lunedì 30 aprile 2012

INDIA, CREA UNA FORESTA DA SOLO


Con le sue sole forze, Jadav 'Mulai' Payeng, nativo indiano, ha trasformato un esteso banco di sabbia lungo le rive del fiume Brahmaputra in una rigogliosa foresta di 550 ettari. Nel corso di trent'anni una zona sterile è stata invasa da una grande biodiversità di flora e fauna selvatiche, comprese specie in via di estinzione.

jadav mulai payeng

Jadav 'Mulai' Payeng è il protagonista di una storia che ha dell’incredibile: da solo ha trasformato un esteso banco di sabbia lungo le rive del fiume indiano Brahmaputra in una rigogliosa foresta. Payeng, nativo del Distretto di Jorhat (nello Stato nord-orientale di Assam) e noto tra la popolazione locale come 'Mulai', nell’arco di 30 anni è riuscito a rimboschire una superficie di circa 550 ettari.

La sua foresta, conosciuta da tutti come 'Mulai Kathoni' o 'la foresta di Mulai', è diventata l’habitat ideale per centinaia di cervidi, conigli, scimmie ed innumerevoli varietà di uccelli. Ciò che una volta era uno sterile banco di sabbia vicino al suo villaggio natale, oggi è un rifugio sicuro per specie in via di estinzione come i rinoceronti unicorno e le tigri reali del Bengala (la cui piccola comunità, di recente, è aumentata grazie alla nascita di due cuccioli).
Payeng, che oggi ha 48 anni, ha cominciato a lavorare alla sua foresta intorno al 1980, poco più che adolescente, quando, dopo una lunga serie di inondazioni, trovò la spiaggia del Brahmaputra invasa da una moltitudine di rettili senza vita. Payeng, che all’epoca aveva solo 17 anni, prese una decisione che gli cambiò la vita: “I serpenti erano morti di caldo, poiché non c’erano alberi sotto cui ripararsi. Mi sono seduto e ho pianto. È stata una carneficina”, ha raccontato. “Ho avvertito il Dipartimento Forestale e chiesto loro di piantare degli alberi. Mi hanno risposto che qui non sarebbe cresciuto niente. Anzi, hanno chiesto a me di provare a piantare dei bambù. Non mi ha aiutato nessuno. È stata davvero dura, ma ce l'ho fatta”.
rinoceronti
Mulai decise di lasciare la scuola e la sua casa natale per andare a vivere da solo su quel banco di sabbia. Passava le giornate osservando le piante crescere e così, nel giro di pochi anni, la spiaggia era diventata un bosco di bambù. “È stato allora che ho deciso di piantare alberi adatti alla zona. Li ho raccolti e li ho piantumati qui. Dal mio villaggio ho portato delle formiche rosse, che mi hanno morsicato un sacco di volte. Le formiche rosse migliorano la qualità del suolo. È stata un’esperienza incredibile”, ha spiegato Payeng.
A poco a poco, una zona sterile è stata invasa da una grandebiodiversità di flora e fauna selvatica, specie in via di estinzione comprese. “Anche gli uccelli migratori hanno cominciato a vivere qui. Dopo anni e anni, sono arrivati gli avvoltoi. La presenza della fauna selvatica ha attirato i predatori”. Ancora oggi, Payeng prosegue nella sua 'missione' e vive in una capanna ai confini della foresta, con moglie e tre figli.

Il Dipartimento Forestale dello Stato di Assam ha appreso dell’esistenza della foresta di Mulai solo nel 2008, quando un branco di elefanti selvatici vi si era rifugiato. Esiste, infatti, un gruppo di circa 100 elefanti che stanzia regolarmente nella foresta per sei mesi all’anno e, di recente, si è allargata di altri 10 elefantini. “Siamo rimasti impressionati nel trovare una foresta così fitta su un banco di sabbia”, ha dichiarato alla stampa Gunin Saikia, conservatore forestale. “Gli abitanti di un villaggio locale, le cui case erano state abbattute dai pachidermi, volevano distruggere la foresta, ma Payeng li ha sfidati ad uccidere lui per primo. Payeng tratta gli alberi e gli animali della foresta come se fossero dei figli. Per questo abbiamo deciso di aiutarlo”.

tigri

L’opera di Mulai viene considerata esemplare dal Dipartimento Forestale di Assam, tanto che, secondo il conservatore Saikia, questa sarebbe la più grande foresta del mondo nel letto di un fiume. “Payeng ci ha davvero sbalordito. Si è dato da fare per 30 anni. Se vivesse in un altro paese, sarebbe un eroe”, ha detto Saikia.

Payeng, però, si rammarica del fatto che il governo centrale indiano, finora, non gli abbia dato alcuna assistenza finanziaria: solo il Dipartimento Forestale locale (che ha in programma di estendere la foresta di Mulai di altri 1.000 ettari) gli fornisce, a cadenze regolari, gli alberi da piantare. “Il Dipartimento sta mostrando interesse per la conservazione della foresta, attraverso visite regolari al sito”. E conclude: “Se il Dipartimento Forestale mi garantisce che gestirà questa foresta al meglio, potrò traslocare in altre zone dello Stato per avviare altri progetti, simili a questo”.

Nel frattempo Pranon Kalita, governatore del distretto di Jorhat, riguardo alla foresta di Mulai ha dichiarato alla stampa: “Stiamo convincendo il governo centrale ad avviare le pratiche necessarie a dichiarare questa zona un piccolo “santuario della fauna selvatica”. Ed ha aggiunto che anche B.K. Handique, ex ministro indiano e oggi membro del Parlamento del Jorhat, si è interessato alla questione. di Laura Pavesi
http://www.ilcambiamento.it/


giovedì 26 aprile 2012

I CONTI DELLA SERVA



In molti si stanno convincendo “finalmente” che l’Euro è stata la sciagura più clamorosa dell’ultimo ventennio. Come però scrissi qualche anno fa,  non è importante soltanto uscire alla svelta dall’Euro e tornare alla Lira, ma rivalutare l’intero panorama economico sia bancario che privato, altrimenti non serve a niente.  Si rischierebbe un bagno di sangue. Ovvero,  tutto ciò che paghiamo deve subire una flessione del 70%. Esempio benzina a 0,60 centesimi e non 2 Euro , il che vorrebbe dire 1.160 Lire al litro. Oppure un mutuo che oggi ci costa 850 Euro deve costare 255 Euro, quindi  495.000 Lire. Tutto ciò di contro deve seguire un rinforzo negli stipendi del 70%. Esempio,  uno stipendio di 800 Euro odierni dovrà essere di 2 Milioni e mezzo di Lire e tempo 12 mesi il paese si rimetterà in piedi e ricomincerà a camminare creando nuovamente lavoro e autonomia.
Se vogliamo uscire da questo tunnel si deve assolutamente fare questo ragionamento, altrimenti qualsiasi altra ricerca di soluzione porterà solo benzina sul fuoco. Attualmente i governi stanno esclusivamente cercando di salvare il LORO PATRIMONIO personale e la loro posizione di privilegio e non il paese, è talmente evidente che non serve nemmeno evidenziarlo. Non dobbiamo pensare che fermarsi significhi a tutti i costi soccombere. Riflettiamo un attimo sul fatto che esistono gare che si vincono con l’astuzia e l’insieme di forze unite per lo stesso scopo, non propriamente con la potenza o la testardaggine di pochi “corridori”. La 24 ore di Le Mans è una gara automobilistica che viene vinta da chi, pur facendo un sacco di soste mirate, sfrutta l’unione di tutto il team e non di un solo concorrente.
Se ci fermiamo un attimo e guardiamo indietro dagli specchietti retrovisori, vediamo che non 100 anni fa ma tra gli anni 70 e 80 riuscivamo a correre bene, quanto meno benino, poi abbiamo cominciato a perdere pezzi di carrozzeria e poi un pezzo del motore e via dicendo. 20 anni fa gli stipendi erano tali da poterci permettere un muto o un affitto adeguato alle circostanze, ci potevamo permettere di pagare le bollette e perché no, anche di andare in vacanza senza dover portare al Monte dei Pegni mutande e calzini. Pertanto è “solo” questo che andrebbe fatto. Un gesto di “onore” da parte dei politicanti attuali sarebbe quello di togliersi di mezzo restituendo quanto hanno “prelevato” in più dalle casse ITALICHE. Un altro gesto “onorevole” sarebbe il mea culpa dei banchieri che dovrebbero andarsene in vacanza lasciando nuovamente il posto allo Stato. La nazionalizzazione del sistema bancario è un atto dovuto al popolo,  poiché non per fare i nostalgici ma quando sulle banconote vi era scritto: REPVBBLICA ITALIANA, era un altro vivere.
Qualcuno dirà: ma poi come facciamo ad essere competitivi a livello internazionale? Non è difficile rispondere ma ci si dilungherebbe molto. Le lavatrici duravano 3 generazioni, pesavano come una cassaforte Francese e costavano veramente poco. I pastifici esportavano in tutto il mondo, il grano Italiano era stratosferico e aveva un mercato. Oggi non lo compra più nessuno perché il mercato ci “obbliga” ad acquistare il “grano impoverito” come l’uranio proveniente dai paesi dell’Est o chissà da dove. Era il sistema di lavorare con serietà e l’utilizzo di materie prime eccellenti che faceva la nostra forza. Oggi le fabbriche Italiane sono fallite oppure sono salpate in paesi più “vantaggiosi”. Ma secondo voi com’era 20 anni fa quando un Marco Tedesco valeva 1.200 Lire? Morivamo di fame allora oppure oggi? Quando una Sterlina valeva oltre 3.000 delle vecchie Lire, non arrivavamo a fine mese allora oppure oggi? La Lira secondo gli “ESPERTONI” di macro economia non valeva una ceppa e quindi era “NECESSARIAMENTE OBBLIGATORIO”  entrare nell’Euro, ma le aziende da tutte le parti del mondo investivano da noi allora oppure oggi? La LAMBORGHINI  e la DUCATI erano grandi marchi  Italiani allora oppure oggi che sono stati acquistati dal gruppo VOLKSWAGEN al prezzo delle patate? Le Pugliesi isole Tremiti erano in vendita allora oppure oggi? Raccontarci che si può fare altro e continuare a prenderci in giro non serve a nulla.  I tempi per risanare sono strettissimi, e se si vuole continuare a predare una nazione chiunque lo fa sappia che del grande ossobuco al sugo che era questo paese, il sugo è sparito da decenni e l’osso è stato interamente grattugiato negli ultimi tempi. Come disse  Robert E.Lembke,  Giornalista tedesco : “ Sono in molti a tirar fuori i soldi dalle tasche del prossimo. Coloro che lo fanno con le mani, si chiamano borsaioli”. di 

LA CRIMINALIZZAZIONE DEI MOVIMENTI DI PROTESTA


Le nuove misure che il governo Rajoy sta discutendo in materia di ordine pubblico, i vari arresti contro il movimento NoTav e le pesanti condanne dei fatti relativi dello scorso 15 ottobre oltre ai vari episodi di inasprimento delle condanne commutate contro chi ha partecipato a manifestazioni di protesta non fanno ben sperare. I nuovi provvedimenti mirano a contrastare, con una brutale repressione e in modo scientifico, ogni forma di protesta che risulti scomoda alle approvazione delle varie riforme lacrime e sangue dei Paesi europei. Per questo abbiamo parlato con l’avvocato Gilberto Pagani presidente dell’associazione Legal Team Italia.




Come giudica le varie misure in materia di ordine pubblico che i governi europei, quello spagnolo in primis, si apprestano a discutere?

Diciamo che sia quello che si sta discutendo in Spagna sia una proposta di legge presentata recentemente in Italia da alcuni esponenti di centro destra sono delle leggi che inaspriscono di molto le pene per determinati comportamenti. In Spagna va fatta una notazione particolare: le violenze di strada sono equiparate ad atti di terrorismo. C’è da dire che lo Stato iberico ha una legislazione un po’ diversa dalla nostra, le leggi delle regione autonome son parecchio repressive. È però sicuramente in atto un inasprimento delle pene. Anche questa nuova proposta di legge che nessuno sa se verrà accolta e che è stata presentata da alcuni deputati di destra parlava di inasprire le pene per manifestazioni non autorizzate, per blocchi stradali per tutte quelle espressioni di lotta che sono comunemente condotte.

Infatti lei parlava nel documento dell’ottobre del 2004 ad un convegno di Bordeaux di una nuova concezione del reato associativo. In riferimento, invece, ai nuovi sviluppi soprattutto a quanto propone il governo Rajoy come vede questo nuovo andamento?

Molto male. Quel mio articolo che risale ad alcuni anni fa denotava tutte cose che ora sarebbero in corso di attuazione, ma ciò che è importante, è che c’è stato un mutamento di obiettivo. All’epoca tutta l’attenzione era data al terrorismo, o sedicente terrorismo, e alla lotta antiterroristica. Oggi, invece, gli aspetti sociali sono molto più importanti, perché l’aggravarsi della crisi sta comportando ovunque la presenza di un numero maggiore di proteste, anche molto più radicali e che tendenzialmente vengono punite in maniera più severa. Altra cosa importante è la militarizzazione. Come si vede in Italia questo concetto è pratica comune e in Val Susa c’è l’esercito ovvero un contingente di alpini reduci dall’Afghanistan. Che cosa ha a che fare l’esercito con l’ordine pubblico? Poi fondamentalmente c’è un’occupazione militare nel territorio per cui le installazioni per il tav sono considerate siti militari e quindi l’intrusione in questi luoghi viene considerata come intrusione in un sito militare. E’ una pesante presenza su tutto il territorio e purtroppo è una esempio di come la militarizzazione dell’ordine pubblico sia entrata nei programmi dei governi ed in particolar modo del nostro.
Non pensa che anche in Italia sia in atto una vera e propria criminalizzazione dei movimenti di protesta?

Certamente si. E il dato è drammaticamente importante, basti guardare la vicenda di Torino dove alcune persone sono ancora in carcere per reati di resistenza che non sono reati di violenza. Non c’è neanche una vera e propria accusa per i detenuti. Purtroppo è molto importante la sentenza che c’è stata circa un mese fa, quando a due giovani che furono arrestati dopo la manifestazione del 15 ottobre a Roma sono state comminate pene pesantissime: cinque anni con rito abbreviato, cioè otto anni secondo il rito ordinario. Pene che nessuno si attendeva e che vanno molto oltre la media di queste pene. Da parte della magistratura c’è un convinto adeguarsi rispetto a questa linea fortemente repressiva.

Fondamentale è anche il ruolo dei media.

La storia dei media è duplice da una parte i corportat media o i main stream che formano l’opinione pubblica e che per qualsiasi episodio minimo fanno nascere delle gazzarre e dei can can amplificando di molto. Ancora una volta la Val Susa è paradigmatica per molte cose: quando ad esempio ci sono dei piccoli scontri o magari vengono lanciati dei sassi, immediatamente i giornali ne parlano in prima pagina. Quando una manifestazione come quella di ottobre ha una partecipazione di decine di migliaia di persone, il fatto viene relegato nelle pagine interne e non viene utilizzato. Il problema è proprio questo: l’utilizzo di queste notizie. Ed anche il lessico è fondamentale, infatti succede spesso che ci siano delle contestazioni verbali, che rimangono solo verbali, che magari non saranno molto educate, ma rimangono solo verbali ripeto e che vengono bollate dai giornali come violenza e terrorismo. Dall’altra, i media indipendenti fanno in modo che quello che avviene sia sotto l’occhio di tutti, perché poi viene diffuso su tutta la rete in maniera virale tramite ogni mezzo.

Ancora una volta dobbiamo risalire a Genova, la presenza di centinaia di persone che giravano con la telecamera ha fatto sì che si riuscisse ad avere ad una grande quantità di materiale che poi è stato molto utilizzato anche nei processi per smontare false accuse. Il caso della Grecia [il caso è del fotoreporter brutalmente picchiato dalla polizia, ndr] non è il primo. Chi cerca di documentare quel che succedendo può essere vittima delle attenzioni della polizia. Un ultimo episodio di questi giorni è poi che l’accesso al cantiere del tav è stato vietato ad alcuni giornalisti. Alcuni possono entrare e sono embedded (esattamente come in una situazione di guerra) altri invece non sono graditi dalle autorità e vengono bellamente esclusi privando il diritto di tutti noi quello di sapere ciò che accade.
di Andrea Leoni

mercoledì 25 aprile 2012

BES - BENESSERE EQUO SOSTENIBILE



Da alcuni anni a questa parte alcuni indicatori economici sono stati messi in discussione. Tra questi in particolar modo il Pil, prodotto interno lordo, che rappresenta il valore di mercato di tutti i beni e servizi finali prodotti in un paese in un determinato periodo di tempo.
La critica principale mossa a questo indicatore sintetico è che esprime essenzialmente la crescita economica di un paese, ma non da alcuna indicazione relativamente al suo sviluppo economico. Questo perché non si tiene conto di alcuni aspetti fondamentali:
-          Non sempre una crescita economica ha impatti positivi sulla qualità della vita se non vengono presi in considerazione gli altri aspetti della vita sociale
-          La crescita economica comporta si una maggiore ricchezza nel paese, ma non necessariamente una distribuzione più equa del reddito, anzi, a volte, come accade ad esempio in India e Cina, questo può contribuire ad un aumento delle disparità e condurre a tensioni sociali. Il Pil pro capite indica la ricchezza media di un paese ma non come viene realmente distribuita tra i cittadini
-          Dover crescere a tutti i costi anno dopo anno conduce ad un incoraggiamento dei bisogni artificiali e ad una società eccessivamente consumistica che va a contrastare con la disponibilità di risorse naturali limitate, un caso per tutti quello del consumo di energia elettrica

C’è bisogno di ripensare ad un nuovo gruppo di indicatori che rappresentino, oltre al benessere materiale e alla ricchezza prodotta, anche una distribuzione del reddito equa, dove vengano presi in considerazione le condizioni ambientali, sociosanitarie, il tasso di sviluppo culturale; un indice, in sintesi, che rappresenti in una sola parola la qualità della vita all’interno di uno Stato.
Sono stati effettati vari studi e ricerche volti a colmare il gap informativo del Pil, per trovare degli indici per misurare la crescita di un paese a più ampio raggio: tra questi il BES, indicatore di benessere equo e sostenibile. Il Bes è in corso di definizione e verrà alla luce da una commissione di lavoro formata da esperti e consulenti del Cnel (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro) e dell’Istat in collaborazione con altre organizzazioni no profit, tra le quali Legambiente, Ocse, WWF, Italia Nostra, Consiglio Nazionale Consumatori -Utenti e Forum del Terzo Settore. La commissione misurerà, attraverso opportune rilevazioni statistiche, il livello di benessere all’interno del nostro paese che si declina in 12 dimensioni: ambiente, salute, benessere economico, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione tempi di vita, relazioni sociali, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ricerca ed innovazione, qualità dei servizi, politica e istituzioni.
Più nello specifico, il lavoro degli esperti è partito a metà del 2010, ha una durata prevista di 18 mesi e si articola in tre fasi:
-          la prima di carattere informativo, in cui c’è stato il confronto tra le varie organizzazioni prima citate,  comitati di esperti e cittadini per raccogliere informazioni ed indicazioni sugli aspetti rilevanti di ogni dimensione del benessere (in particolare l’Istat ha inserito nella propria indagine multiscopo dei quesiti per capire che peso specifico danno i cittadini ad ogni aspetto del benessere, utilizzando le categorie suggerite dalla Commissione Stigliz e dall’Ocse)
-          la seconda di carattere organizzativo, che ha permesso di raggruppare le informazioni raccolte nella fase precedente per ottenere delle macro categorie che rappresentino i vari aspetti del benessere (dodici per la precisione)
-          la terza, che verrà resa pubblica a metà del 2012, che prevede la diffusione al pubblico di una prima serie di dati relativi al tasso di sviluppo multidimensionale e del benessere registrato in tutta la penisola.

Scopo della ricerca è quello di interpretare in maniera sempre più precisa, attenta e dettagliata il livello di sviluppo raggiunto all’interno della propria nazione, che sarà di ausilio per la formulazione di politiche economiche e sociali più attente alle esigenze dei cittadini e di una società diventata sempre più complessa e dinamica.
Un nuovo concetto di sviluppo in cui l’economia e la crescita sono solo uno dei molteplici aspetti del progresso; un approccio che viene già da diverso tempo utilizzato in altre nazioni quali Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Olanda, Messico, Svizzera ed Irlanda, dove al “classico” Pil vengono affiancati una serie di indicatori multidimensionali.
Per chi volesse maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.misuredelbenessere.it dove si potrà approfondire l’argomento. di Filippo Ispirato

UN VIDEO DA VEDERE


NEL GIORNO DELLA LIBERAZIONE (RATTI DELLA SABINA)



martedì 24 aprile 2012

TOGLIETEVI LA MAGLIA E VERGOGNATEVI!



Genova, domenica 22 Aprile u.s.ore 16.15, un centinaio di scalmanati, delusi più che infuriati, dalla prestazione della propria squadra del cuore (Genoa), interrompe la partita e pretende dai giocatori che si tolgano la maglia per manifesta indegnità.
Ovviamente è diventata la notizia del giorno, più delle manovre del governo, più dei suicidi per disperazione (ma già che sciocco, sono ancora meno di quelli della Grecia), più dell'aumento inarrestabile del prezzo della benzina che fa il paio con l'altrettanto inarrestabile protervia e faccia tosta di Monti, Fornero & c.
Ovviamente i commenti dei critici e benpensanti sono stati tutti improntati alla condanna della rabbia stupida e  becera ma, soprattutto, del fatto che fosse stato violato uno spazio occupato normalmente dal "fair play" di società corrotte che comprano,vendono partite e campionati; di manager e procuratori che riscrivono la storia dello sport acquistando schede telefoniche estere (nella migliore tradizione italica) manovrando e corrompendo giornalisti, arbitri ecc. Ecco che, improvvisamente, in questo mondo sporco, corrotto, vivo solo grazie ai contributi delle pay tv che gestiscono e dispongono della gallina dalle uova, ormai non più d'oro, come a loro più conviene, irrompe un elemento nuovo quasi  estraneo, le cui ragioni e motivazioni sono sempre più ignorate e calpestate: il tifoso, lo spettatore non passivo.
Tutto ciò non può che riportarmi  all'immagine dell'intero paese, enorme stadio in cui per decenni si sono giocati campionati truccati, falsati da corruzione e ruberie, in cui i già potenti hanno intrigato e messo in in piedi  teatrini di false promesse e altrettanto false opposizioni ad uso e consumo del popolo beota.
Contando sull'allontanamento per sfinimento o schifo della parte più viva e reattiva dello stadio, e dell' anestetica ipnosi collettiva promossa dai media, i protagonisti si sono fatti sempre più sfrontati e irrispettosi del loro ruolo e del paese. Abbiamo assistito ad anni  di ruberie, corruzioni, politiche disinvolte e allegre, propugnando il sogno  del nuovo miracolo italiano fatto di "burlesque",bunga bunga , di problemi giudiziari dei protagonisti e deliri di riti celtico/pagani in cui, le acque del dio Eridano, sono servite a far crescere avannotti di trota padana. All'alba svaniscono i sogni, e così anche per gli anestetizzati cittadini italiani si materializzano incubi sotto forma di governo tecnico ben più attrezzato e motivato per concludere l'opera di restauro cominciata decenni fa a carico dei lavoratori, riportati in pochi mesi alla situazione di inizio '900, in termini di diritti e partecipazione.
Gli spettatori di questo stadio immaginario in cui si gioca una partita epocale devono capire che bisogna alzarsi dal divano di fronte allo schermo e partecipare attivamente  all'evento e, se necessario, entrare in campo ad interrompere lo scempio di una competizione falsata dalla protervia dei protagonisti, dalle regole che cambiano ad uso e consumo del più forte, dal non rispetto degli spettatori paganti.
Si chieda loro di togliersi la maglia e riconsegnarla, non ne sono degni!


p.s. per il ministro Fornero l'eventuale richiesta va fatta con modi particolarmente garbati e delicati, altrimenti, a suo dire, perde la serenità, ed è capace di rimettersi a piangere!

MIZIO


  

REPORT - La Commissione Trilaterale e Mario Monti

LA COMMISSIONE TRILATERALE E MARIO MONTI



COME SE NE ESCE ? CON UNA RIVOLUZIONE

Fra le interviste realizzate durante la manifestazione dello scorso 31 marzo a Milano, Occupyamo Piazza Affari, ho particolarmente apprezzato quella a Gigi Viglino, che interpellato sul modo di uscire dalla drammatica situazione economica in cui si dibatte tanta parte del popolo italiano, dopo averci pensato cinque secondi, ha risposto: “Con una rivoluzione”. Concordo con Gigi, perché oggi la prospettiva rivoluzionaria è l’unica opzione seria da mettere in campo per tentare di contrastare le politiche liberiste.

Il solo nominare la parola rivoluzione sino a poco tempo fa faceva sorridere o destava scalpore. Ricordo lo stupore di Michele Santoro quando due anni fa nel corso di “Annozero”, Mario Monicelli, interrogato sulla situazione italiana, disse testualmente: “Come finisce questo film? Non lo so. Io spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella rivoluzione”.


 

A seguito, "SULLA RIVOLUZIONE" - RISPOSTA A CESARE ALLARA (COSTANZO PREVE); 

Per decenni si è pensato che il capitalismo vigente nell’Occidente industrializzato fosse la migliore forma di organizzazione sociale. Addirittura, nel 1976 Enrico Berlinguer arrivò a teorizzare che il socialismo poteva esser meglio realizzato sotto l’ombrello della NATO che non nei paesi cosiddetti “comunisti”. La quasi totalità delle forze politiche che avrebbero dovuto rappresentare gli interessi delle classi popolari ha assunto, a partire perlomeno dagli anni Settanta, il capitalismo come orizzonte del loro agire politico. Insomma, tutti precursori di Francis Fukuyama, regimi comunisti antidemocratici e quindi il capitalismo come fine della storia. 

Non si è capito allora, e ancora oggi si stenta a prendere atto che non viviamo più in quella che Hobsbawm definì “l’età dell’oro”, e che i cosiddetti “trent’anni gloriosi” del capitalismo caratterizzati dal welfare state e dalla piena occupazione sono stati una breve parentesi storica e sono finiti da un pezzo. La giunta Monti-Napolitano ricorda ogni giorno che gli italiani hanno vissuto per decenni “al di sopra delle loro possibilità”, ovviamente riferendosi solo a lavoratori e pensionati. Solo qualche giorno fa, Mario Draghi ha detto esplicitamente che il welfare state (letteralmente stato del benessere) laburista europeo, quello che ci accudiva “dalla culla alla tomba”, conosciuto in Italia come “stato sociale”, è morto o è in via di rapida estinzione perché non più compatibile con questa fase del capitalismo e con gli attuali livelli di crescita. Se Mario Draghi ha ragione, e a mio avviso ce l’ha, coloro che alla giunta Monti-Napolitano chiedono equità nelle manovre “lacrime e sangue”, sono dei cretini o forse degli ignoranti, ma più probabilmente sono degli opportunisti che cercano solo di coltivare un bacino elettorale per mantenere una poltrona nelle istituzioni. 

Per concludere, sul piano sociale non è più possibile un compromesso socialdemocratico, termine che si ritrova solo più nei libri di storia. Sul piano dei diritti dei cittadini, la Costituzione del 1948, fondata sulla solidarietà sociale, non è più compatibile con l’attuale fase del capitalismo e va modificata in senso liberista, come incessantemente richiede il nostro caro leader Giorgio Napolitano, che invece ne dovrebbe essere il custode. Sul piano economico si continua a far finta di non capire che l’unica chance di Monti per tentare di riavviare l’economia italiana consiste in una drastica riduzione del costo del lavoro ottenuta attraverso la totale deregolamentazione del mercato del lavoro e la cancellazione dei diritti dei lavoratori, sperando in questo modo di rendere attraente il nostro paese agli investitori internazionali. Parlare di “accanimento ideologico” o “integralismo accademico” di Monti sull’articolo 18 come ha fatto in questi mesi “Repubblica”, protestare per costi insopportabili per le imprese che la riforma comporterebbe come fa la Marcegaglia, o esultare per aver “salvato” l’articolo 18 come fanno CGIL-CISL-UIL e PD, fa parte di quel “teatrino delle parti sociali” di cui ha parlato il ministro Fornero che serve a coprire l’ormai totale libertà di licenziamento dei lavoratori dipendenti. 

Per completare brevemente il quadro, occorre tenere conto di almeno due dati di fatto che un regime mediatico totalmente schierato con Monti censura sistematicamente. Il primo è che la crisi economica comincia progressivamente a contagiare anche quei paesi che tutti gli esperti hanno sempre portato ad esempio per aver fatto le scelte “giuste”, adatte a competere nella globalizzazione. Il secondo, è che dopo aver raggiunto, ma non è assolutamente detto che ci si riesca, il pareggio di bilancio nel 2013, Monti ha blindato le scelte economiche dei futuri governi impegnandosi a dimezzare il debito italiano in vent’anni. Ciò comporterà dal 2014 al 2034, in mancanza quasi certa di crescita economica e in una situazione di collasso economico, manovre finanziarie di 45-50 miliardi ogni anno. La Grecia ormai non è distante.

Come detto, qualsiasi governo uscirà dalle urne nella primavera 2013, sempre ammesso che la situazione economica e la BCE ci permettano di votare (qualcuno si ricorda del referendum greco fatto abortire?), non potrà che ottemperare agli impegni presi precedentemente con l’Europa dal governo Berlusconi e sottoscritti dalla giunta Monti-Napolitano. Negli avvenimenti italiani, in particolare degli ultimi sei mesi, non si può non vedere una serie di coincidenze grandi e piccole, una regia occulta, un “grande vecchio” che manovra una “giustizia ad orologeria” per spianare la strada a Monti, a una sua eventuale rielezione nel 2013 e a blindare i suoi provvedimenti. Vedere in proposito la bocciatura dei referendum elettorali nel gennaio corrente anno per non creare frizioni nella maggioranza governativa che doveva già cercare la quadra sulla “riforma” del lavoro. Oppure il recente scandalo sui fondi della Lega Nord, unico partito che con il passato governo aveva impedito la riforma delle pensioni. Scandalo di cui avevano già da tempo timidamente accennato alcuni quotidiani, e che serve a sputtanare ulteriormente una classe politica totalmente corrotta e che sa di esserlo. Un ricatto che serve a mettere ulteriormente in sicurezza il governo “tecnico”: chi si oppone a Monti finisce in tribunale. 

Se si resta all’interno di queste logiche liberiste, non vi è altra soluzione che quella che la giunta Monti-Napolitano sta mettendo in atto. Come se ne esce? Sul piano economico se ne esce con la cancellazione del debito, con l’uscita dall’euro, con l’uscita da questa Europa delle banche. Se ne esce uscendo da quella vera e propria associazione per delinquere che è la NATO che ci obbliga a spendere miliardi per comprare aerei che serviranno ad uccidere, per sbaglio ovviamente, la popolazione dell’Afghanistan, come prima fu per quella libica e quella serba. Se ne esce uscendo dal capitalismo, per quanto possibile. Coloro che dicono che soluzioni del genere avrebbero conseguenze estremamente negative soprattutto per le fasce deboli della popolazione, mi ricordano la vignetta di quel cieco che diceva di aver paura di un salto nel buio. Insomma se ne esce con cambiamenti radicali, con una rivoluzione appunto.

Come si fa una rivoluzione nel XXI secolo? Non in un paese dell’ancora cosiddetto Terzo Mondo, ma in un paese occidentale. Non una pseudo-rivoluzione arancione o viola o di altri strani colori, ma una rivoluzione anti-liberista. Come fa un popolo europeo a riconquistare la piena indipendenza e sovranità? E’ ancora possibile un “assalto al cielo” dopo le esperienze novecentesche? Domande cosmiche le ha definite un amico a cui le ho poste. Non sono un esperto in rivoluzioni perché non ne ho mai fatte in vita mia, anche se mi sarebbe piaciuto, e da giovane ci speravo. Non sono fra coloro che pur non avendone mai fatte, viaggiano sempre col manuale del perfetto rivoluzionario in tasca e segnano con la matita rossa gli errori, o presunti tali, commessi da coloro che una rivoluzione bene o male l’hanno fatta. Mi limito perciò ad alcune constatazioni da cui trarre eventualmente utili indicazioni.

Gli eventi accaduti l’anno scorso in Nord Africa e in Medio Oriente, sono stati di due tipi: guerre civili fomentate dall’Occidente che perdurano tuttora in paesi con regimi autoritari in vario modo ostili all’Occidente (Libia, Siria), e rivolte popolari nei paesi con regimi autoritari espressione degli interessi occidentali e non ostili a Israele (Tunisia, Egitto, Yemen, Bahrein). Ogni caso è diverso dall’altro e andrebbe approfondito singolarmente. Anche la repressione delle rivolte è stata diversa: spietata in Bahrein, che ospita la V flotta USA che controlla il golfo Persico, dove sono addirittura intervenuti i tank e le truppe antisommossa saudite, perché USA, EAU e Arabia Saudita non possono assolutamente permettere che la maggioranza sciita e filo-iraniana della popolazione spodesti la fedele monarchia degli Al-Khalifa. Meno pesante è stata la repressione in Egitto, perché l’esercito ha subito garantito la sostanziale continuità delle politiche di Mubarak. 

I risultati ottenuti da queste rivolte sono da considerarsi per ora sostanzialmente modesti. Ma, ripeto, non si può generalizzare. Nella maggior parte dei casi, quasi tutti i problemi politici e le contraddizioni sociali che hanno provocato le rivolte sono rimasti a tutt’oggi irrisolti, e la nuova classe politica emersa dalle rivolte è composta da qualche faccia nuova assieme a tanti fedelissimi dei vecchi regimi che si sono riciclati. Insomma, senza voler dire che il sangue versato non è servito a nulla, bisogna però ammettere che i vecchi e nuovi detentori del potere (ad esempio l’esercito egiziano) hanno cambiato qualcosa per non cambiare nulla. E’ mancato un progetto di società diversa, un’alternativa secca atta a soddisfare le richieste di cambiamento che provenivano dai popoli, che è esattamente ciò che distingue una rivolta da una rivoluzione. Né bisogna poi cadere nella trappola dell’Occidente che ha accomunato tutti gli eventi, guerre civili e rivolte popolari, nel termine onnicomprensivo di “primavera araba”, facendo intendere l’inizio di un’era di libertà laddove invece c’è solo la prosecuzione di politiche coloniali in forme propagandisticamente più “democratiche”. 

Dopo il crollo del muro di Berlino, in un solo paese al mondo, il Venezuela, è stata fatta una rivoluzione che ha dato a quel popolo la piena indipendenza e sovranità all’interno dei suoi confini. L’esempio del Venezuela ha poi facilitato l’affrancamento dall’imperialismo USA di altri popoli dell’America Latina. E’ mia opinione, che il successo di Hugo Chavez (che Dio lo conservi a lungo) sia soprattutto dovuto al fatto di non aver diviso ideologicamente il suo popolo, ma di aver parlato di concreti e contrapposti interessi fra le classi sociali. Nonché di essersi rifatto alla figura del Libertador Simon Bolivar, patriota venezuelano che contribuì nell’Ottocento all’indipendenza dell’America Latina, sottolineando come le ingiustizie sociali dipendessero dalla mancanza di sovranità e indipendenza del popolo venezuelano e dall’assoggettamento all’imperialismo USA. 

Sette anni fa ero presente nella piazzetta antistante la Camera del Lavoro di Milano ad ascoltare il discorso di Chavez in visita in Italia. Sono sempre stato politicamente curioso, e devo dire che quella sera di ottobre del 2005 ho speso bene il mio tempo. Tanto che ricordo ancora oggi perfettamente alcuni passaggi di un discorso appassionante sul socialismo nel XXI secolo che ha tenuto inchiodate un migliaio di persone per quasi un’ora e mezza. Fra le tante, ricordo particolarmente la seguente frase di incredibile attualità: “La libertà senza uguaglianza serve solo ai forti per dominare i deboli”. Il ritorno a Torino e alla realtà italiana fu traumatizzante: nella “sinistra alternativa” si discuteva allora come oggi quasi esclusivamente di liste e alleanze elettorali, di poltrone nelle istituzioni. Insomma dalle stelle alle stalle. 

Su questi numerosi argomenti che ho citato quasi solo per titoli dovrebbe dibattere una forza politica che volesse veramente porsi come alternativa allo sfascio della giunta Monti-Napolitano e della maggioranza che la sostiene. Invece ci sono quelli che forse si sono persi qualche puntata degli eventi italiani e pensano ancora di allearsi col PD per battere le “destre pericolose, populiste, xenofobe” e via delirando. Poi vi sono quelli che usano ancora categorie dello scorso secolo come trotzkismo/stalinismo per leggere gli eventi del XXI secolo. Quelli che basta la falce, il martello e la bandiera rossa e le masse popolari sono pronte a fare la rivoluzione. Quelli che il comunismo “Basta la parola” come il famoso confetto Falqui, sino a quelli che non hanno ancora deciso cosa faranno da grandi e sperano soltanto di occupare in qualsiasi modo un posticino nelle istituzioni. “Signor Arbore, il livello è basso” come diceva il professor Pazzaglia, l’indimenticato intellettuale-filosofo di “Quelli della notte”. 

Cesare Allara
www.antimperialista.it

venerdì 20 aprile 2012

SINCRONICITA'



Il Giornale Online



"Una mattina d'ottobre del 1829, la goletta australiana Mermaid salpò da Sydney diretta a Collier Bay, nella parte occidentale del continente. Il capitano Samuel Nolbrow era al comando della nave, sulla quale erano imbarcati 18 uomini d'equipaggio e 3 passeggeri. Dopo quattro giorni di navigazione, il Mermaid si trovava nel pericolosissimo Stretto di Torres, fra Australia e Nuova Guinea. All'improvviso il barometro cominciò a scendere a precipizio, mentre cupi banchi di nuvole nere si avvicinavano minacciosamente. Poi il vento cadde e la nave si immobilizzò. Prima di mezzanotte, una violenta tempesta si scatenò sulla zona, investendo in pieno la nave, che fu sbattuta contro un banco di coralli e si sfasciò irreparabilmente, nonostante gi sforzi disperati dell'equipaggio. I 21 uomini abbandonarono precipitosamente la nave tuffandosi in mare e raggiunsero a nuoto uno scoglio distante una cinquantina di metri al luogo del disastro. Il capitano vi giunse per ultimo e poté constatare con sollievo che tutti e 21 erano in salvo.

"Tre giorni e tre notti trascorsero prima che qualche nave passasse nella zona e si accorgesse ei naufraghi. Finalmente, il quarto giorno, il brigantino Swiftsure li avvistò e li raccolse, proseguendo poi il viaggio. Ma, per una strana coincidenza, anche questa nave, cinque giorni dopo, si trovò nel bel mezzo di una violenta corrente non segnata sulle carte e andò a sfasciarsi sugli scogli.

"La nave fu abbandonata in fretta e, fortunatamente, anche stavolta tutti riuscirono a mettersi in salvo. La sera stessa del naufragi, si trovò a passare di lì la goletta Governor Ready, con 32 uomini d'equipaggio, che prestò immediatamente soccorso ai naufraghi, accogliendoli a bordo.

"La goletta, un po' appesantita, riprese il viaggio. Circa tre ore dopo, stranissima coincidenza, un incendio violento e improvviso divampò sulla nave, costringendo tutti i passeggeri a calarsi nelle scialuppe di salvataggio. Disgraziatamente, si trovavano a molte miglia al largo della costa e per di più in un punto decisamente fuori mano. C'era di che disperarsi. Ma non passò molto che, improvvisamente, apparve in lontananza il cutter australiano Comet, sbattuto fuori rotta da una tempesta. La nave rispose prontamente ai segnali di richiamo dei naufraghi. Ma l'accoglienza che questi trovarono a bordo fu piuttosto fredda. Un clima di sospetto, di intolleranza, di superstiziosa diffidenza s'impadronì della nave, sulla quale aleggiava il presentimento di qualche altro disastro. Dopo cinque giorni di navigazione, per un'incredibile coincidenza, una violenta bufera si abbatté sulla nave, danneggiandola irreparabilmente, Fu calata in mare l'unica scialuppa disponibile, e mentre la nave affondava gli uomini degli altri equipaggi non ebbero altra risorsa che lanciarsi in mare alla disperata.

"Rimasero a galla, aggrappandosi ai relitti, per 18 interminabili giorni, lottando contro il freddo, la fame e gi squali in agguato. Poi, finalmente, quando erano ormai allo stremo delle forze, furono miracolosamente scorti da una nave postale di passaggio, lo Jupiter, che li trasse in salvo.

"La cosa più inverosimile era che c'erano tutti: in ben quattro naufragi, non una sola persona aveva perso la vita. Ora l'incubo sembrava finito…

"Ma la misteriosa forza che sottende il corso degli eventi non era evidentemente ancora sazia, o forse non aveva ancora raggiunto il suo imperscrutabile obiettivo. Fatto sta che, per una… coincidenza, anche lo Jupiter andò a sbattere contro uno scoglio e colò a picco. Nella nuova tragedia, forse, le labbra di qualcuno furono sfiorate da un moto di riso al pensiero di questa pazzesca catena di circostanze, che non aveva ormai più nulla di reale.

"Per fortuna, vicino al luogo dell'ennesimo naufragio, si trovava la nave passeggeri City of Leeds che recuperò la nutrita massa di naufraghi, portandoli poi in salvo a Sydney. Cinque naufragi ,uno dietro l'altro: morti, nessuno; feriti, nessuno. Incredibile!

"Una semplice coincidenza? Forse, ma ci sono casi in cui sembra davvero che un'oscura entità-guida manovri gli eventi, sottraendoli al caso, per dirigerli intenzionalmente verso fini che appaiono squisitamente umani…" (da Grande enciclopedia del mare dir. Da Folco Quilici, Roma, Armando Curcio ed., s. d., vol. 7, pp. 2438-39).


Ora, da sempre scienza e filosofia hanno adottato, come regola di lavoro, quella di seguire la regola dei fenomeni e di scartare l'eccezione; o, al massimo, di considerare quest'ultima come la conferma della regola stessa. David Hume faceva notare come, alla base del principio di causa-effetto, vi sia in realtà la forza dell'abitudine: è l'abitudine, cioè l'osservazione di un gran numero di casi uniformi, che ci permette di formulare le cosiddette "leggi" scientifiche o anche, semplicemente, di fare previsioni del tipo: "domani, prima delle sei, il sole si leverà all'orizzonte". Ma che cosa succederebbe se noi, nel formulare la nostra concezione generale del mondo, lasciassimo stare la norma (che non è altro, appunto, che abitudine) e andassimo a caccia delle eccezioni? Secondo noi, non tarderemmo ad accorgerci che esse sono infinitamente più numerose di quanto comunemente si possa immaginare e che quanto sappiamo del mondo naturale, per non parlare di quello soprannaturale, è veramente pochissimo: come se, raccogliendo qualche briciola caduta dalla mensa, cercassimo di farci un'idea del pranzo sontuoso che è disposto sopra la tavola, ma che noi - strisciando al suolo - non possiamo vedere. Per parafrasare sir Isaac Newton (proprio lui: uno dei 'padri nobili' del la moderna Rivoluzione scientifica!), l'uomo stesse su una spiaggia a raccogliere conchiglie, briciole di conoscenza, mentre il vasto mare dell'ignoto si estende davanti a lui. Dove vogliamo arrivare con questo ragionamento? Semplicemente a rovesciare la nostra abituale percezione delle cose e ad ammettere, con Shakespeare, che "vi sono più cose fra cielo e terra di quante ne possa sognare tutta la nostra filosofia" (Amleto, Atto primo).

Dunque, le coincidenze. Sono molto più frequenti di quanto non sembri, anche nella nostra vita quotidiana. Pensiamo a una persona che non vediamo più da anni, ed ecco che quel giorno stesso la incontriamo; cerchiamo un libro che non riusciamo a trovare, ed ecco che ci cade ai piedi della vasta libreria, aperto - guarda caso - alla pagina giusta (episodio riferito da Colin Wilson). Carl Gustav Jung, da parte sua, era convinto che quelle che noi chiamiamo 'coincidenze' fossero, in realtà, qualcosa di molto più complesso e affascinante; egli preferiva parlare di 'sincronicità' e pensava che non siano affatto opera del caso, ma che siano il riflesso di un odine superiore, che traluce con fatica nel nostro mondo ordinario e che, tuttavia, vuole significarci qualcosa, a patto che siamo abbastanza desti per rendercene conto. Di norma, si può dire che noi viviamo con inserito il 'pilota automatico': compiamo una serie di azioni più o meno meccanicamente, ma senza che venga coinvolto il nostro livello coscienziale più profondo. In altre parole, non siamo veramente consapevoli di quello che stiamo facendo, e tanto meno di esserci, come quando guidiamo l'automobile, ma lo facciamo in maniera automatica, senza pensarci e tanto meno senza vedere realmente il paesaggio lungo la strada. Inseriamo le marce, rallentiamo acceleriamo, regoliamo la luce dei fari, tutto senza concentrarci a fondo, ma piuttosto come un riflesso condizionato. Ebbene, anche il resto della nostra vita lo passiamo, di norma, in tal modo: col pilota automatico inserito. Sbrighiamo le nostre faccende ordinarie senza pensare davvero a quello che stiamo facendo, e tanto meno senza pensare a quello che noi siamo. Quei rari momento in cui ciò avviene - ad es., perché stiamo vivendo un momento magico sul piano affettivo sperimentiamo una intensa sensazione di vitalità e ogni cosa, il canto degli uccelli che giunge dalla finestra aperta, il colore delle nuvole al tramonto, l'ombra dell'albero che si riflette sul muro bianco della casa, tutto questo viene percepito con una forza e con uno splendore assolutamente fuori dall'ordinario. È allora che mettiamo in funzione l'emisfero destro del nostro cervello, quello della creatività, e vediamo le cose con la profondità e al tempo stesso con la completezza che le rende intimamente significative. L'emisfero sinistro, quello della logica razionale, non sa fare questo: analizza, soppesa, valuta, ma non è in gradi di percepire il senso complessivo di quanto percepisce con i cinque sensi, né - a maggior ragione - di quanto si può sperimentare al di là dei cinque sensi ordinari.

Adesso torniamo all'episodio dei cinque naufragi a catena che abbiamo riportato all'inizio di queste pagine. La percezione ordinaria, la logica analitica dell'emisfero sinistro del nostro cervello non può far altro che parlare di coincidenze, e sia pure straordinarie, e invocare l'amplissimo ventaglio di combinazioni possibili che il calcolo probabilistico dischiude. Bisogna però notare che non solo cinque navi hanno fatto naufragio, una dopo l'altra, mentre trasportavano gli equipaggi naufragati via via che esse andavano a fondo, ma che non si è verificata neppure una perdita umana, anzi neppure un ferimento, nonostante le tempeste, gli incendi, il mare infestato dagli squali, ecc. Se i cinque naufragi consecutivi hanno del sorprendente, la totale assenza di vittime ha del miracoloso. È come se due forze soprannaturali si siano disputate a lungo, accanitamente, il destino di tutte quelle persone: l'una, maligna, che voleva perderli ad ogni costo; l'altra, benevola, che li conduceva in salvo ogni volta, nonostante tutto. Se la posta in gioco era la vita degli equipaggi e dei passeggeri, alla fine la vittoria è rimasta alla forza benigna: nessuno degli uomini e delle donne coinvolti in quella serie di vicende spettacolari e altamente drammatiche ha riportato neanche un graffio.

Ma che dire di un mondo ove accadono circostanze così strabilianti, così lontane da ogni possibile spiegazione razionale? In generale, noi viviamo in un mondo - dal punto di vista fisico, diciamo: in un sistema .- caratterizzato dall'aumento costante ed inevitabile di entropia. Esso, per una legge inesorabile connaturata alla materia, procede da uno stato iniziale meno disordinato ad uno via via sempre più disordinato. Avviene in natura quello che accade quando apriamo un mazzo di carte nuovo e lo disperdiamo alla rinfusa: da uno stato ordinato, con le carte divise per numero e per segno, si passerà a uno stato disordinato, con le carte disposte a casaccio, senza alcun ordine logico. Oppure lasciamo cadere un vaso di terracotta sul pavimento: si romperà in vari pezzi, e non tornerà mai più allo stato iniziale; al massimo possiamo incollare pazientemente i cocci, ma per far questo, dovremo ricorrere al mastice e impiegare del lavoro: cioè, ancora, aumentare il gradi di entropia - di disordine - in altri sistemi, a vantaggio del sistema-vaso che vogliamo rabberciare. Da soli, i pezzi non torneranno mai assieme a ricomporre il vaso; come le carte, mescolate a caso, non torneranno mai all'ordine iniziale. I fogli di un manoscritto trascinati dal vento andranno vagando qua e là; il vento potrebbe soffiare per anni ininterrottamente, ma non li riporterà mai più nella sequenza esatta. Se le cose stanno così, allora possiamo chiederci: la vicenda dei cinque naufragi consecutivi non è forse paradossale perché in essa, accanto all'entropia, vi si vede operante una forza opposta, una forza che sembra procedere dal disordine verso l'ordine? Ad ogni naufragio, un salvataggio; ad ogni salvataggio, nessuna vittima: non è questo un rovesciamento del secondo principio della termodinamica? Ora, in natura non c'è che una 'forza' che vada nella direzione opposta all'aumento del disordine: quella del fenomeno vita. La vita consiste precisamente in un passaggio della materia da uno stato meno ordinato ad uno più ordinato - ma sempre a spese, si badi, di altri sistemi fisici esterni al sistema considerato, che da essi trae sostentamento - ad es., le radici dell'albero che traggono dalla terra il nutrimento, assorbendo l'acqua e i sali minerali in essa disciolti. Non appena la vita finisce, la tendenza al disordine riprende il sopravvento, con la dissoluzione graduale di ciò che un tempo era l'organismo dell'essere vivente.

Tutto questo sembra suggerire che il nostro mondo - meglio, la dimensione in cui viviamo - entri talvolta in contatto, misteriosamente, con altri mondi, con altre dimensioni ove vigono leggi diverse dalle nostre, e ove il secondo principio della termodinamica non è la regola generale ma, forse, l'eccezione. Dimensioni ordinate, ove le cose vanno naturalmente al loro posto oppure ci tornano, se qualcosa le discosta da esso. Secondo Leibniz, noi viviamo già adesso nel migliore dei mondi possibili. Tuttavia, senza scomodare la sua teoria dell'armonia prestabilita, dobbiamo tener presente che la dimensione qui-ed-ora non è un fatto oggettivo e universalmente valido; dovremmo dire, piuttosto, che esistono tante dimensioni quante sono quelle che possiamo esperire, spostandoci su piani di consapevolezza sempre più alti - o, ahimé, sempre più bassi. Il piano di consapevolezza del mistico, dell'artista, dello scienziato non solo paragonabili a quelli dell'individuo comune, immerso nella torbida palude delle passioni e dei pensieri negativi che gli offuscano la visione delle cose. Ognuno ha già qui e ora il suo Inferno e il suo Paradiso; e tanto più in alto è in grado di giungere, mediante un affinamento delle facoltà spirituali, tanto più libera, ampia ed equanime saranno la sua visone ed il piano di realtà sul quale egli potrà muoversi. Né si creda che, in questo modo, noi vogliamo affermare che i mondi possibili sono infiniti, perché dipendono esclusivamente dalla nostra visione soggettiva. No: i mondi possibili sono infiniti e noi possiamo giungere ad avere una visione fugace di alcuni di essi, a condizione che riusciamo a realizzare un salto 'quantico' nella nostra dimensione spirituale. La loro realtà oggettiva - se per oggettiva s'intende che essa è indipendente dalla nostra volontà, dai nostri desideri e dai nostri timori - si manifesta talvolta in circostanze occasionali, che nulla hanno a che fare con il nostro livello di evoluzione spirituale.

Quando ciò avviene, nessun beneficio e nessun vantaggio possiamo trarre dallo sguardi fuggevole che abbiamo avuto occasione di gettare su quegli orizzonti insospettati. Noi non sappiamo se qualcuno, fra i passeggeri e gli equipaggi delle cinque navi che, successivamente, fecero naufragio nelle acque australiane, ve ne sia stato qualcuno per il quale una tale straordinaria esperienza abbia favorito una presa di coscienza spirituale e dato inizio a una ricerca consapevole dei livelli di realtà superiori. Certo, di irruzioni improvvise di realtà 'altre' nel nostro continuum spazio temporale ve ne sono sempre state moltissime, attestate dalle antiche cronache (nel caso dei Romani, dall'opera di Giulio Ossequiente) o semplicemente dalla banale stampa quotidiana; solo che noi non le sappiamo cogliere. I marinai di una nave in viaggio nell'Oceano pacifico (lo ricorda Vincent Gaddis nel suo libro sui misteri del mare) videro per giorni, e addirittura fotografarono - fotografie tutt'ora esistenti - i volti di due compagni annegati che si formavano sulla superficie dell'acqua, e che accompagnavano la scia del bastimento durante la navigazione. Potremmo citare migliaia di casi del genere; Charles Fort, lo studioso statunitense dei fatti inspiegabili, ne ha raccolto una bella mole nel suo Libro dei dannati. Le goccioline d'acqua alla superficie di un oceano possono disporsi a formare dei volti umani, dei volti perfettamente somiglianti a due persone scomparse in mare, per forza propria; e rimanere ferme in quella posizione per giorni e giorni, nonostante il movimento delle onde e il soffiare dei venti?

Ecco un fatto fisico che va, chiaramente, contro il secondo principio della termodinamica: eppure decine di persone lo hanno potuto osservare e perfino documentare mediante la tecnologia. Niente stati emotivi alterati, dunque; niente superstizioni, isterismi o allucinazioni: una pellicola fotografica non soffre di allucinazioni. E allora, signori scienziati? Perchè voltate la testa dall'altra parte, perché non volete guardare? Vi secca ammettere ciò che non sapete spiegare? Strano: credevamo che la scienza fosse appunto il tentativo dell'intelligenza umana di confrontarsi con ciò che essa non sa immediatamente spiegare. E voi, signori filosofi? Tanto il vostro materialismo quanto il vostro idealismo uscirebbero turbati dall'ammissione che fatti del genere accadono realmente, e molto più spesso di quanto si creda? Vi sono addirittura persone scomparse nel nulla, e sotto gli occhi di numerosi testimoni attendibili. Tale il fatto accaduto all'agricoltore David Lang il 23 settembre 1880 presso Gallatin, nel Tennessee: sparì davanti a casa sua, sotto gli occhi della moglie e dei figli, oltre che di un amico; per qualche tempo si udì ancora la sua voce, poi silenzio. Lo scrittore Ambrose Bierce, che conobbe il fatto, ne rimase abbastanza impressionato da scrivere un racconto su tale soggetto, intitolato La difficoltà di attraversare un campo. Dunque, la nostra dimensione spazio-temporale è parte di una sorta di grande poliedro con innumerevoli facce; e queste facce, talvolta, interagiscono fra loro, creando circostanze che a noi paiono assolutamente inspiegabili. Abitiamo quindi in un universo a enne dimensioni, in un multiverso; e talvolta, come Alice nel corso delle sue avventure, attraversiamo lo specchio o cadiamo nella tana del coniglio, e ci troviamo dall'altra parte.

Sorge spontanea la domanda se, negli universi paralleli al nostro, vi sono altre 'versioni' del nostro io; o meglio se, in esse, il nostro io percorre altre linee spazio-temporali, realizzando tutte quelle possibilità che, qui, sono rimaste allo stato teorico mano a mano che noi, nel corso della nostra vita, abbiamo realizzato il nostro destino. Naturalmente, per tentar di rispondere a questa domanda dobbiamo prima definire che cosa sia un "io", il che non è affatto auto-evidente. Per il buddhismo Theravada, noi non abbiamo un io ma un complesso di idee sempre cangianti, alle quali attribuiamo - erroneamente - una unità coscienziale. In questa sede, però, non abbiamo la possibilità di approfondire un simile discorso e quindi ci limitiamo ad osservare che, se anche fosse vero che l'"io" è una illusione (o, almeno, che lo è il "piccolo io" col quale tendiamo a identificare i nostri mutevoli stati di coscienza), nondimeno, finché l'illusione permane, essa è pur sempre una realtà-per-noi. Di conseguenza ci poniamo il problema se questa realtà-per-noi, questa persona che ha una identità, una storia, una sua visone del mondo, sia limitata alla dimensione spazio-temporale che sperimentiamo nella vita ordinaria, o se ne esistano innumerevoli 'repliche' o 'riproduzione' nelle altre dimensioni del multiverso.

Poniamo che l'essere umano sia in gradi di costruire una macchina capace di 'fotocopiare' le persone con un grado di esattezza del cento per cento: le copie sarebbero allora qualcosa di diverso dall'originale? E se l'originale morisse, la sua copia così riprodotta sarebbe la stessa persona dell'originale, o sarebbe diversa? A queste domande ha risposto, o cercato di rispondere, il filosofo Derek Parfit nel suo celebre saggio Ragioni e persone, nel quale, col tipico approccio pragmatista e utilitarista della tradizione anglosassone, risponde senza batter ciglio che la copia sarebbe esattamente la stessa persona dell'originale. Tra l'altro, egli afferma: "Noi non siamo entità esistenti separatamente, indipendentemente dal nostro cervello e dal nostro corpo, nonché dai vari eventi fisici e mentali tra loro interrelati. La nostra esistenza implica solo l'esistenza del nostro cervello e del nostro corpo, il compimento dei nostri atti, l'elaborazione dei nostri pensieri e l'occorrere di certi altri eventi fisici e mentali."(Milano, Mondadori, 1989, p. 278). Un'opera di quasi 700 pagine fitte fitte per sostenere che noi e le nostre eventuali fotocopie saremmo esattamente la stessa persona, dato che noi non siamo altro che il nostro cervello. Umberto Galimberti sarebbe d'accordo, visto che da anni va ripetendo proprio la stessa cosa. Non che sia una tesi particolarmente originale: è una diretta derivazione dell'empirismo lockiano e dello scetticismo humiano, nonché del materialismo e del riduzionismo di matrice positivistica.

Noi, però, non ne siamo convinti. Se l'uomo fosse solo un cervello, allora sarebbe semplicemente un computer; e, ovviamente, due computer perfettamente identici sono la stessa cosa. Almeno in teoria. In pratica, non si troveranno mai due macchine assolutamente identiche. E quanto agli individui, dubitiamo assai che essi si riducano al solo cervello. Al contrario, che il cervello non possa essere l'organo della nostra conoscenza del mondo, è già stato brillantemente sostenuto da Erminio Rizzi (su Filosofia oggi, vol. II-III, 2005, pp. 193-94). Riportiamo la parte conclusiva del suo ragionamento, impeccabile per chiarezza e rigore:

"… poiché esigiamo che i corpi siano cose, ossia esistenze in sé, sebbene si risolvano sempre in nostre idee, ossia in qualcosa che ci appartiene, per cui non potrebbero essere in alcunmodo indipendenti dalla conoscenza che ne abbiamo? Ebbene, non si può risolvere tale problema supponendo che i corpi siano cose (esistenze in sé), che si offrono in se stesse e da se stesse alla nostra conoscenza. (…) Infatti, le presentazioni non potrebbero né essere date al cervello, come parte del nostro corpo quale cosa, né emergere da esso (né, ovviamente, il cervello medesimo potrebbe uscire fuori di sé per raggiungere ciò che gli fosse esterno). (…) Qui è stato sostenuto che i corpi sono esistenze formali, ossia nostre mere idee, sia pure aventi (in quanto concepite al fine di chiarire la possibilità della materia data sensibile) un valore oggettivo, secondo cui esse avrebbero come controparti cose. Il valore di esistenza dei copri è dunque formale, nel senso che essi acquistano l'esistenza grazie appunto alla forma (sia pure condizionatamente rispetto alla materia data sensibile). Ciò vuol dire che quello che concepiamo circa i corpi medesimi (la loro stessa esistenza, le loro variazioni, ecc.) ha un valore formale, nel senso che non trova affatto corrispondenza in una realtà che non si risolva in quello stesso concepire, cioè che stia al di là di esso (come, invece, lo starebbe una realtà di corpi quali cose).

"Conviene osservare che la considerata esigenza che i corpi siano cose si manifesta anche nella nostra pretesa che le anticipazioni (in cui tutte le leggi scientifiche empiriche si risolvono) siano, in momenti futuri, verificabili. In verità, nulla assicura che ciò avvenga, cioè che valga l'induzione (vale a dire che il futuro assomiglia al passato), senza la quale non potremmo certo parlare di nostre conoscenze. Infatti, non possiamo essere certi che la predetta somiglianza continuerà ad esserci, poiché i corpi non sono affatto esistenze in sé, permanenti, e la materia data sensibile non è affatto in nostro potere.

"Si può concludere così: circa i problemi mente-corpo, la filosofia deve avere per compito dimostrare che i corpi sono esistenze formali, di natura spirituale; la scienza deve avere per compito di procedere nello studio del cervello, quale organo di un corpo materiale, ma avendo coscienza del valore formale e dei limiti del suo conoscere."


Se, dunque (sulla scia di Berkeley) dobbiamo riconoscere che i corpi hanno solo un'esistenza formale e di natura spirituale, allora chiediamoci: cosa intende Parfit per 'entità', quando afferma che essa è caratterizzata semplicemente dall'esistenza del nostro cervello e del nostro corpo? In realtà, nient'altro che una nostra idea. Dunque la 'persona' non è semplicemente il nostro corpo, ma una forma di consapevolezza che comprende l'idea del corpo (mio e delle cose 'esterne'), più un qualche cosa d'altro che non è nel cervello e nemmeno nel corpo. Il corpo, infatti, non potrebbe avere conoscenza, e tanto meno consapevolezza, di ciò che è al di fuori del corpo; anzi non potrebbe avere neanche consapevolezza di sé come 'entità', ma solo come sensazione, temporanea e sempre cangiante. No: la persona è un'essenza, qualche cosa che esiste indipendentemente dal cervello e dal corpo; e che nessun fotocopiatore potrebbe mai riprodurre così fedelmente da annullarne l'unicità ed irripetibilità, perché l'essenza è qualcosa che, per definizione, trascende il livello sensibile e rimanda alla sfera del noumeno, della cosa in sé: in altre parole, rimanda al livello dell'Essere. di Francesco Lamendola 

MONTI PEGGIO DI FREDDY KRUEGER



Qualche anno fa i cinefili e non, di tutto il mondo venivano a conoscenza del  terrifico Freddy Krueger, crudele assassino che albergava nei sogni adolescenziali delle sue giovani vittime, colpevoli solo di essere i discendenti dei suoi giustizieri,
I suddetti soggetti, vivevano nel terrore di addormentarsi e di essere catapultati in situazioni da incubo con lo spietato assassino.
Anche in Italia  si stanno verificando fenomeni assimilabili a quello che, però, si manifestano con situazioni esattamente opposte: non si ha paura di addormentarsi per  il terrore di incubi immaginari, si ha paura ogni mattina di svegliarsi per gli incubi reali di tutti i giorni.
Il Freddy Krueger della situazione? Fin troppo facile la risposta, l'ineffabile Professor Monti e la sua "tecnica" squadra di demolitori di diritti, certezze e sogni.
Le sue vittime preferite? I giovani, i lavoratori, i piccoli imprenditori, i pensionati...insomma i più deboli!
Non passa giorno che non si venga a saper (per carità, con minuscoli trafiletti) del suicidi di lavoratori o piccoli imprenditori che non hanno più la forza e/o la capacità di affrontare il mostruoso presente e l'ancor più incerto futuro ( però tranquilli, come dice il tecnico premier, perchè in Grecia sono stati di più).
Persone, non numeri, a cui hanno spezzato i sogni (piccoli o grandi), irrompendo nelle loro vite in maniera violenta e destabilizzante, facendo scempio dei diritti, delle capacità, del merito, delle aspettative apportando povertà, precarietà, incertezza.
E non passa giorno che non si vengano a scoprire nuove e sempre più inquietanti particolari sull' accanimento persecutorio e mirato di questo governo "tecnico".
Pensioni: fatte diventare miraggio e ridotte, statuto dei lavoratori fatto a brandelli  trasformando il lavoratore in merce da quantificare esclusivamente con parametri economici, privatizzazione dei servizi pubblici (a dispetto anche dell'esito referendario) asservimento al grande potere finanziario-economico che si sta impadronendo del mondo, con conseguente, totale rinuncia all' autonomia nazionale in campo politico ed economico (vedi approvazione del M.E.S. dei giorni scorsi), salvaguardia dei privilegi dei poteri forti: Banche, politici, Vaticano,aumento indiscriminato e a carico quasi esclusivo dei "soliti noti", di tassazione diretta e indiretta, ottusa  ostinazione nel perseguire in un tipo di "sviluppo" fatto di Grandi Opere" (TAV Val di Susa) i cui costi economici e ambientali sono enormi a fronte di un vantaggio molto futuribile e tutto da verificare.
Tutto questo nell'assordante complice silenzio e asservimento della classe politica, responsabile prima di questa situazione,tutta tesa, ora, ad incensare e ad appoggiare le criminali scelte del Professore Tecnico.
A proposito di "Tecnico" non ci si venga a raccontare balle, questo governo è il più politico di tutti quelli che si sono succeduti nei decenni della storia repubblicana. Sta mettendo in pratica, con chirurgica precisione, tutto quello che, nel passato nessun altro era riuscito a fare, grazie all'opposizione di forze politiche e sindacali che si difendevano i lavoratori e proponevano alternative, quelle stesse forze che oggi siedono al tavolo delle trattative per far spostare le "virgole" dei provvedimenti, rinunciando a qualsiasi tentativo di opposizione. Ma, d'altra parte, non ci poteva  certo,aspettare di più da chi negli ultimi anni ha dimostrato ampiamente di aver scelto di saltare sul carro del''idea dominante, perchè più comoda e più remunerativa per le proprie persone e fazioni. (come gli scandali che si succedono, ormai a ritmo giornaliero, ci stanno dimostrando).
Insieme alle ideologie, hanno seppellito pure gli ideali e, mentre, continuavano ad imbonire i propri elettori, con la favoletta che la società stava cambiando, le classi sociali non esistevano più e, quindi anche le conseguenti lotte di classe non avevano motivo d'esistere, non si accorgevano, o facevano finta, che il "Sistema" la lotta di classe non l'aveva mai abbandonata, anzi! E oggi non possono fare altro che continuare ad essere complici di questo sistema, perchè se, così non fosse, sarebbero costretti ad ammettere di aver sbagliato tutto o di averci, addirittura, coscientemente imbrogliato, con conseguente suicidio (politico s'intende!) dei responsabili.
La Destra sta completando il suo disegno di società classista e liberticida, il Centro è come sempre presente e si sta ricompattando appoggiandosi al più forte e ai suoi tradizionali alleati (Vaticano), ma in questo quadro la Sinistra dov'è?
Forse a dormire, perchè, magari, anche lei  ha paura di  svegliarsi e di  trovarsi di fronte a quegli incubi da lei stessa fino ad oggi negati!


MIZIO