venerdì 26 agosto 2016

TERREMOTI NECESSARI

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Abbiamo riempito l’Italia di asfalto e cemento, abbiamo bucato, traforato, deviato fiumi, espropriato, distrutto, prosciugato sorgenti, creato laghi, cancellato panorami, coste e montagne. Il tutto snobbando con un’alzata di sopracciglio, le proteste, le perplessità, le esigenze di chi in quei luoghi ha convissuto per secoli con rispetto e all’interno di un rapporto equilibrato con l’ambiente circostante. 
Non è la nostalgica riproposizione dei bei tempi andati o del buon selvaggio capace di convivere con la natura e i suoi rischi. Perché i terremoti, anche distruttivi, ci sono sempre stati, come alluvioni e inondazioni. Fenomeni che non si potevano (e non si possono ) prevedere né fermare. Quello che possiamo fare, grazie alle moderne tecnologie e alle conoscenze acquisite nel corso dei secoli da ricerca e scienza, è di utilizzarle al meglio per la prevenzione, lo studio e la salvaguardia di comunità umane e naturali.
Oltre l’impatto devastante con rischi non sufficientemente considerati delle cosiddette grandi opere “indispensabili” quanti miliardi di euro costeranno? Tutte risorse che andranno a pesare, insieme ai danni ambientali, in un bilancio futuro come saldo negativo in termini sia economici che sociali. 
Anche l’ONU ci fa sapere che l’Italia è in ultima posizione in quanto a prevenzione, strutture e adeguamenti per la sicurezza del territorio. Mentre siamo sicuramente all’avanguardia per linee Alta velocità, rete autostradale, cattedrali e opere inutili progettate e costruite per i grandi eventi.
L’Italia, che si dimostra straordinariamente solidale e generosa in occasioni tragiche, è però incapace di controllare e amministrare  il quotidiano. Per guadagnare 5 minuti tra Roma e Milano non ci si ferma neanche di fronte il rischio di provocare potenziali danni in città come Firenze.
Italia, paese dalla natura e dal patrimonio artistico tanto preziosi e straordinari quanto ignorati e fragili, non può e non deve permettersi distrazioni o delegare ad un ipotetico futuro la presa di coscienza di tale realtà e la necessità di scelte conseguenti.
Introdurre nel sentimento e nelle coscienze colletive, prima ancora che nelle regole scritte, che gli aspetti economici, gli interessi finanziari non potranno e non dovranno mai avere la prevalenza rispetto la salvaguardia e la messa in sicurezza del territorio, delle comunità che le abitano e della stessa vita umana.
Ma, si dirà, il debito pubblico, gli accordi con l’Europa da rispettare, il fiscal compact che ha strangolato gli enti locali, come si fa, dove troviamo le risorse.
Ecco il punto focale attorno il quale, anche se si vuol far finta di niente, ruota tutto il discorso e ritroviamo il bandolo della matassa.
I soldi si trovano e ci sono solo per quelle opere che garantiscono , speculazioni e salvaguardano interessi che ricadono nell’immediato e limitatamente ad alcuni soggetti. Quei, come li definisco io, “lor signori”, che con argomentazioni supportate dagli "Azzeccagarbugli” di turno, tentano (riuscendoci) di convincerci che sono opere necessarie per lo sviluppo e la modernizzazione del paese oltre che per creare posti di lavoro, anche se precario e limitato nel tempo.
Gli stessi che sono i guardiani degli interessi finanziari e speculativi della nuova economia globale che salvaguarda i profitti, il libero scambio di merci al più basso costo possibile, bypassando esigenze vitali di singoli e di interi popoli. Gli stessi che considerano moralmente accettabile il sacrificio di migliaia di esseri umani in guerre “umanitarie”. Che obbligano milioni di uomini e donne a migrazioni bibliche per sfuggire a guerre e fame e farli, poi, finire ammassati e sfruttati in lager ai margini delle ricche e accoglienti democrazie.
Si dirà che c’entra tutto questo con i terremoti?
C’entra come c’entrano tutte le altre migliaia di cose che non vanno nella nostra moderna società. C’entra e c’entrano tutte quelle speculazioni e quei condizionamenti che ci portano a giustificare e a considerare prioritario l’interesse economico, piuttosto che gli interessi della sopravvivenza e salvaguardia del pianeta e dell’umanità.
Non aspettiamoci che questa presa di coscienza, che questa inversione di tendenza parta da lor signori o dall'alto. Deve maturare, crescere all’interno di ognuno di noi che senta questa esigenza.E, conseguentemente, maturare la convinzione e la necessità di trasformarla, con azioni e prese di posizioni, in qualcosa di visibile e tangibile. Ognuno nel proprio ambito sia esso politico, sociale, religioso, filosofico, morale.
Siamo vigili e presenti laddove questi pericoli si manifestano e si concretizzano, si sensibilizzi il proprio parente, il vicino di casa, si rompa le scatole al politico, all’amministratore locale, al professionista che dovrà decidere o attuare determinate cose.

Se i terremoti, le alluvioni  non si possono prevedere, si possono sicuramente limitare i danni e salvaguardare vite umane, città, borghi e territori con scelte politiche, economiche, di prevenzione e di salvaguardia ma soprattutto con una presa di coscienza, singola e collettiva che dia vita a un terremoto politico e sociale tanto auspicabile quanto necessario.
Ad maiora

MIZIO

venerdì 19 agosto 2016

TEMPO AL TEMPO?


Sicuramente molti ricordano quella scena di uno dei tanti film di Fantozzi, in cui il megapresidente galattico si rivolge al sottoposto umiliato, con queste parole:”Non si preoccupi del tempo, Fantocci. Posso aspettare… Io!
Ecco, il tempo. Si dice che sia galantuomo e che alla fine agisca come una livella che tutti riporta alla stessa dimensione di miseri esseri umani naufraghi inconsapevoli dell’avventura della vita.
Una delle maggiori preoccupazioni dell’essere umano è stato quello della sua misurazione, necessaria per scandire e organizzare la vita sociale. In altro ambito filosofi, teologi e pensatori di ogni tipo e di ogni epoca ne  hanno fatto oggetto di riflessioni speculative,  di opere d’arte,  poetiche, letterarie.
In un mondo che negli ultimi decenni ha accelerato esponenzialmente i suoi ritmi il tempo è diventato sempre più un elemento relegato a funzioni statistiche relative alla velocità di produzione con parametri che sempre più si allontanano da quelli delle persone per essere adattati a quelli di una competizione produttiva globale.
L’anticipazione profetica di Villaggio trova attualmente la sua applicazione pratica non solo nella singola vessazione parodistica del povero impiegato, cui necessitava far percepire la distanza di classe con il padrone, ma è diventato un comune sentire condiviso, inconsapevolmente, pure dalle “vittime”.
Questo senza dubbio è da ascrivere come uno dei maggiori successi di manipolazione e condizionamento di massa da parte del “potere”. Sembra quasi di essere entrati in una dimensione atemporale o di tempo sospeso, in cui tutto viene sacrificato e rimandato ad un possibile, ma improbabile futuro ricco, oltre che di possibilità economiche, anche di tempo da dedicare a sè e ai propri cari e ai propri interessi.
Tutto questo, e cerco di riportare il tutto ad una dimensione più vicina a noi, è avvenuto nella consapevole o meno, della (non) azione delle forze politiche e sindacali. Quella politica (in particolare di sinistra) e quel sindacato il cui compito storico sarebbe quello di rappresentanza e di salvaguardia della vita di tutti, in particolare dei milioni di Fantozzi è rimasta alla finestra, testimone muta, distratta e, per certi aspetti, complice
La politica per sua natura spesso diventa retorica e immaginifica, prospettando futuri meravigliosi a fronte di sacrifici immediati. Ma mentre prima il sogno del Sol dell’avvenire (sia pur utopico), segnava percorsi di lotte e conquiste con ricadute positive e tangibili nel quotidiano delle persone, oggi le scelte fatte “responsabilmente” lo peggiorano a fronte di improbabili miglioramenti , il cui confine, come l’utopia, viene spostato sempre più in avanti. I tempi della politica non sono più in lento ma progressivo avvicinamento a quelli della vita ma sempre più velocemente se ne stanno allontanando. I giovani, magari  laureati, i precari, i disoccupati del Sud, ma non solo, gli esodati, le donne e uomini separati senza sostegno hanno i loro bisogni vitali oggi! Non domani, dopodomani o chissà quando. E’ un attimo passare da giovane precario di belle speranze a precario cronico. Ancor meno tempo ci vuole per passare da disperato di mezza età a clochard o suicida. Una società che invecchia senza preoccuparsi di provvedere al proprio ricambio è una società destinata ad estinguersi ma sembra, che questo aspetto nel dibattito politico, sia totalmente assente e non percepito.
Sono partito dal tempo come valore messo in discussione per arrivare all’azione politica non casualmente ma attraverso un ragionamento che  ha una sua logica e importanza fondamentale (ovviamente per me). Frutto forse dell’età che avanza ma, soprattutto di un’analisi oggettiva condivisa da molti, e di una presa d’atto di una qualità di vita enormemente peggiorata, sia nell’immediato che nelle realistiche prospettive.
Chi mi conosce sa che non sono un nostalgico. Sono teneramente e sentimentalmente legato a quelle che erano idee, lotte, forme d’organizzazione della mia gioventù, ma anche realisticamente cosciente che sono improponibili oggi nelle stesse forme.
Ma sono anche coscientemente convinto che la politica a sinistra deve riprendere il suo ruolo che non può essere quello di mediatore e pacificatore sociale in nome di un luminoso, ipotetico  futuro.  Deve ricominciare a tessere la trama per un vestito e una politica che, pur in un’ottica utopica (necessaria per motivazioni, adesioni e fidelizzazioni), venga cucito sulle misure dei bisogni attuali, in particolare dei soggetti più disagiati.
Chi ha tempo non aspetti tempo! E a noi non ne è rimasto molto.
Ad maiora


MIZIO

lunedì 15 agosto 2016

Tra l’odio razziale e le discriminazioni quotidiane: l’ottica biblica

Un altro contributo del Dott. Santopietro che analizza con lo sguardo e la codifica della fede, un problema, quello dell'intolleranza razziale e religiosa, che caratterizza il nostro tempo.
MIZIO



“Io non mi domando a che razza appartiene un uomo: basta che sia un essere umano; nessuno può essere qualcosa di peggio” (M. Twain, in “L’uomo che corruppe Hadleyburg”)


L’eco delle cronache drammatiche legate alle stragi globali del fanatismo islamico, di cui colpisce tristemente quella di Nizza, si aggiungono i  frequenti episodi di violenza razziale verificatisi negli Stati Uniti, che sembravano fossero prerogativa degli statunitensi, ma in questo tormentato Luglio del 2016, l’Italia è stata scossa dall’efferato omicidio a sfondo razziale accaduto a Fermo. Un brusco risveglio. Si dirà, per esorcizzare la brutale realtà, che in fondo“tutto il mondo è paese”, come per dire: “mal comune mezzo gaudio”quindi…. Ma la riflessione che vorrei fare con voi alla luce delle Sacre Scritture,  tenuto conto  delle importanti influenze che hanno sulla vita quotidiana  la morale, gli schemi culturali e le innovazioni tecnologiche, è che nell’uomo  di ogni tempo prevale un “invariante nucleo psichico”, di cui fa parte una primitiva avversione per ciò  è “diverso”, per qualità fisica o psicologica o pigmentale o religiosa o comportamentale, cioè tutto ciò che non è omologato, non conforme al modello sociale dominante, generando pericolose aspettative disattese,  base dell’ostilità più bieca: l’espressione antropologica dell’odio razziale! Insomma, il rischio è che chi è percepito come “diverso”, sia implicitamente un nemico, “nutrimento” necessario ad alimentare la spinta xenofoba. Eppure non esistono razze umane, né esistono di ordine superiore ad altre, esiste una sola umanità, di cui sono molteplici le varie etnie sparse nel mondo (Ge 11,1ss). Da un punto di vista biblico, tutti gli uomini sono a immagine e somiglianza di Dio (Ge 1,26-27). Si potrà obiettare che Dio abbia costituito un “suo popolo”, differente da tutti gli  altri. Dio allora avrebbe “discriminato” fra gli uomini? No! Gli Ebrei, privilegiati nel rapporto con l’Eterno, avrebbero dovuto introdurre, preparare gli altri popoli alla Sua conoscenza, avrebbero dovuto illuminare l’intera umanità, avrebbero dovuto divulgare, rendere familiare l’idea monoteista e, soprattutto, rendere nota la Sua smisurata misericordia. Il simbolo concreto del “pellegrino”, di colui il quale è sprovvisto del vincolo etnico-nazionalista e, perciò, sempre straniero in questo mondo, fu Abramo (Ge, 12,1ss), il padre delle tre grandi religioni monoteiste (Gv 8,39). Ma accadde che il popolo del V.T. invece di assecondare gli insegnamenti di Dio, s’insuperbì, si gonfiò di vano orgoglio per il solo fatto di essere l’unico popolo dell’unico e vero Dio! Un onore che divenne un onere non corrisposto! Ma, attenzione, allo stesso modo può avvenire oggigiorno a noi cristiani se mostriamo la medesima alterigia nei confronti degli altri, che non appartengono alla chiesa di cui si è parte, come successe a Diotrefe (III Gv1,9). Agli ebrei di quel tempo, oltre l’inosservanza della legge divina, mancò  la pratica dell’umiltà: antidoto necessario per neutralizzare la superbia o la convinzione immotivata di essere così a posto  al cospetto di Dio (I Co 13,1ss). Ma già millenni fa, Dio tuonò severamente contro il suo popolo, insensibile alla caricatevole profondità della Sua legge:
“Voglio misericordia e non sacrifici” (Osea 6,6).
L’opera di misericordia era richiesta agli Ebrei nelle loro relazione umana, ma includeva esplicitamente anche la sfera dei rapporti con gli stranieri (gli “impuri”, “i senza Dio, “i cani infedeli”) come è sancito in Deuteronomio (10,17-19):
“Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra nuca perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dei, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d'Egitto…(…)”.
In questi passi, l’autore sacro conferisce alla circoncisione un significato spirituale che va oltre  la sacralità del rito di fratellanza etnico-religiosa, anticipando di millenni (1440 a. C. circa)  il concetto cristiano dell’Apostolo Paolo, il quale riteneva che  il vero segno di appartenenza spirituale al popolo di Dio fosse solo quello inciso nell’anima, nella mente, nel cuore del fedele e non nell’esteriorità di un meccanico atto carnale!!
Giudeo, infatti, non è chi appare tale all’esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini, ma da Dio. (Ro 2,28-29)
Il “non indurite più la vostra nuca” corrisponde alla testardaggine del popolo di ieri, ma anche quello di oggi, se ripropone il medesimo atteggiamento superbia verso i propri simili e di opposizione al Signore (cfr. I Co 10),  perciò Dio, a causa del profondo pregiudizio che nutrivano per i forestieri, fu costretto a enfatizzare alcuni dei suoi “titoli”: l’Essere il Dio degli dèi, il Signore dei signori, come a ricordare loro che sulla terra  non esistono altri dèi né altri signori all’infuori di Lui! Né alcun umano può essere imparziale e praticare la giustizia con assoluta equità! Dio ha dovuto ricordare come i forestieri fossero degni del suo amore, perché anche essi furono stranieri in terra straniera durante il periodo della cattività egiziana, avendo inoltre subite  tante inumane vessazioni . Avrebbe dovuto essere  loro nota pure l’idea di un Dio che mai avrebbe accettato “regali” senza una sincera disposizione di cuore, senza ubbidienza (Ge 4,4-8; I Sa 8,1ss), esattamente come avvenne nell’eclatante episodio di Anania e Saffira (At 5,1ss), i quali  “sacrificarono” la metà dei proventi ricavati dalla vendita di un loro terreno, alla nascente chiesa di Gerusalemme facendo intendere che fosse invece la somma intera, mentendo di fatto allo Spirito: il “Dio buono” del N.T. punì mortalmente la coppia! Per inciso, oggi moltissime chiese, se non forse tutte, nella stessa situazione avrebbero elogiato il gesto ipocrita della coppia. Ma Dio non ha riguardo alle persone, come conferma l’Apostolo Pietro:
“In verità io comprendo che Dio non usa alcuna parzialità; ma in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito” (At 10,34-35; Ro 2,11; Ef 6,9).
Le sfumature discriminatorie quotidiane, che possono rivelare il germe di un’imparzialità di fondo, sono spesso sottovalutate anche fra i cristiani, tanto che il fratello di Gesù, Giacomo, ci ammonisce a fare la dovuta domanda:
“Se nella vostra assemblea, infatti, entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, ed entra anche un povero con un vestito sporco, e voi avete un particolare riguardo a colui che porta la veste splendida e gli dite: ”Tu siediti qui in un bel posto”, e al povero dite. “Tu stattene là in piedi”, oppure: “Siediti qui sotto, vicino allo sgabello dei miei piedi”, non avete fatto una discriminazione fra voi stessi, divenendo così giudici dai ragionamenti malvagi?” (Gc 2,2-4).
Certo, con ciò non si vuole affermare che esista un legame diretto fra queste forme di discriminazioni e l’odio razziale, l’intenzione, infatti, è quella di sottolineare come sia molto arduo, quasi impossibile per l’essere umano, cristiani compresi, essere imparziale nei rapporti di tutti i giorni (Ro 3,10). Rispetto al rapporto fra identità etnico-culturale e appartenenza religiosa, quest’ultima viene usata come propellente motivazionale per compiere atti disumanamente feroci, esasperando il gradiente di diversità con “l’altro”, amplificando l’odio per il nemico che minaccia la propria appartenenza e, quindi, giustificando assurdamente qualsiasi strage in nome di Dio che è, a sua volta,  impropriamente  utilizzato come “arma di massa”, altrimenti impossibile da concepire da una qualsiasi persona ordinaria! Purtroppo qualcosa del genere, che rafforza l’idea dell’esistenza di “un nucleo psichico invariante” nel tempo, era stata prevista oltre 2000 anni fa dall’evangelo di Giovanni:

“Vi ho detto queste cose affinché non siate scandalizzati. Vi espelleranno dalla sinagoghe; anzi l’ora viene che chiunque vi ucciderà penserà di rendere un servizio a Dio” (Gv 16,1-2). 

venerdì 12 agosto 2016

POPULISTI, PAUPERISTI E….POVERI



Agosto, finalmente arrivano per molti le meritate ferie. Dopo un anno di lavoro, studio o impegni vari ci vuole proprio un periodo in cui si stacca la spina.
I media ci raccontano di 33 milioni di italiani in vacanza. Da quello che vedo intorno sembrerebbe una cifra un po’ gonfiata, ma forse, inserendoci dentro tutti, anche quelli che vanno via per un fine settimana e quelli che partono per una visita parenti a costo zero, o quasi, forse ci siamo. I media, in questo periodo, pongono l’attenzione su quelli che partono. Fa parte del corollario classico dell’informazione di questo periodo, insieme ai bollini neri delle partenze, ai consigli per combattere la calura e le insidie degli animali “pericolosi”.
Io, invece, vorrei invitare a volgere lo sguardo laddove, spesso, si tende invece, a distoglierlo, se non per articoli di costume e denuncia che lasciano il tempo che trovano.
Insomma su quelli che restano. Alcuni perché obbligati dal lavoro, altri per scelta, molti, troppi, però perché non possono permetterselo. Si dirà: è così, è sempre stato così, c’è chi può e chi non può e non possiamo certo colpevolizzare quelli che possono. Lungi da me tale impostazione, la mia non è una visione manichea e calvinista della questione. Il “carpe diem” è sempre valido e non sarò certo io a condannarlo, vorrei soltanto soffermarmi su quello che è il nostro (e per nostro intendo, gente di sinistra, impegnata, molti, anche, con compiti di dirigenza) atteggiamento complessivo, che in questo periodo raggiunge l’acme della contraddizione e, per certi aspetti, dell’ipocrisia. Ovviamente è una riflessione che ha un carattere generale, non indirizzata a tizio o caio, reputando la libertà collettiva e individuale sempre come la massima conquista dell’essere umano.
Se nel corso dell’anno, grazie all’attivismo, alle vicende che ti prendono, agli impegni stringenti, alcuni aspetti seppur presenti, tendono ad essere tenute ai margini, in questo periodo emergono in tutte le loro valenze “negative” e inducono alla riflessione.
Una grossa spinta ad affrontare questo aspetto è venuto dai social che rimbalzano e amplificano qualsiasi cosa.
Dopo le esternazioni dell’On. Sannicandro (immagino, persona degna e compagno stimabile), vedo che tutti continuano a pubblicare foto di viaggi, soggiorni, località esotiche, capitali culturali, e altro. Tutte cose, comunque, non alla portata di tutti e che, con quelle dichiarazioni, per certi aspetti, vanno a braccetto.
Mi si potrà contestare: “Ma questa è invidia sociale!”
Forse, certamente c’è anche questo aspetto, ma è sicuramente secondario rispetto a quello principale che vorrei evidenziare.
In questo periodo storico in cui la politica, i partiti e i suoi rappresentanti per ben oltre la metà degli elettori rappresentano il male assoluto, forse sarebbe il caso di adottare un riservatezza e una discrezione maggiore nei modi e nelle forme comunicative.
Non si può (ritorno sul tema) parlare di disagio, di ritorno nelle periferie, e poi farsi immortalare in luoghi e situazioni che più si addicono ai moderni parvenu sociali rilanciando il tutto sui social per prendere i like dei propri sostenitori.
E questa critica vale per tutti, nessuno si senta escluso per la sua (vera o presunta) maggiore radicalità nelle scelte politiche.
In un periodo di disaffezione quasi totale, di populismi coltivati ad arte, con lo sforzo e l’ambizione di voler costruire un partito di sinistra che rappresenti  gli ultimi e i penultimi della scala sociale, questa incapacità di lettura, fa riflettere seriamente sui guasti prodotti da un certo modo di fare e considerare la politica. Non è un invito populista e nemmeno un invito al pauperismo bigotto e peloso ma un necessario ripensamento sui nostri modi di essere, di rapportarci con la società, i suoi disagi e i suoi drammi. Basterebbe aver seguito un minimo ed elementare corso di formazione sulla comunicazione per capire che per bilanciare l’effetto di un solo atteggiamento negativo c’è bisogno di almeno sei o sette avvenimenti positivi. In questi ultimi anni a sinistra, mi sembra, senza voler essere pessimista o ipercritico che il rapporto sia stato più o meno l’esatto contrario.
Certo, molti penseranno, e giustamente, che questo è un punto di vista molto limitato, limitante, e anche prevenuto, ma se non impareremo a gestire e rendere leggibili, comprensibili neanche i nostri piccoli atteggiamenti, come possiamo immaginare di rendere patrimonio collettivo il frutto delle nostre interessanti, infinite ma stucchevoli disquisizioni strategiche?
Come già detto in altre occasioni, sembra che manchi, quasi volutamente quel fiuto politico, quella capacità  che, anche in maniera opportunistica, riesca, comunque a legarsi e a interpretare un sentimento collettivo.
Manca un leader? Manca un partito? Manca una strategia?
Non lo so e non sta a me dirlo.
Quello che so è che molti di quelli che rimangono a casa (per i fortunati che un tetto lo hanno) e tutti quelli che abbiamo paura anche a noi a chiamare poveri, sono sempre più soli in balia di disperazione e facile preda di opportunismi e clientele.
Vedete un po’ voi cosa volete e potete fare!
Ad maiora


MIZIO

lunedì 1 agosto 2016

LO DICE IL PURE IL PAPA......


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Ha suscitato molto scalpore e interesse il silenzio e la compassione mostrata da Papa Francesco nella sua visita ad Auschwitz. Molti commenti ammirati da credenti e atei di varia estrazione politica, culturale e sociale. Sono sinceramente contento che questo papa abbia il coraggio, la forza e la determinazione nel calarsi empaticamente in quelle che sono state e sono le grandi tragedie del genere umano. Il suo mostrarsi vicino al di fuori di schematismi bigotti a tematiche sociali ed esistenziali.
Premesso questo mi chiedo perchè mai tutta questa ammirazione esibita e sopra le righe per gesti e parole che dovrebbero essere assolutamente scontate per chi ha l'onere e l'onore di rappresentare Cristo in Terra?
Parliamoci chiaro, dichiararsi contro la guerra, l'ingiustizia, la povertà, i grandi mali che affliggono l'umanità dovrebbe essere il minimo sindacale per chi guida la religione che fa dell'amore, la fratellanza e la solidarietà il proprio credo, oltre, ovviamente agli aspetti più strettamente teologici.
E' come gridare d'ammirazione ed esaltarsi per un insegnante, un muratore, un contadino che vanno ogni giorno a fare il loro lavoro. Sarebbe perlomeno fuori luogo ed esagerato.
Per offrire una chiave di lettura, in primis a me stesso, di quello che vorrei dire, devo riconoscere che la mia formazione umana, culturale, sociale ha subito forti influenze dal mondo cattolico, anche se di quella parte critica, e, ovviamente dalla cultura marxista che sembrerebbe in antitesi alla prima.Il diavolo e l'acquasanta, insomma
In entrambi i campi ho avuto modo di trovare vette eccelse dal punto di vista umano come non sono mancati esempi di segno esattamente opposto.
Quindi nessuna posizione preconcetta nel ragionamento
L'ammirazione per Francesco, come ormai viene confidenzialmente chiamato, deriva dal fatto che sembra interpretare il ruolo in maniera diversa e meno lontana dal comune sentire rispetto ai suoi predecessori. Questo fa pensare, allora, che finora la Chiesa e la sua religione, sono state rappresentate dai suoi massimi esponenti in modo percettibilmente diverso.
Questa diversità ha colpito, comprensibilmente, il mondo cattolico ma ha, sorprendentemente, anche fatto proseliti fra l'intellighenzia (almeno quella poca reperibile) e molti esponenti della sinistra, storica, nuova, radicale o meno.
Sembra quasi che dietro quest' ingenua sorprendente ammirazione ci sia la sorpresa del bambino che scopre improvvisamente un nuovo gioco o un nuovo interesse.
Ma veramente qualcuno rimane ammirato e si sorprende del fatto che si possano dire cose di una banalissima verità in modo diretto semplice, chiaro senza per forza dover attraversare analiticamente e puntigliosamente tutto l'armamentario dialettico e visionario che ognuno porta dentro di sè?
Se ci stupiamo di un Papa che con gesti semplici e scontati ci lascia basiti, vuol dire che noi quei gesti, quelle parole, quella chiarezza l'abbiamo persa, volutamente o meno non lo so, ormai da anni.
Quindi prima di fare scorrere (metaforicamente) il sangue per identificare le colpe dello scarso appeal (e sono tenero) della sinistra attuale, utilizziamo questo stupore, questa disarmante scoperta per un'approfondita riflessione. Oltre ad analizzare, autoflagellarsi, rinchiuderci nel rancore, fare i calcoli dei decimali per vedere quale tesi sia la migliore, proviamo a comunicare chiaramente, a farci capire anche al di fuori del nostro recinto.
Magari, qualcuno in più potrebbe sapere e capire chi siamo e cosa vorremmo. O no?
Ad maiora


MIZIO