mercoledì 22 novembre 2023

PATRIARCATO E DINTORNI

 Ripeto che il dibattito suscitato dalla morte della povera Giulia è perlomeno stucchevole. Almeno secondo me. Non serve il puntare il dito in modo indiscriminato. Non serve  scavare un fossato incolmabile e incomprensibile ai più tra generi e gruppi di persone. Non serve una graduatoria di buoni e cattivi a prescindere. Se accanto all'analisi politica, sociale e storica non si affianca quella indispensabile e  riferita ad una natura umana che sappiamo imperfetta. Natura di cui ignoriamo fondamentalmente, origine e finalità ultime, si rimane in mezzo al guado. Un guado che oltre non risolvere alcunché, aggiunge problematiche ulteriori. Vedo attacchi concentrici e anche bipartisan ad un cosiddetto patriarcato. Concetto che, di fatto, in larga parte della popolazione di questi tempi sembra, almeno nel suo

senso più deteriore abbondantemente non più rispondente alla realtà.  C'è piuttosto, sempre più presente ed esaltata la logica del più forte. Logica che poi si  ritiene "normale" affermare anche con la violenza. Sia essa fisica, che economica, sociale o di genere. Questione che, se è assolutamente vero  per alcuni aspetti essere più presente nella componente maschile, risulta però, laddove le condizioni lo permettano, anche assolutamente trasversale. Nel bullismo, ad esempio, così diffuso, sembrano non esserci differenze e limiti sostanziali tra chi lo esercita. L' affermazione e riconoscimento del sé attraverso la logica del gruppo che passa dallo svilimento e umiliazione del più  debole. Di qualsiasi genere questi sia. Magari su qualcuna/o più di altri perché visti più deboli e facili. 

Altro esempio, nei rapporti di lavoro spesso non è certo il genere a modificare i rapporti e gli abusi del potere e il ricorso all'uso della forza derivante dalla posizione. (In questo caso non fisica)

Certo si può affermare che questi siano esempi che possono essere analizzati e riportati più facilmente all'interno di un dibattito e di un posizionamento per una loro modifica . Come, altrettanto ovviamente, di fronte ad una morte innocente, l'approccio non può che essere diverso. Ma, pur nella diversità e nel maggiore sconquasso emotivo derivante, non può e non deve mancare mai la lucidità necessaria per un'analisi serena tesa alla ricerca del necessario equilibrio.  Pare, invece, anche in questi casi prevalere una logica di schieramento aprioristico, piuttosto quella che sarebbe necessaria e più funzionale. Credo che la società nel suo complesso debba e possa mettere in piedi misure di contenimento di tali fenomeni, oltre che mettendo in discussione sé stessa e la propria natura, anche sgombrando il campo dalla faciloneria e semplificazione con cui,  in genere, si è  portati a ricorrere in tali situazioni. Necessario introdurre modelli educativi e relazionali diversi sia nelle istituzioni preposte che negli ambiti familiari, ovviamente Ma quelle stesse istituzioni e le famiglie per poter esercitare a pieno tale esercizio, non potrebbero che farlo in un contesto sociale, economico e politico completamente diverso che lo renda compatibile e proficuo. Come potrebbe essere altrimenti se, accanto alla buona volontà dei singoli, corrispondesse poi, un ambiente attorno in cui fosse esaltata la competizione, il merito e conseguentemente la logica del più forte (migliore) cui si accennava prima?

E, comunque, sappiamo già che, oltre tutto quello che si potrebbe e si dovrebbe mettere in campo, ci sarà sempre quel tot di imponderabilita' e imperscrutabilità dell'animo umano. Quegli aspetti che potrebbero, nonostante tutto, ancora dar vita a episodi anche tragici. 

Il patriarcato, se lo vogliamo definire così non è, almeno in questa fase storica, appannaggio caratteristici di un genere. Ma eventualmente, di un sistema basato su rapporti di forza e di potere in cui le vittime sono sempre da ricercare tra i più  deboli E se sono di più tra appartenenti a un genere piuttosto che ad un altro, non è certo nella maggiore propensione di questi all'uso della violenza. Ma più semplicemente, nella maggiore possibilità di esercitarla (almeno fisicamente). Personalmente sono nato e cresciuto in ambienti non certo all'avanguardia. Circondato da famiglie "tradizionali" nell'estrema periferia cittadina. Frequentatore abituale di oratorio e catechismo. Quindi il prototipo perfetto del tipico maschio italico secondo alcune analisi che si vogliono progressiste. Eppure nella mia vita come in quella dei tanti con cui sono cresciuto di anni e di esperienze, non ci sono mai stati episodi violenti. Non sono mancati momenti complicati, anche dolorosi certamente, ma mai sfociati nella violenza o in nessuna presunta superiorità o supremazia di alcun tipo.

Perché quelle forme educative e modelli, seppur condizionanti, alla fine, nel bene e nel male, passano al vaglio del proprio singolo, unico e intimo sentire.

MIZIO

giovedì 9 novembre 2023

IMPOTENZA

Ho passato anni a cercare di decifrare quale fosse il sentimento prevalente che, in una qualche misura, fosse capace di agire nel personale intimo più profondo. Quel non luogo dove dovrebbe farla da padrona ciò che definiamo coscienza. Quel substrato caratteriale, ereditario e culturale già preesistente in ognuno di noi che viene progressivamente, alimentato, arricchito e reso intelligibile negli anni attraverso le diverse esperienze della vita. Per molto tempo ho pensato che i sentimenti prevalenti fossero la rabbia, o meglio, il rancore. Il senso di insopportabilita' dell'ingiustizia e la ricerca di un'etica e di una dirittura morale che potesse rendere credibile scelte e azioni conseguenti. Poi, nello scorrere del tempo, si è aggiunto il senso di vuoto, la delusione, l'incapacità di accettare prima ancora di quella per capire di tante situazioni. La strenua, anche se impari, lotta per non abbandonarsi alla rassegnazione e alla sconfitta personale, oltre che storica e ideale. Quindi all'interno del personalissimo eremo esistenziale, in cui ognuno di noi si rifugge per provare a capire e ritrovarsi, improvvisamente appare il tutto molto più chiaro. Il sentimento prevalente che ha accompagnato la mia vita, pur nella differente scala d'importanza e relativa percezione, è stato sempre fondamentalmente quello dell'impotenza. La consapevolezza che, nonostante l'impegno e le buone intenzioni, il tutto fosse intangibile, immutabile e anzi, peggiorato nel tempo. Con relativa conseguente frustrazione esistenziale e il rinchiudersi, per sopravvivere, in recinti più stretti ma più comprensibili e compatibili con il resto della vita. Vita che, nonostante noi e per fortuna, continua a scorrere a prescindere. Soprattutto per chi ci è, nonostante tutto, più vicino. Impotenza quindi, che spiega meglio, e più di mille elucubrazioni, il mio ripetuto allontanarsi da situazioni che non condividevo, non capivo e non riuscivo a far diventare e sentire mie fino in fondo, nonostante una certa e sincera disponibilità. E nell'affermare ciò, non ne esalto certo una sua valenza positiva, che pur potrebbe ritrovarsi, ma ne certifico la sua (credo) quasi definitiva vittoria. Vittoria non facile, non riconosciuta, non accettata per molto tempo. Ma come arrivano implacabili le varie stagioni della vita, arriva pure quella della necessaria consapevolezza. Quella presa di coscienza che rende chiaro e leggibile ciò che sembrava, fino ad un certo momento, incomprensibile o inaccettabile. Però, a differenza di altri sentimenti, quello dell'impotenza rispetto il proprio ruolo nella vita e nella società, può essere combattuto e relegato in un cantuccio. A patto di rimanere, pur nello scetticismo complessivo, parzialmente aperti e disponibili a qualsiasi novità dovesse smuovere curiosità, interesse per i suoi presupposti e le sue potenzialità. MiZIO

martedì 10 ottobre 2023

COMUNITA'...MA DE CHE?

In relazione ad ogni avvenimento più o meno grave che accade in qualche parte del mondo nelle dichiarazioni sia dei media, che dei politici si fa un costante riferimento alla cosiddetta Comunità Internazionale. Una Comunità che, a seconda delle circostanze, condanna, solidarizza o appoggia Tizio o Caio. Ma tradotto in soldoni chi e cosa è questa Comunità Internazionale? Logica vorrebbe che tale entità sia rappresentata dal consesso internazionale più ampio possibile che si conosca, l'ONU. E che, conseguentemente, sia l'opinione espressa da tale istituzione o perlomeno, dalla maggioranza dei partecipanti. Però, leggendo anche molto superficialmente le notizie in merito, veniamo a scoprire che la stragrande maggioranza delle risoluzioni ONU approvate, sono rimaste lettera morta. Non hanno quasi mai, minimamente rappresentato un vincolo tale da condizionare o risolvere le questioni in oggetto. E pensiamo, tanto per non fare nomi e rimanere alla cronaca, alla questione palestinese e anche alla guerra in Ucraina. All'ONU sono state votate risoluzioni, anche a grande maggioranza, esattamente contrarie e contrastanti con quelle che ci raccontano, espresse dalla Comunità Internazionale. Quindi appare chiaro che la cosiddetta comunità è un concetto veicolato e valevole solo in alcuni paesi e porzioni del pianeta. Concetto che risale ad una presunzione di superiorità che, se già molto discutibile nei secoli scorsi, oggi appare totalmente fuori da ogni contesto e logica. Sembrano questioni di lana caprina, a fronte dei drammi e delle tragedie odierne. Ma è proprio dalla sottovalutazione dei linguaggi e dai messaggi meno esibiti, che passano i condizionamenti e e le distorsioni nelle letture degli accadimenti. Le stesse distorsioni e condizionamenti che i poteri, in ogni angolo del mondo, hanno sempre usato per distrarre e tenere divisi e sfruttabili interi popoli. MIZIO

LA RAI E' MIA E NON SI TOCCA

Non ho mai avuto simpatie o lesinato critiche alla Rai. Sia per la qualità non sempre eccelsa dei suoi programmi, che per il modo in cui è stata costantemente utilizzata dal potere politico. Ma lo tsunami programmatico e gestionale in atto, l'abbassamento qualitativo dell'offerta. Le censure preventive su personaggi e programmi. L'informazione drogata o anestetizzata appaltata a personaggi di scarsa o nulla capacità professionale, ma fedeli alla linea. E per quella poca residua con l'ambizione di essere libera, non mancano le minacce preventive e il confino in lager e spazi residuali dei palinsesti. Paradossalmente oggi sembrano quasi più aperti e meno allineati alcuni network privati. Tra l'altro sembra riprendere fiato anche l'ipotesi coccolata da molti da tempo, della sua privatizzazione. Con relativi spacchettamenti magari da lasciare in gestione agli appetiti di egoismi politici o territoriali. Cosa che non troverebbe opposizione nel corpo molle della società. Sia per il diminuito appeal dei suoi programmi, sia per provare a liberarsi dell'odioso ticket del canone (cosa che invece rimarrebbe, a meno di non cambiarne la natura). Io credo di essere tra i pochi che, pur come dicevo all'inizio, critico e non apprezzando granchè i suoi programmi, la difenderei a prescindere. Per lo stesso motivo per cui ho difeso dalle privatizzazioni e dal dare in pasto al cinismo del mercato, tutti gli altri settori strategici dello stato privatizzati nel tempo, Trasporti, comunicazioni, strade e autostrade oltre le migliaia di aziende a questi settori collegate. Tutti aspetti di un patrimonio collettivo lasciati alle speculazioni e al profitto del mercato. E, praticamente sempre, senza neanche riuscire nel cambio, a migliorare il servizio stesso e, tantomeno il bilancio dello stato. Molta della programmazione Rai è indifendibile (soprattutto in quest'ultima versione) ma la sua potenzialità mediatica, tecnica professionale non può essere nè svilita nè svenduta. Ma andrebbe difesa e valorizzata per quello che è il suo compito primario e istituzionale. Rappresentando il meglio dell'informazione e dell'immagine culturale e artistica del paese nel mondo. PS: non ho amici, parenti o interessi privati di alcun tipo legati alla Rai e al suo mondo. MIZIO

giovedì 28 settembre 2023

In passato avevo scritto di momenti di silenzio necessari e di frammenti di utopia altrettanto necessari. Oggi sempre nel solco di una riflessione più generale non legata a momenti o situazioni specifiche, cerco di approfondire il concetto. Cosa vuol dire, in pratica, oggi inseguire l'utopia? Significa forse riannodare i fili spezzati con un passato che, al contrario di oggi, faceva intravedere luminose prospettive? Certo, ma non solo e non prevalentemente. Non solo perchè altri e troppi sono i soggetti, poco o nulla coinvolti o affascinati da un'operazione nostalgia. Operazione relativa a fatti e accadimenti spesso vissuti, al massimo, come elementi storici non dissimili da tanti altri studiati (poco e male) a scuola. Ma soprattutto perchè difficilmente inquadrabili in una lettura manichea e banalizzata delle problematiche attuali. Tantomeno possono affascinare le politiche e le posizioni tanto care ai cultori della realpolitik o dell'altrettanto anestetizzante politically correct. Logiche che hanno fatto letteralmente terra bruciata di ogni elemento utopico, sterilizzando il dibattito e le prospettive in un disegno dai confini castranti e limitati che ha aumentato differenze, conflitti sociali e paure. Quindi sgomberiamo il campo, pur non dimenticandolo o accantonandolo, da visioni che si rifanno a un mondo che non c'è più e ragionevolmente non ci sarà neanche nel prossimo futuro. Il conflitto capitale lavoro è sempre d'attualità anzi, per certi versi in maniera ancor più netta e brutale. Ma oggi, si inserisce in una frammentazione di sensibilità dovute alla mancanza di un tessuto connettivo idoneo, in cui non sono presenti solo il buono e il cattivo. Ma soprattutto, il cui punto d'osservazione va obbligatoriamente spostato a un livello superiore e sovranazionale. In un certo senso rispolverare il vecchio “Proletari di tutto il mondo unitevi” anche se in forma 2.0. Perchè sovranazionali e trasversale sono gli interessi in gioco sia economici che di strategia relativa. L'idea di rinchiudersi in un'ottica locale, seppur attrattiva, non sarebbe in grado di spostare quasi nulla, se non inserita in una visione più complessiva, che tenga conto non solo del bianco e nero di cui sopra , ma anche di tutte le sfumature di grigio comprese fra loro. I cambiamenti climatici, ad esempio, ci esporranno sempre più a fenomeni di migrazione per miseria e fame, oltre ai sempre più frequenti fenomeni estremi e disastrosi sul nostro territorio. La desertificazione dell'Africa e di parte dei paesi mediterranei, non è stata certo fermata prima dai decreti Minniti o Salvini. Tantomeno lo sarà dall'attivismo più mediatico che sostanziale della Meloni o di qualsiasi altro soggetto. Azioni buone al massimo, per limitare i flussi nell'immediato. A questo non si possono non aggiungere i devastanti effetti della robotizzazione, dell'Intelligenza artificiale che ci proietteranno rapidamente e nella cosiddetta industria 4.0, prossima ventura. Cosa che creerà, presumibilmente, milioni di nuovi poveri anche tra quelle classi sociali che finora erano state appena sfiorate dalla crisi. Aspetto che le classiche letture e ricette non saranno certo sufficienti a interpretare e a dare risposte. L'affacciarsi di paesi, fino ad oggi ai margini dell'economia mondiale e che a grandi balzi si stanno riappropriando di ricchezze e risorse finora limitate ai soli paesi avanzati, fa presagire scenari inquietanti non solo in termini economici, ma di utilizzo e gestione di quei beni che diventeranno sempre più rari e preziosi. Gli USA lo stanno capendo prima di altri e, grazie alla guerra in Ucraina (non entro nel merito delle responsabilità), stano usando la debole e prona Unione Europea come serbatoio di risorse da cui drenare ricchezza e su cui scaricarne i costi. Pare ci sia, da parte dei paesi europei, una cecità genetica a calcolare i rischi derivanti dal nuovo scacchiere mondiale che si va a prospettare. I paesi BRICS, volenti o nolenti saranno sempre più presenti e decisivi negli equilibri futuri. Rimanere arroccati a difesa del signorotto rinchiuso nel suo castello (USA), quando l'evoluzione dei processi appare di facile lettura e' scelta stupidamente suicida. Quindi se è vero che la causa prima dei problemi, fondamentalmente sia sempre la stessa, cioè lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in nome del profitto e del potere, da sola non è più sufficiente nel cercare e proporre soluzioni. Sarà necessario, soprattutto a sinistra avventurarsi in campi probabilmente anche inesplorati e nuovi, correndo il rischio di incappare anche in errori, incomprensioni e rischiando anche di pestare qualche sensibilità poco incline ai cambiamenti. Coscienti che, per muoversi nel nuovo mondo prossimo futuro sia necessaria sia la vecchia mappa cartacea che il nuovo navigatore satellitare. Tornando rapidamente a noi e all'immediato, se ci si rinchiudesse nel classico recinto identitario o se si scegliesse di riproporre il giochino e schema dell'accordo "necessario" contro le destre o altro ci si condannerebbe all' inconsistenza e fondamentalmente, all'inutilità della nostra presenza. Le utopie si coltivano e crescono certamente nel coraggio e nella coerenza delle scelte, molto meno nelle acrobazie dialettiche o nel rifiuto del cambiamento necessario. Cambiamento, tra l'altro, che non può limitarsi ad essere tale, purchessia, ma che deve essere prospetticamente e significativamente migliorativo della vita degli esseri umani (e non solo).

domenica 13 agosto 2023

Michela, la morte e noi

Riflessioni a freddo.
E' morta Michela Murgia. Si sapeva che fosse solo questione di tempo, grazie proprio a lei. Ma quando poi l'evento si materializza, il dispiacere sembra, comunque, il sentimento più naturale. Cosa testimoniata anche dalle migliaia di ricordi, omaggi, citazioni, esaltazioni da parte del mondo dei media, della politica e dei social. Sono sincero, di lei conoscevo poco se non quella vis polemica ruvida, plateale, e spesso anche politicamente scorretta, che non mascherava ed esibiva anzi, nei dibattiti televisivi o nei suoi interventi scritti. Non ne ho mai letto un libro, anche se ne ho sentito parlare molto e, forse colpevolmente, non ne ho neanche sentito l'esigenza. Credo mi bastasse quel poco che vedevo per incasellarla in una dimensione politica e sociale, parallela, ma distante emotivamente dal mio sentire. Un po' quello che è successo e che coerentemente ha applicato anche al suo ultimo passaggio su questa terra. La morte e il suo approcciarsi cosciente e razionale utilizzato ed esibito senza veli, per rafforzare il suo status di intellettuale e personaggio scomodo ma patrimonio collettivo. Molti hanno visto in ciò un portarsi avanti anche nell'approccio alla morte facendone oggetto di discussione e confronto pubblico senza ipocrite censure. Assolvendo, anche in questo caso a quel ruolo dissacratore e critico che ne ha caratterizzato la sua dimensione pubblica. Sappiamo quanto, nella moderna società, l'argomento sia tabù e relegato, quasi sempre ad una dimensione intima, privata e limitata nello spazio temporale. Questo suo buttarla sul tappeto mediatico senza censure e infingimenti è sembrato un porsi all'avanguardia anche in questo caso,rompendo i normali schemi attesi o accettati. .Per me, invece, tale scelta anche se veicolata attraverso i moderni mezzi di comunicazione e, utilizzata consapevolmente come momento di denuncia di limiti esistenziali ancora presenti (Il suo matrimonio lo testimonia), rappresenta un momento e un atto cosciente di recupero. Un voltarsi indietro per non disperdere quel legame affettivo, culturale ed emotivo che lega le generazioni attraverso il tempo. Nella cultura rurale e contadina di cui tutti noi, più o meno siamo figli, la morte non era argomento , individuale e geloso. La vita (forzata da oggettive condizioni certo) era vissuta all'insegna della condivisione con l'intera comunità, piccola o grande che fosse, di appartenenza. Lo era la nascita e lo era logicamente, ancor di più la fine e tutto quello che, tra questi due estremi, fosse nel mezzo. Ecco la scelta di Michela riporta, non so quanto coscientemente, a quel vivere condiviso e pubblico senza ipocrisie, anche dell' ultimo sacro atto. Atto che la moderna società tenta costantemente, di nascondere o ignorare, se non per questioni di mera cronaca o freddamente statistici . Anche se poi, curiosamente, la spettacolarizzazione dell'evento morte, per alcuni personaggi, ne sembra sconfessare questa interpretazione. Ma in quei casi sembra più la necessità di spettacolizzare l'evento e mettere in evidenza la propria presenza omaggiando mediaticamente il protagonista, piuttosto che una scelta di condivisione collettiva o di accettazione di un passaggio naturale. Cosa che, invece, credo sia presente nelle scelte di Michela e nel suo approcciarsi all'evento contaminando con l'antica naturalezza il suo mondo. Che, nello specifico, trattasi di un universo allargato dalla fama e notorietà. Hanno quindi meno o più valore le sue posizioni e le sue battaglie? Diventano più o meno giuste se inquadrate nell'ottica di quest'ultima scelta? E come posizionare il tutto, compreso il rito cattolico con cui ha scelto di salutare, se non come un ribadire quel legame, affettivo, oltre che simbolico con quel mondo ancestrale che, nonostante le asperità e le ruvidezze, continuava, evidentemente, a vivere in lei? Come credo continui a vivere in chiunque si ponga il problema e il dubbio del giusto o meno. Se non lo fsi fa consapevoli di quale sia il nostro posto nel mondo e quello da cui si proviene, difficilmente si riuscirà ad essere credibili e a rappresentare qualcosa che vada appena al di là del nostro piccolo esistere individuale. Chè poi, come nel caso della Michela possono anche essere parallele e non tangenti, ma più o meno apprezzabili e funzionali per ciò che hanno rappresentato.

domenica 16 luglio 2023

I PINI DI ROMA

I pini di Roma stanno morendo. Alcuni si seccano, altri collassano e si trasformano addirittura in un pericolo. Colpa di parassiti figli indesiderati della globalizzazione e dei cambiamenti climatici, ma anche di incuria, superficialità e ignoranza. Inutile indicare chi è più responsabile di chi. Tutti più o meno lo siamo stati, lo siamo e lo saremo, se non altro per il silenzio e il disinteresse complice. E questo non è neanche un aspetto che rappresenti chissà quale elemento di sorpresa e novità. Ormai siamo tutti compresi nelle nostre bolle esistenziali individuali. Convinti che tutto ciò che accade fuori di queste sia elemento che non ci riguardi o comunque, con una sua impossibilità a intervenire. Compreso quel legame storico, sociale, viscerale, esaltato retoricamente e apparentemente incrollabile con la propria città. Con le sue origine, la sua storia e i suoi simboli. E, tra questi, il pino (Pinus pinea) credo possa rientrarci a pieno titolo per chiunque sia nato, vissuto o semplicemente passato a Roma. Il mio personale rapporto con i pini risale all' infanzia e alle pasquette trascorse nella pineta all'Appio Claudio. Accanto agli archi monumentali degli acquedotti. Pini oggi praticamente scomparsi e sostituiti da piccole piante che avranno bisogno di decenni per ricreare l'antica fascinosa atmosfera. Non posso dimenticare poi, un posticino, sempre da quelle parti, che chiamavamo tre pini. Nome decisamente poco originale visto che riguardava proprio la presenza di tre alberi di quel tipo. Alberi sotto o sopra i quali, passavamo alcuni dei noiosi pomeriggi estivi. Mi hanno poi accompagnato, facendo da silenzioso sfondo, alla scoperta progressiva della città nella sua interezza. Cosa non facile e non scontata in quei tempi per ragazzini dell'estrema periferia. Da quelli presenti nelle grandi ville, a quelli che fiancheggiano ancora, alcune grandi arterie stradali, o che circondavano, ad esempio la zona del Foro Italico e lo stadio Olimpico. Ovunque si andasse, ovunque si ponesse lo sguardo ci sono sempre stati pochi o tanti pini a fare da quinta teatrale o, più semplicemente da cornice. E come dimenticare, appena fuori la città, quelli della pineta di Castel Fusano. dove, Tappa obbligata dopo qualsiasi mattinata al mare sulle spiagge libere di Ostia (anche queste ormai solo un ricordo). Ci si spostava per consumare il pranzo e per la classica pennichella pomeridiana degli adulti, sotto le loro chiome. Ma dove il mio personalissimo rapporto affettivo e confidenziale con i pini, raggiunse il top fu quando, nella nuova casa, del nuovo quartiere popolare in cui ci si trasferì, ne avevo alcuni praticamente sotto casa. Con le chiome e i rami che potevo addirittura sfiorare con le mani affacciandomi semplicemente al balcone. Dallo stesso balcone da cui, osservatore privilegiato, muovevo i primi passi in quella che è poi diventata, una passione che mi accompagna tutt'ora. Tra le loro chiome potevo osservare i comuni merli e passeri, spesso anche cince, codibugnoli e, più raramente anche qualche upupa o picchio. Di notte sui loro rami erano di casa le civette e, a volte, qualche allocco di passaggio. Non potrei terminare questa esposizione del personale legame sentimentale con i pini, senza accennare anche ad un aspetto ludico-gastronomico. Durante l'estate ovunque ci trovassimo e qualsiasi fosse il motivo per cui fossimo in quel posto, bastava l loro presenza e la raccolta dei pinoli diventava un obbligo imperativo. Pochi se in un luogo casuale e frequentato. Tanti se cercati con intenzione e nei posti giusti. Con grida di giubilo e soddisfazione goduriosa quando se ne trovavano intere pigne aperte e piene. Bastava poi un sasso delle giuste dimensioni per assaporarne il gusto, praticamente subito. O portarli a casa per trasformarli in quella che chiamavamo la pignolata. Praticamente frittelle di caramello e pinoli. Bombette energetiche, forse non equilibratissime per i salutisti odierni, ma che, merendine scansatevi proprio. Non posso neanche dimenticare che, in anni successivi, questo aspetto divenne più difficoltoso a causa dell' interesse economico che pigne e pinoli potevano rappresentare per i primi esuli dell' Est europeo. Persone che con la loro raccolta sistematica fatta direttamente sugli alberi, anche in giardini privati, prima che le pigne potessero cadere a terra, racimolavano qualche euro dalla loro vendita. Questo rapido, ma significativo excursus sul mio personale rapporto, ma comune a tanti altri, con i pini è comunque esplicativo della loro importanza, oltre che naturalistica, paesaggistica, culturale anche emotiva e sentimentale. “Quando il Colosseo cadrà, cadrà anche Roma...” senza arrivare a tali livelli di catastrofismo credo però, che anche quando l'ultimo pino romano cadrà, saranno caduti e persi per sempre tanti di quegli aspetti che fanno di questa città bella e dannata un unicum mondiale. Salvare i pini è un pò salvare anche Roma. E i romani oltre che dannarsi per il traffico e i rifiuti per strada, qualche volta provino ad alzare lo sguardo e a immaginare quanto sarebbe triste e spoglia la città senza lo sfondo familiare ed eterno dei pini. E provino a riappropriarsene e difenderla da speculazione, disinteresse, ignoranza e incapacità, Roma e i suoi pini possono salvarsi. Basta volerlo. MIZIO

sabato 1 luglio 2023

CIAO MIZIO

La pensione, alcuni piccoli acciacchi, il post covid ha comportato la necessitò di rimettersi in forma per evitare qualche guaio possibile. Cosa che più si va avanti con l'età, e più diventa ipotesi realistica. La sigaretta era stata già abbandonata da anni. L'alcol è sempre stato limitato ad un moderato utilizzo in poche occasioni particolari. Le droghe, a parte isolate e quasi uniche esperienze poco significative, in età giovanile con gli spinelli, non mi avevano mai attratto e mai ho sentito sentito il bisogno dello sballo. Però i chili in più, frutto di pigrizia, sedentarietà e godimenti della buona tavola, c'erano comunque, insieme a qualche valore ematico leggermente alterato, da riportare nei giusti limiti. Quindi che fare? Palestra? Neanche a parlarne! In mezzo a fighetti più impegnati a mostrare l'ultimo outfit adeguato, piuttosto che alla propria salute. Si poteva pensare a correre. Ma un pregiudizio atavico me l'ha sempre fatta ritenere cosa poco congeniale e, da adottare solo nel caso di pericolo imminente, come l' eventuale inseguimento da parte di qualche pit bull arrabbiato. Convinzione rafforzata già anni fa, dalla notizia che l'inventore americano dello jogging, fosse morto proprio corricchiando allegramente. Quindi ho optato per la cosa più naturale del mondo camminare. Funziona, non è stressante, è idonea alla causa e compatibile con qualsiasi età. Non prevede, se non per qualche patetico fissato, un abbigliamento ad hoc da dover esibire orgogliosamente come le penne del pavone a certificare l'appartenenza alla salutare cerchia dei runners. Unica concessione alla moda del settore, un paio di scarpe idonee, morbide e comode abbastanza da per poterci camminare a lungo senza problemi. Attività che, qualche volta alterno con una pedalata in bici. Cosa altrettanto sana e idonea ma che comporta maggiore attenzione e tempo da dedicare al mezzo, oltre a qualche rischio in più. Come quello da rimanere per strada con la bici inutilizzabile da trascinarsi dietro però, per chilometri fino a casa. Da affiancare a questo, altrettanto necessario è stato naturalmente, adottare una dieta adeguata con una drastica diminuzione della quantità e qualità del cibo. Cosa che, per una dipendenza seria dai carboidrati, da cui ero affetto sin dalla più tenera età sembra più facile a dirsi che a farsi. Ma siccome nulla è impossibile, con una buona dose di impegno, anche se con qualche isolata caduta in tentazione, tutto si può fare. Quindi eccoci qua, veniamo all' oggi e a cosa tutta questa premessa è propedeutica. Come quasi tutte le mattine di buon' ora, dopo una leggera (sigh) colazione, siamo pronti per la nostra dose di passi quotidiani. A meno di non avere incombenze particolari per cui unendo l'utile al dilettevole, cammino e contemporaneamente disbrigo le questioncelle (cosa questa resa possibile dal vivere in una cittadina di non enormi dimensioni). cerco di camminare laddove la presenza di auto e persone sia più limitata. Con conseguente migliore qualità dell'aria e del mio umore. Quindi preferibilmente zone periferiche su strade anche sterrate e senza traffico. Posti dove, anche se prossime al centro abitato, sia possibile anche godere di quell'altra mia grande passione. L'osservazione attenta, curiosa con l'occhio perso e continuamente stupito del naturalista dilettante, di tutto ciò che ci circonda. Dagli umili ma coloratissimi fiori di campo, agli uccelli per cercare di indovinarne l'identità dal volo o dal canto. Dal fruscio improvviso e rapido delle lucertole e dei rari ramarri o lo strisciare veloce di qualche, ancor più raro biacco. Senza dimenticare, a seconda della stagione, la possibilità di poter assaporare anche qualche frutto spontaneo. Dalle more di rovo, a quelle del gelso,o ai fichi ed altro. Quindi momenti, oltre che benefici, ricchi di stimoli, di stupore, di godimento fine a se stesso. Momenti che permettono una full immersion nel mare magnum della meditazione, della fantasia di cui bearsi e in cui immergersi totalmente in piena libertà e privi di qualsiasi dovere, costrizione o convenzione Era proprio un momento di questi quando, a lato della strada sterrata, all'ombra di una sughera di discrete dimensioni, poco più avanti mi pare di scorgere una figura che sembra familiare. Seduto su un sasso con uno stelo di avena fatua in mano cui era legata una cetonia che, penosamente provava a volare riuscendo però, solo a roteare in circolo nei limiti imposti dalla limitata lunghezza dello stelo stesso, c'era proprio lui Palesando una sicurezza e mistificando un'assenza di sorpresa, stavolta gioco d'anticipo: “Ciao! Mi sembra proprio di conoscerti” e senza dargli ill tempo di rispondere, “Che diamine ci fai qui? Non avevamo chiarito il nostro rapporto la prima, unica e ultima volta in cui ci eravamo visti?”... “Cosa avresti da rimproverarmi stavolta?”... “Hai visto, da allora mi sono sempre sforzato di ascoltarti e compiacerti. Pure quando sembravi non esserci più.”... “Perchè pure tu, nonostante i tuoi discorsi, non è che sia sempre così presente eh?. Dovresti sapere pure quanto il farlo costasse fatica e creasse anche qualche discreto imbarazzo. Non è stato per niente facile“....” Che c'è non parli? Neanche saluti? Guardami almeno. Sono qui. Sono io... E tu sei sempre tu, o sei diventato altro da quello che mi dicesti di essere?” Mentre continuo a parlare e fare domande, lui lentamente e apparentemente concentrato solo su quella delicata operazione, prende la cetonia, le libera delicatamente la zampetta dal cappio fatto col filo d'erba e la lancia in aria. Finalmente libera, riconsegnata al suo elemento naturale. Poi alza lo sguardo e,sempre con quell'aria impertinente da saputello indisponente :”Ciao Mizio. Stavolta mi hai riconosciuto subito eh?” “E come potrei dimenticarti dopo quel nostro primo e allucinante incontro. Pensavo solo che non ci saremo rivisti più. Almeno, non in questi termini. Mi avevi parlato di momenti molto particolari e quasi unici, in cui questi, diciamo così, contatti, diventino possibili. Mi perdonerai perciò se mi stupisco di rivederti e se insisto per avere una qualche risposta. che abbia almeno una parvenza di logica. Dopo tutto quello che mi hai vomitato addosso ì' altra volta e che ho dimostrato più volte, di tenerne conto, penso di averne diritto. O no?” “Ci sono alcune cose che non riesci proprio a cambiare eh? Una fra tutte, quella di fare tante domande per lo più inutili... Proprio tu che dovresti, tutto sommato, sentirti un privilegiato, invece di godere e apprezzare questi momenti, per quello che sono, vorresti rinchiuderli subito in una tua scatola....Quella scatola in cui tutto il tuo mondo deve avere una sua lettura e una risposta logica ad ogni domanda.... Al mattino ogni volta che ti risvegli e apri gli occhi. Chiedi forse a qualcuno perchè lo puoi fare? Perchè sei vivo e rinasci ogni giorno? Eppure quello credo sia il mistero più grande cui dover dare risposte” “Pensi veramente che, alla luce proprio di quel mistero l'incontro con un possibile te stesso bambino, sia la cosa più importante da spiegare?” “No, non dico questo, questo, no. Soprattutto dopo i non rari strani inspiegabili avvenimenti in cui ogni tanto, mi è capitato di incappare, non mi stupisco di nulla. Solo che l'incontro con te, se possibile, è stato certamente il più destabilizzante e quello che ha comportato i mutamenti più significativi. L'avrai notato sicuramente anche tu no?” “Certo che l'ho notato. Ed è stato anche molto apprezzato da parte mia. Non mi sono più sentito un estraneo con il me stesso adulto che sei tu. Ci eravamo finalmente ritrovati, riconosciuti, accettati. Ed è proprio per questo che oggi sono di nuovo qui. L'altra volta fu più una mia necessità per aiutare me stesso a ritrovarmi in te. Oggi voglio provare a ricambiare il favore e aiutare anche te a ritrovare te stesso. TI obbligai a guardare indietro per vedere e riconoscere gli errori. I tuoi limiti non potevo certo farteli superare, ma farteli conoscere e accettare sicuramente si. Ti obbligai a prenderne coscienza, a metterti in discussione,a cambiare profondamente Stavolta, invece voglio provare a farti guardare avanti. Tranquillo non farò certo il cartomante o l'astrologo. Sai che sono con te e in te. Quindi non ne so più di te su ciò che ci aspetta. Ma non potrei svelarti il futuro neanche se lo conoscessi. Nel gran gioco della vita l'illusione, la convinzione e la responsabilità di essere gli unici artefici del nostro cammino non può e non deve essere intaccato minimamente. Sai meglio di me quante disquisizioni filosofiche, religiose, sociali abbia succitato e ancora susciti, la questione del libero arbitrio. Vorrei molto più semplicemente , provare a dotarti degli occhiali migliori per guardare tutto quello (tanto o poco che sia) che la vita ci metterà di fronte. Vieni, ti faccio un po' di spazio, siediti qui vicino a me.” “Vedi io sono più piccolo. Anzi, per la precisione, apparentemente più piccolo di te. Perchè nell'assoluto, dovresti saperlo, il piccolo e il grande si rapportano a dimensioni, proporzioni e concetti totalmente diversi da quelli nostri. Però, rispetto a te e alla maggioranza di qualsiasi altra persona ho un vantaggio non indifferente. Ed è il non poter essere condizionato o toccato dagli aspetti fisici, giornalieri, tipici della vostra vita quotidiana. Ne sono sfiorato solo di rimbalzo se colpiscono profondamente te. Sai meglio di me, ormai, quanto fino ad un certo punto, noi siamo cresciuti e vissuti all'unisono. E questo è un fatto naturale, comune a tutti gli esseri umani. Quello che è meno frequente è proprio quello che stiamo vivendo in questi momenti. Non a tutti è concesso e reso possibile il potersi guardarsi in questo modo allo specchio. Ma questo, oltre ad essere un privilegio assoluto, è nello stesso tempo una responsabilità pesante e difficile da portare.” “Non me lo devi certo ricordare. Lo so benissimo quanto costi in termini di attenzione alle sfumature, di coerenza nelle scelte. Nella difficoltà di trasmettere, condividere cercare di essere comprensibili. Tutto sommato, non è che sia tutto sto gran regalo!...Però la questione dell'aiuto che mi vorresti dare riguardo l mio futuro mi incuriosisce non poco. Vai, vai avanti.” “Vedi, anche se per tanto tempo mi avevi dimenticato in soffitta, non sono così impreparato o illuso da non saper che gli anni che abbiamo da vivere da qui in avanti, siano meno di quelli che abbiamo alle spalle. Però so anche che di quelli passati, quanti effettivamente sia per colpa tua o, soprattutto, per il dipanarsi imprevedibile, cinico e crudele della vita hai sentito e sono stati veramente tuoi. Non che, anche quelli non abbiano avuto il loro perchè. Ogni attimo, ogni respiro, ogni accadimento ha il suo posto e il suo valore nel completare il meraviglioso anche se oscuro disegno universale. Ma non si può negare che troppi siano stati quelli in cui l'unica opzione sembrava essere il subirli passivamente. Quindi quanti anni o mesi o giorni, hai veramente vissuto con coscienza e consapevolezza da protagonista? Te lo dico io. Molti, molti di meno, di quelli che l'anagrafe ti assegna.” “Vabbè, dai mi stai dicendo che, oltre essere anziano ho anche sprecato tanto tempo. Non è che sia un grande aiuto, anzi. E' un bel colpo alla già scarsa considerazione e autostima che ho di me stesso. E, poi, lasciatelo dire. No è che col fatto che sei parte di me puoi continuamente puntare il dito e accusarmi di tutte le nefandezze del mondo, come fossi chissà quale essere spregevole.” “Ecco che riesce fuori la vittima designata, il puntaspilli dell'universo, l'incompreso di professione. Ancora non hai capito che tra noi a certi livelli non ci sono accuse. Non ci sono giudizi, non ci sono sentenze. C'è, come ti ho ripetuto all'infinito, la rara possibilità di godere di una prospettiva diversa da cui guardare le cose del mondo e le tue in particolare. E quella che ti sembra durezza,accanimento o accusa non è altro che lo stimolo a fare e sentire meglio Non di più o di meno, ma semplicemente meglio. E non per gli altri ma per te stesso. Perchè, adesso si che ti dico una grande banalità, se migliori te stesso migliori anche il mondo intorno a te.. Se non l'avessi ancora capito, tu, come chiunque altro, non sei certo un essere finito e completo. La possibilità di essere migliore, di crescere e di vivere meglio esiste fino all'attimo in cui esaleremo l'ultimo respiro, Quel momento che si lega idealmente al primo pianto liberatorio post parto e chiude di fatto un cerchio. Quello che c'è e rimane per sempre in quel cerchio, siamo semplicemente noi. Sarebbe da incoscienti e irresponsabili non farne tesoro e agire di conseguenza. Cosa ci trovi di così tremendo o distruttivo in tutto questo. Se non la tua cocciutaggine e il tuo ostinarti a rimanere ancorato alle tue piccole convenzioni e convinzioni che ti hanno sempre impedito di mollare gli ormeggi e affidarti agli umori del mare aperto...Ti ricordi? Qualcuno te lo disse pure tanto, tanto tempo fa. -Nulla ti sarà chiesto che tu non voglia e non possa. Solo di non far del male ad alcuno!- Si lo so. Il tuo senso del dovere, la tua correttezza, i tuoi impegni. L'esaltazione della tua onestà e coerenza. Il rapporto di dipendenza con la tua coscienza. Cosa questa, che da sempre, sembra essere stata considerata, soprattutto da altri, come una zavorra. Zavorra che per te, invece, è stata sempre più un approdo sicuro o una zattera di salvataggio. E se tutto questo, per quello che possa valere, ti fa benevolmente qualificare in positivo, non puoi nascondere, soprattutto a te stesso che spesso, sia servito anche da alibi. Se non altro per quel tot di indolenza, fatalismo, timore che, comunque, fanno parte del tuo essere e hanno contraddistinto il tuo cammino.” “Non ti ricordavo così loquace. Impertinente e fastidioso si, ma non logorroico. Quello che dici, tutto sommato già lo conoscevo. Non mi pare che ci siano grandi verità rivelate. Perchè, piuttosto, se veramente mi volessi essere utile non mi dai qualche bel terno da giocare al lotto come fanno in tanti nei sogni? Ti giuro che l'apprezzerei moltissimo. Ah ah ah, dai sto scherzando mamma mia. Per fortuna dovresti essere tu a mia parte giocosa”. “No tranquillo, anzi mi hai fatto sorridere. Solo che non c'è più molto tempo e vorrei assicurarmi di poterti dire quello per cui sono qui. Non so se riesco a spiegarmi a sufficienza e se tu riesci a comprendere” “Dai adesso mi sottovaluti. Non sono io a doverti ricordare che io e te siamo la stessa persona. Quindi se una cosa la capisci tu, è inevitabile che la senta, la percepisca e, prima o poi la capisca anch'io. Non me l'aspettavo, ma capisco benissimo perchè sei qui. Perchè ci siamo incontrati e perchè abbiamo parlato di nuovo. Non sei tu che sentivi la necessità di parlarmi. Ero io che avevo e ho bisogno di incontrarti ogni tanto. Ne sento l'esigenza. In questo mondo, che pur amo e di cui cerco di conoscere e rispettarne le regole, sai meglio di me, quanto però, mi senta estraneo. Al pari di uno studente portato per lettere e filosofia costretto a studiare, rapportarsi e vivere in un mondo di matematici. L' incomunicabilità, la difficoltà nei rapporti, i pregiudizi rischiano di portare all'impotenza esistenziale. Cerchi di adattarti, di ritagliarti il tuo piccolo spazio, ma il disagio congenito, per quanto si possa fare, rimane” Comunque ho capito, lo sapevo, ma evidentemente mi serviva una conferma. La vita è solo nostra e ogni attimo è sempre sotto la nostra responsabilità. Non nel su accadere, spesso inevitabile, ma nel suo diverso sentire e reagire. Nessun dio da accusare o adorare. Nessuna guerra santa da dichiarare se non contro le nostre imperfezioni. Nessun picchetto limite, se non quello scritto non sappiamo dove e da chi, in grado di dirci o da interpretare come la fine o la minore qualità di quella cosa chiamata vita” “Ammazza. Mi stai facendo commuovere. Ci voleva il te bambino per aiutarti a crescere ancora. Mi fa piacere se ti sono stato utile. Se stai meglio tu di conseguenza sto meglio anch'io. Questo è il concetto che sta alla base di tutto. Talmente semplice da essere però, il più difficile da capire. Forse perchè sempre mal interpretato e ancor peggio raccontato. Noi oggi, su questo sasso, sotto questo albero non ci siamo scambiati parole. Ci siamo scambiati energia empatica reciproca. E cos'è mai se non quella cosa che possiamo considerare e definire come la legge dell'equilibrio universale? Quella stessa che molti, in modo limitato, esclusivo, settoriale chiamano amore. Quell' amore che, lungi dall'essere quel sentimento altruistico o passionale, decantato retoricamente da sempre è invece, quando vero e reciproco, il sentimento paradossalmente più egoistico. Perchè migliora, porta benessere e appaga oltre gli altri soprattutto chi lo fa e lo pratica costantemente nelle sue infinite forme. Comunque vedo che non hai più bisogno di me. Mi pare tu abbia capito qualcosina in più. E io, anche volendo, non posso rimanere nei tuoi occhi troppo a lungo. Ciao Mizio, ti prego di non dimenticarmi. Sai dove trovarmi” “Si, grazie, lo farò ancora sicuramente prima o poi. Ciao Mizio.”