in apparenza poco accomunabili ma sottoposti alle stesse inconcepibili logiche di trattati sottoscritti non con le penne e il cuore, ma con la calcolatrice in mano).
Le leggi, i trattati, le norme quando palesano limiti ed errori è giusto che debbano e possano essere sottoposti a riletture e correzioni. L’ economia quando svincolata dalla finanza e sottoposta al controllo e alla mediazione della politica è uno strumento utile e necessario regolatore sociale. Laddove questo non è, e non sia ritenuto possibile, mantenendo ostinatamente inalterate, scale di valori antitetici con la logica e la vita stessa, non credo sia una bestemmia denunciarne i limiti e prospettare, anche, scelte conseguenti.
Il territorio italiano, la sua storia, la sua bellezza, i suoi abitanti se non possono evitare i tremori della natura devono e possono evitare il timore di essere considerati come i passeggeri di terza classe del Titanic. Perché se è vero che, se la nave affonda, affondano tutti, ma quelli che hanno meno possibilità di sortirne fuori vivi sono proprio quelli che già sono, per natura, o scelta, sotto la linea di galleggiamento.
Ad maiora


MIZIO

venerdì 26 agosto 2016

TERREMOTI NECESSARI

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Abbiamo riempito l’Italia di asfalto e cemento, abbiamo bucato, traforato, deviato fiumi, espropriato, distrutto, prosciugato sorgenti, creato laghi, cancellato panorami, coste e montagne. Il tutto snobbando con un’alzata di sopracciglio, le proteste, le perplessità, le esigenze di chi in quei luoghi ha convissuto per secoli con rispetto e all’interno di un rapporto equilibrato con l’ambiente circostante. 
Non è la nostalgica riproposizione dei bei tempi andati o del buon selvaggio capace di convivere con la natura e i suoi rischi. Perché i terremoti, anche distruttivi, ci sono sempre stati, come alluvioni e inondazioni. Fenomeni che non si potevano (e non si possono ) prevedere né fermare. Quello che possiamo fare, grazie alle moderne tecnologie e alle conoscenze acquisite nel corso dei secoli da ricerca e scienza, è di utilizzarle al meglio per la prevenzione, lo studio e la salvaguardia di comunità umane e naturali.
Oltre l’impatto devastante con rischi non sufficientemente considerati delle cosiddette grandi opere “indispensabili” quanti miliardi di euro costeranno? Tutte risorse che andranno a pesare, insieme ai danni ambientali, in un bilancio futuro come saldo negativo in termini sia economici che sociali. 
Anche l’ONU ci fa sapere che l’Italia è in ultima posizione in quanto a prevenzione, strutture e adeguamenti per la sicurezza del territorio. Mentre siamo sicuramente all’avanguardia per linee Alta velocità, rete autostradale, cattedrali e opere inutili progettate e costruite per i grandi eventi.
L’Italia, che si dimostra straordinariamente solidale e generosa in occasioni tragiche, è però incapace di controllare e amministrare  il quotidiano. Per guadagnare 5 minuti tra Roma e Milano non ci si ferma neanche di fronte il rischio di provocare potenziali danni in città come Firenze.
Italia, paese dalla natura e dal patrimonio artistico tanto preziosi e straordinari quanto ignorati e fragili, non può e non deve permettersi distrazioni o delegare ad un ipotetico futuro la presa di coscienza di tale realtà e la necessità di scelte conseguenti.
Introdurre nel sentimento e nelle coscienze colletive, prima ancora che nelle regole scritte, che gli aspetti economici, gli interessi finanziari non potranno e non dovranno mai avere la prevalenza rispetto la salvaguardia e la messa in sicurezza del territorio, delle comunità che le abitano e della stessa vita umana.
Ma, si dirà, il debito pubblico, gli accordi con l’Europa da rispettare, il fiscal compact che ha strangolato gli enti locali, come si fa, dove troviamo le risorse.
Ecco il punto focale attorno il quale, anche se si vuol far finta di niente, ruota tutto il discorso e ritroviamo il bandolo della matassa.
I soldi si trovano e ci sono solo per quelle opere che garantiscono , speculazioni e salvaguardano interessi che ricadono nell’immediato e limitatamente ad alcuni soggetti. Quei, come li definisco io, “lor signori”, che con argomentazioni supportate dagli "Azzeccagarbugli” di turno, tentano (riuscendoci) di convincerci che sono opere necessarie per lo sviluppo e la modernizzazione del paese oltre che per creare posti di lavoro, anche se precario e limitato nel tempo.
Gli stessi che sono i guardiani degli interessi finanziari e speculativi della nuova economia globale che salvaguarda i profitti, il libero scambio di merci al più basso costo possibile, bypassando esigenze vitali di singoli e di interi popoli. Gli stessi che considerano moralmente accettabile il sacrificio di migliaia di esseri umani in guerre “umanitarie”. Che obbligano milioni di uomini e donne a migrazioni bibliche per sfuggire a guerre e fame e farli, poi, finire ammassati e sfruttati in lager ai margini delle ricche e accoglienti democrazie.
Si dirà che c’entra tutto questo con i terremoti?
C’entra come c’entrano tutte le altre migliaia di cose che non vanno nella nostra moderna società. C’entra e c’entrano tutte quelle speculazioni e quei condizionamenti che ci portano a giustificare e a considerare prioritario l’interesse economico, piuttosto che gli interessi della sopravvivenza e salvaguardia del pianeta e dell’umanità.
Non aspettiamoci che questa presa di coscienza, che questa inversione di tendenza parta da lor signori o dall'alto. Deve maturare, crescere all’interno di ognuno di noi che senta questa esigenza.E, conseguentemente, maturare la convinzione e la necessità di trasformarla, con azioni e prese di posizioni, in qualcosa di visibile e tangibile. Ognuno nel proprio ambito sia esso politico, sociale, religioso, filosofico, morale.
Siamo vigili e presenti laddove questi pericoli si manifestano e si concretizzano, si sensibilizzi il proprio parente, il vicino di casa, si rompa le scatole al politico, all’amministratore locale, al professionista che dovrà decidere o attuare determinate cose.

Se i terremoti, le alluvioni  non si possono prevedere, si possono sicuramente limitare i danni e salvaguardare vite umane, città, borghi e territori con scelte politiche, economiche, di prevenzione e di salvaguardia ma soprattutto con una presa di coscienza, singola e collettiva che dia vita a un terremoto politico e sociale tanto auspicabile quanto necessario.
Ad maiora

MIZIO

venerdì 19 agosto 2016

TEMPO AL TEMPO?


Sicuramente molti ricordano quella scena di uno dei tanti film di Fantozzi, in cui il megapresidente galattico si rivolge al sottoposto umiliato, con queste parole:”Non si preoccupi del tempo, Fantocci. Posso aspettare… Io!
Ecco, il tempo. Si dice che sia galantuomo e che alla fine agisca come una livella che tutti riporta alla stessa dimensione di miseri esseri umani naufraghi inconsapevoli dell’avventura della vita.
Una delle maggiori preoccupazioni dell’essere umano è stato quello della sua misurazione, necessaria per scandire e organizzare la vita sociale. In altro ambito filosofi, teologi e pensatori di ogni tipo e di ogni epoca ne  hanno fatto oggetto di riflessioni speculative,  di opere d’arte,  poetiche, letterarie.
In un mondo che negli ultimi decenni ha accelerato esponenzialmente i suoi ritmi il tempo è diventato sempre più un elemento relegato a funzioni statistiche relative alla velocità di produzione con parametri che sempre più si allontanano da quelli delle persone per essere adattati a quelli di una competizione produttiva globale.
L’anticipazione profetica di Villaggio trova attualmente la sua applicazione pratica non solo nella singola vessazione parodistica del povero impiegato, cui necessitava far percepire la distanza di classe con il padrone, ma è diventato un comune sentire condiviso, inconsapevolmente, pure dalle “vittime”.
Questo senza dubbio è da ascrivere come uno dei maggiori successi di manipolazione e condizionamento di massa da parte del “potere”. Sembra quasi di essere entrati in una dimensione atemporale o di tempo sospeso, in cui tutto viene sacrificato e rimandato ad un possibile, ma improbabile futuro ricco, oltre che di possibilità economiche, anche di tempo da dedicare a sè e ai propri cari e ai propri interessi.
Tutto questo, e cerco di riportare il tutto ad una dimensione più vicina a noi, è avvenuto nella consapevole o meno, della (non) azione delle forze politiche e sindacali. Quella politica (in particolare di sinistra) e quel sindacato il cui compito storico sarebbe quello di rappresentanza e di salvaguardia della vita di tutti, in particolare dei milioni di Fantozzi è rimasta alla finestra, testimone muta, distratta e, per certi aspetti, complice
La politica per sua natura spesso diventa retorica e immaginifica, prospettando futuri meravigliosi a fronte di sacrifici immediati. Ma mentre prima il sogno del Sol dell’avvenire (sia pur utopico), segnava percorsi di lotte e conquiste con ricadute positive e tangibili nel quotidiano delle persone, oggi le scelte fatte “responsabilmente” lo peggiorano a fronte di improbabili miglioramenti , il cui confine, come l’utopia, viene spostato sempre più in avanti. I tempi della politica non sono più in lento ma progressivo avvicinamento a quelli della vita ma sempre più velocemente se ne stanno allontanando. I giovani, magari  laureati, i precari, i disoccupati del Sud, ma non solo, gli esodati, le donne e uomini separati senza sostegno hanno i loro bisogni vitali oggi! Non domani, dopodomani o chissà quando. E’ un attimo passare da giovane precario di belle speranze a precario cronico. Ancor meno tempo ci vuole per passare da disperato di mezza età a clochard o suicida. Una società che invecchia senza preoccuparsi di provvedere al proprio ricambio è una società destinata ad estinguersi ma sembra, che questo aspetto nel dibattito politico, sia totalmente assente e non percepito.
Sono partito dal tempo come valore messo in discussione per arrivare all’azione politica non casualmente ma attraverso un ragionamento che  ha una sua logica e importanza fondamentale (ovviamente per me). Frutto forse dell’età che avanza ma, soprattutto di un’analisi oggettiva condivisa da molti, e di una presa d’atto di una qualità di vita enormemente peggiorata, sia nell’immediato che nelle realistiche prospettive.
Chi mi conosce sa che non sono un nostalgico. Sono teneramente e sentimentalmente legato a quelle che erano idee, lotte, forme d’organizzazione della mia gioventù, ma anche realisticamente cosciente che sono improponibili oggi nelle stesse forme.
Ma sono anche coscientemente convinto che la politica a sinistra deve riprendere il suo ruolo che non può essere quello di mediatore e pacificatore sociale in nome di un luminoso, ipotetico  futuro.  Deve ricominciare a tessere la trama per un vestito e una politica che, pur in un’ottica utopica (necessaria per motivazioni, adesioni e fidelizzazioni), venga cucito sulle misure dei bisogni attuali, in particolare dei soggetti più disagiati.
Chi ha tempo non aspetti tempo! E a noi non ne è rimasto molto.
Ad maiora


MIZIO

sabato 23 luglio 2016

LA PAURA CI FA DEBOLI!

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Il primo atto da fare è prendere atto che qualcosa è cambiato e pure rapidamente. Tutto ciò che era stato costruito dalle generazioni precedenti (in particolare nei paesi occidentali) in materia di democrazia, difesa del più debole, di inclusione sociale è stato prima messo in discussione, e poi progressivamente spazzato via. L'arma ideologica utilizzata, quella della globalizzazione economica e della speculazione finanziaria, ha messo in competizione i disperati di tutto il mondo in nome del profitto. Operazione non calata dal cielo, nè scritta nel destino dell'umanità. Ma scelta consapevole di una lobby, questa si globale, che fa dell'adorazione del profitto e dell'esercizio del potere assoluto (in questo caso finanziario) la propria religione da servire e onorare con i propri sacerdoti. Imprenditori, politici, economisti, giornalisti e prezzolati di tutte le risme.
I conflitti, anche se non combattuti con le armi (ma non mancano assolutamente neanche quelli, anzi) stimolano e motivano ovviamente reazioni da parte sopratutto di chi coltivai lo stesso disegno egemonico (sia pur con matrice apparentemente diversa) e preparano il terreno per uno scontro di potere.
Liberismo economico e fondamentalismo islamico alla fin fine sono più simili di quanto si possa credere. Entrambi puntano all'annichilimento dell'essere umano e della sua libertà. Da una parte si utilizzano mezzi più "democraticamente accettabili" e "puliti", dall'altra si bypassano i passaggi intermedi per arrivare direttamente al risultato finale.
L'angoscia e l'impoverimento di centinaia di milioni di disperati creati da questo sistema sono il substrato ideale per chi, invece, molto più semplicemente, ne indirizza, utilizzando la religione come molla, la rabbia e la disperazione contro i suoi simboli e i suoi rappresentanti.
Il terrorismo finanziario ed economico miete le sue vittime facendole morire lentamente, togliendo loro speranza e alimentando l'angoscia per il domani. (E solo chi ha vissuto questi sentimenti può capire l'abisso di paura e disperazione in cui si precipita e da cui, spesso, se ne esce con soluzioni estreme).
L'altro è, per certi aspetti, di più facile comprensione, puntando a mietere direttamente vittime inconsapevoli e spargere terrore diffuso ponendo, tra l'altro le basi per altrettante reazioni rabbiose, razziste e xenofobe.
E' un ginepraio da cui non è facile nè scontato che se ne possa uscire, ma che, comunque, ci mette di fronte la domanda che da sempre accompagna i periodi di forte tensione e apparentemente insolubili: Che fare?
Ovviamente, non sono assolutamente in grado di offrire risposte, ma credo che già riconoscere la stessa impronta egemonica in entrambe le componenti prese in considerazione, possa essere un passo avanti. Passo che ci porta inesorabilmente a quello successivo, il riconoscimento che tutta l'umanità è sotto attacco inconsapevolmente (di cui una parte con le armi) e che limitarsi alle condanne estemporanee non risolve e non aiuta la comprensione.
Abbiamo fortemente urgenza di una terza via. Quelle del secolo scorso appaiono oggi, non certamente sbagliate, ma sicuramente insufficienti a offrire risposte che non siano settoriali. Potrebbero diventare una buona base se innervate e arricchite dalle visioni forse utopiche ma necessarie dei movimenti no-global del nuovo millennio. Rivedere i rapporti tra capitale e lavoro è necessario ma è altrettanto necessario farlo all'interno di una visione che veda la salvaguardia del pianeta e dell'umanità tutta. Quindi lotta ai fondamentalismi di qualsiasi genere siano essi finanziari, politici o religiosi. Impegno per il perseguimento e l'allargamento delle coscienze che vanno sottratte al populismo e alla rabbia. La redistribuzione di beni e diritti all'interno di un riequilibro complessivo dell'economia e dell'utilizzo delle risorse naturali, deve essere la linea guida di qualsiasi forza, partito o movimento che voglia sfuggire a questa logica fuorviante di scontro fra civiltà.
Ci vogliono paurosi e rancorosi, riproviamo ad essere protagonisti e propositivi.
Ad maiora


MIZIO

martedì 5 luglio 2016

IL PROBLEMA E' CHI GUIDA!

Molti incidenti stradali sono causati da imprudenza, alta velocità, guida in stato di ubriachezza o sotto l'effetto di droghe. In base a questo nessuno si sognerebbe di vietare l'uso della macchina a tutti indiscriminatamente ma si adottano, giustamente, pene e sanzioni per chi si rende responsabile di tali comportamenti. Ora, se paragoniamo la democrazia all'automobile e i partiti ai guidatori, nel sentimento comune oggi, si addossano al mezzo le responsabilità che non sono proprie. Senza voler ricordare che la Costituzione (la più bella del mondo che tutti diciamo di voler difendere) attribuisce ai partiti la titolarità di rappresentare la democrazia dei cittadini, assistiamo ad una gogna mediatica che, bypassando analisi e responsabilità tutti accomuna in un unico giudizio che non lascia scampo. I partiti sono vecchi, vanno superati, sono, corrotti (tutti) immorali, frequentati dagli esemplari peggiori del delinquere nazionale. Ecco poi, il successo di movimenti che si chiamano fuori dallo schema classico dei partiti,  e, spesso, anche delle forme democratiche. Con la libertà assoluta di poter dire tutto e il contrario di tutto data dal loro apparente non schieramento o appartenenza.
Diciamo subito che alcuni partiti (guarda caso in genere quelli più votati e rappresentativi, nulla  o poco, hanno fatto per non essere considerati come covi d'interessi privati più che pubblici, ma sono stati, comunque, legittimati nel loro operare dalla democratica espressione di voto. Quindi il problema andrebbe spostato su chi li ha scelti come propri rappresentanti, in soldoni su tutti noi.
Sappiamo che il popolo italiano subisce il fascino del pifferaio di Hamelin, dell’uomo della provvidenza. Badando, in linea di massima, più ad un’esteriorità gestuale e istrionica del messaggio che ai suoi contenuti, godendo di pancia piuttosto che di testa. Salvo poi, a fronte dell’evidenza, ricredersi diventandone il più severo e crudele censore.
Così sono passati i Mussolini, La Democrazia Cristiana, Craxi, Berlusconi, e passeranno i Renzi , i Salvini , i Grillo & co.
Quindi spostare l’attenzione sulla forma partito, minimale e insufficiente secondo alcuni, esaltando il ruolo dei movimenti (necessari, indispensabili, ma non alternativi) crea di fatto quel vulnus democratico che lascia spazio alla disaffezione, alla critica preconcetta, al seguire le maree dell’istant time e che perdono di vista un’ipotesi complessiva di ordine sociale.
Come già detto gran parte delle responsabilità non possono essere che addossate a chi ha permesso per supponenza, superficialità, interesse che tale sentimento sia stato condiviso da una maggioranza più o meno cosciente e consapevole. Si è parlato, e si  parla molto, di abbandono del modello novecentesco, come fosse quello lo snodo da cui ha avuto origine il male. Mentre nella mia lettura meno elaborata e che vola decisamente più bassa, quell’abbandono repentino, quella rottura improvvisa e traumatica è uno dei motivi dell’attuale momento di difficoltà.
I partiti novecenteschi (chiamiamoli così per comodità) oltre una loro visione di società e di organizzazione della stessa, erano portatori, con la loro presenza capillare, con le loro strutture consolidate di valori condivisi e condivisibili e, l' aderenza a quei valori, permetteva loro, ad esempio, l’espressione di una classe dirigente sentita, sicuramente più vicina e attenta ai bisogni del proprio popolo. Il cambiamento, che era ovviamente, ed è sempre necessario, si è basato esclusivamente su un bilancio da cui sono state tenute fuori alcune voci come la fidelizzazione, l’organizzazione dal basso, la formazione culturale di una classe dirigente, il mantenimento dell’utopia o del sogno come motore e stimolo per il coinvolgimento emotivo, tutte cose estranee in gran parte alla forma movimento e nuova che si vorrebbe alternativa al partito classico.
Non a caso coloro che maggiormente rappresentano il legittimo desiderio di cambiamento, lo stesso lo presentano come rottamazione, riaprendo ogni volta nuovi capitoli destinati a chiudersi sempre più in fretta basandosi su volti, nomi, circostanze legate a momenti di respiro corto e poco lungimirante.
Ci si accapiglia per lo 0,5 % in più o in meno e si trascura il 50% che non partecipa più, si innescano polemiche infinite su apparentamenti e comunanza d’interessi legate a specifiche situazioni, dando loro valenza nazionale e assoluta. Si parla in ambiti sempre più ristretti perché non si ha molto di più della propria parola da offrire ad una platea, eventualmente, più vasta. Gli obbiettivi diventano sempre più minimali, limitandosi speso a dichiarazioni d’intenti e a peculiarità etiche, morali di facile recepimento ma senza ambizioni e disegni di cambiamento complessivo.
Ogni cambiamento che voglia avere un respiro ampio e per certi aspetti, rivoluzionario, deve tenere forzatamente in considerazione anche il percorso pregresso, per migliorarlo, per renderlo attuale e recepibile anche dalle nuove e meno nuove generazioni.
Le fratture traumatiche, il buttare l’acqua sporca col bambino dentro, hanno forse, creato più danni che benefici. Ci vorrà tempo ma, se riusciamo ad uscire dal ragionamento minimalista, e a riappropriarci di un’identità visibile e percepibile ai più con uno sforzo, non dialettico ma d’azione e presenza continua, riallacciando i fili con le situazioni di marginalità, indirizzando un sentimento comune di rabbia o rassegnazione verso una speranza di cambiamento collettivo, forse un ruolo ancora lo potremmo avere. 
Partiti e movimenti, ognuno nel proprio ambito e ruolo.
Ad maiora


MIZIO