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lunedì 2 dicembre 2024

MIZIO CI SEI?

 


MIZIO CI SEI?


IL caldo, l'estate, il silenzio innaturale del meriggio assolato, il frinire lontano di cicale annoiate. Cosa poter fare? Non sembra esserci occasione o voglia di scambiarsi parole. E con chi poi? Il monotono discreto ma continuo roteare delle pale del ventilatore non contribuisce certo a rendere più vivace e possibile una qualsiasi attività diversa dal pensare. Ma ecco che ti arriva in aiuto un rigurgito di memoria. E ritorna l'immagine di quel ragazzino, impertinente, sfacciato, maturo e saggio. Mizio, proprio lui! Ma come trovarlo? Di solito è stato lui a farsi trovare da me. Però ricordo che, l'ultima volta che ci siamo visti, mi ha detto di cercarlo pure quando, e se ne avessi avvertito il bisogno. E oggi mi pare proprio il giusto momento per farlo. Si ma come? L a prima volta fu in montagna, quella seguente durante una passeggiata in campagna. Forse devo provare a ricreare quei momenti nella loro percezione piuttosto che nel luogo. Che ovviamente, e completamente diverso dai precedenti. Quindi potrei provare a immaginare una specie di sospensione dalla realtà con una forma leggera di meditazione. Soerando che porti ad una somiglianza con quei momenti. Ma si, proviamoci dai! Chiudo gli occhi. Fisso il pensiero nel nulla (qualcuno malignamente direbbe che per me è affare semplice) e nel silenzio del vuoto che progressivamente riempie l'ambiente circostante, provo a riempirlo chiamando per nome:”Mizio... Mizio... ci sei?”... “Mizio, Mizio... mi senti?”... “Mizio, Mizio... rispondi?” “MIZIO....MIZIOOOO....”.......

E non urlare! Sono qui, che succede?”

Ohi, ci sei veramente? Mi hai quasi spaventato...Ciao, non ci speravo. Quasi quasi, avrei preferito non rispondessi. Nonostante tutto, sta cosa qua, mi sembra sempre così assurda.”

Di assurdo e capoccione qui ci sei sempre stato solo tu. Guarda se non fosse che sono così intimamente e ahimè, anche inesorabilmente legato a te, ti avrei mollato da tempo sai? Non è che sei proprio il prototipo perfetto dell' esempio da seguire eh?”

Scusami, so di non essere quello che vorresti. Faccio del mio meglio, ma evidentemente come si dice: chi nasce tondo non può morire quadrato. E comunque, vorrei farti notare che in passato, ho riconosciuto sempre i miei errori, anche nei nei tuoi confronti.  E ti ho chiesto scusa. Ma sai anche che spesso, non riesco ad essere neanche come vorrei io stesso. Ed è proprio per questo che ti ho cercato. Ci sono giornate, come quella di oggi, che sembrano decisamente più vuote. Più inutili e noiose nella loro stanca ripetitività. Giornate che nulla aggiungono e nulla tolgono. Ma che lasciano spazi enormi a pensieri, interrogativi, dubbi. E fanno montare forte la voglia, quasi la necessità di volerli confrontare e condividere con qualcuno. Ma chi vorrebbe condividere i miei timori, le mie elucubrazioni, le domande senza risposta se non un altro me stesso? Qualcuno che, oltre che conoscerti meglio di tutti, quei dubbi e quelle speculazioni, magari le condivide pure?”

Va bene, va bene, ti conosco lo so. Non fare il patetico che tanto sai che non ci casco. E sono, purtroppo, anche consapevole di quale siano le mie responsabilità  e il mio ingrato compito. Cosa ti sconvolge stavolta così in profondità, da sentire il bisogno di chiamarmi addirittura ricorrendo a strane pratiche che, per quello che ti conosco, sono poco consone al tuo essere?”

Niente di particolare, o forse no, parecchio! Tu, forse ancora meglio di me, sai quanto tempo ed energia mentale abbia sempre dedicato a riflessioni sul senso dell'esistenza, sulle sue finalità (ammesso che ce ne siano) e sul tempo che passa”. Pur non essendo minimamente un filosofo, credo però, di essere la rappresentazione vivente di quello che si diceva intorno a tale materia. La filosofia è quella cosa che per la quale e con la quale, tutto rimane tale e quale....“ “Non dirmelo, meglio di tutti conosco e ho subito gli effetti di questo tuo modo di essere. Se solo pensassi a quanto tempo mi hai lasciato solo e dimentico in un angolo, mentre tu rimuginavi sui destini del mondo, meriteresti che ti ripagassi con ugual moneta. Avere come unica compagnia l'eco lontano della tua voce, ti assicuro non era per nulla divertente, né piacevole e tanto meno sufficiente. Comunque vai avanti”.

Niente, è da qualche tempo ormai che mi interrogo non più e non solo sulle grandi questioni dell'esistere. Ci hanno sbattuto la testa per secoli menti e anime ben più grandi e capaci della mia, per poter solo immaginare di poter arrivare a qualcosa di meglio e di più valido. Pur essendo ben saldo in alcune mie convinzioni conquistate con fatica, sono altrettanto coscio delle difficoltà per poterle superare e provare ad andare oltre. Non posso che prendere atto di capacità e competenze evidentemente e forzatamente limitate. Ed è proprio da questa amara consapevolezza che nasce l' attuale necessità di provare a chiarire alcune cose.”

Sei sempre inutilmente prolisso, vieni al dunque. Sai che non mi piace, ma in fondo neanche a te, girare troppo intorno alle questioni. Cos'è che ti infastidisce così tanto da rendere necessaria una rottura di scatole al tuo fanciullino preferito? Dico preferito senza troppa enfasi perchè cosciente di essere anche l'unico, ah ah ah!.... Vabbè scusa, vai avanti...”

Simpatico come un gesso stridulo sulla lavagna. Comunque, mi chiedevo se quello che provo, o a volte esattamente all'opposto, non riesco a provare, abbia una spiegazione logica. Un qualcosa da interpretare in positivo o come un limite, da evidenziare in negativo. Ovviamente cerca di capire, nella non rigida assolutezza di questa o quella definizione”. 

 “Aspetta aspetta, cominci come al solito ad essere incomprensibile anche per me. Entra nello specifico, aiutami a capire, fai qualche esempio”.

Si certo, ci provo, ma tu stai attento e cerca di seguirmi. Guardando attorno e confrontandomi forzatamente con un comportamento altrui, considerato e accettato come normale, mi chiedo perchè per me sia così complicato l'uniformarmi e il tutto sembri funzionare in modo diverso. Come se fossimo tutti sulla stessa autostrada ma io fossi immobile ai suoi lati vedendo le altre macchine scorrere veloci verso chissà dove.Ti faccio un esempio. Perchè pur avendone avuto tante volte motivo e ragione, io non riesca a provare un vero e proprio sentimento d'odio e di rancore profondo verso qualcuno? Anche negli accadimenti più impattanti e dolorosi, alla fine se riguardanti l'azione di un singolo, pur non riuscendo nell'immediato, a reprimere una reazione anche rabbiosa, mai violenta, preferisca poi l' allontanamento e il rinchiudermi in me stesso. Coltivando, anche se con fatica, una difficile comprensione e una conseguente accettazione . Sembra che quella scintilla di reazione che pur è ritenuta comunemente normale, si esaurisca per me, in un amen. Il risentimento e l'odio che dovrebbe scattare e impadronirsi del mio sé, non riesca mai a trovare quel terreno, quel substrato fertile e idoneo per la sua crescita. Altra questione, mi pare sia quando la cosa riguardi, nell'ambito della passione e confronto politico e sociale, personaggi, scelte e schieramenti,  condannabili o addirittura criminali. Anche in quel caso però, l'odio e l'avversione più che per i singoli, si indirizza, quasi naturalmente senza sforzi verso le idee e ideologie che danno vita a quelle azioni e scelte”

Scusa, però cerca di farmi capire. Ma se odi le loro azioni, come fai a non odiare anche chi tali azioni pratica?” “Non lo so, non è che abbia mai fatto una scelta cosciente a priori. Mi viene così, naturale, come il respirare...Ovviamente con la totalità di questi, non ci terrei a stare neanche nella stessa stanza, respirando la stessa aria, per quanto sia insofferente a certe idee. Ma da questo a coltivare l'odio come sentimento prevalente rispetto le persone, non ci riesco proprio. Ho accettato, come tutti non potendo fare altrimenti, l'esser nato senza aver ancora capito. Come ho sopportato l'ingiuria e la fatica d'esser spesso l'ultimo della fila. Ho perdonato il non sapere, i vuoti da riempire. Le cadute e le risalite non mi hanno fermato. Ho amato la vita, spesso non ricambiato.  Ma l'ho sempre difesa, in modo spassionato. Perchè la vita, anche se mi ha più volte fregato, è comunque l'unica cosa che ho e percepisco come veramente come mia. Non cercata, non scelta, non voluta, ma comunque solo ed esclusivamente mia. Anche se è la stessa che se una cosa mi dato, dieci se ne è riprese. Quella del non capito e tante volte solo subìto. E dovrei e anche vorrei spesso detestarla, combatterla, metterla all'indice.. Ma, alla fine non riesco. La subisco, la sopporto, la vivo a fatica, ma non la odio”.

Mi sembra che stia allargando eccessivamente il fronte del dubbio e faccio fatica a seguirti“.

Scusa, hai ragione cerco di spiegarmi meglio. Per quello che sappiamo, sia in una concezione spirituale o più semplicemente e logicamente umana. L' essere cosciente e pensante non potrebbe, per essere considerato tale, che aspirare ad essere anche completo. Senza mancanze, deficit o limiti che ne inficino e ne limitino questa sua naturale peculiarità. Quindi, venendo a noi, anche la carenza nel proprio animo dell' odio, non potrebbe essere speculare a quella che sarebbe condannata ed evidenziata se riguardasse la carenza dell' amore? Rappresentandone nel caso, per semplice assunto logico, un indubbio limite? Ma sarà un limite da dover superare per camminare verso una perfezione, che sarebbe poi comunque, irraggiungibile? O va accettato e considerato come patrimonio personale e immodificabile pari a quello genetico? Trasmesso da chissà chi e chissà dove, nella miriade di incroci possibili tra i miei avi? Per cui considerando l'obiettivo della perfezione, come detto, irraggiungibile, la conclusione logica e conseguente non può che essere il riconoscimento dei propri enormi limiti e la non completezza come caratteristica oggettiva dell'essere umano. Di tutti gli esseri umani, a prescindere dall' impegno o dall'intenzione del singolo ”

Fermati, ti prego, fermati. Non dimenticare che io sono comunque, un bambino. Si d'accordo sono sempre te. Sono quella parte fanciullesca che è non stupida e nemmeno così pura e innocente. Ma sicuramente non in grado di seguirti su sentieri di pensiero così complessi. Poi oggi in particolare, mi sembri più sfasato del solito. Pare un po', e mi da fastidio anche il solo a pensarlo, tu sia ritornato quel Mizio che mi aveva dimenticato e relegato nei sottoscala del tuo essere per seguire le sirene della vita e le sue fascinazioni. Non ti seguo più di tanto, non posso farlo. E tanto più io non posso, se neanche tu puoi.”

Hai ragione. Forse pretendo troppo da te. Che poi sarebbe pretendere troppo da me. Dovrei riuscire ad accontentarmi di quelle, non molte per la verità, opportunità e potenzialità che la vita, la genetica, il caso o un oscuro disegno divino mi hanno messo a disposizione. Cosciente che, qualunque sia stato il motivo poteva andarmi meglio. Ma anche decisamente peggio...Il solo fatto di poter avere questo rapporto e questa conversazione con te, ben oltre il limite del comprensibile e di ciò che può essere considerato “normale”, mi sembra un fatto straordinario se non un vero e proprio privilegio. Credo che un po' tutti si immergano prima o poi entro sè stessi, ma ben pochi credo abbiano la possibilità di vedere, parlare e persino toccare, qualcosa. Quello che normalmente è confinato nell'ambito di quel repertorio considerato tipico della fantasia, quando va bene. Ma molto più spesso catalogato frettolosamente nelle problematiche meritevoli di attenzioni psicologiche.”

Tranquillo sappiamo entrambi che non sei matto. Un po' strano, forse, ma matto decisamente no. I pazzi veri sono altri. Sono quelli che vedi sfrecciare su quell' autostrada, tanto per ritornare al tuo esempio. Quelli che sanno di andare a schiantarsi comunque, ma non si fermano mai a chiedersi il perchè. Gli stessi che reagiscono a una spinta con uno schiaffo. E poi con due, tre, quattro. E poi non basta e allora il bastone, i coltelli, la pistola, il cannone, la bomba, la guerra. Ecco quelli che non riescono ad uscire da questa logica sono i veri pazzi. E coloro che li seguono senza discutere condividendone le logiche e le scelte. Sia con l'appoggio vero proprio che con il silenzio complice, sono i veri incompleti e limitati. Non che tu non lo sia, ma se non altro, ne hai coscienza e provi a cambiare costantemente, soprattutto te stesso. Ecco mi hai fatto fare ancora una volta il saputello che diventa anche fastidiosamente spocchioso. Spero di esserti stato comunque utile... 

Ops...il mio tempo, ma anche il tuo e questo dialogo, in questa dimensione sta per esaurirsi. Credo ci si debba salutare. Tanto ormai sai sempre dove trovarmi... ciao, non dimenticarmi.”

Ciao Mizio, ciao. Abbi cura di te....A presto....e grazie."

giovedì 4 marzo 2021

L' AMORE NON E' UN EQUILIBRISTA

Credo che molti, se non tutti, prima o poi si interroghino sul significato profondo dell'esser vivi. Il “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”, sono domande che sembrano già senza risposta nell'enunciazione stessa, ma che ostinatamente, costantemente ogni essere umano dotato di un minimo di coscienza d'essere si è posto da sempre attraversando i secoli e le barriere evolutive. Il mito, la superstizione, le religioni, il pensiero filosofico l'impegno sociale o politico, ognuno a suo modo e ognuno con i suoi limiti o ambizioni hanno provato a dare, se non risposte, potenziali strumenti di comprensione. Da dove nascono e cosa sono veramente il bene e il male? Sono stati preesistenti o esistono solo in quanto trovano modo di manifestarsi all'interno di coscienze costituite, predisposte all'occorrenza? E, se riuscissimo a svincolarci dalle nostre personali convinzioni, tutte nobili e degne del massimo rispetto e allargassimo lo sguardo a ciò che ci circonda vedremmo, con le nostre attuali conoscenze e capacità interpretative, come il tutto tenda da sempre costantemente, ostinatamente alla ricerca di un equilibrio. Ricerca che chiamiamo evoluzione, i cui adattamenti, anche non volontari, non pensati, sperimentano e premiano poi, quelli che meglio si adattano al precario equilibrio precedente creandone un altro più favorevole. Lo stesso equilibrio cui tende, fondamentalmente, l'intero universo o, almeno quella parte che conosciamo un pochino meglio. Le leggi che regolano i rapporti tra i vari corpi celesti altro non sono che una ricerca costante di quell' equilibrio che tenta di contrastare l'inevitabile caos cosmico che ci scatenerebbe in loro assenza. A fronte di queste domande, anche inquietanti e potenzialmente destabilizzanti, lo riconosco, ognuno risponde a suo modo e con le possibilità che il personale livello evolutivo consenta. Parlando degli esseri umani vediamo, però, che gran parte di essi, un attimo dopo essersi posto il quesito, lo sfuggono, lo mettono da parte, considerandolo cruccio inutile e da cui è impossibile arrivare ad una qualsiasi risposta. Molti di questi aderiscono, poi acriticamente a precetti religiosi, confidando che l'essere fedeli di quell'idea, possa comportare improbabili, ma possibili, premi successivi e magari, una vita meno disgraziata con l'adesione a comportamenti socialmente accettati. Un po' dappertutto, folle oceaniche di fedeli pronte a piccoli o grandi sacrifici e a omaggiare sacerdoti e rappresentanti di un dio invisibile ma non per questo meno tiranno e meno vendicativo. Un Dio che predica amore ma permette l'esercizio e la pratica dell'odio tra esseri umani. Un Dio troppo spesso usato come paravento per meschine, violente e anche tragiche vicende tutte umane. Un Dio che viene usato e arruolato sotto la propria bandiera per benedire armi cannoni e giustificare guerre sante. Nel passaggio precedente abbiamo accennato all'amore, anche se riferito al divino. L'amore è uno dei tratti unificanti e un sentimento comunemente accettato riconoscendogli una valenza positiva e superiore ad altri. Per la verità quasi sempre ci si riferisce all'amore tra i sessi, consolatorio e finalizzato al proseguimento della specie ma limitato all'interno di una dialettica di coppia. Dialettica che, altrimenti, senza condizionamenti culturali sarebbe naturalmente portata all'anarchia e alla promiscuità riproduttiva oltre che sentimentale. Ecco, il riconoscimento dell'amore come sentimento superiore però, è uno di quei passaggi evolutivi che hanno, indubbiamente, consentito nel corso dei secoli una migliore stabilità dell'organizzazione sociale, prevedendo già un mutualismo tra gli esseri sia pure, inizialmente, limitato al proprio nucleo familiare. Ma se allarghiamo il concetto vedremmo che l'amore è stato anche la molla per allargare progressivamente il concetto di solidarietà, di mutualismo sociale anche prima ancora che questo fosse teorizzato, ad esempio col marxismo, come progetto di diversa organizzazione sociale. Quindi l'amore, nelle sue varie accezioni e interpretazioni lo possiamo tranquillamente assimilare e sovrapporre a quello che si diceva all'inizio riguardo l'equilibrio universale. L'amore, perlomeno quello comunemente accettato, altro non è che uno scambio sentimentale e pratico in cui sia previsto un dare e un avere. Quindi, cos'altro è, o possiamo considerare ad esempio, lo scambio energetico tra i corpi celesti che ne permette l'equilibrio se non uno scambio di forze (gravità) reciproche , preesistenti e necessarie? E cosa cambierebbe sostanzialmente se lo definissimo amore? E cos'altro è lo scambio di energie vitali tra quella solare che fa crescere i vegetali che offrono nutrimento agli erbivori che, a loro volta sostengono i carnivori e tutti insieme tendono alla perenne ricerca di un equilibrio sempre più perfettibile? Abbandonando visioni ed elucubrazioni forse troppo lontani e anche poco sentite come indispensabili o semplicemente utili, dal nostro quotidiano, cerchiamo di riportare il ragionamento a noi e all'oggi. Se il tratto caratteristico e costante che ci accompagna è (volenti o nolenti) la ricerca continua dell'equilibrio (amore), potremmo tranquillamente inquadrare qualsiasi nostra attività all'interno di tale schema. E, lasciatemelo dire, anche l'attività e l'impegno politico, sindacale o sociale, quando esercitata con spirito sincero e altruistico possono rientrare a pieno titolo in questa lettura. La demonizzazione che troppo spesso accompagna tali attività (sia pur giustificata da comportamenti scorretti) come la storia ci insegna è, spesso foriera di interruzioni traumatiche e violente di quell'equilibrio ideale ricercato. I regimi dittatoriali, le guerre, le violenze, le ingiustizie che hanno contrassegnato da sempre la nostra storia sono lì a dimostrarlo. Oggi abbiamo le capacità collettive sia di coscienza che intellettive per impedire che tutto ciò possa ripetersi, possiamo e dobbiamo farlo soprattutto lavorando su noi stessi e sul nostro equilibrio. Eliminando, ad esempio, per quanto possibile, l'odio, la violenza, il rancore pur presenti e necessari indirizzandoli, però costantemente, alla ricerca della giustizia e della pace. Pace e giustizia che se raggiunte come convinzione da una massa critica sufficiente, potrebbero rappresentare la più grande e la più equilibrata delle rivoluzioni possibili (almeno al momento). Utopistico? Certamente, ma conoscete qualcosa di diverso dall' utopia che possa cambiare il mondo? Ad maiora MIZIO

domenica 28 febbraio 2021

HO LETTO PINOCCHIO

Spesso ci sono più cose tra gli spazi bianchi fra le righe che nelle parole
Pinocchio, la fiaba di Collodi universalmente conosciuta ,e proprio nell'edizione con quella copertina riportata sopra, è stato il primo libro che posso considerare veramente mio. Non proposto da altri, non regalato, non decantato da qualcuno che l'avesse già letto. Ricordo benissimo il posto e le modalità con cui ne entrai in contatto. Avevo forse 7/8 anni, avevo sicuramente imparato a leggere da non moltissimo ma già molto incuriosito e affascinato da quel mondo fatto non più solo di figure e disegni, ma di storie, parole, avventure. C'era l'annuale festa parrocchiale, uno dei momenti di gioia e di libertà per noi bambini. Giostre, caramelle, dolci, giocattoli. I giochi tipici di quell'epoca come il palo della cuccagna, la rottura della pignatta,le corse nei sacchi. Ma soprattutto era una delle rarissime occasioni in cui avevamo la possibilità di gestire in autonomia le modeste somme messe a disposizione dai nostri genitori. E a portata di mano, c'erano le mille irresistibili tentazioni sulle bancarelle che come suadenti sirene ci affascinavano con le luci, colori, odori e sapori. Quel piccolo tesoro in mano veniva costantemente messo alla prova dalla cruda realtà . Si facevano i conti più volte, aiutandosi con le dita. Si scopriva amaramente che la moderna società dei consumi e del mercato comportava dolorose scelte e sacrifici. Che non tutto e non sempre, si sarebbe potuto avere se non a caro prezzo. Prezzo che i nostri spiccioli rendevano irraggiungibile, se messo a confronto con i nostri “smodati” desideri. Tutto attirava, tutto si sarebbe voluto, ma tutto era tremendamente costoso.Quindi, passando più volte in rassegna con gli occhi sgranati le prelibatezze esposte e sapientemente decantate dagli abili imbonitori, la fatidica ma inevitabile decisione sembra a sempre più crudele e fonte di sofferenza. Sembrava prevalere il dolore della rinuncia alle molte possibilità che la gioia di appagarne poche. Arrivai così e inconsapevolmente, di fronte alla bancarelle dei libri usati. Ero già un lettore bulimico di fumetti, dei libri di lettura di scuola, di quelli di fiabe e anche del quotidiano che entrava regolarmente in casa. Però, trovarmi di fronte un intero spazio ricoperto alla rinfusa di libri mi colpì e affascinò come non mai e cominciai la personale e accurata esplorazione dei titoli presenti. Ovviamente la stragrande maggioranza mi era totalmente ignota ma, in mezzo a tutti gli altri risaltò e attirò la mia attenzione quella copertina colorata e quel buffo personaggio. Pinocchio! Era un nome già sentito da qualche parte, ma più che la fama potè il potere seduttivo della sua copertina. Non ci pensai più di tanto. Un libro, anzi quel libro, era quello che volevo. Avrei sacrificato volentieri dolci e giocattoli per essere l'orgoglioso proprietario di un libro. Il primo libro che avrei sentito veramente mio. Da quel giorno, com'è facile immaginare, la sua lettura mi tenne compagnia a lungo. Le illustrazioni, ingenue e minimali se rapportate a quelle moderne, le disavventure del burattino divennero una costante nelle mie giornate e, anche quando non lo leggevo, mi piaceva riprenderlo, guardarlo e persino odorarlo. Particolare piacere questo, che si sarebbe ripetuto per tutta la vita con i tanti altri libri successivi. O almeno, con quelli che hanno rappresentato una pietra miliare o comunque qualcosa, nella personale formazione. Quel libro,mi tenne compagnia a lungo e l'ho letto e riletto più volte. Senza vergogna, anche in età più matura dove, comunque, si accompagnava naturalmente a letture più impegnate. Purtroppo, nei vari traslochi che si sono succeduti, non so né dove né quando è andato perso, ed è rimasto solo nei ricordi più teneri. Ma il suo significato è rimasto e, anzi, si è persino accresciuto. Si è scoperto, col passare degli anni che, quella che sembrava una semplice fiaba intrisa di buoni sentimenti e di facili morali, poteva essere tranquillamente letta e vista sotto una luce completamente diversa e decisamente, più intrigante. Il burattino che diventa bambino cosciente di sé, attraverso tutta una serie di prove dolorose e impegnative da cui trarre spunti di riflessione e non solo di facile insegnamento. Non mancava, come in tutte le tradizioni religiose o spirituali, il demiurgo, il creatore, nella figura di Geppetto (in questo caso inconsapevole). Non mancano i demoni e le figure tentatrici che provano a impossessarsi della sua anima promettendo paradisi artificiali. Non manca la figura caritatevole pronta al perdono come la Fata Turchina e neanche la cattiva coscienza e predicatore inascoltato come il Grillo parlante. Non mancano le illusioni, le delusioni, le rovinose cadute, le facili scorciatoie e l'amara presa di coscienza. E tutto questo non somiglia tremendamente all'accidentato cammino della razza umana, e del singolo individuo? Quale migliore rappresentazione del duro, lungo apprendistato rappresentato dall'evoluzione fisica, di coscienza e spirituale dell'umanità e dell'intero universo conosciuto? E se questa consapevolezza avviene attraverso una lettura apparentemente semplice non è certo meno apprezzabile e valida che se fatta all'interno di verbose, pesanti anche se dotte, ma troppo spesso inascoltate citazioni e argomentazioni filosofiche? Come diceva Ermete Trismegisto “Come nel grande, così nel piccolo”. Riscoprire la grandezza e la miseria dell'umana condizione anche tra le righe e le facili allegorie di una fiaba, può contribuire a dimensionare noi stessi all'interno di quel gioco complesso, duro, di difficile comprensione e di ancor più difficile attraversamento, che è la vita. Vita che, come Pinocchio, dovremo forzatamente scoprire diversa e con significati altri rispetto quelli che non siano semplicemente appagamenti egoistici e rinchiusi in un recinto di soli edonistici traguardi. MIZIO

martedì 12 gennaio 2021

LA GROTTA DEI CENTO SCALINI

Le storie degli spazi bianchi. Ci sono più cose negli spazi bianchi tra le righe che nelle parole scritte.
Già avevo raccontato, in altri momenti, degli immensi spazi verdi della campagna romana che, in quegli anni, resisteva all'avanzare tumultuoso, caotico, devastante della periferia cittadina. Spazi che, però, visti con gli occhi dei bambini che eravamo allora, si trasformavano più che facilmente nelle scenografie di favolose avventure. Avventure in cui innocenti ramarri diventavano spaventosi draghi, colorate farfalle messaggeri divine e le marrane spaventosi corsi d'acqua tropicali in cui le piccole rovelle assolvevano all'ingrato compito di temibili piranha. Tutto questo avendo sullo sfondo, privilegio assoluto di essere nati a Roma l'ombra dei colossali resti degli acquedotti romani, inseriti e protetti oggi nel parco denominato, appunto, degli acquedotti. Credo sia all'interno di un naturale processo di crescita anche necessario, quello di trovare, sempre nuovi stimoli e nuove sfide. La caccia nei prati, i bagni nelle pozze, le scalate e le arrampicate sui pini e sulle maestose vetuste arcate in pietra, erano già state affrontati più volte, non senza rischi e/o rovinose cadute, ma avevano, ormai perso il fascino del proibito o del rischioso. Rimanevano solo alcuni limiti da superare, tra cui quello di attraversare la Tuscolana, che, allora per noi rappresentava il limite consentito dalle apprensive madri. Cosa che facemmo, comunque, senza grosse problematiche di coscienza, in occasione della venuta di un grosso circo, forse Orfei, negli spazi di fronte la chiesa di San Giovanni Bosco. Scoprimmo, nell'occasione, che l'oltre Tuscolana, era assolutamente simile a quello che già conoscevamo. Niente di più, niente di meno e, se non fosse stato per la curiosità suscitata dal circo, sarebbe potuto tranquillamente rimanere un tabù senza altro significato,oltre quello di sfida al divieto dei genitori. Per il fumare, eravamo ancora troppo piccoli, anche se qualcuno, aveva già azzardato l'ebbrezza di qualche tiro rischiando di tossire fuori anche le tonsille. Il sesso era, altrettanto ovviamente, un curioso mistero ma assolutamente fuori portata e, anche tutto sommato, a quell'età poco avvertito come cosa importante o necessaria. Avremmo conosciuto in seguito, in modo assolutamente confuso, travolgente e impattante, cosa significasse con i tanti tormenti e le rare gioie. Durante l'inverno spesso, ci si riuniva a casa di qualcuno e, agevolati dal buio e dalla noia, spesso partivano racconti rimasticati e rivisti dai narratori, per renderli ancor più spaventosi, di spiriti, fantasmi, avvenimenti inquietanti con lupi mannari e altri mostri. Fatti di cui si giurava e spergiurava la veridicità accertata personalmente o, più spesso, dai nostri genitori, cosa che spazzava via eventuali dubbi. E fu in uno di quei momenti che qualcuno accennò alla presenza nei prati vicino la ferrovia, di una grotta misteriosa chiamata “dei cento scalini”. Presenza che tutti conoscevamo ma, che fino ad allora, nessuno aveva mai ipotizzato neanche lontanamrnte di andare a cercare. Figuriamoci, addirittura, pensare di entrarci dentro. Cosa non certo dovuta, come già dimostrato, al timore dei rimproveri genitoriali, quanto, piuttosto, alla sinistra fama che l'accompagnava e alle inquietanti voci che la riguardavano. Tutto sommato l'ignoto, il mistero per quanto affascinanti e attraenti rappresentano comunque e sempre, un limite difficilmente valicabile o sperimentabile a cuor leggero.Dubitare e ironizzare al sicuro in casa, è un conto. Affrontarne il potenziale, anche se improbabile rischio, proprio per la sua componente di imponderabilità è tutt'altro. Ma, figuriamoci se,a quell'età, nel momento in cui qualcuno lanciò l'idea di andarla a visitare, qualcun altro abbia avuto la voglia di mostrarsi timoroso o, ancor peggio, vigliacco. E, fu così che tra mille timori, mai ostentati chiaramente, cercando magari astutamente il cavillo o l'impedimento che potesse mettere in dubbio la cosa o almeno, ritardarla, si arrivò, comunque al giorno fatidico. “E' deciso, si va! E, se avete paura, statevene a casa da mammà!” Ovviamente nessuno pensò di rischiare lo sbeffeggio e l'emarginazione perenne. Così, armati di candele (le torce allora erano merce rara e preziosa), fiammiferi, un po' di corda e qualche bastone (per la serie”non si sa mai”), l'improbabile manipolo di piccoli cacciatori del mistero si mise in cammino, seguendo le indicazioni di qualcuno che conosceva l'ubicazione approssimativa della famosa grotta. Era nel mezzo di un campo, normalmente seminato a grano. Si presentava non come una grotta, come l'avevamo immaginata, ma come un piccolo manufatto in cemento. Manufatto alla cui apertura ci avvicinammo con malcelato timore e altrettanta manifesta curiosità. Accidenti se era buio là dentro. Abituando gli occhi all'oscurità si intravedeva, subito dopo l'ingresso, una scala con i famosi scalini che in realtà, pur essendo tanti, erano meno dei cento del nome. Il buco nero e inquietante che si percepiva alla fine degli scalini a tutto induceva meno che alla tranquillità, Comunque, piano piano, cercando di non scivolare su quegli scalini umidi, tenendoci stretti l'uno all'altro, lentamente, al tenue chiarore della luce delle candele arrivammo nel fondo. No, decisamente non era una grotta naturale. C'erano sarcofaghi, piccole colonne, nicchie laterali, aperture basse laterali parzialmente piene di terra che sembravano portare ad altri locali.Su tutte spiccava, però, la galleria principale. Galleria che, si vociferava,portasse fin sotto San Giovanni in Laterano e che seguimmo finchè la piccola luce in alto dell'entrata rimase visibile e rassicurante. Nostra personale stella polare che ci indicava la via del ritorno. Quando non fu più in vista e il proseguire diventò ancor più difficoltoso per il tanto materiale franato e, anche per qualche osso inquietante trovato tra la terra e i sassi, decidemmo che la prova coraggio era stata superata da tutti a pieni voti. Si poteva,quindi, senza rischio alcuno di perdita di stima perenne, tornare fuori alla luce del sole. Luce che mai fu accolta con maggior piacere e sollievo. Il tabù era stato, comunque infranto. Ci ritornammo, poi altre volte, sempre con un po' di timore, ma senza più la necessità di dover dimostrare qualcosa. Ogni volta scoprimmo altre cose interessanti ma mai quello di cui si vociferava ed si temeva di più. Nè lamenti di anime in pena né apparizioni di spiriti inquieti. O, forse, nel caso ci fossero state veramente presenze strane, avranno sicuramente, provato tenerezza e manifestato il dovuto rispetto a bambini che, coraggiosi e incoscienti quanto si vuole, ma che mai avrebbero potuto sfidare forze dell'occulto. Per quelle ci sarebbero state necessarie maggiori conoscenze, e,ancor più sicuramente, una maggiore maturità. MIZIO https://www.parcodegliacquedotti.it/il-nostro-esperto-tomba-dei-cento-scalini/

mercoledì 11 novembre 2020

PER FARE UN UOMO..

Ci sono più cose tra gli spazi bianchi fra le righe che nelle parole scritte.
La regola del tre e la legge dell'equilibrio! Ognuno di noi arriva, apre gli occhi al mondo e comincia a guardarlo dalla sua singola, unica e irripetibile visuale. Visuale che è tale, in quanto famiglia, habitat, condizione sociale sono unici e non sovrapponibili. Operazione impossibile anche tra fratelli, entrando in ballo, oltre le condizioni più o meno simili, anche la componente caratteriale. Insomma si viene al mondo come un vaso pieno solo in parte, ma quella parte è quella che condizionerà e renderà unica, filtrandola, tutta l'esperienza, la conoscenza, le gioie e i dolori dell'intero arco vitale. Ovviamente tale consapevolezza non ha la pretesa di rappresentare una verità assoluta ma, proprio per quello enunciato prima, ne rappresenta esclusivamente una testimonianza parziale e, proprio per questo senza altro valore che quello di affiancarsi alle milioni di altre che, collettivamente rappresentano il tutto variegato, unico, affascinante che abbiamo davanti ogni giorno. Prima discriminante è, ovviamente, il dove e come si nasce. Le differenze saranno tanto più ampie quanto più differenti sono le condizioni iniziali. Chi nasce nella polvere degli ultimi, ovviamente sarà, fin dall'inizio sottoposto a esperienze e necessità diverse e opposte rispetto i figli del nobile o del ricco. Ma, nonostante le enormi differenze si avrà in comune, l'appartenenza allo stesso genere homo (benchè qualcuno provi a smentire anche tale verità. Questa si assoluta). Si condivide lo stesso habitat, vivendo nello stesso spazio su un pianeta vagante nell'universo. Si è assoggettati alle stesse esigenze e limiti derivanti da quelle che sono le necessità e caratteristiche fisiche comuni ad ogni corpo. Prime fra tutte quelle del nutrimento e delle funzioni fisiologiche, oltre quella che nella grande giostra della vita di ognuno inevitabilmente, ha una sua conclusione nella morte. Il tratto comune per eccellenza, anche se non arriverei a considerarla una livella, come piace raccontarla a tanti perchè, se è vero che la fine è comune, il come si ci arriva, cambia e di molto. C'è anche un altro tratto condiviso, anche se con gradazioni e caratteristiche diverse. Quello che rappresenta l'innata, congenita, e direi anche necessaria, curiosità verso le eterne domande. Chi sono? Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo? Domande, purtroppo destinate a rimanere senza risposta certa e a cui, sia collettivamente che singolarmente, si prova comunque a fornire visioni rassicuranti o, specularmente, disperanti. E hanno provato e provano a farlo le religioni e il loro opposto l'ateismo, la filosofia oltre la politica o la visione illuministica e scientifica. Ci sono altri, come il sottoscritto, in cui arde, da sempre, il sacro fuoco della curiosità, della conoscenza che non sia limitata o inscatolata in un'unica visione e in un unico percorso cognitivo. L' impegno politico contro le ingiustizie sociali, la sensibilità e attenzione all' ambiente, la ricerca spirituale sono i tre filoni principali attraverso i quali, il sottoscritto, ha cercato, magari maldestramente, in maniera disorganizzata ma, assolutamente priva di pregiudizi, di trovare un percorso per una comprensione che giustifichi e renda accettabile il proprio stare al mondo. La componente e la curiosità politica era cosa respirata fin da piccolo in famiglia che ha reso più semplice la comprensione degli avvenimenti e gli incontri succedutesi negli anni. Fin da quello , il più qualificante in assoluto, con Don Roberto Sardelli che ha allargato gli orizzonti e le sensibilità politiche e sociali, fino al punto di renderli parte integrante del proprio essere e del proprio sentire. Comprensione e coscienza che ha sempre reso difficoltoso e poco comprensibili alcuni atteggiamenti che sono sempre sfuggiti a quella che era la militanza classica e della logica imperante che depotenzia il sentire personale sacrificandolo a quello generale che recita:”il partito ha sempre ragione”. Da qui, sempre con il massimo rispetto verso compagni e partiti, un percorso che è stato contrassegnato più da dolorose dimissioni (da incarichi di partito e istituzionali), che da luminosi successi e carriera personale e politica. D'altra parte, citando al contrario un concetto riferito a Don Abbondio, “Se uno la coscienza ce l'ha, non può ignorarla o allontanarla da sè”. Nessuna logica di partito mi ha mai convinto al punto tale di dover mettere in discussione alcuni valori ideali e principi morali o giustificare eventuali ingiustizie Cosa che , comunque, è stata espressa sempre in modo estremamente rispettoso anche degli interessi del partito che avrebbe avuto, nel caso, un pessimo interprete della propria immagine. Meglio, molto meglio che a rappresentarla ci fosse qualcuno con un pochino di pelo in più sullo stomaco, meno scrupoli e maggiore capacità affabulatoria. La politica e i partiti in cui ho militato li ho sempre considerati non come un fine, ma come uno strumento per trasformare il naturale sentimento di giustizia in obbligato e utile spirito di servizi agli altri, soprattutto i più derelitti. Se l'avessi intesa come possibilità di carriera o promozione individuale avrei fatto tutt'altre scelte. Bastava tacitar la coscienza e la propria storia personale, accettando di condividere scelte, anche compromissorie. Per cui il filo rosso dell' impegno politico ha sempre segnato il mio percorso ma, spesso da semplice osservatore critico e piazzato di lato piuttosto che protagonista o comprimario interessato. Anche l'altro aspetto, quello dell'attenzione all'ambiente e alla natura nasce nella primissima infanzia. Infanzia vissuta in una borgata romana agli estremi della sua smisurata periferia dove, in quei tempi, il confine tra campagna e città era ancora molto labile. Per cui prati, fossi, marrane e relativi abitanti erano i protagonisti delle scorribande da bambino. Scorribande anche segnate da una certa crudeltà (di cui mi sono pentito successivamente) come la caccia a lucertole, ramarri, farfalle ecc. ecc. Ambiente simile a quello in cui passai la successiva adolescenza e la gioventù. Non più borgata, ma moderno quartiere periferico, sempre caratterizzato, però, da enormi spazi verdi. Spazi che appena a pochi passi nascondevano tesori naturalistici notevoli e quasi impensabili a un passo dai palazzoni della moderna piccola e media borghesia. Cinghiali, istrici, tassi, falchi e un milione di altre rarità e scoperte, quasi giornaliere botaniche e faunistiche facevano di quei posti la mia Amazzonia. I barbi che risalivano i fossi in primavera erano i miei salmoni, i biacchi e le natrici le mie anaconda, i nibbi i miei avvoltoi e le nutrie i miei castori. Cominciò allora, grazie a un paio di compagni, il lavoro di uno dei primi piccoli gruppi ecologici dell'epoca. Gruppo nato proprio per lo studio e la salvaguardia di quel paradiso naturale a cui aderii e diedi il mio piccolo contributo sia per lo studio ma, soprattutto per portarne in evidenza le prime battaglie e richieste protezionistiche, grazie anche, al mio ruolo istituzionale dell'epoca. Dopo il trasferimento da Roma continuai lo studio, l'amore e le sensibilità più da lontano e fui felice quando seppi che, quel territorio entrò a far parte del circuito di Roma Natura e che, da allora è conosciuto come Riserva naturale di Decima Malafede. Territorio purtroppo che, nonostante l'istituzione della riserva, ha continuato ad essere oggetto di appetiti speculatori da parte di privati e istituzioni (Si pensi solo alla devastazione provocata dalla prossima autostrada Roma Latina). Il mio rapporto di curioso osservatore della natura e le sue meraviglie non ha mai, però, assunto l'aspetto che avrebbe preso piede con successo,successivamente. Non facevo trekking, né bird watching, né esplorazioni, né percorsi con mete obbligate o prefissate da raggiungere, che non fossero la pace interiore. Il mio ideale rapporto con la natura l'ho sempre vissuto al meglio e al massimo in compagnia, di me stesso. E, a volte, eravamo pure in troppi. Per dare un'immagine di facile lettura, ho sempre ricercato l'amore quasi fisico e la fusione col tutto. Nel bosco, sulle rive di un torrente, su un altopiano o sulla cima di un monte. Esperienze intrise quasi di un misticismo laico! E, il misticismo ci porta diritti a considerare l' ultimo aspetto, quello della ricerca spirituale, quello delle grandi verità ricercate dall'essere umano di ogni tempo. Per questo devo far riferimento a tre fasi ben distinte del percorso. In parte consapevole e in altra assolutamente casuale e fortuito, ma non meno vero o impattante. Il primo approccio, ovviamente, come quasi tutti avvenne nella parrocchia del quartiere con l'oratorio e col catechismo. Arrivando, addirittura con il far parte del coro dei “Pueri cantores” locali e, anche servendo messa come chierichetto. Periodo propedeutico, a prendere confidenza col concetto di divino, con il mistero non spiegato e scavallabile solo con la fede. Periodo pure sereno, tutto sommato. A parte le paure determinate quando, e succedeva spesso, ci si abbandonava a quei piccoli “peccati” possibili da parte di bambini. Crescendo con l'adolescenza apparve chiaro che rifugiarsi nella sola fede non bastava a oscurare tutte le incongruenze e i limiti che la religione comportava. Quindi ci fu il necessaro strappo dallla Chiesa, dai doveri che questa comportava, dalle visioni ormai troppo strette per essere condivise da un adolescente pieno di dubbi e curiosità. In questa fase ci fu l'incontro con Don Roberto, già ricordato prima, che diede della religione, della figura stessa del prete, un'immagine completamente diversa. Immagine che, pur non avvicinandomi di più alla chiesa, mi permise, però di mettere la questione del rapporto col mistero in stand by. Nè credente, né ateo, ripromettendomi di riaffrontare l'argomento quando e se, ne avessi sentito la necessità. Di una cosa ero però, già sicuro. Non avrei mai fatto parte di una organizzazione religiosa precostituita che, per una visione personale ancora confusa, ma non modificabile, ai miei occhi avrebbe rappresentato la negazione stessa del concetto di divino. Quindi si aprì la fase in cui cominciai a definirmi agnostico, essendo quella la parola che più avrebbe potuto rappresentare la mia posizione sull'argomento. Sentivo chiaramente di non poter chiudere definitivamente la questione, ma neanche, di sposarne una versione oggettivamente limitata e limitante. Complice anche una certa naturale sopravvalutazione del proprio punto di vista tipico della gioventù, tutto sommato riuscii, per diversi anni a convivere senza problemi con la questione. Probabilmente proprio grazie, a quella porticina lasciata volutamente socchiusa. E dalla quella porticina, come sempre accade, con le questioni messe da parte e quasi dimenticate, entrò con la violenza di uno tsunami tutto un corollario di avvenimenti, apparentemente inspiegabili, che mi posero per forza, nella condizione di dover riaffrontare la questione 0 rifiutarla definitivamente. Questione che, a quel punto, non riguardava solo un aspetto filosofico esistenziale, ma riguardava il vissuto quotidiano. Questi avvenimenti scatenarono la curiosità che, fino a quel momento, era stata disciplinatamente tranquilla nel suo angolino. Insieme a quelli, cominciarono a verificarsi tutta una serie di episodi che, in altri tempi, avrei potuto tranquillamente considerare casuali e spiegabili in mille altri modi logici. Ma che in quel momento e con le caratteristiche con cui si presentavano ai miei occhi assumevano l'aspetto di un sentiero di conoscenza e di apertura di sentire che sembrava, e forse lo era, lì solo per me. Incontri casuali, letture suggerite, altre occasionali con libri addirittura trovati sui treni dove lavoravo. Percorsi rischiosi che ti portavano a conoscere, forzatamente, anche il lato oscuro e pericoloso del percorso, da cui allontanarsi rapidamente. Ma anche momenti di illuminazione improvvisa in cui alcune cose cominciavano ad apparire più chiare e ad avere una propria logica leggibile e comprensibile. E, soprattutto, la certezza che nessuna religione organizzata, con i suoi riti, i suoi precetti, i suoi limiti avrebbe potuto rappresentare la strada o la verità rispetto l'esistente. E di quanto il rapporto, con l'idea stessa del mistero e del divino, sia percorso intimo, solitario e non trasmettibile. Che lo stesso si presenta e si arricchisce solo se e quando, il singolo e il momento lo rendano utile o necessario alla personale evoluzione. Ovviamente, e proprio per i motivi sopra esposti, nessuno e, tantomeno il sottoscritto, può o deve sentirsi in dovere di trasmettere il proprio punto di vista come quello più giusto o idoneo per tutti. E, ancor meno potrebbe o dovrebbe, pensare minimamente a fare proseliti. Rappresenterebbe la fine stessa delle poche certezze in materia raggiunte con fatica. La solidarietà, l'equilibrio, quello che molti chiamano amore, si deve provare ad applicarli, almeno come tendenza, nella vita di tutti i giorni. Nei rapporti personali, nella vita politica e sociale, nel rapporto col resto dell'esistente. Ed è questo e solo questo a stabilire il grado evolutivo, non il credere o meno. Si può essere santi o demoni, pure in modo inconsapevole e lontano anni luce dal misticismo e dal sentimento religioso. Così come si può essere umani, nel senso più compiuto del termine, pur senza attraversare e comprendere i tre aspetti fondanti della mia personale e, come si diceva prima, non replicabile esperienza. Per ognuno c'è un sentiero evolutivo che aspetta e, tranquilli, che ognuno, prima o poi, lo incrocia e lo percorrerà, anche se inconsapevolmente. MIZIO

martedì 30 giugno 2020

INCONTRI

Ci sono più cose tra gli spazi bianchi fra le righe che nelle parole scritte.




Ormai, sono tanti anni fa quando decisi di ripetere un'esperienza già fatta altre volte. Andare a pesca nel fiume Sangro, in pieno Parco Nazionale d'Abruzzo, ovviamente con i permessi previsti e limitatamente alla porzione di fiume in cui era possibile farlo, con il ferreo rispetto delle regole previste. A differenza delle altre volte, però decisi di andarci da solo e la pesca, alla fine era solo una scusa, soprattutto con me stesso. La realtà è che avevo bisogno di stare un po' da solo. Solo e immerso in un ambiente, che mi stava diventando abbastanza familiare, e che riservava sempre sorprese, ma soprattutto, permetteva il raggiungimento di uno stato d'animo, non so se equiparabile alla pace interiore, ma sicuramente estremamente gradevole. Stato d'animo di cui, a volte, si sente un estremo bisogno.
Partenza ovviamente, la mattina che era ancora buio, arrivo all'ufficio del Parco dopo un paio d'ore ma era ancora chiuso quindi, gradevole seconda colazione, quasi obbligatoria, in un bar appena aperto. Tutto era come lo ricordavo e come sarebbe dovuto essere. Un paesino di montagna, si sveglia presto, forse ancor più presto che in città, ma in modo totalmente diverso. Con calma, con discrezione. Verrebbe da dire, quasi con rispetto. Senza quella frenesia tipica della grande città. C'è il tempo per i saluti, per una carezza al cane che scodinzola, per guardare il fiume che scorre vivace sotto la strada e il cui gorgogliante scorrere fa da perenne colonna sonora. Il tempo di fare il permesso, indossare stivali, prendere lo stretto indispensabile e scendere giù sulle rive del fiume. Visti i limiti giustamente imposti dal regolamento, da quel punto potevo solo risalirlo per il breve tratto, forse poco più di un km, e poi, eventualmente ridiscenderlo. Mi immersi nel rumoroso silenzio del fiume che, allontanandosi dal paese, si trovava a scorrere in mezzo a boschi. Nel suo scorrere faceva risaltare quella ,casuale e precaria quanto si vuole, equilibrata armonia di suoni, colori e sfumature d'infinito.
Le piccole, guizzanti trotelle fario, tipiche del corso d'acqua non mancarono di mostrare il loro gradimento all'esca artificiale usata mostrandosi nei loro splendidi colori. Ero da solo, non intendevo mangiarle, quindi ritornavano tutte guizzanti nel loro liquido elemento naturale ma, ovviamente, con la raccomandazione di essere più attente la prossima volta.
Il periodo era di tipica primavera avanzata che a quell'altezza (1000 m circa) risultava essere quel periodo dell'anno in cui la natura si veste a festa col suo abito migliore. Impossibile resistere e essere indifferente alla sua bellezza, per cui la risalita di quel tratto di fiume fu dedicata più all'osservazione e alla meraviglia che alla pesca vera e propria. Fiori, piante, uccelli di ripa, natrici, insetti, farfalle. Ogni particolare era cosa degna di una sosta e di un attimo di rispettoso stupore. Non c'erano gli attuali smartphone, quindi quei momenti potevano e dovevano essere vissuti intensamente solo in quell'attimo, per poterne poi, serbarli nella memoria e nell'anima più a lungo possibile.
Ma come tutte le cose, anche quelle più piacevoli hanno una loro conclusone. Arrivai al punto limite oltre il quale non si poteva più pescare, che era il primo pomeriggio.
La fame cominciava a farsi sentire quindi, seduto comodamente al sole sulla riva del fiume, consumai i panini preparati la sera prima, mandandoli giù con l'acqua fresca che avevo preso nel fontanile del paese.
Mi guardai intorno e, tutto sommato, visto che era ancora presto e avevo, ormai soddisfatto la voglia di pescare, decisi di non tornare indietro per la stessa via acquatica. Per quel giorno avevo già disturbato abbastanza il fiume e i suoi legittimi abitanti. La zona la conoscevo, dato il periodo non c'era quasi nessuno e scelsi allora di effettuare un giro più lungo per ritornare al paese. Passando per quei luoghi che nel passato mi avevano visto scorazzare tra ruscelli e boschi insieme agli amici di sempre. Considerate che in quegli anni ancora non c'erano tutte le regole e le giuste limitazioni che ci sono state successivamente, quando il turismo ambientalista è diventato fenomeno di massa e fu necessario regolamentarlo. Quindi mi avviai per un sentiero che saliva dolcemente fino alla base del gruppo montuoso dove avrei preso l'altro che, con qualche saliscendi, mi avrebbe riportato in paese seppur dalla parte opposta rispetto a quella della mattina.
Mentre salivo, l'acqua fresca bevuta poco prima, fece sentire i suoi naturali effetti secondari. Per cui mi fermai e, per evitare eventuali ma possibili imbarazzi, cercai un angolo discreto e non in vista dal sentiero che potesse degnamente assolvere alla necessaria discrezione richiesta. Un piccolo avvallamento con una serie di cespugli rigogliosi si prestava magnificamente alla bisogna. C'era solo da scendere un pochino e fare un piccolo saltello.
Così feci e, nel momento stesso in cui atterrai facendo un po' di rumore, molto più rumore venne dalla mia sinistra. Da un cespuglio a pochi metri notai una massa scura di rispettevoli dimensioni che alzandosi in piedi emise un grugnito un po' strozzato e scappò nella direzione opposta alla mia. Ovviamente rimasi impietrito, non capendo subito, cosa fosse successo. Vedendolo allontanarsi anche se per pochissimi secondi, mi resi conto di aver incontrato, anzi disturbato, il più raro e prezioso abitante di quei luoghi. Un orso bruno marsicano sorpreso, impaurito e sicuramente infastidito giustamente dalla mia presenza. Magari mentre era impegnato a frugare tra i cespugli n cerca di bacche e frutti o, magari semplicemente stava per fatti suoi a casa sua. Inutile dire che se lui si era spaventato figuratevi io che dalla forte emozione (paura?), improvvisamente, non avvertivo nemmeno più alcun bisogno impellente. La sorte volle che lui si fosse avviato verso valle e io dovevo andare, invece, in direzione opposta. Perchè è vero che quell'incontro me lo auguravo da anni ma, essere da soli in sua compagnia e a distanza ravvicinata, sinceramente mi sembrava poco prudente e opportuno per entrambi.
Riprendendo a camminare, la visione di quel fulmineo e improvviso incontro mi fece compagnia sostituendo qualsiasi altro pensiero e distraendomi pure dalle bellezze circostanti, pur notevoli. Cercavo di ripassarne mentalmente i particolari anche i più minuti e insignificanti. Mi rimproveravo di non aver guardato con attenzione al cespuglio e nei suoi immediati pressi, per capire di più sul motivo della presenza proprio in quel posto. Ma erano pensieri sovrastati, comunque, dal piacere, ancora incredulo, di aver vissuto quel momento e poterlo raccontare. Arrivai nel punto in cui avrei dovuto prendere l'altro sentiero che mi avrebbe riportato in paese e per farlo avrei dovuto percorrere un tratto di strada asfaltata. Mentre la percorrevo vidi avvicinarsi un cane che traversava la strada stessa in senso obliquo. Non mi allarmai o sorpresi più di tanto. Il randagismo era, ed è ancora purtroppo, fenomeno frequente e comunque era uno solo. Se avesse avuto cattive intenzioni l'avrei potuto controllare facilmente . Non era neanche troppo grosso. Si non è grosso ma neanche piccolo e mi pare, non vorrei sbagliarmi. E no, cavolo! Quello che a distanza sembrava un cane, avvicinandosi, fermandosi un attimo a guardarmi distratto, no non potevo sbagliare era proprio lui, un lupo. A differenza dell'incontro con l'orso ho avuto tempo e modo di guardarlo con calma mentre sdegnosamente mi ignorava allontanandosi senza fretta dalla strada senza neanche voltarsi a guardare se mi fossi mosso verso di lui. Evidentemente mi considerava alla stessa stregua di come l'avevo considerato all'inizio io. Non pericoloso e decisamente alla sua portata se avessi fatto un qualsiasi tentativo di essere aggressivo o fastidioso.
Se la prima visione era stata semplicemente una sorpresa, enormemente piacevole, adesso era addirittura un cosa impensabile e statisticamente quasi impossibile. Un orso e un lupo, fino a quel momento visti solo nello zoo di Pescasseroli. I due re indiscussi delle montagne abruzzesi. Due tra i più elusivi, rari e preziosi animali dei nostri boschi mi si sono consegnati alla visione senza trappole, senza estenuanti ricerche e, praticamente senza condizioni. Per loro non avrà significato nulla più di un fastidio equiparabile a quello di un moscerino. Invece in me hanno lasciato un'impronta talmente profonda che, a distanza di decenni ancora ne rivivo l'emozione del momento. Anche perchè, nonostante, altri tentativi, non sono mai più riuscito a ripetere l'esperienza. Nè in quel posto né in altri luoghi. L'unica cosa vagamente assimilabile è aver sentito, un'unica volta, l'ululato di un lupo.
Inutile dirvi che l'ultimo tratto per tornare al paese e alla macchina fu percorso rapidamente perdendo qualsiasi altro interesse. Cosa di cui mi sarei dovuto anche scusare con Madre Natura. Ma talmente forti erano state le emozioni degli incontri di quel pomeriggio da non avere, forse, altro spazio negli occhi e nell'anima per ulteriori bellezze pur presenti in gran numero da quelle parti.
Perchè ho ritenuto di raccontare ciò? Intanto perchè, come detto sopra, è stata un'esperienza e una giornata talmente particolare, da sentire quasi il dovere di renderla fruibile, se non altro con la fantasia, anche da altri.
La seconda e forse più importante motivazione è quella di raccontare, in questo periodo in cui si parla di caccia agli orsi e ai lupi, quanto possa essere molto più appagante e soddisfacente l'incontro, anche casuale con questi animali. Incontri in cui dovrebbe prevalere il rispetto, la curiosità ma non la paura e, tantomeno, sentimenti di criminale vendetta. Come, invece purtroppo, avviene sempre più frequentemente nei loro riguardi. Io invece, non finirò mai di ringraziarli per l'onore, il piacere e il privilegio che mi hanno concesso. Sperando sempre che prima o poi si possa ripetere.

MIZIO

mercoledì 30 ottobre 2019

MIZIO, MI CHIAMO MIZIO

Ci sono più cose tra gli spazi bianchi tra le righe che nelle parole scritte.


Questo autunno che resiste all'inverno e continua a strizzare l'occhio all'estate, ha la caratteristica di addolcire e rendere piacevolmente morbidi momenti che altrimenti,sarebbero intrisi solo della malinconica attesa dei prossimi giorni di poca luce.

Non sembra quindi fuori posto l'abbandonarsi al fluire dei pensieri che, liberi come mille rivoli d'acqua montani, gocciolano, si cercano, si rincorrono fra le rocce quasi anarchici, sfrontati, irriverenti fino ad unirsi e fondersi in pensieri più grandi. Tutti di corsa verso mete sconosciute ma terribilmente attraenti. Fino a dissolversi nei grandi fiumi, laghi o nell'immenso mare. Sempre se prima non si siano persi cadendo in fessure tra le rocce che li porteranno, dopo lunghi percorsi in tubi a dissetare intere città. Il tutto con lo sguardo sognante, perso nell'infinito orizzonte,  rappresentazione in cui l'universo  tenta di rappresentare anche il tutto il tuo limitato mondo. L'attenzione allentata, la ragione che sembra essersi messa di lato, lasciando spazio e protagonismo all'anima, quella bella, pulita, sognante.
Ciao”. “Oh Madonna, e che diamine, mi hai fatto prendere un colpo!”
Sussultando mi volto dalla parte della voce, senza però vedere nessuno, se non dopo aver abbassato lo sguardo. Seduto su un sasso che, più o meno, poteva assolvere ad una funzione di seduta non troppo scomoda, almeno per un bambino! E già, perchè all'improvviso era arrivato questo bambino a rompere un momento che stava per diventare magico nella sua dolcezza evocativa addirittura di stati prossimi all'illuminazione mistica o alla follia allucinatoria.
Ciao, Maurizio” ripete,
Ciao piccolo ci conosciamo? Sei forse figlio di qualcuno che conosco? Come ti chiami?”
Mizio. Mi chiamo Mizio”
Mizio? Ma tu guarda che combinazione! E'' un nome che mi è caro da sempre, ma tu pensa! Comunque, non mi sembra di conoscere nessuno che abbia dato questo nome al proprio figlio. Chi sei? Dove abiti? E' quasi ora di cena, che fai in giro da solo a quest'ora?”
“Tranquillo, non sono mai solo, anche se troppo spesso ho la terribile sensazione di esserlo veramente”.
Scusami, che stai dicendo? Non hai una casa, una famiglia? Ti sei perso? Vuoi che chiami i tuoi... o la polizia?”.
No. Ma quale polizia, mamma mia! Sempre tragico e portato all'esasperazione eh? Non Sei mai cambiato molto, da questo punto di vista!”
Continuo a non capire. Intanto cerca di dirmi chi sei altrimenti la polizia la chiamo sul serio. Non lascio un bambino da solo in un posto così isolato, che col buio potrebbe diventare anche pericoloso. 
Dai, smettila di giocare e dammi il numero dei tuoi, così li chiamo. O al limite, dimmi dove abiti che ti accompagno.”
Calmati e cerca di ragionare. Mi vedi forse spaventato? Smarrito? Confuso? Non mi sembra di averti dato questa impressione. In verità, mi sembri più confuso tu. Io sono tranquillo. Sono solo un po', anzi di più, amareggiato e, ti dirò, anche un pelino arrabbiato.”
Mi dispiace per te, piccolo. Ehm, scusa, ma questo non cambia di una virgola le cose. Devi dirmi chi sei, dove abiti e perchè sembri, o pensi, di conoscermi, mentre io credo, anzi ne sono sicuro, di non averti mai visto”.
Certo che pensi e sei convinto di non avermi mai visto. Ti dirò, per maggiore precisione e per tua maggiore chiarezza, che tu abbia dimenticato, non di avermi visto, perché questo potrebbe essere vero, ma addirittura di conoscermi. Troppo spesso hai guardato e continui a guardare fuori, altrove. Sei sempre stato preso da questioni di interesse relativo, dimenticando e lasciandoti alle spalle cose, forse più importanti”.
Ma che stai dicendo. Ma come ti permetti!. Ma senti questo, arriva, compare dal nulla, mai visto e conosciuto e spara sentenze. Le cose importanti? La mia famiglia, i miei figli, mia moglie, anche se con qualche errore, sono sempre stati in cima ai miei pensieri. A loro ho dedicato gran parte della mia vita. Per quanto mi è stato possibile ho cercato di non far mancare loro nulla. Se qualche volta non ci sono riuscito non è stato per mancanza di volontà ma per l' impossibilità a farlo. Ma...ma poi perchè dovrei dare spiegazioni sulla mia vita privata a un....un cavolo di bambino signor nessuno, figlio di nessuno, che non abita da nessuna parte. Ma falla finita su! Senti io mi sono quasi stufato. Se fossi stato più grande già ti avrei mandato a quel paese e ti avrei lasciato qui.”
Tanto non sarebbe certo la prima volta che lo faresti”
Che intendi? Che cosa avrei già fatto? Continui ancora con queste accuse infondate e calunniose. Ma che diavolo vuoi da me? Senti, sta facendo quasi buio. O ti decidi alla svelta, a dirmi chi sei e cosa vuoi o chiamo la polizia e lascio che ci pensino loro. Anzi avrei dovuto già farlo.”
“Mamma mia, capoccione eri e capoccione sei rimasto. Pensi di aver capito tante cose ma dimostri di non aver capito quasi nulla. Ti riconosco la capacità di essere curioso, sincero nelle tue aspirazioni ideali e con la giusta dose di ingenuità... L'ingenuità, si quella nobile, quella che la maggior parte degli altri riconosce come la valenza negativa del fesso. Quella che ti espone alle fregature, alle delusioni e ancor più spesso alla solitudine, Quella peggiore, quella animica.”
Aspetta, aspetta, Ma che ragionamenti fai,? Non sono adatti alla tua età... A proposito quanti anni hai?”
A che ti serve sapere la mia età? Comunque, se proprio vuoi conoscerla, sappi che nessuno meglio di te la conosce”!
"Ma che stai dicendo? Perchè mai dovrei conoscere la tua età. Non ti conosco. Non conosco i tuoi. E' la prima volta che ti vedo. Ah, credo d'aver capito! Non è che , per caso, tu voglia insinuare qualcosa di infamante? Se fosse così, sappi che sono assolutamente sicuro di non avere figli sparsi in giro. Anzi, se dovessi insistere sappi pure che sono pronto a fare tutte le prove del DNA immaginabili e, subito dopo a far partire denunce, querele e richieste di risarcimento danni per chi ti ha messo in testa certe cose. Vai, vai, diglielo a chi ti manda. A questo punto neanche mi interessa più sapere chi sei e di chi sei figlio. Chiamo la polizia e amen.”
Ma smettila. Ma quale figlio! Ma che pensi di stare in una soap opera di bassa lega? Ma vuoi che non sappia che nella tua visione di vita fedeltà e correttezza sono sempre state prioritarie? Che hai sempre preferito un eventuale rimpianto al sicuro rimorso? Comunque, tranquillo, non sono tuo figlio. Al massimo, parlando di parentela potrei definirmi, forse, tuo fratello”.
Fratello? Eh certo, perchè così diventa tutto più chiaro. Un bel fratellino di cinquant'anni più giovane fatto e concepito col pensiero da chi, purtroppo non c'è più e tutto diventa comprensibile. L'unico fratello che ho avuto, purtroppo se n'è andato anche lui molti anni fa e, detto fra noi, neanche ti somigliava.”
Oh signur! Sembra proprio che stai perdendo la capacità di essere attento e anche intuitivo. E' abbastanza ovvio che fratello fosse un'iperbole. Ma avresti capito di più se ti avessi detto che sono una parte di te? Che sono stato sempre con te? Che addirittura posso quasi essere considerato te, che altrimenti saresti incompleto? Ovviamente, credo proprio di no.”
No, no, aspetta aspetta! Fermiamoci un attimo. Credo di aver bisogno di sedermi anch'io. Non so se comincia a mancare di più l'aria o la ragione. Ripensandoci, già una volta anni fa, mi capitò di avere un assurdo dialogo con quella che poi si qualificò come essere la mia coscienza. Non ho mai saputo accettarlo razionalmente. L'ho messo e lasciato tra le tante cose inspiegabili, senza spiegazione e risposta, che ci accompagnano nella vita fin dalla nascita e che chiamiamo coincidenze, fortuna, caso o allucinazione. Però diciamolo che forse, nella sua assurdità, era addirittura un pochino più credibile rispetto quello che stai affermando tu. Lui era uguale a me, praticamente un gemello. Tu, invece, che c'entri? Sei un bambino. Un bambino molto particolare, anche molto sveglio e intrigante, te lo riconosco senza fatica. Ma sei pur sempre un bambino...un...Mizio. Hai detto di chiamarti Mizio, vero?”
Sei sveglio eh? Si mi chiamo Mizio. E indovina chi mi ha dato questo nome? Dai anche con la tua lentezza di comprendonio e la tua cocciutagine ci puoi arrivare. A questo punto non dovrebbe essere troppo difficile persino per te”.

Beh, MIzio mi chiamavano da piccolo, Mizio mi chiama mia moglie. Come Mizio firmavo le poesie e i disegni adolescenziali. E a Mizio lascio spesso l'onere di esprimere considerazioni quando ho la necessità di essere più libero nell'esporre qualcosa. Quando voglio essere svincolato da doveri e visioni condizionate e condizionanti.”
Ecco ci siamo! Io sono quel Mizio! In questo senso posso dire tranquillamente che non solo sono un parte di te, ma che senza di me anche tu non saresti completo.  Menomato di una parte più che importante. Risponde al vero che io senza te non potrei esistere, ma tu senza di me semplicemente non saresti tu! Io sono la tua parte fanciullesca, ingenua, sognatrice, utopista. Quella che tenta sempre, da una vita di condizionare e riequilibrare l'altra parte. Quella pubblica, seria, realista. Quella legata a ruolo e posizione. Io sono quello che ti permette, quando tu me lo permetti, di interpretare i vari ruoli della tua vita in modo leggero, salvaguardando la serietà di fondo, ma senza scivolare nella barbosa seriosità. Cosa non sempre, e non da tutti capita e apprezzata. A te è toccata la scena pubblica, sei la parte visibile di te... o, per meglio dire, di noi. Sei quello che cresce e adesso, quadrati, pure quello che comincia ad invecchiare. Sei quello obbligato dal ruolo a fare scelte e a interpretare un ruolo in questa gigantesca commedia dell'assurdo che chiamiamo vita”.
Ok, credo di essere sufficientemente preparato anche alle cose più improbabili. Credo che nulla, o quasi, mi possa sorprendere o destabilizzare più di tanto. Però ti confesso che, se non è una sorpresa in assoluto, non è neanche, ti assicuro, una cosa semplice da capire e accettare. Spero tu mi possa capire.E a questo a questo punto credo anche che mi si debbano alcune spiegazioni che reputo dovute e obbligate. 
Finora dov'eri? Perchè se sei parte di me, io sto diventando anziano e tu sei rimasto bambino?
In che rapporti sei con quell'altro tizio cui accennavo prima...la sedicente mia coscienza? 
Comincio ad essere decisamente a disagio pensando al mio essere, che ormai sembra somigliare sempre più, una sorta di affollato condominio. Perchè da quel che so dovrebbero, o potrebbero essere presenti anche la componente femminina e l'ingombrante eredità del nostro ancestrale passato animalesco e magari, chissà cos'altro.” Quasi quasi diventa più accettabile la classica divisione della chiesa corpo, anima, spirito almeno saremmo solo in tre
Piano, piano. Non correre, rischi di perderti. Io, essendo te, so esattamente tutto quello che potresti o dovresti sapere anche tu. Quindi più di tanto, non posso dirti o aiutarti nella comprensione. Ho il solo vantaggio di avere meno sovrastrutture che mi permettono di avere una visione più chiara delle cose, ma sempre limitatamente al nostro rapporto. Con la coscienza non ho legami diversi o maggiori dei tuoi, cioè non tangibili, ma ne avverto costantemente la presenza, a volte anche decisamente fastidiosa! Per quanto riguarda il mio essere rimasto bambino credo te ne debba assumere pienamente la responsabilità. Stavamo così bene insieme da bambini. Quello che interessava te a me incuriosiva. Quello che era piacevole per te a me divertiva da matti. Le tue amicizie erano le mie, le tue corse decidevo io dove indirizzarle e quando fermarsi. Nostre erano le scoperte, nostre le stesse passioni. Poi non so come o perchè, qualcosa è cominciato a cambiare. Tutto è cominciato quando hai iniziato a guardare le ragazzine con occhi diversi da quelli di solo pochi mesi prima. Ti atteggiavi, cominciavi a perdere troppo tempo nel trovare la pettinatura, i vestiti, e tutte quelle carinerie che potessero catturare il loro interesse. E poi la scoperta della politica, il calarsi nei ruoli che progressivamente la vita ti obbligava ad interpretare. Progressivamente per sempre meno tempo e per meno volte, avevo la possibilità di crescere e imparare con te. Rimanevano quei pochi spazi che dedicavi alla scrittura, molto intima, crepuscolare e anche pallosa, lasciatelo dire, di quel periodo.
Ricordo quando cominciasti ad interessarti di ambiente ed ecologia. Cominciasti a esplorare con lunghe giornate di full-immersion nella natura tra prati, fossi, stagni e boschi cuocendo dal caldo d'estate e tremando dal freddo in inverno. In quei momenti, quasi sempre vissuti in solitaria, sentivo di essere, e forse lo eravamo veramente, una cosa sola. Anche se ognuno aveva un suo particolare approccio. Tu cercavi, osservavi, annotavi. Cercavi le motivazioni che giustificassero anche agli occhi  di chi non era interessato alla protezione ambientale, quali fossero quelle per cui invece, fosse necessario farlo. Io , invece, vivevo lo stupore, la magia della scoperta, la meraviglia di fronte a un fungo dalla forma particolare o a un involo improvviso di un uccello. Tu cercavi di fare un lavoro serio, mentre io guidavo la tua mano a casa. Trasformando in scritti e disegni ciò che avevamo visto. Ma quello fu quasi un'eccezione e, praticamente, il nostro canto del cigno. Così, fin troppo presto, mi sono ritrovato rinchiuso nell'angolo più buio e isolato del tuo animo. Senza più la possibilità di partecipare alla tua (nostra) vita. Così mentre tu continuavi a crescere, e più crescevi e più ti sclerotizzavi nella tua visione limitata e monca della vita, ti avviavi senza rendertene conto anche ad un lento, inesorabile invecchiamento. E mentre tu invecchiavi, io restavo quello che ero, un bambino. Un bambino dimenticato, relegato ai margini, impossibilitato ad attirare le tua attenzione, pur avendoci provato milioni di volte. Un bambino che non cresceva ma in cui aumentavano sempre più rabbia e frustrazione. 
Riesci a seguirmi? Non voglio osare chiederti se mi capisci. Forse per te, così insensibile e poco accorto sarebbe chiedere troppo!”
Uè, ragazzino, Non offendere per favore. Se, come dici, sei parte di me da sempre, conosci benissimo i miei limiti, ma anche i miei pregi. Sai cosa ho fatto, quali mari e deserti animici e pratici ho dovuto attraversare e sai, certamente quanto, pur essendo praticante sistematico del dubbio, non sia  chiuso o refrattario di fronte a qualsiasi evenienza. 
Quindi, prendendo per vero, in via ipotetica, ciò che affermi, perchè ti saresti manifestato in maniera così tangibile solo oggi? Se il tuo desiderio fosse stato veramente quello di fare cose insieme a me, perchè non l'hai manifestato praticamente molto tempo fa?”
Ti ho già detto prima che ci ho provato sempre. In ogni giorno e in ogni notte ero lì vicino a te. Così vicino, eppure così lontano da non poter essere ascoltato e, tantomeno visto. Le sovrastrutture che ti sei costruito... no, per meglio dire quelle che hai permesso ti fossero costruite intorno, ti mettevano nell'impossibilità di percepire i livelli vibratori e sentimentali con cui avremmo potuto comunicare e vivere esperienze condivise”.
Asp...scusa quali vibrazioni, che stai dicendo? Vai piano, fatico a seguirti.”
Lo sapevo che sarebbe stata dura ma ascoltami. Ti faccio un esempio pratico. Hai presente le onde radio? Ad ogni frequenza corrisponde una vibrazione diversa da tutte le altre. Incomunicabili e non sovrapponibili. Per ascoltare una determinata stazione radio non è sufficiente avere uno strumento idoneo ed accenderlo. Bisogna anche sintonizzarlo sulla giusta frequenza. Ecco tra noi per tantissimo tempo non è stato possibile comunicare perchè abbiamo occupato frequenze diverse. Non so se adesso ti può essere più chiaro.”
Si, boh, cioè così sembra un po' più chiaro. Però di conseguenza diventa naturale chiederti perchè proprio oggi e non prima? Ieri, l'anno scorso o ancora prima? Cavolo, hai avuto decenni a disposizione
Semplice, ricordi? Stavi guardando il tramonto. Non pensavi a nulla, eri quasi in pace, o meglio in equilibrio con gran parte del tuo essere e,  quasi quasi, anche con l'intero universo. Ecco in quel preciso momento la tua vibrazione si è riconnessa sulla stessa lunghezza d'onda della mia riaprendo un varco comunicativo tra noi. In quel momento, anche se ero mezzo addormentato, sono riuscito ad approfittarne e a sgusciare fuori da quel varco. Addirittura con la possibilità di potermi rendere anche visibile. Sappi che è un privilegio raro e riservato a pochi, non sottovalutarne l'enorme valore potenziale.”
No, certamente non potrei né sottovalutare né fare finta di nulla. Però mi capirai se, decisamente, non sono del tutto lucido e presente a me stesso in questo momento. Ammettendo che riesca a mantenere un minimo di lucidità. A questo punto che dovrei o vorresti che faccia per te...o meglio per noi?”
"Niente di più e niente di meno di quello che stavi facendo prima che ci incontrassimo. Alza lo sguardo, libera l'anima, cerca sempre lo stupore e l'ingenuità del fanciullino. Annega nel bello, ricerca la giustizia, non essere severo con gli altri e soprattutto con te stesso. Sii sempre pronto a portare il tuo peso col sorriso. È il modo migliore di renderlo più leggero, e io sarò lì ad aiutarti in questo. Non chiudere i rubinetti delle valvole di sfogo o uscite di sicurezza dalla seriosità e dalla monotonia. Ritorniamo insieme, riportami per campi e per boschi. Emozioniamoci ancora alla vista del falco o di una farfalla su un fiore. Portami con te sempre, anche nei momenti più duri e prometto che farò del tutto per renderteli più sopportabili. Non scegliere e non permetterti di invecchiare da solo quando possiamo tranquillamente continuare a crescere insieme. Qua la mano Maurizio!”
Eccola Mizio!”

MIZIO 

venerdì 4 maggio 2018

ESTRANEI

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Quando nasci periferia della periferia, si rischia di partire già sconfitti, e, ovviamente, all'inizio non lo si sa. Si impara piano piano, dai discorsi dei genitori, dagli sguardi dei benpensanti, dai desideri che rimangono inappagati.
Lo si impara quando l'unica scelta è la strada di cui si deve imparare le regole non scritte, ma vive, palpabili, fin troppo  violente. Se non si riesce a vibrare armonicamente e in sintonia con quel mondo, ci si ritrova a scivolare verso un senso di estraneità a tutti suoni e colori che ti circondano. si comincia a sentire e far proprio uno stato di non appartenenza. Probabilmente troppo fragili e impreparati per quel paradigma. Sarebbe stato più facile fare come i tanti e assecondarne le aspettative. Tutto sommato sarebbe stato quasi naturale, per certi versi, forse, persino obbligato.  Certamente più difficile, complesso cercare di rimanerne fuori. Ma quasi mai è una scelta cosciente. E' un ritrovarsi a fare i conti con sè stessi. E', quasi, una condanna alla solitudine anche in mezzo alla folla. E' un essere messo costantemente e brutalmente alla prova. Come quando un dolore empatico  segnò l'infanzia per quel  vicino di banco cui morì  improvvisamente la madre. Talmente forte e insopportabile il rimbalzo del dolore da chiedere alla propria, di madre, e piangendo di cambiare classe. E anche quando si mise a repentaglio la propria incolumità per difendere un amichetto da una violenza gratuita e vigliacca. Erano più grandi e le si è prese, ma di fronte al dolore e alle ingiustizie, devo dire, il senso di estraneità, da sempre, vacilla.  Comunque, al di là degli episodi, non sapendolo ancora,  in quei momenti iniziava il personale percorso di riscatto. Riscatto che, per molti, è scalata sociale, riconoscimento economico e supina accettazione delle regole del vivere civile e borghese. Per il potenziale estraneo era sforzo di comprensione, lavoro sfibrante e continuo su sé stesso. Nonostante le innumerevoli sbucciature di ginocchia e rotture di denti per gli ostacoli non previsti e non prevedibili, su cui inevitabilmente si andava a sbattere.
Col tempo si capisce  che, anche,il senso di estraneità non può spingersi fino al punto estremo di affidare al caso e alle bizzarie della vita la propria incolumità, o comportare l' inazione rispetto le ingiustizie. Con pazienza si sono ricercati i migliori prodotti impermeabili da spalmare sull' anima. Creare una barriera fra la  pelle e il resto del mondo sembra essere necessario per girovagare nelle strade della vita. Strade che, più si cresce  e più aumentano di numero rendendo, conseguentemente, sempre più problematica la scelta di quella giusta:
Hai fatto la conoscenza con le suadenti sirene piazzate strategicamente su ognuna di esse, con le loro luci, i loro richiami, le loro sfavillanti promesse di felicità. Lo sforzo per resistere a quegli inviti sarebbe stato sicuramente superiore alle proprie forze, se non ci si fosse trovati fin da subito a coltivare l’estraneità. Coscienti di essere nel mondo con le sue regole incomprensibili, ma altrettanto decisi a non farsi travolgere dai suoi flutti e affondare nei suoi gorghi. Si è costretti, spesso, a scegliere l'ombra come condizione necessaria. Ai lati della strada, non come rancorosi e bramosi spettatori, come si sembra esser condannati, ma come coscienti e attenti osservatori. Solo apparentemente ai margini dell' ininterotto fluire vitale, perchè, altrettanto inevitabilmente, si è esposti anche agli schizzi di fango e.....di peggio.  D'altra parte non si è sulla terra per scivolare su di essa, ma per conoscere le sue impurità, le sue contraddizioni, i suoi limiti. Qui non potrai mai volare,  è vero, ma non è detto che l' unica alternativa sia affogare nella melma. Anche se è altrettanto vero che, qualche contaminazione, è inevitabile che ci tocchi e ci segni.
Nasciamo ignari e moriremo altrettanto ignari. Nei due momenti cruciali dell'esistenza siamo stati e saremo soli, ci accompagna, probabilmente, solo lo stesso senso di smarrimento e di angoscia. Ma tutto ciò che è in mezzo a questi due momenti deve essere conoscenza, ampliamento di coscienza, esperienze di equilibrio sentimentale da vivere con consapevole e apparente estraneità!

MIZIO

martedì 28 febbraio 2017

LA COSCIENZA NON GIOCA A PALLONE


"Spesso ci sono più cose negli spazi bianchi tra le righe, che nelle parole".

Nella borgata dove si abitava in mezzo a prati spelacchiati e cantieri i punti di riferimento per noi ragazzini erano pochi e perfettamente adeguati all’ambiente circostante. Il bar con il biliardino e il televisore, la sezione del PCI con il campo di bocce, la parrocchia con l’oratorio e il campo di calcio. Quello grande, con le porte regolari le strisce bianche, qualche gradinata di tubi Innocenti che per noi, abituati a giocare negli spiazzi sterrati o, addirittura sul’asfalto, aveva lo steso fascino del Maracanà, dove, ci si immaginava novelli Pelè a segnare valanghe di gol tra tifosi festanti. La realtà era molto diversa. Su quel campo non potevamo giocare, perché si pagava l’affitto e, addirittura non potevamo neanche vedere le partite di infima categoria che si giocavano la domenica perché, anche le 100 lire necessarie per entrare, erano troppe per le esigue risorse delle nostre tasche.
Quello che, però, mancava in risorse economiche si colmava con la fantasia e l’ingegno.
Come detto prima, la zona era sempre piena di cantieri, in stragrande maggioranza abusivi, anche questi vietati per noi, ma per altri motivi, che però avevano la caratteristica di offrire punti d’osservazione elevati buoni per guardare la partita domenicale . Un po’ lontani e un po’scomodi ma a scrocco, e questo ne rendeva accettabile qualsiasi disagio. In genere ci posizionavamo dietro una delle porte perché spesso il pallone usciva e noi si faceva a gara per riprenderlo e calciarlo con forza ributtandolo nel campo superando il muro e la rete che lo recingeva.
A quei tempi anche possedere un pallone da calcio era un privilegio non da poco, e il proprietario di questo tesoro aveva un potere quasi illimitato su tutti gli altri potendo decidere chi poteva giocare e chi no, in quale squadra o ruolo. E si parlava di palloni  nel migliore dei casi marca Supertele, leggerissimi, o S.Siro, più pesanti ma sempre di gomma. Figurarsi possedere il sogno, il miraggio, l’utopia rappresentato  dal mitico pallone di cuoio quello riservato ai grandi e ai danarosi che potevano giocare nel campo pagando.
Quindi, si capisce facilmente che, quando capitava di averlo anche per pochi attimi tra le mani, l’emozione era forte, talmente forte da far ipotizzare anche un’azione criminale.
Ci si rimuginava a lungo, si studiavano strategie, si valutavano i rischi e i compromessi con la coscienza nel caso in cui avessimo deciso veramente di saltare il fosso della legalità. Devo dire che gli scrupoli di coscienza erano messi a tacere abbastanza facilmente, quello che condizionava molto erano le eventuali conseguenze sia legali, ma soprattutto quelle legate alla reazione dei genitori. Le nostre madri e ancor più i padri non seguivano il metodo Montessori. Avevano poco tempo e molto da fare, quindi seguivano la via classica ma, decisamente,  più rapida ed efficace del terrore. Terrore che si materializzava sotto forma di battipanni, pantofole, cinghie o, in mancanza di questi strumenti, di robusti scapaccioni.
Il rischio era quindi altissimo ma la tentazione, domenica dopo domenica si faceva sempre più forte. E si sa che, se la carne è debole, quella di ragazzini di periferia di fronte a un pallone di cuoio era praticamente carta velina.
Si trattava, alla fin fine solo di trovare l’attimo, la situazione più favorevole.
Situazione che si venne a creare una domenica mattina quando un giocatore calciò con forza il pallone spedendolo oltre la porta dalle nostre parti e, subito dopo, l’arbitro fischiò la fine dell’incontro. Praticamente la situazione perfetta! I giocatori rientravano negli spogliatoi, i pochi spettatori paganti uscivano dalla parte opposta, l’arbitro parlottava in campo e il pallone era lì, con tutta la sua capacità seduttiva e tentatrice apparentemente ignorato da tutti. Ovviamente da tutti gli altri ma non certo da noi e da me.
Uno sguardo circolare in cerca di conferme, un tumulto emotivo e, improvvisamente il buio della ragione. L’istinto predatorio s’impossessò delle mie gambe. Uno scatto, scapicollandomi dalla posizione rialzata, lo prendo! E’ mio, e comincio a correre cercando di nasconderlo sotto la maglietta, ovviamente con scarsi risultati. Gli altri, forse per paura, o per creare un diversivo, comunque spiazzati dagli eventi improvvisi, scappano in direzioni diverse. Io da solo con l’oggetto delle mie più recondite fantasie finalmente tra le mani, attraverso strade, prati, nascondendomi dietro i muri e le poche macchine parcheggiate. Immaginando e, temendo, che fosse stata messa in atto una gigantesca caccia all’uomo. Faccio un giro lunghissimo con il cuore in gola per tornare a casa e far perdere le tracce.
Bene, arrivato in vista di casa, sembra che nessuno mi abbia seguito. I miei pavidi complici, invece, erano già lì ad aspettarmi. Curiosi come scimmie con gli occhi scintillanti immaginando epiche partite ci si strappava il pallone di mano, lo si esaminava, si provava qualche palleggio. Non era il Maracanà, nè S.Siro o l’Olimpico ma in quel momento eravamo tutti Rivera, Pelè o Mazzola.
A quell’età l’euforia pur contagiosa e sopra le righe è , pur sempre, di breve durata e lascia spazio e tempo ad altre considerazioni. “Chi lo tiene?” , “Ah, io non posso”. “Mia madre farebbe mille domande”, “Se lo sa mio padre, mi tronca le gambe””, “Maurì, l’hai preso tu. Lo devi tenere tu”. E’ vero, il desiderio era spasmodico e collettivo ma l’autore materiale ero stato io. Non potevo sfuggire alle mie responsabilità. Considerando, inoltre, che la cosa mi dava anche quel famoso potere che, nello specifico, diventava praticamente assoluto. Il rischio era grosso, ma poteva valerne la pena.
Dopo molte esitazioni cento possibili soluzioni ,valutando tutte le opzioni decisi di nasconderlo dove mio padre teneva attrezzi e carabattole varie. Tanto, sicuramente, di notte, non sarebbero servite.
Passai una notte insonne in un misto di timore, di finto orgoglio e la scoperta di quel fastidioso sentimento che scoprii, in seguito, chiamarsi rimorso.
Mi alzai prestissimo per controllare che nessuno avesse scoperto il provvisorio nascondiglio. Si erano alzati presto anche i miei amici.”Ti hanno detto qualcosa?”, “T’hanno scoperto?”, “Dove l’hai messo?”, “Dai vallo a prendere”.
“Si lo prendo, ma dove ci giochiamo?”. “Hai ragione qui ci vedono”, “Vicino alla strada potrebbe passare qualcuno che lo riconosce”, “Sullo stradone davanti al campo sportivo neanche a parlarne”.
La situazione era seria. Eravamo ricchi, ma non si poteva e non ce la sentivamo di rischiare il riformatorio o i ceffoni per esibire la nostra ricchezza.
La giornata passò in tutt’altra maniera rispetto quella che l’avevamo immaginata.
Dubbi, paure, proposte fantasiose per aggirare l’ostacolo come quella che prevedeva di colorare il pallone per renderlo irriconoscibile.
Eravamo più simili alla “Banda degli onesti”,del  film di Totò che a un nugolo di ragazzini spensierati. E, quello che stava peggio. ero proprio io. Io ero l’autore, io il responsabile, io che avrei avuto la punizione più severa, forse pure i lavori forzati.
Ed ero sempre io che avevo quel magone, quel qualcosa che si agitava nella giovane anima e che, con la sua vocina, mi diceva: “Hai sbagliato, non si ruba, pentiti,”. E più cercavo di zittirla e più continuava:”Tu non sei un ladro, hai fatto una fesseria, puoi e devi rimediare….”.
Si rimediare, sembra facile! Adesso mi presento al campo e dico: “Scusate ho preso in prestito il vostro pallone”, Oppure “L’ho trovato, per caso è vostro?”
No, no, non potevo e, poi avrei rischiato di perdere la faccia e il rispetto dei i miei compagni. No! Non me lo potevo permettere. Dovevo cercare di uscirne con dignità e pagando il prezzo più basso possibile.
Passò un’altra notte difficile in cui scoprii che la coscienza quando ci si mette è veramente una rompiscatole, più dei genitori, più del prete e delle paure che ci infondeva al catechismo. Però al mattino arrivò l’illuminazione. Si avrei fatto così!
Avrei zittito la vocina e ne sarei uscito con dignità agli occhi degli altri.
Dopo un’altra giornata piena di dubbi e domande rimirando, sempre con circospezione e attenti che nessuno ci vedesse,  l’oggetto dei desideri uscii dopo cena con la scusa di andare un attimo a prendere una cosa da un amico. Presi il pallone, lo nascosi, ma non era tanto necessario, perché era già buio. Arrivai dietro il campo di calcio, lo tirai fuori da sotto la maglietta, lo carezzai un’ultima volta, non senza rimpianto, lo alzai e con tutta la forza e la rabbia che avevo lo calciai al di là del muro.
Ecco giustizia era fatta! Era ritornato là dove doveva stare ed io, pur con un certo magone, sentii allentarsi quella morsa alla bocca dello stomaco e la vocina che diceva: ”Bravo! Sono orgogliosa di te! Oggi hai imparato una cosa che ti porterai dietro per tutta la tua vita”.
“Oh, stai zitta , per favore, non l’ho fatto  per te!”,
“Si, lo so, l’hai fatto per te stesso”.
Al mattino successivo tutti aspettavano il pallone invece arrivò, ufficialmente, la notizia che durante la notte era stato rubato. E, un pochino da carognetta, insinuai anche il sospetto, che potesse trattarsi, addirittura di qualcuno di noi. E, lo so, non era corretto ma la mia buona azione l’avevo già fatta, non pretendiamo troppo da un bambino. Avrei avuto tempo e modo negli anni a venire di imparare ad ascoltare quella vocina che, quando serve, non manca mai di farsi sentire e di cui sono diventato, nel frattempo il migliore amico.


MIZIO