giovedì 13 dicembre 2018

La Giunta Zingaretti favorisce la speculazione immobiliare nei parchi naturali del Lazio.


Lo scorso 12 settembre 2018 è stato approvato, con emendamenti, l’articolo 3 della proposta di legge regionale n. 55 del 2018 sulla semplificazione amministrativa effettuata dalla Giunta regionale del Lazio, presieduta da Nicola Zingaretti, che ha modificato l’art. 26 della legge regionale Lazio n. 29/1997 e s.m.i. sulle aree naturali protette.

La modifica riguarda la procedura di approvazione dei piani dell’area naturale protetta (parchi e riserve naturali), ora impera il silenzio – assenso: “trascorsi tre mesi dall’assegnazione della proposta di piano alla commissione consiliare competente la proposta è iscritta all’ordine del giorno dell’Aula … Il Consiglio regionale si esprime entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano s’intende approvato”.

In precedenza, la Giunta regionale, entro 90 giorni, raccoglie i necessari pareri esterni e ne formula uno complessivo, poi assegna la proposta alla Commissione consiliare competente, che – sempre entro altri 90 giorni – invia la proposta di piano all’Aula per il pronunciamento definitivo.  
In realtà, può mancare qualsiasi pronunciamento, perché è sempre previsto il silenzio – assenso.  In complessivi sette mesi di silenzio – assenso il piano dell’area naturale protetta può esser approvato senza la benchè minima discussione.
L'antica torre dell'Acquafredda

Una vera e propria autostrada amministrativa per favorire le più devastanti speculazioni immobiliari anche nei parchi e nelle riserve naturali del Lazio.
Qualche esempio: la proposta di piano della riserva naturale “Tenuta dell’Acquafredda” prevede ben 180 mila metri cubi di volumetrie “a scopo socio-sanitario” per la “valorizzazione di terreni di proprietà dell’ente ecclesiastico” Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica, il Vaticano, per capirci, mentre numerosi interventi di grave trasformazione del territorio avverranno mediante piani ambientali di miglioramento agricolo (PAMA) comprendenti impianti di compostaggio, centro di vendita ortofrutticola e nuove volumetrie (es. Quarto della Zolforatella).

L'operazione è decisamente grave sul piano politico-ambientale, ma rivela anche profili di incostituzionalità, visto che contrasta con gli articoli 12, 22 e 25 della legge n. 394/1991 e s.m.i. sulle aree naturali protette, legge quadro che vincola anche le normative regionali e che prevede la valenza di piani paesistici per i piani delle aree naturali protette, obbligando la Regione alla co-pianificazione con il Ministero dell’ambiente e con il Ministero per i beni e attività culturali.


Decima, Castello di Monte di Leva

Se la legge regionale, una volta approvata, conserverà tali aspetti, il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus rivolgerà un’istanza al Governo perché la impugni (art. 127 cost.) davanti alla Corte costituzionale per lesione delle competenze statali in materia ambientale (art. 117, comma 2°, lettera s. cost.).


Come avvenuto per i tagli boschivi nella riserva naturale “Decima – Malafede” della primavera 2018, più volte denunciati dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus in tutte le sedi, emergono gravi omissioni e assordanti silenzi nell’attività gestionale delle aree naturali protette del Lazio e di Roma Capitale in particolare, segno evidente che la speculazione e la difesa degli interessi particolari sia amorevolmente considerata in via trasversale fra le forze politiche.
                       
                               Gruppo d’Intervento Giuridico onlus



lunedì 19 novembre 2018

IL TEMPO DEI RESTI!


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C'è qualcosa di indefinito, di non esattamente inquadrato e inquadrabile e che porta questi tempi ad essere difficilmente catalogabili o definiti in modo preciso e significativo. Sono i tempi delle grandi paure e della temuta fine delle speranze. Delle grandi conquiste e delle ancor più grandi ingiustizie. Delle grandi prospettive fantasticate e delle miserie effettivamente vissute. Delle grandi promesse, delle grandi potenzialità e del nulla possibile. Del grande ingombrante passato e dell'imbarazzante limitato presente. In mancanza di chiavi di lettura più convincenti e chiarificatrici credo di non essere blasfemo e troppo lontano dalla realtà se, senza paura di essere criticato, mi sento di definirlo come il “tempo dei resti”. Perchè dei resti? Perchè nell'incapacità acclarata di elaborare nuovi modi e nuovi pensieri, siamo talmente immersi nel nulla esistenziale contemporaneo capace di sterilizzare e rendere meritevole di sbeffeggio qualsiasi tentativo di rilettura o di arricchimento originale del presente. Quindi, per costrizione o per scelta, ci si trova a contentarsi dei resti. Per incapacità o timore dell'ignoto nei nostri resti ci illudiamo di ritrovare il tutto.Resti o briciole di un cosiddetto benessere consumista elevato a modello unico e possibile dell'umana esistenza la cui torta sempre più grande ma sempre più riservata a una platea ancora più ridotta e privilegiata. A fronte del sempre più tangibile e sempre più probabile rottura degli ultramillenari equilibri naturali del pianeta, ci contentiamo di godere dei resti di una natura ridotta a mera testimonianza e considerata, al massimo, come fonte di guadagno e non elemento insostituibile e imprescindibile della vita stessa. Nel migliore dei casi difendiamo quei resti rinchiudendoli in riserve e parchi come isole assediate e circondate dal marciume.
Su un piano decisamente meno materiale, avventurandoci nell'intimo di ognuno vediamo che spesso, ci si contenta dei resti emotivi ed emozionali derivanti dagli scoop del pomeriggio trash della tv o del Web. Nei rapporti interpersonali ci si fa bastare i resti sentimentali in cui, progressivamente l'io prevale decisamente sul noi. L'altro visto come fattore limitante e concorrenziale piuttosto che come completamento e arricchimento.
In questi tempi di resti e di incompitezza dove sono le speranze? Dove si manifestano le potenzialità di riscatto, di maturazione complessiva e di presa di coscienza?
Fino ad oggi abbiamo dovuto assistere ad un'azione ideale, filosofica, religiosa e politica (non scandalizzi l'accostamento di questi elementi) che tenta di sopravvivere grazie all'uso dei resti. Resti di ideali e ideologie cui non sono stati forniti i necessari aggiornamenti e le imprescindibili mutate condizioni d'essere. Facendosi bastare troppo spesso l'uso retorico dei resti di slogan e simbologie che, gratificano, purtroppo, quasi esclusivamente chi le espone orgogliosamente.
L'incapacità, ormai acclarata di analisi, di incisione sul presente, di rappresentanza, ha lasciato ampio spazio a quelli che possiamo definire i resti più deleteri del dibattito.
Rabbia, rancore, spirito di vendetta conditi da ignoranza e la presunzione tipica dei pensieri corti e asfittici sono ormai i tratti predominanti dei rapporti, non solo politici, ma sociali e collettivi.
Prima o poi i resti non basteranno neanche più.
Cosa ci dobbiamo aspettare allora? Un imbarbarimento ancora più devastante che ci riporti a tempi ancora più bui o un'improvviso, e ad oggi non preventivabile, scatto d'orgoglio che riscatti le attuali miserie?
Qualunque sia o sarà il domani, chiunque ne abbia coscienza ha il dovere di provare a cambiare prima di tutto sé stesso e integralmente, con la coscienza che i resti nella vita spesso andranno a finire nell'indifferenziato.
Ad maiora

MIZIO

martedì 30 ottobre 2018

SE 12 ANNI VI SEMBRAN TROPPI!


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Gli scienziati dell' Onu hanno dato l'allarme:”12 anni per salvare il mondo”. Questo è il limite temporale per poter sperare di invertire la tendenza al riscaldamento globale che potrebbe scattare e superare il famigerato grado e mezzo arrivando ai due gradi di aumento della temperatura con conseguenze disastrose e senza possibilità di ritorno. Scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei mari, desertificazione progressiva. Scomparsa di migliaia di specie vegetali e animali e cambiamenti complessivi e drammatici per l'accesso all'acqua e alla possibilità stessa di vita per come la conosciamo. E' vero che di allarmi del genere negli ultimi decenni ne sono stati lanciati molti e, quasi sempre l'accusa preconcetta di catastrofismo li ha depotenziati facendoli scivolare nella considerazione alla stessa stregua della storia di Pierino e il lupo.
E adesso, che sembrerebbe che il lupo sia arrivato veramente, e stia proprio dietro la porta di casa, pare quasi che la cosa non ci interessi più di tanto. E' vero che è aumentata di molto la sensibilità del singolo verso gli animali o verso la salvaguardia di piccoli o grandi porzioni di territorio da tutelare. Cose ottime, cose da sviluppare e apprezzare ma che non incidono se non in minima parte sul risultato finale. Salvare il cucciolo di cinghiale o il piccolo riccio sulla strada è cosa buona e giusta come impegnarsi per la salvaguardia del fazzoletto di verde sotto casa. Ma hanno un effetto positivo quasi esclusivamente per noi stessi e il nostro impegno ma hanno un impatto prossimo allo zero se non c'è un'attenzione pari o superiore al mantenimento dell'equilibrio ambientale complessivo. E questo, purtroppo sfugge alle possibilità, anche le più positive del singolo, ma rientrano in quelle assunzioni di coscienza e responsabilità che devono diventare collettive. Per far questo bisogna ripensare complessivamente e non settorialmente, l'organizzazione stessa della società. Ripensare la mobilità del singolo e di conseguenza, l'organizzazione del lavoro. Andare verso un lavorare meno, lavorare tutti e lavorare meglio. Ripensare il consumismo sfrenato, con i suoi ritmi infernali di produttività (crescita) malata e destinata fatalmente a infrangersi contro l'esaurimento delle fonti non rinnovabili di materie prime e la desertificazione del pianeta. Spostare le risorse ancora disponibili verso una loro redistribuzione più equa affinchè i cambiamenti necessari siano più facilmente accettati dalla gran massa. Introdurre come legge ineludibile né quella divina né tantomeno quella di mercato ma solo ed esclusivamente quella della natura e delle sue potenzialità, enormi ma non infinite, di produrre e garantire benessere e sopravvivenza a tutti se rispettata. Sviluppare cultura e conoscenza quale principale se non unico argine, all'ignoranza e all'incapacità di comprendere i processi sia sociali che naturali. Così, come sarebbe un argine alla sovrappopolazione, soprattutto nei paesi più poveri, con la valorizzazione e il riconoscimento della funzione e delle potenzialità delle donne, ancor oggi troppo limitate nel loro essere in quei paesi.
Per non parlare dell'inquinamento atmosferico e delle acque, del consumo continuo di suolo, della pesca intensiva che sta spopolando interi oceani, delle miliardi di tonnellate di plastica e altri rifiuti che contaminano e alterano equilibri biologici frutto di milioni di anni di evoluzione. Questo quadro mette paura solo a immaginarlo, figuriamoci a doverlo vivere come stiamo facendo e come tragicamente si aggraverà non tra un secolo ma già da domani. Conviene allora, come struzzi mettere la testa sotto la sabbia e fare finta che non sia così? Magari sperare in maniera fatalistica o fideistica che qualcosa cambi o, come nella famosa opera di Eduardo, tanto “Addà passà a nuttata”! La nuttata che stiamo contribuendo, con i nostri silenzi, con il nostro disinteresse a costruire non passerà, se non in tempi misurabili in secoli e solo con un'inversione totale del nostro modello di sviluppo.
Fatto un elenco e un quadro non terroristico, ma realistico, delle prospettive a breve rimane da stabilire cosa possiamo ragionevolmente fare. Diciamo che parliamo di piccole speranze, ammesso che ancora sia possibile coltivarne. Si può, ragionevolmente, pensare di operare svolte così radicali e impattanti se continuiamo ad avere come riferimenti i dati dei vari PIL dei vari paesi, del Moloch del debito pubblico, di una crescita misurata in miliardi di ore lavorate o miliardi di prodotti immessi sul mercato? Come si potrà convincere i potenti della terra (economici, finanziari e politici) a rinunciare al proprio disegno egemonico sul pianeta e sulla vita dello stesso? Non lo si potrà certo fare se guardiamo, ad esempio, a come la maggioranza degli elettori nel nord e nel sud del pianeta si sta esprimendo. Si premiano candidati e forze politiche che fanno della cementificazione, della distruzione del territorio dello sfruttamento intensivo e pronta cassa delle risorse e delle fonti energetiche non rinnovabili la propria Bibbia. I Salvini in Italia, Ii Trump in America e i Bolsorano in Brasile ne sono solo gli ultimi e più rappresentativi esponenti. Rappresentano esattamente e senza gli infingimenti cui altri ricorrono, lo spirito predatorio ed egoista del peggiore essere umano. Visione in cui si privilegia il singolo, il suo egoismo, la competizione anziché valorizzare una visione, meno gratificante per il singolo ma drammaticamente necessaria, basata su rispetto, solidarietà, equilibrio tra gli esseri umani e l'ambiente tutto.
Questo sarebbe il compito storico che toccherebbe alla sinistra e a chiunque abbia nel pensiero solidale e altruistico il faro nella propria vita.
Purtroppo è un compito storico che, a questo punto possiamo definire tranquillamente in gran parte fallito. E, con altrettanta certezza possiamo certificare che non c'è alcuna capacità o voglia di prenderne atto.
Dodici anni, ma fossero anche cento, per l'universo sono meno di un battito di ciglia. Per la Terra, i suoi abitanti e il genere umano sono l'attuale limite tra la possibilità di continuare a vivere o scegliere, invece, un suicidio collettivo.
Ad maiora!

MIZIO


sabato 13 ottobre 2018

LA' DOVE PISCIANO I CANI

Ci sono più cose negli spazi bianche fra le righe che nelle parole scritte.


Breve estratto iniziale di un testo, in gran parte autobiografico che prima o poi vedrà la luce!




La' dove adesso portano a pisciare i cani, ho dormito io. Sembra impossibile che un prato, fortunatamente diventato un parco strappato alla speculazione edilizia, possa aver ospitato, neanche troppi anni fa, un'intera comunità. Una comunità che è stata per gli anni dell'infanzia anche la mia. Le maestose rovine degli acquedotti con la loro presenza millenaria ci facevano da scudo e da riferimento. Quello che oggi distratti running con l'occhio fisso sul cardiofrequenzimetro e coppie in cerca di tranquillità vedono come un angolo in cui rifugiarsi per sfuggire al caos dell'incombente città era il nostro habitat. Il panorama creato dalle fila dei palazzi che nascevano come funghi alterando continuamente la skyline, erano il nostro orizzonte e il nostro confine. Fortunatamente alle spalle si stendeva ancora la campagna romana che tentava di resistere alle bramosie dei palazzinari e porgeva la mano ai primi declivi dei Colli Albani. Campi di grano, vigneti, pinete erano la nostra savana e la nostra Amazzonia. Nulla chiedevano e molto davano, compresi i bagni nella marrana che allora era limpida e non insozzata da mille schifezze, in cui facevamo conoscenza sul campo e senza insegnanti di pesci, rane, tritoni e rettili. Ogni metro quadro è stato testimone di qualche nostra avventura. Ogni albero ha conosciuto il nostro stupore e la nostra, anche crudele, innocenza. Innocenza messa, presto a dura prova dall'incontro, che inevitabilmente diventava scontro, con l'habitat meschino, razzista e snob della piccola e media borghesia che, intanto progressivamente, si avvicinava. Eravamo i figli dei sottoproletari, eravamo gli zingari, come con disprezzo ci chiamavano. Eravamo i figli delle ultime vittime della guerra i cui genitori avevano faticato più di altri per rimettersi in piedi. Cui si erano aggiunti nel frattempo i figli degli emigranti dall'Abruzzo, dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Calabria, finiti relegati ai margini della grande città bisognosa di mano d'opera. La storia, anche ripensando all'oggi, alla fin fine racconta sempre sé stessa anche se con interpreti diversi. Ero circondato da figure come quelle descritte da Pasolini, cinici, sfrontati, costantemente sopra le righe, potenzialmente anche violenti ma fondamentalmente disarmati nella tragica impotenza a fronte di un mondo che cambiava troppo in fretta per i loro semplici schemi di lettura e capacità di decodifica.
In questo humus poteva nascere, e sarebbe stato anche comprensibile, un mix esplosivo di rabbia, di voglia di rivalsa a tutti i costi e anche di violenza cieca. Per fortuna, come cantava anche il grande Faber, dal letame nascono soprattutto fiori. Nello specifico, grazie anche a figure fondamentali nella nostra crescita sono nati molti fiori mossi dalla voglia giustizia e non di vendetta, dalla smania di conoscenza, dalla ricerca di un riscatto in termini di conquista di dignità e coscienza. Fiori che nel tempo si sono, quasi naturalmente, trasformati in impegno sociale, politico, per alcuni anche religioso ma, per tutti, fondamentalmente in un continuo tentativo di costruzione di un mondo in cui non ci siano classifiche di merito, ma solo persone con i loro sogni e i loro bisogni.
E di questo cammino di ricerca e conquista, non facile e irto di ostacoli, con molte dolorose cadute  e altrettanti momenti entusiasmanti che cercheremo di parlare. Ne parleremo non certo con la voglia o la presunzione di insegnare alcunchè, convinti come siamo, che l'avventura della vita sia per sua natura solitaria e non trasmettibile, se non a grandi linee.

MIZIO

lunedì 27 agosto 2018

FORSE AVEVA RAGIONE ECO!

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Ho vissuto molte stagioni politiche complesse, comprese quelle, anche se molto giovane, del terrorismo nero e degli aspri scontri sociali, ma mai ho avvertito questa fastidiosa sensazione di impotente solitudine. Mai avevo visto i peggiori istinti prendere il sopravvento sul ragionamento e sul confronto anche se di livello non eccelso. Lo scontro dialettico, e non solo, col potere borghese pur nella sua asprezza, si poneva su un livello di qualità e profondità neanche paragonabile a quello attuale. Non so se ciò derivasse da un'errata e personale percezione del momento o, se veramente, tutto è cambiato troppo in fretta e non abbiamo più gli strumenti idonei per comprendere ciò che sta avvenendo.
La stagione berlusconiana con l'avvento e la supremazia dei messaggi delle sue televisioni ha avuto sicuramente la sua importanza. Il successivo avvento di internet, dei social, ha cambiato radicalmente la comunicazione che è diventata diretta, personalizzata non più mediata lasciando ognuno solo nella capacità o possibilità interpretativa.
Quando Eco attaccò i nuovi strumenti di comunicazione io non fui d'accordo col suo pensiero, considerando la sua una posizione snobistica ed elitaria contrapposta alle grandi potenzialità e libertà che i nuovi mezzi democraticamente mettevano a disposizione di tutti.
Oggi, forse, sarei un pochino più riflessivo nel considerare totalmente positiva la libertà concessa ad ognuno di trasformarsi facilmente e impunemente in veicolatore di false informazioni, di meschine interpretazioni che, se prese singolarmente possono anche far sorridere, quando diventano seriali e di massa aumentano a dismisura il potere di condizionamento orientando l'opinione e solleticando i peggiori istinti di quello che prima non era ancora un popolo e che adesso si è trasformato nella versione più volgare di ggente.
C'è chi, questo l'ha capito molto bene e molto prima di altri e, oggi ne rappresenta anche politicamente il frutto.
Ad maiora


MIZIO

martedì 21 agosto 2018

COMUNISTA? MA VA LA'...

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Qualcuno, anzi più di qualcuno si stupisce del fatto che ci siano persone, che ancora si dichiarano comuniste. E' vero che in genere questa riflessione la fa chi comunista non è mai stato, anzi, e quindi parte da una posizione preconcetta. Però la domanda è legittima e merita, se non una risposta, una riflessione. Riflessione che provo a fare ponendo un'altra domanda? Perchè oggi non ci si dovrebbe più dichiarare comunisti? Perchè ci sono state esperienze storiche che in nome del comunismo hanno avuto tratti dittatoriali e violenti? Giusto!
Forse perchè gli eredi, (autodefinitesi tali) di un grande partito comunista in Italia, oltre il nome hanno cambiato progressivamente anche politica rendendosi complici e artefici di quelle stesse politiche che anni prima si combattevano? Certamente vero! Qualcuno potrebbe forse affermare il contrario?
Forse perchè il comunismo ha sempre avuto un' intellighentia e, in generale, gran parte del mondo della cultura che simpatizzava e flirtava con esso (almeno in Italia) suscitando comprensibili invidie e frustranti complessi d'inferiorità?
Anche questa potrebbe essere una parte di spiegazione.
Però, al di là delle semplificazioni che tanto vanno per la maggiore in questo periodo di oscurantismo di coscienze, prima che politico, proverò a spiegare perchè alcuni, e nello specifico me stesso, si ritengono ancora comunisti e ne rivendicano con orgoglio l'appartenenza.
Ovviamente molto parte dall'ambiente di provenienza e da un habitat familiare e sociale idoneo alla confidenza con i termini e i relativi significati . Ma questo non sarebbe certo sufficiente, essendo il conflitto generazionale e familiare, uno dei primi segnali di indipendenza con la quasi naturale messa in discussione dei principi e delle idee genitoriali e soprattutto negli anni '70, quelli della mia adolescenza.
Essere comunisti è prima di tutto uno stato emotivo, non saprei come altro spiegarlo. E' un modo d'essere, è una sensibilità che fa soffrire sulla tua pelle le ingiustizie da chiunque subite, anche a centinaia di chilometri di distanza. E' un mettere e un mettersi continuamente in discussione, visto che l'essere comunisti ti obbliga a confrontarti costantemente con il mutare degli eventi, delle situazioni, delle problematiche. L' essere comunista (da non confondere con l'iscrizione fideistica a questo o quel partito) ti pone costantemente di fronte a domande cui si cerca sempre di dare le migliori risposte possibili. Che non sono, quasi mai, quelle più istintive e più semplici. Il comunista medio, in genere la domanda che si pone più spesso è: "dove ho sbagliato? Cosa non ho capito? Cosa non sono riuscito a fare?". Perchè l'aspirazione prima è sempre quella di riuscire a fare le cose al meglio. Ed è, questa la dannazione e al tempo stesso la fascinazione dell'essere comunista. Il doversi confrontare costantemente con la frustrazione di non essere riuscito, non solo a risolvere eventuali questioni, ma anche a farsi capire. E, conseguentemente a renderne conto alla propria coscienza.
So benissimo che per molti che si definiscono comunisti è più che sufficiente il definirsi tale e inalberare retoricamente simboli e slogan che ci riportano a miti e tempi migliori. Ma questo attiene alla nostalgia, al rimpianto tipico del "si stava meglio quando si stava peggio" e ad aspetti consolatori più che politicamente significativi.. Aspetti che rientrano sempre nell'ambito emozionale e sentimentale ma che non sono, da soli, quelli utili a definire o definirsi comunisti.
Molte volte, specialmente nel passato era comune mettere a confronto l'essere comunista con l'essere cattolico o, comunque con la religione per quel tanto di adesione fideistica che veniva richiesta a chi aderiva. Pur se le numerose scissioni, e divisioni che hanno attraversato i movimenti e i partiti comunisti hanno poi dimostrato, che non era proprio così, una certa similitudine è comunque, possibile applicarla.
Perchè, anche se molto divide i due mondi, in tanti, soprattutto chi si dedica ad attività caritatevoli e di solidarietà (pur nella differente visione e prospettiva) scatta la stessa molla emotiva e sentimentale. Solo che in un caso, quello del religioso, non fa scattare poi, lo step successivo, quello dell'indignazione e dell'adesione ad una teoria e prassi che ci porta a definirci comunisti, non ritenendo sufficiente il solo atto caritatevole. Lodevole quanto si vuole ma che non cambia significativamente i ruoli e i posti assegnati nel mondo.
Ovviamente molto altro ci sarebbe da dire e da scrivere sull'argomento ma spero che, queste poche righe e queste riflessioni aiutino qualcuno a chiarire, almeno in parte, il misterioso motivo per cui, nonostante tutto, ci siano ancora persone che si ostinano a definirsi comunisti rischiando sberleffi e pernacchie (e qualche volta anche qualcosa di più).
Ad maiora

MIZIO

lunedì 20 agosto 2018

La mancanza del “limite” e il dissolvimento del desiderio


Pubblichiamo un altro prezioso contributo del Dott. Maurizio Santopietro con un suo particolare punto di vista sull'evoluzione dei rapporti e la sessualità.


E’ profondo l’interesse, di grande parte della gente, per l’Amore, (nella manifestazione prevalentemente sessuale o di coppia), per la Salute (concepita come assenza di malattie), per il Danaro (come fonte di potere, di successo personale e sociale), così come vengono considerati generalmente nel nostro Paese. Questi argomenti affascinano talmente tanto che i cosiddetti “operatori dell’occulto” costruiscono intere fortune e, considerando che nel mese di dicembre * abbondano le richieste di previsioni, di oracoli, di predizione del futuro, mi sembra utile ragionare su questi temi, tentando una diversa argomentazione. Nel campo dell’Amore, ad esempio, o più precisamente nell’espressione sessuale, sembra (apparentemente) paradossale come, in un periodo di disinibizione culturale (video, grafica, cinematografica, televisiva, ecc…), aumentino i disturbi da “mancanza di desiderio sessuale”. Disturbi che difficilmente si manifestavano, o di cui non si sentiva parlare prima degli inizi settanta. La morale dominante relativa alla sessualità era condizionata fortemente dalla concezione religiosa, spingendo verso una mentalità “bigotta”, almeno nelle relazioni pubbliche, dal momento che fungeva da vero e proprio tabù sociale. La sessualità era “giustificata” in funzione della procreazione, all’interno del rapporto coniugale, cosicché ogni altra variazione “sul tema” apparteneva ad ambiti “immorali”, legati a concezioni “perverse”. Senza però voler entrare nel merito del giudizio morale in modo specifico anzi, limitando il raggio delle valutazioni secondo altri punti di vista, si noti come emerga, nei confronti del periodo “presessantottino”, una profonda diversità di modelli comportamentali esibiti nell’esecuzione dei rituali del corteggiamento, per quello della “prima volta”, per l’incontro a scopo sessuale. Queste condotte sociali richiedevano tempi nettamente più lunghi, rispetto a quelli attuali, per realizzare il fine principale, costituito appunto dalla gratificazione sessuale. In queste epoche snaturale” deterrente contro la perdita di desiderio. Allora il punto da dibattere diventa il seguente: esisteva già tale forma di disturbo sessuale, oppure non era rilevato? O non se ne era a conoscenza? Di fatto la concezione inibitoria implicita nel costume sessuale dominante, rendeva l’esperienza intima, altamente privata, quasi segreta e profondamente desiderata. Se così fosse, sarebbe proprio il ”tabù sociale”, il “modulatore” della ricerca al soddisfacimento del piacere sessuale! Infatti, in quanto “limitato” dal contesto socio-culturale (periodo di “repressione istintuale”), il piacere sessuale sembra allora essere legato, entro una certa misura, al “piacere di trasgredire” e al “piacere della conquista” (il premio). Ai nostri giorni accade, infatti, esattamente l’opposto, i “contatti” eterosessuali sono iperfacilitati e la consumazione del comportamento sessuale avviene in tempi molto più rapidi, inoltre il confine del limite morale, legato all’esperienza sessuale, si sposta troppo rapidamente, da non permettere adeguati processi di assimilazione e di accomodamento del sistema di “credenze” individuale. In seguito a tali cambiamenti di costume, cade in modo drastico e improvviso il “limite”, assieme alle ideologie che culturalmente lo legittimava, e assieme altri fattori fra cui: a) l’emersione di modelli morali “libertini” (da quello naturalistico dei “Figli dei Fiori” quello consumistico della “prestazione”); b) l’accentuazione dell’ansia di “prestazione” (soprattutto maschile); c) il cambiamento del ruolo sociale della donna e dell’uomo; d) la scoperta della sessualità femminile, di cui (quasi) nulla si sapeva, e che ha spiazzato il maschio, ex “dominatore”, soprattutto in rapporto al punto precedente. Tutto ciò ha concorso alla produzione di problematiche relazionali-sessuali difficilmente prevedibili in termini epidemiologici, considerando la liberalità dei nuovi approcci alla sessualità. E’ probabile che il processo culturale di ridefinizione del costume sessuale sia avvenuto in modo “traumatico”, sia rispetto al criterio temporale (lasso di tempo molto breve, per un processo di assimilazione compatibile con il ritmo di interiorizzazione psicologica), sia concettualmente (le credenze, secolarmente consolidate, difficilmente sono sostituibili nello spazio di poche generazioni). Tutto ciò ha provocato, secondo me, una profonda “rottura delle abitudini” storicamente acquisite, tra i modelli emergenti e la risposta individuale, causando un certo disorientamento verso il modo di vivere l’esperienza sessuale. In altre parole, si sarebbe creata una grande spaccatura tra la nuova e la veccia concezione culturale (ogni cambiamento è una naturale crisi), e tra i “nuovi costumi sessuali” e i modelli psicologici individuale (sistema di credenza personale). Del resto, le vecchie concezioni morali possedevano “proprietà statiche”, avendo avuto una durata per generazioni e generazioni, conferendo quindi stabilità di ruolo, di aspettative, generando sicurezza psicologica; al contrario, i tempi tecnologici condizionando continuamente le nuove concezioni (si pensi alle tecniche di contraccezione, a internet, alla realtà virtuale, ecc..), e spostando repentinamente i confini morali della sessualità, estremizzandoli (lo scambio di coppia è un opzione una volta impensabile, ad esempio), producono effetti ansiogeni e incertezza. Sul piano proprio del costume diventa più difficoltoso discriminare il “lecito” dall’illecito e tra ciò che è sano e ciò che è “malato” (ad esempio, l’omosessualità, che riguarda la scelta dell’”oggetto sessuale” adulto, era considerata, ancora decenni fa, una “patologia”), e così via. I “limiti”, per l’elevato grado di incoerente complessità della nostra vita socio-economica, non sono più identificabili come una volta, e non solo nello specifico ambito sessuale, ma anche nella sfera a) dell’educazione pedagogica (bambini che non ricevono più sufficientemente “no”, che non provano più piacere dei continui giocattoli ottenuti senza “merito”); b) in quella alimentare (come nel caso dell’anoressia, caratterizzata dall’“assenza” di desiderio del cibo, o del suo contrario, la bulimia); c) in quella civica (in cui l’emersione egoistica dell’Io non fa vedere il confine del rispetto per gli altri); d) in quella scolastica (in cui il ruolo dell’insegnante è sganciato dalla funzione pedagogico-educativa), ecc… Cadendo il limite si dissolve il relativo desiderio, e ciò contribuisce alla formazione di altri comportamenti sintomatologici delle diverse sfere comportamentali, infatti, venendo a mancare i vari “piaceri” , (cioè l’altra faccia del limite), si riducono i fattori di coesione delle funzioni e delle parti dell’Io. E’ opportuno perciò insegnare nell’educazione globale, un sano apprendimento dei “limiti”, al di là delle ideologie culturali di volta in volta dominanti.

Dott. Maurizio Santopietro



N.B.: L’articolo è già stato pubblicato da “L’attualità”, n.1 Gennaio 2004toriche, la “non facilità” a soddisfare il bisogno sessuale, sembra porsi quasi come una sorta di “

giovedì 19 luglio 2018

Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.

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Il complottismo si distingue da altre letture del mondo per una caratteristica ben precisa. Quello che si vede, si dice e si fa non è mai come appare. Ora se questa è la chiave di lettura non si capisce per quale motivo i neocomplottisti nostrani non riescano ad essere coerenti e consequenziali e si abbeverano senza riserve e senza discrimine alcuno ad ogni fandonia anche la più fantasiosa e improbabile ritenendo sempre troppo limitata la semplice verità. Questa cosa è talmente vera che i leader e i followers del neo governo pentaleghista se ne avvalgono senza ritegno, denunciando complotti e chissà quali secondi fini ormai in ogni dove.
Siamo veramente fortunati se dopo secoli di lotte, di guerre, di scontri ideologici tra grandi pensatori, filosofi e mistici abbiamo, nei nostri tempi, due forze politiche senza altra qualità che rabbia e incompetenza che ci aiutano ad andare oltre i sette veli di Maya.
Ora, tralasciando un'analisi, in quest'ottica, dell'intera storia dell'umanità che ci porterebbe molto (troppo) lontano, mi sembra persino banale affermare che dietro ogni scelta ci sia un disegno egemonico ben preciso. Un disegno che nasconde interessi di potere, di classe e di preminenza. Detto questo, però, avremmo fatto la scoperta dell'acqua calda e non porteremmo alcun contributo se non facessimo seguire scelte consequenziali che, nello specifico periodo storico che viviamo, non possono essere altro che scelte che vadano verso la ricerca di un riequilibrio economico e sociale tra le classi, tra gli individui, i popoli e l'ambiente tutto. Dalle mie parti si chiama comunismo, socialismo, solidarietà, internazionalismo, ambientalismo ma sono solo termini che rischiano di rimanere tali se dovessero essere solo enunciati e non trasformati in azioni e scelte concrete.
Il complottismo, invece, spesso, troppo spesso viene utilizzato per dividere, insinuare dubbi, paure, ansie che dovrebbero servire a denunciare e combattere il sistema ma che, se non inserite in una logica di cambiamento, oltre che individuale, anche sociale e collettivo rimangono fini a sè stessi facendo, alla fine, il gioco dei potenti e del sistema stesso.

MIZIO

venerdì 4 maggio 2018

ESTRANEI

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Quando nasci periferia della periferia, si rischia di partire già sconfitti, e, ovviamente, all'inizio non lo si sa. Si impara piano piano, dai discorsi dei genitori, dagli sguardi dei benpensanti, dai desideri che rimangono inappagati.
Lo si impara quando l'unica scelta è la strada di cui si deve imparare le regole non scritte, ma vive, palpabili, fin troppo  violente. Se non si riesce a vibrare armonicamente e in sintonia con quel mondo, ci si ritrova a scivolare verso un senso di estraneità a tutti suoni e colori che ti circondano. si comincia a sentire e far proprio uno stato di non appartenenza. Probabilmente troppo fragili e impreparati per quel paradigma. Sarebbe stato più facile fare come i tanti e assecondarne le aspettative. Tutto sommato sarebbe stato quasi naturale, per certi versi, forse, persino obbligato.  Certamente più difficile, complesso cercare di rimanerne fuori. Ma quasi mai è una scelta cosciente. E' un ritrovarsi a fare i conti con sè stessi. E', quasi, una condanna alla solitudine anche in mezzo alla folla. E' un essere messo costantemente e brutalmente alla prova. Come quando un dolore empatico  segnò l'infanzia per quel  vicino di banco cui morì  improvvisamente la madre. Talmente forte e insopportabile il rimbalzo del dolore da chiedere alla propria, di madre, e piangendo di cambiare classe. E anche quando si mise a repentaglio la propria incolumità per difendere un amichetto da una violenza gratuita e vigliacca. Erano più grandi e le si è prese, ma di fronte al dolore e alle ingiustizie, devo dire, il senso di estraneità, da sempre, vacilla.  Comunque, al di là degli episodi, non sapendolo ancora,  in quei momenti iniziava il personale percorso di riscatto. Riscatto che, per molti, è scalata sociale, riconoscimento economico e supina accettazione delle regole del vivere civile e borghese. Per il potenziale estraneo era sforzo di comprensione, lavoro sfibrante e continuo su sé stesso. Nonostante le innumerevoli sbucciature di ginocchia e rotture di denti per gli ostacoli non previsti e non prevedibili, su cui inevitabilmente si andava a sbattere.
Col tempo si capisce  che, anche,il senso di estraneità non può spingersi fino al punto estremo di affidare al caso e alle bizzarie della vita la propria incolumità, o comportare l' inazione rispetto le ingiustizie. Con pazienza si sono ricercati i migliori prodotti impermeabili da spalmare sull' anima. Creare una barriera fra la  pelle e il resto del mondo sembra essere necessario per girovagare nelle strade della vita. Strade che, più si cresce  e più aumentano di numero rendendo, conseguentemente, sempre più problematica la scelta di quella giusta:
Hai fatto la conoscenza con le suadenti sirene piazzate strategicamente su ognuna di esse, con le loro luci, i loro richiami, le loro sfavillanti promesse di felicità. Lo sforzo per resistere a quegli inviti sarebbe stato sicuramente superiore alle proprie forze, se non ci si fosse trovati fin da subito a coltivare l’estraneità. Coscienti di essere nel mondo con le sue regole incomprensibili, ma altrettanto decisi a non farsi travolgere dai suoi flutti e affondare nei suoi gorghi. Si è costretti, spesso, a scegliere l'ombra come condizione necessaria. Ai lati della strada, non come rancorosi e bramosi spettatori, come si sembra esser condannati, ma come coscienti e attenti osservatori. Solo apparentemente ai margini dell' ininterotto fluire vitale, perchè, altrettanto inevitabilmente, si è esposti anche agli schizzi di fango e.....di peggio.  D'altra parte non si è sulla terra per scivolare su di essa, ma per conoscere le sue impurità, le sue contraddizioni, i suoi limiti. Qui non potrai mai volare,  è vero, ma non è detto che l' unica alternativa sia affogare nella melma. Anche se è altrettanto vero che, qualche contaminazione, è inevitabile che ci tocchi e ci segni.
Nasciamo ignari e moriremo altrettanto ignari. Nei due momenti cruciali dell'esistenza siamo stati e saremo soli, ci accompagna, probabilmente, solo lo stesso senso di smarrimento e di angoscia. Ma tutto ciò che è in mezzo a questi due momenti deve essere conoscenza, ampliamento di coscienza, esperienze di equilibrio sentimentale da vivere con consapevole e apparente estraneità!

MIZIO