giovedì 24 marzo 2016

SORRY FOR ALL



Dopo i fatti di Bruxelles la penna, la lingua e l’anima sono rimaste mute. Cosa aggiungere al dolore, all’orrore, alla condanna che non sia stato già scritto, detto e ripetuto migliaia di volte dopo ogni violenza, ogni attentato, ogni guerra. Più si ripetono gli episodi  e più t’assale il senso d’impotenza non per cosa  fare, ma semplicemente per capire.
Gli attentati nel cuore della pacifica Europa ci colpiscono di più per la loro vicinanza e somiglianza con le nostre vite, ma non sono molto diverse dalle bombe che cadono improvvisamente dal cielo sulle case e sulle famiglie di altre città più lontane.
“Siamo in guerra signori”! Con quale sottile piacere perfido molti, per speculazioni ad uso e consumo proprio, si appropriano di una parola che dovrebbe essere cassata dal dizionario o perlomeno accompagnata dall’avvertenza “usare con cautela”.
Comunque se guerra deve essere che guerra sia .
E anch’io lo affermo: Siamo in guerra, certo che lo siamo, e da sempre. Siamo sotto attacco di un sistema che banalizza i diritti dei singoli e dei popoli. Che esporta democrazia sotto forma di sfruttamento, armi e importa disperati nelle periferie delle proprie città. Che, in nome di uno pseudo progresso, violenta distrugge e rade al suolo territori, annienta popolazioni, sfrutta le limitate risorse naturali attento più ai bilanci delle multinazionali che a quello di madre terra.
Che, a seconda delle circostanze e dell’interesse, usa Dio e le religioni, per scatenare guerre che diventano così, persino sante.
Chiudere le frontiere, espulsioni di massa di poveri disgraziati che scappano da altre guerre e da miseria e fame, queste le ricette e le proposte dei guerrafondai e delle menti chiuse nostrane. Ovviamente, senza rinunciare a qualche azione dimostrativa, umanitaria e democratica a colpi di raid aerei, bombardamenti o di golpe per esportare il concetto di libertà e democrazia (ovviamente il loro).
In questo quadro, siamo chiari, non molto si può fare, se non sperare nella fortuna o nella provvidenza, oltre, ovviamente ad un lavoro di intelligence e prevenzione che, però, abbiamo visto, non sempre arriva in tempo o è in grado di prevenire adeguatamente.


Possiamo, però, intanto risparmiarci di ascoltare e seguire gli sciacalli che, casualmente, a Bruxelles per timbrare il cartellino e non perdere la diaria, si fanno interi servizi fotografici sulle disgrazie altrui. Possiamo lottare e impegnarci per cambiare la logica e le priorità del sistema imperante per poter aspirare, in futuro, ad un suo superamento. Possiamo spingere, ognuno nel suo ambito, affinchè vengano interrotti i fili che legano gli assassini ai nostri interessi (commercio di armi e petrolio, sfruttamento del lavoro).
Possiamo chiedere ai nostri governi che parte delle immense risorse utilizzate per le guerre, venga, invece dirottato per il miglioramento delle condizioni di vita dei paesi e delle popolazioni pià arretrate.
Possiamo pretendere che con l’alibi della sicurezza non ci vengano tolte o limitate libertà individuali e collettive.
Si dirà, e anche giustamente, che tutto questo prevede tempi lunghi che mal si assemblano con la frenesia e le logiche del moderno pensiero che ci vuole impegnati in una corsa frenetica e insensata verso chissà dove, ma non riesco ad immaginarne uno migliore
E non per voler essere  buonista o pacifista a tutti i costi, che ormai nella percezione collettiva sono assimilati ad offese mortali, ma sono riflessioni improntate a concetti di semplice buon senso derivanti dalla costatazione che altri sistemi, in primis le guerre e la divisione competitiva in classi della società, hanno fallito miseramente.
Proviamo ad essere solidali, a ritenerci simili, sia pur nelle diversità, e lottiamo per questo, hai visto mai?
Ad maiora


MIZIO

giovedì 17 marzo 2016

QUANDO TI SERVE UN LEADER NON LO TROVI MAI!



Le idee ci sono, forse pure troppe. La voglia non manca di certo tra i compagni anche i più fiaccati dagli avvenimenti degli ultimi anni. Sappiamo tutti e siamo tutti, o quasi, consapevoli di ciò che non si vuole.
E allora cosa è che manca e ci rende così disperatamente fragili e ininfluenti?
Io non ho mai amato i leaderismi, sono stato per carattere, attitudine ed educazione a non allinearmi mai con alcuno a prescindere.
Mi piace valutare, poter esercitare critiche costruttive, confrontarmi e arrivare ad ammettere anche di aver sbagliato, laddove lo ritenga necessario. Si chiama onestà intellettuale, niente di nuovo sotto il sole. 
Ma, forse, quello che manca veramente, e lo dico con rammarico perché rappresenta un limite per tutti noi, è un leader.
Un leader che sia credibile, affidabile, convincente, che non possa, da parte di chi lo segue, essere minimamente sospettato di agire e promuovere se stesso anziché il movimento che rappresenta. Avulso dai classici schemi che vanno tanto di moda ultimamente, per cui il politico deve essere prima di tutto abile nel “fregare”(passatemi il termine) il prossimo, piuttosto che il terminale che più rappresenta e incarna un sentire collettivo. 
Un leader, ad esempio, non può essere chi tende a dividere anziché ad unire, non può essere colui cui manca la capacità d’ascolto perchè già troppo compreso e impregnato nel suo pensiero. Deve rappresentare, con la sua sola presenza, una storia collettiva e personale cui non sia necessario appecoronarsi acriticamente, ma in cui sia naturale e appagante il riconoscersi. Non deve corrispondere forzatamente ai miti della bellezza e della gioventù, anche essi figli di tempi dal pensiero corto, Pepe Mujica, certamente non avrebbe mai vinto un concorso di bellezza, lo stesso dicasi di Enrico Berlinguer o di altri. Cosi’ come abbiamo esempi più recenti Tsipras, Iglesias, Sanders, Aung San Suu Kyi,  il cui il solo entrare in una stanza faceva e fa sospendere il respiro collettivo.
Nel recente passato possiamo ritrovare qualche sparuto tentativo di corrispondere a tale profilo, pensiamo ad esempio al nobile tentativo di Nichi Vendola capace di ammaliare e coinvolgere migliaia di giovani in un sogno collettivo, ma, andandosi poi, ad incagliare con l’incapacità di mantenere quella tensione ideale in grado di farlo rimanere connesso con un sentire collettivo che, nel frattempo, sbandava di fronte a mutamenti troppo rapidi e di difficile lettura. 
Ovviamente il leaderismo cui faccio riferimento io, non è, e non lo potrebbe, essere quello intriso di autoritarismo e di snobismo (es. D’Alema, cui ancora alcuni riconoscono capacità e furbizia da me mai riscontrate nè apprezzate).
Oggi, in Italia, se devo pensare ad un leader, non posso che pensare a Papa Francesco.
Ovviamente, non perché ne condivida l’impostazione o i messaggi (non sono notoriamente frequentatore di parrocchie e sagrestie), ma perché è l’unico che sappia , con la forza e la semplicità necessaria, condensare e rappresentare il pensiero collettivo di tutti i sinceri cristiani. Per i distratti, ripeto che non sto parlando del merito , ma del metodo e del carisma personale che, o lo hai o non puoi certo costruirtelo, e lui, bisogna riconoscerlo, ce l’ha. Cosa bisognerebbe fare, allora per trovare il leader che manca?
Niente di particolare, perché, come nel gioco del calcio, non puoi diventare Maradona se non lo sei. Quello che possiamo e dobbiamo fare è evitare di subire fascinazioni esistenti solo nelle nostre più recondite aspettative, evitare di sostenere aprioristicamente tizio o caio solo perché affabulatore o perchè ha un’immagine spendibile. Costruire pazientemente un percorso onesto, coinvolgente, alternativo, capace d’attrarre anziché respingere, scevro da lotte intestine di potere mascherate da divergenze d’ opinione, corretto, coerente e finalizzato ad un obiettivo comune e non personale. 
Se saremo capaci di fare questo, se saremo onesti prima di tutto con noi stessi creeremo quel substrato comportamentale ideale per una crescita collettiva che renderà più probabile la nascita del nuovo Maradona della sinistra italiana.

Nell’ attesa cerchiamo di giocare al meglio come squadra, perché, comunque sia, l’obiettivo rimane sempre e comunque la vittoria.
Ad maiora

MIZIO

domenica 6 marzo 2016

SCIOLGO, ROMPO OPPURE......



In alcuni rari momenti liberi che la vita mi concede amo, a volte, andare a pesca. L’intento principale di tale attività non è tanto quello della cattura, in verità non troppo frequente e quasi sempre restituita al suo elemento naturale con l’avvertenza di essere più accorta la prossima volta, ma il piacere quasi zen di passare qualche ora a contatto con la natura e, fondamentalmente, con se stessi.
Comunque uno degli eventi più frequenti nell’attività piscatoria con la canna e la lenza è il formarsi di quell’inestricabile groviglio di fili piombi e ami che, nel gergo, viene chiamato parrucco o parrucca. Può verificarsi per l’imperizia del pescatore, per un colpo di vento improvviso per la presenza di rami e alberi sommersi, il risultato comunque è qualcosa che mette a dura prova la nostra pur proverbiale pazienza
Di fronte al parrucco ci sono due alternative principali, più una terza che illustrerò in seguito. Una prevede il paziente lavoro di scioglimento dell'apparentemente inestricabile susseguirsi di nodi, teso soprattutto alla salvaguardia del materiale ed evitare un inutile spreco di attrezzatura e soldi. L’altro, più radicale prevede di rompere il tutto e ricostruire la lenza daccapo. La scelta tra le due ipotesi dipende molto dalla difficoltà nello sciogliere, dalla sensibilità individuale allo spreco, ma soprattutto dall’esperienza pregressa maturata in situazioni simili e cui si risponde fondamentalmente con le proprie caratteristiche caratteriali.
Quindi l’alternativa è in genere tra rompere e buttare il tutto o tentare di recuperare e salvare il salvabile.
Vi chiederete il perché di questo esempio apparentemente senza senso, ma perché c’è racchiuso gran parte di quella che può essere la vita dell’essere umano in qualsiasi ambito della stessa. Quante volte ci si trova di fronte ai bivi difficili, faticosi da districare della nostra esistenza. in cui dobbiamo scegliere se cambiare tutto o se mantenere valorizzandolo il buono che rimane di ogni cosa. La scelta in questi casi non può che dipendere dal carattere, dalla visione, dall’esperienza che fa di ognuno di noi un essere assolutamente unico e non replicabile.
Ovviamente questo vale anche in politica, quante volte si ha la voglia di fronte all’incapacità di capire o di farsi capire di scegliere la via più facile e diretta del buttare tutto  a mare o, al contrario, di ostinarsi a voler ricucire e salvare il più possibile di esperienze precedenti anche a fronte di un’indiscutibile impossibilità a farlo?
Quale delle due strade è la migliore o la più praticabile?
Non sarò certo io a indicare la strada migliore e valida in ogni occasione o per ognuno, le valutazioni le potrà fare solo il singolo in base alle  risultanze della sua esperienza, della sua visione, delle sue aspettative. Ma qualsiasi essa sia non può essere sottoposta alla critica e alla condanna preventiva, soprattutto  se fatta in mala fede.
Dicevo prima che c’è anche una terza possibilità ed è quella che in molti, decisamente troppi, hanno fatto e fanno in questi anni, quella di smettere di pescare. E’ la più radicale, forse anche la più comprensibile ma quella che sicuramente non permetterà di pescare nulla, accontentandosi, nel migliore dei casi di restare sulla riva a guardare.
Anche questa, ovviamente, al pari delle altre due, è una scelta rispettabile nella misura in cui non si ponga come elemento di disturbo e di boicottaggio  per chi sceglie, nonostante tutto di continuare a pescare sciogliendo con pazienza i nodi o, al limite, anche spezzando tutto e ricominciando da capo.
Ad maiora


MIZIO

mercoledì 2 marzo 2016

BENVENUTO TOBIA MA...

Risultati immagini per diritti civili

Ho riflettuto a lungo prima di imbarcarmi in una disamina e in un’analisi, che non sia legata a pregiudizi e che non preveda necessariamente un pro o un contro, ma possa lasciare spazio a riflessioni non solo etiche e morali che, in quanto tali, attengono alla più intima delle sfere. Mi riferisco, ovviamente, alla nascita del figlio di Nichi Vendola, e del suo compagno, con la maternità surrogata, pratica vietata in Italia ma legale e permessa in altri paesi come gli USA.
In una società come quella italiana in cui sono stati annichiliti e azzerati i chiaroscuri, la vicenda ha subito preso la strada della disputa, non ideologica, ma di schieramento e di contesa, con tifosi, a prescindere, a favore o, altrettanto a prescindere, contro (Questi, ovviamente favoriti dal poter utilizzare tutto il più becero repertorio omofobo, fascista e qualunquista che tutto accomuna buttando nel tritacarne della polemica il privato e il politico). 
Premetto subito che auguro a Tobia, il neo arrivato, di crescere e vivere circondato dall’amore. E che questo, sia poi rappresentato da due papà, da due mamme o da altre combinazioni, poco importa e ancor meno ci vorrei ragionare. Altrettanto ovvi e scontati auguri ai neo genitori e alla donna che ha venduto? Prestato? Non lo sappiamo, il suo corpo per raggiungere lo scopo.
Vorrei, invece, puntare l’attenzione sulle responsabilità e sulle conseguenze che, le azioni nel privato di personaggi pubblici, soprattutto quando vengono, poi, megafonate e rilanciate con grande evidenza, possano comportare nei confronti di processi politici e sociali di cui, e in cui, si hanno responsabilità evidenti e rilevanti.
Il compagno Nichi, ha fatto le opportune valutazioni, dell’impatto che avrebbe avuto il suo gesto? Non era, forse, il caso di viverlo con una maggiore sensibilità sia politica che personale, relegando, non certo per vergogna o imbarazzo, ma per sensibilità la sua scelta all’interno del recinto degli affetti più stretti?
Certo, qualcuno potrebbe osservare che, in questo momento storico in cui si tenta di far avanzare la società italiana, anche in tema di diritti civili, forse l’intento era quello di una provocazione a dimostrazione di quanto possano essere oscurantiste e sciocche le posizioni di chi si oppone a far avere agli italiani gli stessi diritti dei paesi più avanzati.
Giusta riflessione ma, accanto a questa ce ne possono essere molte altre decisamente meno “nobili”.
Un leader politico, peraltro molto apprezzato e apprezzabile negli ultimi anni per l’acume politico, per la capacità d’interpretare, rappresentare il diritto alla felicità d’ognuno, il tutto raccontato dalla sua indubbia capacità dialettica, non può permettersi di perdere di vista l’interesse collettivo, se non dopo aver abbandonato la scena pubblica, per dedicarsi al proprio privato.
Il privato è politico e, quindi pubblico, concetto ampiamente dibattuto e sviscerato negli anni in cui la passione politica cominciava a non dipendere più da dettami ideologici ma da comportamenti e scelte coerenti anche, se non soprattutto, nel proprio vissuto personale.
Quindi non si può, onestamente non sottolineare che questa tematica già sul tavolo delle prospettive politiche più progressiste, possa trovare un rallentamento o, addirittura, un impedimento dall’enorme esposizione mediatica data all’evento.
Qualcuno potrebbe dire: “Almeno se ne parla”. Certo ma le argomentazioni a favore avrebbero potute essere  senz’altro più motivate sul tema specifico piuttosto che inquinate da tutto ciò che è stato  cucito sulla figura di Nichi oscurando il motivo reale del contendere per evidenziarne gli aspetti più legate al suo ruolo arrivando anche a speculare sulle sue possibilità economiche sicuramente un po' superiori alla media di un normale salariato .
In questo momento storico in cui un nuovo partito della sinistra è in una fase delicata e faticosa di costruzione, oltre le incomprensibili ai più, vicende milanesi, non si avvertiva il bisogno anche  di un’esposizione mediatica in cui il leader carismatico di una delle forze fondatrici non sceglie un’opzione di basso profilo per una vicenda e una scelta che, come detto all’inizio, sarebbe stato preferibile  fosse contenuta all’interno della propria cerchia affettiva.
Non mancherà occasione di ritornare a parlare sull’argomento delle maternità surrogate, argomento da trattare con le molle per le molte implicazioni, etiche, morali, sociali religiose che comporta. La vicenda Vendola le ha, purtroppo, banalizzate e rese argomento da becero tifo da stadio.
Non prendete la mia disamina come una mancanza di rispetto nei confronti del presidente di quello che è ancora per poco il mio partito, ma c’è sempre, prima del singolo, sia pur prestigioso e meritevole, l’interesse dei tanti che si sbattono e si impegnano e degli altri, ancora più numerosi, che si dovrebbero rappresentare e conquistare ad una visone decisamente più larga.
Concludo ribadendo il benvenuto a Tobia e gli auguri a tutti i soggetti interessati, perché una vita che si affaccia sul mondo è pur sempre un evento da salutare sempre con gioia, magari meno urlata.
Ad maiora


MIZIO