mercoledì 22 novembre 2023

PATRIARCATO E DINTORNI

 Ripeto che il dibattito suscitato dalla morte della povera Giulia è perlomeno stucchevole. Almeno secondo me. Non serve il puntare il dito in modo indiscriminato. Non serve  scavare un fossato incolmabile e incomprensibile ai più tra generi e gruppi di persone. Non serve una graduatoria di buoni e cattivi a prescindere. Se accanto all'analisi politica, sociale e storica non si affianca quella indispensabile e  riferita ad una natura umana che sappiamo imperfetta. Natura di cui ignoriamo fondamentalmente, origine e finalità ultime, si rimane in mezzo al guado. Un guado che oltre non risolvere alcunché, aggiunge problematiche ulteriori. Vedo attacchi concentrici e anche bipartisan ad un cosiddetto patriarcato. Concetto che, di fatto, in larga parte della popolazione di questi tempi sembra, almeno nel suo

senso più deteriore abbondantemente non più rispondente alla realtà.  C'è piuttosto, sempre più presente ed esaltata la logica del più forte. Logica che poi si  ritiene "normale" affermare anche con la violenza. Sia essa fisica, che economica, sociale o di genere. Questione che, se è assolutamente vero  per alcuni aspetti essere più presente nella componente maschile, risulta però, laddove le condizioni lo permettano, anche assolutamente trasversale. Nel bullismo, ad esempio, così diffuso, sembrano non esserci differenze e limiti sostanziali tra chi lo esercita. L' affermazione e riconoscimento del sé attraverso la logica del gruppo che passa dallo svilimento e umiliazione del più  debole. Di qualsiasi genere questi sia. Magari su qualcuna/o più di altri perché visti più deboli e facili. 

Altro esempio, nei rapporti di lavoro spesso non è certo il genere a modificare i rapporti e gli abusi del potere e il ricorso all'uso della forza derivante dalla posizione. (In questo caso non fisica)

Certo si può affermare che questi siano esempi che possono essere analizzati e riportati più facilmente all'interno di un dibattito e di un posizionamento per una loro modifica . Come, altrettanto ovviamente, di fronte ad una morte innocente, l'approccio non può che essere diverso. Ma, pur nella diversità e nel maggiore sconquasso emotivo derivante, non può e non deve mancare mai la lucidità necessaria per un'analisi serena tesa alla ricerca del necessario equilibrio.  Pare, invece, anche in questi casi prevalere una logica di schieramento aprioristico, piuttosto quella che sarebbe necessaria e più funzionale. Credo che la società nel suo complesso debba e possa mettere in piedi misure di contenimento di tali fenomeni, oltre che mettendo in discussione sé stessa e la propria natura, anche sgombrando il campo dalla faciloneria e semplificazione con cui,  in genere, si è  portati a ricorrere in tali situazioni. Necessario introdurre modelli educativi e relazionali diversi sia nelle istituzioni preposte che negli ambiti familiari, ovviamente Ma quelle stesse istituzioni e le famiglie per poter esercitare a pieno tale esercizio, non potrebbero che farlo in un contesto sociale, economico e politico completamente diverso che lo renda compatibile e proficuo. Come potrebbe essere altrimenti se, accanto alla buona volontà dei singoli, corrispondesse poi, un ambiente attorno in cui fosse esaltata la competizione, il merito e conseguentemente la logica del più forte (migliore) cui si accennava prima?

E, comunque, sappiamo già che, oltre tutto quello che si potrebbe e si dovrebbe mettere in campo, ci sarà sempre quel tot di imponderabilita' e imperscrutabilità dell'animo umano. Quegli aspetti che potrebbero, nonostante tutto, ancora dar vita a episodi anche tragici. 

Il patriarcato, se lo vogliamo definire così non è, almeno in questa fase storica, appannaggio caratteristici di un genere. Ma eventualmente, di un sistema basato su rapporti di forza e di potere in cui le vittime sono sempre da ricercare tra i più  deboli E se sono di più tra appartenenti a un genere piuttosto che ad un altro, non è certo nella maggiore propensione di questi all'uso della violenza. Ma più semplicemente, nella maggiore possibilità di esercitarla (almeno fisicamente). Personalmente sono nato e cresciuto in ambienti non certo all'avanguardia. Circondato da famiglie "tradizionali" nell'estrema periferia cittadina. Frequentatore abituale di oratorio e catechismo. Quindi il prototipo perfetto del tipico maschio italico secondo alcune analisi che si vogliono progressiste. Eppure nella mia vita come in quella dei tanti con cui sono cresciuto di anni e di esperienze, non ci sono mai stati episodi violenti. Non sono mancati momenti complicati, anche dolorosi certamente, ma mai sfociati nella violenza o in nessuna presunta superiorità o supremazia di alcun tipo.

Perché quelle forme educative e modelli, seppur condizionanti, alla fine, nel bene e nel male, passano al vaglio del proprio singolo, unico e intimo sentire.

MIZIO

giovedì 9 novembre 2023

IMPOTENZA

Ho passato anni a cercare di decifrare quale fosse il sentimento prevalente che, in una qualche misura, fosse capace di agire nel personale intimo più profondo. Quel non luogo dove dovrebbe farla da padrona ciò che definiamo coscienza. Quel substrato caratteriale, ereditario e culturale già preesistente in ognuno di noi che viene progressivamente, alimentato, arricchito e reso intelligibile negli anni attraverso le diverse esperienze della vita. Per molto tempo ho pensato che i sentimenti prevalenti fossero la rabbia, o meglio, il rancore. Il senso di insopportabilita' dell'ingiustizia e la ricerca di un'etica e di una dirittura morale che potesse rendere credibile scelte e azioni conseguenti. Poi, nello scorrere del tempo, si è aggiunto il senso di vuoto, la delusione, l'incapacità di accettare prima ancora di quella per capire di tante situazioni. La strenua, anche se impari, lotta per non abbandonarsi alla rassegnazione e alla sconfitta personale, oltre che storica e ideale. Quindi all'interno del personalissimo eremo esistenziale, in cui ognuno di noi si rifugge per provare a capire e ritrovarsi, improvvisamente appare il tutto molto più chiaro. Il sentimento prevalente che ha accompagnato la mia vita, pur nella differente scala d'importanza e relativa percezione, è stato sempre fondamentalmente quello dell'impotenza. La consapevolezza che, nonostante l'impegno e le buone intenzioni, il tutto fosse intangibile, immutabile e anzi, peggiorato nel tempo. Con relativa conseguente frustrazione esistenziale e il rinchiudersi, per sopravvivere, in recinti più stretti ma più comprensibili e compatibili con il resto della vita. Vita che, nonostante noi e per fortuna, continua a scorrere a prescindere. Soprattutto per chi ci è, nonostante tutto, più vicino. Impotenza quindi, che spiega meglio, e più di mille elucubrazioni, il mio ripetuto allontanarsi da situazioni che non condividevo, non capivo e non riuscivo a far diventare e sentire mie fino in fondo, nonostante una certa e sincera disponibilità. E nell'affermare ciò, non ne esalto certo una sua valenza positiva, che pur potrebbe ritrovarsi, ma ne certifico la sua (credo) quasi definitiva vittoria. Vittoria non facile, non riconosciuta, non accettata per molto tempo. Ma come arrivano implacabili le varie stagioni della vita, arriva pure quella della necessaria consapevolezza. Quella presa di coscienza che rende chiaro e leggibile ciò che sembrava, fino ad un certo momento, incomprensibile o inaccettabile. Però, a differenza di altri sentimenti, quello dell'impotenza rispetto il proprio ruolo nella vita e nella società, può essere combattuto e relegato in un cantuccio. A patto di rimanere, pur nello scetticismo complessivo, parzialmente aperti e disponibili a qualsiasi novità dovesse smuovere curiosità, interesse per i suoi presupposti e le sue potenzialità. MiZIO