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domenica 16 luglio 2023

I PINI DI ROMA

I pini di Roma stanno morendo. Alcuni si seccano, altri collassano e si trasformano addirittura in un pericolo. Colpa di parassiti figli indesiderati della globalizzazione e dei cambiamenti climatici, ma anche di incuria, superficialità e ignoranza. Inutile indicare chi è più responsabile di chi. Tutti più o meno lo siamo stati, lo siamo e lo saremo, se non altro per il silenzio e il disinteresse complice. E questo non è neanche un aspetto che rappresenti chissà quale elemento di sorpresa e novità. Ormai siamo tutti compresi nelle nostre bolle esistenziali individuali. Convinti che tutto ciò che accade fuori di queste sia elemento che non ci riguardi o comunque, con una sua impossibilità a intervenire. Compreso quel legame storico, sociale, viscerale, esaltato retoricamente e apparentemente incrollabile con la propria città. Con le sue origine, la sua storia e i suoi simboli. E, tra questi, il pino (Pinus pinea) credo possa rientrarci a pieno titolo per chiunque sia nato, vissuto o semplicemente passato a Roma. Il mio personale rapporto con i pini risale all' infanzia e alle pasquette trascorse nella pineta all'Appio Claudio. Accanto agli archi monumentali degli acquedotti. Pini oggi praticamente scomparsi e sostituiti da piccole piante che avranno bisogno di decenni per ricreare l'antica fascinosa atmosfera. Non posso dimenticare poi, un posticino, sempre da quelle parti, che chiamavamo tre pini. Nome decisamente poco originale visto che riguardava proprio la presenza di tre alberi di quel tipo. Alberi sotto o sopra i quali, passavamo alcuni dei noiosi pomeriggi estivi. Mi hanno poi accompagnato, facendo da silenzioso sfondo, alla scoperta progressiva della città nella sua interezza. Cosa non facile e non scontata in quei tempi per ragazzini dell'estrema periferia. Da quelli presenti nelle grandi ville, a quelli che fiancheggiano ancora, alcune grandi arterie stradali, o che circondavano, ad esempio la zona del Foro Italico e lo stadio Olimpico. Ovunque si andasse, ovunque si ponesse lo sguardo ci sono sempre stati pochi o tanti pini a fare da quinta teatrale o, più semplicemente da cornice. E come dimenticare, appena fuori la città, quelli della pineta di Castel Fusano. dove, Tappa obbligata dopo qualsiasi mattinata al mare sulle spiagge libere di Ostia (anche queste ormai solo un ricordo). Ci si spostava per consumare il pranzo e per la classica pennichella pomeridiana degli adulti, sotto le loro chiome. Ma dove il mio personalissimo rapporto affettivo e confidenziale con i pini, raggiunse il top fu quando, nella nuova casa, del nuovo quartiere popolare in cui ci si trasferì, ne avevo alcuni praticamente sotto casa. Con le chiome e i rami che potevo addirittura sfiorare con le mani affacciandomi semplicemente al balcone. Dallo stesso balcone da cui, osservatore privilegiato, muovevo i primi passi in quella che è poi diventata, una passione che mi accompagna tutt'ora. Tra le loro chiome potevo osservare i comuni merli e passeri, spesso anche cince, codibugnoli e, più raramente anche qualche upupa o picchio. Di notte sui loro rami erano di casa le civette e, a volte, qualche allocco di passaggio. Non potrei terminare questa esposizione del personale legame sentimentale con i pini, senza accennare anche ad un aspetto ludico-gastronomico. Durante l'estate ovunque ci trovassimo e qualsiasi fosse il motivo per cui fossimo in quel posto, bastava l loro presenza e la raccolta dei pinoli diventava un obbligo imperativo. Pochi se in un luogo casuale e frequentato. Tanti se cercati con intenzione e nei posti giusti. Con grida di giubilo e soddisfazione goduriosa quando se ne trovavano intere pigne aperte e piene. Bastava poi un sasso delle giuste dimensioni per assaporarne il gusto, praticamente subito. O portarli a casa per trasformarli in quella che chiamavamo la pignolata. Praticamente frittelle di caramello e pinoli. Bombette energetiche, forse non equilibratissime per i salutisti odierni, ma che, merendine scansatevi proprio. Non posso neanche dimenticare che, in anni successivi, questo aspetto divenne più difficoltoso a causa dell' interesse economico che pigne e pinoli potevano rappresentare per i primi esuli dell' Est europeo. Persone che con la loro raccolta sistematica fatta direttamente sugli alberi, anche in giardini privati, prima che le pigne potessero cadere a terra, racimolavano qualche euro dalla loro vendita. Questo rapido, ma significativo excursus sul mio personale rapporto, ma comune a tanti altri, con i pini è comunque esplicativo della loro importanza, oltre che naturalistica, paesaggistica, culturale anche emotiva e sentimentale. “Quando il Colosseo cadrà, cadrà anche Roma...” senza arrivare a tali livelli di catastrofismo credo però, che anche quando l'ultimo pino romano cadrà, saranno caduti e persi per sempre tanti di quegli aspetti che fanno di questa città bella e dannata un unicum mondiale. Salvare i pini è un pò salvare anche Roma. E i romani oltre che dannarsi per il traffico e i rifiuti per strada, qualche volta provino ad alzare lo sguardo e a immaginare quanto sarebbe triste e spoglia la città senza lo sfondo familiare ed eterno dei pini. E provino a riappropriarsene e difenderla da speculazione, disinteresse, ignoranza e incapacità, Roma e i suoi pini possono salvarsi. Basta volerlo. MIZIO

lunedì 30 novembre 2020

DECIMA MALAFEDE: RISERVA O GIARDINETTO PUBBLICO?

Sto seguendo da lontano e con i contatti social del posto una guerriglia a colpi di critiche, accuse reciproche e anche colpi bassi. Frutto di diverse visioni e approcci ma anche, di probabili mire e interessi elettorali legati alle prossime elezioni comunali. Sarebbero cose “normali" e di cui potrebbe interessare il giusto, se non fosse che il tutto si svolge sulla pelle dell'ambiente e, in particolare della mai abbastanza protetta e difesa Riserva di Decima Malafede facente parte del circuito di Roma Natura. In questo caso si parla,nello specifico, solo di una singola parte di questa e non si tratta del rischio legato alle solite speculazioni edilizie o all'incombente disastrosa minaccia dell'Autostrada Roma-Latina ma, molto più semplicemente, il modo di intendere la protezione e la valorizzazione ambientale. In particolare la porzione in questione è la Valle del Risaro attraversata dal fosso di Malafede e la cui contiguità con la riserva del Litorale e quella presidenziale di Castel Porziano ne ha fatto un luogo prezioso da salvaguardare, sia per gli aspetti naturalistici che ambientali nel senso più ampio dell'accezione. Difatti la rendono ancora più meritevole di protezione e studio la presenza di antichi insediamenti umani e i ritrovamenti effettuati di resti di una fauna scomparsa da millenni, come addirittura di mammuth. La presenza di un equilibrio secolare tra una vegetazione riparia fitta, apparentemente disordinata e, spesso inpenetrabile, ma in grado di fornire cibo e protezione ad una fauna interessante e unica a due passi dai moderni palazzoni della periferia romana. Fino a diversi anni fa la presenza di piccoli ma preziosi specchi d'acqua e una presenza arborea limitata ma fondamentale di salici e pioppi neri, garantiva la presenza anche di testuggini palustri e interessanti nidificazioni di martin pescatore o pendolini, fondamentali indicatori dell'equilibrio e della buona salute complessiva dell'ambiente. Purtroppo tutto questo è stato compromesso, nel tempo, da scarichi abusivi, sversamenti e inquinamenti.
La presenza della sola Riserva non sembra essere stata sufficiente a limitare o eliminare tali attentati, quindi qualcuno, in buona fede, spero, ha ritenuto opportuno contribuire alla pulizia e fruizione delle stesso habitat con la realizzazione di un sentiero ciclopedonabile affiancato al fosso, che facilita e incentiva la fruizione dello stesso addirittura con il posizionamento di panchine. Tutto ciò, se meritevole e auspicabile in aree urbanizzate per fornire spazi attrezzati di svago e relax in parchi e giardini pubblici, mal si concilia con la funzione prima di una Riserva. Quella di protezione e salvaguardia ambientale. Converrete con me che la presenza di un sentiero attrezzato con il continuo e libero movimento di chicchessia addirittura con cani al seguito, mal si concilia con tale concetto. Il disturbo arrecato alla fauna e l'eliminazione di quella porzione di vegetazione non possono essere considerati danni trascurabili e compensati dall'eliminazione degli scarichi abusivi. Si potrebbe dire meglio nessuna discarica ma anche maggior prudenza e rispetto da parte di tutti. Mi è capitato anche di leggere (purtoppo)frasi tipo. “..Non è un problema se gli uccellini (in senso dispregiativo) si devono spostare un po' più in là...” A parte l'ignoranza (in senso letterale e relativo alla dichiarazione) dimostrata per quanto riguardano le interconnessioni e l'equilibrio indispensabile tra esseri viventi non ci si rende conto che questa è proprio la dinamica e la logica che ha portato il nostro paese, (e il mondo intero) a un passo dal limite del non ritorno. Non sono solo le grandi opere o le grandi speculazioni a peggiorare l'ambiente, lo fanno quotidianamente e inconsapevolmente, anche le mille piccole scelte che spostano sempre un po' più in là le problematiche e le responsabilità, fino a che il pò più in là non sarà più possibile avendo ormai, consumato e alterato tutto lo spazio utile. Una riserva, insomma è tale se assolve ad una funzione di protezione, salvaguardia e testimonianza. Diventa altro se viene intesa in senso esclusivamente di profitto (mediatico o elettorale) o con superficialità,anche comprensibile ma non condivisibile. E' vero che gli uccellini non votano, ma fanno infinitamente meno danni delle persone,e non dimentichiamo mai che di buone intenzioni è lastricato l'inferno.
Le foto rappresentano tracce della vita che, nonostante tutto si svolge (svolgeva?) in assenza di disturbi, sulle rive del fosso di Malafede.
MIZIO

mercoledì 11 novembre 2020

PER FARE UN UOMO..

Ci sono più cose tra gli spazi bianchi fra le righe che nelle parole scritte.
La regola del tre e la legge dell'equilibrio! Ognuno di noi arriva, apre gli occhi al mondo e comincia a guardarlo dalla sua singola, unica e irripetibile visuale. Visuale che è tale, in quanto famiglia, habitat, condizione sociale sono unici e non sovrapponibili. Operazione impossibile anche tra fratelli, entrando in ballo, oltre le condizioni più o meno simili, anche la componente caratteriale. Insomma si viene al mondo come un vaso pieno solo in parte, ma quella parte è quella che condizionerà e renderà unica, filtrandola, tutta l'esperienza, la conoscenza, le gioie e i dolori dell'intero arco vitale. Ovviamente tale consapevolezza non ha la pretesa di rappresentare una verità assoluta ma, proprio per quello enunciato prima, ne rappresenta esclusivamente una testimonianza parziale e, proprio per questo senza altro valore che quello di affiancarsi alle milioni di altre che, collettivamente rappresentano il tutto variegato, unico, affascinante che abbiamo davanti ogni giorno. Prima discriminante è, ovviamente, il dove e come si nasce. Le differenze saranno tanto più ampie quanto più differenti sono le condizioni iniziali. Chi nasce nella polvere degli ultimi, ovviamente sarà, fin dall'inizio sottoposto a esperienze e necessità diverse e opposte rispetto i figli del nobile o del ricco. Ma, nonostante le enormi differenze si avrà in comune, l'appartenenza allo stesso genere homo (benchè qualcuno provi a smentire anche tale verità. Questa si assoluta). Si condivide lo stesso habitat, vivendo nello stesso spazio su un pianeta vagante nell'universo. Si è assoggettati alle stesse esigenze e limiti derivanti da quelle che sono le necessità e caratteristiche fisiche comuni ad ogni corpo. Prime fra tutte quelle del nutrimento e delle funzioni fisiologiche, oltre quella che nella grande giostra della vita di ognuno inevitabilmente, ha una sua conclusione nella morte. Il tratto comune per eccellenza, anche se non arriverei a considerarla una livella, come piace raccontarla a tanti perchè, se è vero che la fine è comune, il come si ci arriva, cambia e di molto. C'è anche un altro tratto condiviso, anche se con gradazioni e caratteristiche diverse. Quello che rappresenta l'innata, congenita, e direi anche necessaria, curiosità verso le eterne domande. Chi sono? Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo? Domande, purtroppo destinate a rimanere senza risposta certa e a cui, sia collettivamente che singolarmente, si prova comunque a fornire visioni rassicuranti o, specularmente, disperanti. E hanno provato e provano a farlo le religioni e il loro opposto l'ateismo, la filosofia oltre la politica o la visione illuministica e scientifica. Ci sono altri, come il sottoscritto, in cui arde, da sempre, il sacro fuoco della curiosità, della conoscenza che non sia limitata o inscatolata in un'unica visione e in un unico percorso cognitivo. L' impegno politico contro le ingiustizie sociali, la sensibilità e attenzione all' ambiente, la ricerca spirituale sono i tre filoni principali attraverso i quali, il sottoscritto, ha cercato, magari maldestramente, in maniera disorganizzata ma, assolutamente priva di pregiudizi, di trovare un percorso per una comprensione che giustifichi e renda accettabile il proprio stare al mondo. La componente e la curiosità politica era cosa respirata fin da piccolo in famiglia che ha reso più semplice la comprensione degli avvenimenti e gli incontri succedutesi negli anni. Fin da quello , il più qualificante in assoluto, con Don Roberto Sardelli che ha allargato gli orizzonti e le sensibilità politiche e sociali, fino al punto di renderli parte integrante del proprio essere e del proprio sentire. Comprensione e coscienza che ha sempre reso difficoltoso e poco comprensibili alcuni atteggiamenti che sono sempre sfuggiti a quella che era la militanza classica e della logica imperante che depotenzia il sentire personale sacrificandolo a quello generale che recita:”il partito ha sempre ragione”. Da qui, sempre con il massimo rispetto verso compagni e partiti, un percorso che è stato contrassegnato più da dolorose dimissioni (da incarichi di partito e istituzionali), che da luminosi successi e carriera personale e politica. D'altra parte, citando al contrario un concetto riferito a Don Abbondio, “Se uno la coscienza ce l'ha, non può ignorarla o allontanarla da sè”. Nessuna logica di partito mi ha mai convinto al punto tale di dover mettere in discussione alcuni valori ideali e principi morali o giustificare eventuali ingiustizie Cosa che , comunque, è stata espressa sempre in modo estremamente rispettoso anche degli interessi del partito che avrebbe avuto, nel caso, un pessimo interprete della propria immagine. Meglio, molto meglio che a rappresentarla ci fosse qualcuno con un pochino di pelo in più sullo stomaco, meno scrupoli e maggiore capacità affabulatoria. La politica e i partiti in cui ho militato li ho sempre considerati non come un fine, ma come uno strumento per trasformare il naturale sentimento di giustizia in obbligato e utile spirito di servizi agli altri, soprattutto i più derelitti. Se l'avessi intesa come possibilità di carriera o promozione individuale avrei fatto tutt'altre scelte. Bastava tacitar la coscienza e la propria storia personale, accettando di condividere scelte, anche compromissorie. Per cui il filo rosso dell' impegno politico ha sempre segnato il mio percorso ma, spesso da semplice osservatore critico e piazzato di lato piuttosto che protagonista o comprimario interessato. Anche l'altro aspetto, quello dell'attenzione all'ambiente e alla natura nasce nella primissima infanzia. Infanzia vissuta in una borgata romana agli estremi della sua smisurata periferia dove, in quei tempi, il confine tra campagna e città era ancora molto labile. Per cui prati, fossi, marrane e relativi abitanti erano i protagonisti delle scorribande da bambino. Scorribande anche segnate da una certa crudeltà (di cui mi sono pentito successivamente) come la caccia a lucertole, ramarri, farfalle ecc. ecc. Ambiente simile a quello in cui passai la successiva adolescenza e la gioventù. Non più borgata, ma moderno quartiere periferico, sempre caratterizzato, però, da enormi spazi verdi. Spazi che appena a pochi passi nascondevano tesori naturalistici notevoli e quasi impensabili a un passo dai palazzoni della moderna piccola e media borghesia. Cinghiali, istrici, tassi, falchi e un milione di altre rarità e scoperte, quasi giornaliere botaniche e faunistiche facevano di quei posti la mia Amazzonia. I barbi che risalivano i fossi in primavera erano i miei salmoni, i biacchi e le natrici le mie anaconda, i nibbi i miei avvoltoi e le nutrie i miei castori. Cominciò allora, grazie a un paio di compagni, il lavoro di uno dei primi piccoli gruppi ecologici dell'epoca. Gruppo nato proprio per lo studio e la salvaguardia di quel paradiso naturale a cui aderii e diedi il mio piccolo contributo sia per lo studio ma, soprattutto per portarne in evidenza le prime battaglie e richieste protezionistiche, grazie anche, al mio ruolo istituzionale dell'epoca. Dopo il trasferimento da Roma continuai lo studio, l'amore e le sensibilità più da lontano e fui felice quando seppi che, quel territorio entrò a far parte del circuito di Roma Natura e che, da allora è conosciuto come Riserva naturale di Decima Malafede. Territorio purtroppo che, nonostante l'istituzione della riserva, ha continuato ad essere oggetto di appetiti speculatori da parte di privati e istituzioni (Si pensi solo alla devastazione provocata dalla prossima autostrada Roma Latina). Il mio rapporto di curioso osservatore della natura e le sue meraviglie non ha mai, però, assunto l'aspetto che avrebbe preso piede con successo,successivamente. Non facevo trekking, né bird watching, né esplorazioni, né percorsi con mete obbligate o prefissate da raggiungere, che non fossero la pace interiore. Il mio ideale rapporto con la natura l'ho sempre vissuto al meglio e al massimo in compagnia, di me stesso. E, a volte, eravamo pure in troppi. Per dare un'immagine di facile lettura, ho sempre ricercato l'amore quasi fisico e la fusione col tutto. Nel bosco, sulle rive di un torrente, su un altopiano o sulla cima di un monte. Esperienze intrise quasi di un misticismo laico! E, il misticismo ci porta diritti a considerare l' ultimo aspetto, quello della ricerca spirituale, quello delle grandi verità ricercate dall'essere umano di ogni tempo. Per questo devo far riferimento a tre fasi ben distinte del percorso. In parte consapevole e in altra assolutamente casuale e fortuito, ma non meno vero o impattante. Il primo approccio, ovviamente, come quasi tutti avvenne nella parrocchia del quartiere con l'oratorio e col catechismo. Arrivando, addirittura con il far parte del coro dei “Pueri cantores” locali e, anche servendo messa come chierichetto. Periodo propedeutico, a prendere confidenza col concetto di divino, con il mistero non spiegato e scavallabile solo con la fede. Periodo pure sereno, tutto sommato. A parte le paure determinate quando, e succedeva spesso, ci si abbandonava a quei piccoli “peccati” possibili da parte di bambini. Crescendo con l'adolescenza apparve chiaro che rifugiarsi nella sola fede non bastava a oscurare tutte le incongruenze e i limiti che la religione comportava. Quindi ci fu il necessaro strappo dallla Chiesa, dai doveri che questa comportava, dalle visioni ormai troppo strette per essere condivise da un adolescente pieno di dubbi e curiosità. In questa fase ci fu l'incontro con Don Roberto, già ricordato prima, che diede della religione, della figura stessa del prete, un'immagine completamente diversa. Immagine che, pur non avvicinandomi di più alla chiesa, mi permise, però di mettere la questione del rapporto col mistero in stand by. Nè credente, né ateo, ripromettendomi di riaffrontare l'argomento quando e se, ne avessi sentito la necessità. Di una cosa ero però, già sicuro. Non avrei mai fatto parte di una organizzazione religiosa precostituita che, per una visione personale ancora confusa, ma non modificabile, ai miei occhi avrebbe rappresentato la negazione stessa del concetto di divino. Quindi si aprì la fase in cui cominciai a definirmi agnostico, essendo quella la parola che più avrebbe potuto rappresentare la mia posizione sull'argomento. Sentivo chiaramente di non poter chiudere definitivamente la questione, ma neanche, di sposarne una versione oggettivamente limitata e limitante. Complice anche una certa naturale sopravvalutazione del proprio punto di vista tipico della gioventù, tutto sommato riuscii, per diversi anni a convivere senza problemi con la questione. Probabilmente proprio grazie, a quella porticina lasciata volutamente socchiusa. E dalla quella porticina, come sempre accade, con le questioni messe da parte e quasi dimenticate, entrò con la violenza di uno tsunami tutto un corollario di avvenimenti, apparentemente inspiegabili, che mi posero per forza, nella condizione di dover riaffrontare la questione 0 rifiutarla definitivamente. Questione che, a quel punto, non riguardava solo un aspetto filosofico esistenziale, ma riguardava il vissuto quotidiano. Questi avvenimenti scatenarono la curiosità che, fino a quel momento, era stata disciplinatamente tranquilla nel suo angolino. Insieme a quelli, cominciarono a verificarsi tutta una serie di episodi che, in altri tempi, avrei potuto tranquillamente considerare casuali e spiegabili in mille altri modi logici. Ma che in quel momento e con le caratteristiche con cui si presentavano ai miei occhi assumevano l'aspetto di un sentiero di conoscenza e di apertura di sentire che sembrava, e forse lo era, lì solo per me. Incontri casuali, letture suggerite, altre occasionali con libri addirittura trovati sui treni dove lavoravo. Percorsi rischiosi che ti portavano a conoscere, forzatamente, anche il lato oscuro e pericoloso del percorso, da cui allontanarsi rapidamente. Ma anche momenti di illuminazione improvvisa in cui alcune cose cominciavano ad apparire più chiare e ad avere una propria logica leggibile e comprensibile. E, soprattutto, la certezza che nessuna religione organizzata, con i suoi riti, i suoi precetti, i suoi limiti avrebbe potuto rappresentare la strada o la verità rispetto l'esistente. E di quanto il rapporto, con l'idea stessa del mistero e del divino, sia percorso intimo, solitario e non trasmettibile. Che lo stesso si presenta e si arricchisce solo se e quando, il singolo e il momento lo rendano utile o necessario alla personale evoluzione. Ovviamente, e proprio per i motivi sopra esposti, nessuno e, tantomeno il sottoscritto, può o deve sentirsi in dovere di trasmettere il proprio punto di vista come quello più giusto o idoneo per tutti. E, ancor meno potrebbe o dovrebbe, pensare minimamente a fare proseliti. Rappresenterebbe la fine stessa delle poche certezze in materia raggiunte con fatica. La solidarietà, l'equilibrio, quello che molti chiamano amore, si deve provare ad applicarli, almeno come tendenza, nella vita di tutti i giorni. Nei rapporti personali, nella vita politica e sociale, nel rapporto col resto dell'esistente. Ed è questo e solo questo a stabilire il grado evolutivo, non il credere o meno. Si può essere santi o demoni, pure in modo inconsapevole e lontano anni luce dal misticismo e dal sentimento religioso. Così come si può essere umani, nel senso più compiuto del termine, pur senza attraversare e comprendere i tre aspetti fondanti della mia personale e, come si diceva prima, non replicabile esperienza. Per ognuno c'è un sentiero evolutivo che aspetta e, tranquilli, che ognuno, prima o poi, lo incrocia e lo percorrerà, anche se inconsapevolmente. MIZIO

martedì 30 giugno 2020

INCONTRI

Ci sono più cose tra gli spazi bianchi fra le righe che nelle parole scritte.




Ormai, sono tanti anni fa quando decisi di ripetere un'esperienza già fatta altre volte. Andare a pesca nel fiume Sangro, in pieno Parco Nazionale d'Abruzzo, ovviamente con i permessi previsti e limitatamente alla porzione di fiume in cui era possibile farlo, con il ferreo rispetto delle regole previste. A differenza delle altre volte, però decisi di andarci da solo e la pesca, alla fine era solo una scusa, soprattutto con me stesso. La realtà è che avevo bisogno di stare un po' da solo. Solo e immerso in un ambiente, che mi stava diventando abbastanza familiare, e che riservava sempre sorprese, ma soprattutto, permetteva il raggiungimento di uno stato d'animo, non so se equiparabile alla pace interiore, ma sicuramente estremamente gradevole. Stato d'animo di cui, a volte, si sente un estremo bisogno.
Partenza ovviamente, la mattina che era ancora buio, arrivo all'ufficio del Parco dopo un paio d'ore ma era ancora chiuso quindi, gradevole seconda colazione, quasi obbligatoria, in un bar appena aperto. Tutto era come lo ricordavo e come sarebbe dovuto essere. Un paesino di montagna, si sveglia presto, forse ancor più presto che in città, ma in modo totalmente diverso. Con calma, con discrezione. Verrebbe da dire, quasi con rispetto. Senza quella frenesia tipica della grande città. C'è il tempo per i saluti, per una carezza al cane che scodinzola, per guardare il fiume che scorre vivace sotto la strada e il cui gorgogliante scorrere fa da perenne colonna sonora. Il tempo di fare il permesso, indossare stivali, prendere lo stretto indispensabile e scendere giù sulle rive del fiume. Visti i limiti giustamente imposti dal regolamento, da quel punto potevo solo risalirlo per il breve tratto, forse poco più di un km, e poi, eventualmente ridiscenderlo. Mi immersi nel rumoroso silenzio del fiume che, allontanandosi dal paese, si trovava a scorrere in mezzo a boschi. Nel suo scorrere faceva risaltare quella ,casuale e precaria quanto si vuole, equilibrata armonia di suoni, colori e sfumature d'infinito.
Le piccole, guizzanti trotelle fario, tipiche del corso d'acqua non mancarono di mostrare il loro gradimento all'esca artificiale usata mostrandosi nei loro splendidi colori. Ero da solo, non intendevo mangiarle, quindi ritornavano tutte guizzanti nel loro liquido elemento naturale ma, ovviamente, con la raccomandazione di essere più attente la prossima volta.
Il periodo era di tipica primavera avanzata che a quell'altezza (1000 m circa) risultava essere quel periodo dell'anno in cui la natura si veste a festa col suo abito migliore. Impossibile resistere e essere indifferente alla sua bellezza, per cui la risalita di quel tratto di fiume fu dedicata più all'osservazione e alla meraviglia che alla pesca vera e propria. Fiori, piante, uccelli di ripa, natrici, insetti, farfalle. Ogni particolare era cosa degna di una sosta e di un attimo di rispettoso stupore. Non c'erano gli attuali smartphone, quindi quei momenti potevano e dovevano essere vissuti intensamente solo in quell'attimo, per poterne poi, serbarli nella memoria e nell'anima più a lungo possibile.
Ma come tutte le cose, anche quelle più piacevoli hanno una loro conclusone. Arrivai al punto limite oltre il quale non si poteva più pescare, che era il primo pomeriggio.
La fame cominciava a farsi sentire quindi, seduto comodamente al sole sulla riva del fiume, consumai i panini preparati la sera prima, mandandoli giù con l'acqua fresca che avevo preso nel fontanile del paese.
Mi guardai intorno e, tutto sommato, visto che era ancora presto e avevo, ormai soddisfatto la voglia di pescare, decisi di non tornare indietro per la stessa via acquatica. Per quel giorno avevo già disturbato abbastanza il fiume e i suoi legittimi abitanti. La zona la conoscevo, dato il periodo non c'era quasi nessuno e scelsi allora di effettuare un giro più lungo per ritornare al paese. Passando per quei luoghi che nel passato mi avevano visto scorazzare tra ruscelli e boschi insieme agli amici di sempre. Considerate che in quegli anni ancora non c'erano tutte le regole e le giuste limitazioni che ci sono state successivamente, quando il turismo ambientalista è diventato fenomeno di massa e fu necessario regolamentarlo. Quindi mi avviai per un sentiero che saliva dolcemente fino alla base del gruppo montuoso dove avrei preso l'altro che, con qualche saliscendi, mi avrebbe riportato in paese seppur dalla parte opposta rispetto a quella della mattina.
Mentre salivo, l'acqua fresca bevuta poco prima, fece sentire i suoi naturali effetti secondari. Per cui mi fermai e, per evitare eventuali ma possibili imbarazzi, cercai un angolo discreto e non in vista dal sentiero che potesse degnamente assolvere alla necessaria discrezione richiesta. Un piccolo avvallamento con una serie di cespugli rigogliosi si prestava magnificamente alla bisogna. C'era solo da scendere un pochino e fare un piccolo saltello.
Così feci e, nel momento stesso in cui atterrai facendo un po' di rumore, molto più rumore venne dalla mia sinistra. Da un cespuglio a pochi metri notai una massa scura di rispettevoli dimensioni che alzandosi in piedi emise un grugnito un po' strozzato e scappò nella direzione opposta alla mia. Ovviamente rimasi impietrito, non capendo subito, cosa fosse successo. Vedendolo allontanarsi anche se per pochissimi secondi, mi resi conto di aver incontrato, anzi disturbato, il più raro e prezioso abitante di quei luoghi. Un orso bruno marsicano sorpreso, impaurito e sicuramente infastidito giustamente dalla mia presenza. Magari mentre era impegnato a frugare tra i cespugli n cerca di bacche e frutti o, magari semplicemente stava per fatti suoi a casa sua. Inutile dire che se lui si era spaventato figuratevi io che dalla forte emozione (paura?), improvvisamente, non avvertivo nemmeno più alcun bisogno impellente. La sorte volle che lui si fosse avviato verso valle e io dovevo andare, invece, in direzione opposta. Perchè è vero che quell'incontro me lo auguravo da anni ma, essere da soli in sua compagnia e a distanza ravvicinata, sinceramente mi sembrava poco prudente e opportuno per entrambi.
Riprendendo a camminare, la visione di quel fulmineo e improvviso incontro mi fece compagnia sostituendo qualsiasi altro pensiero e distraendomi pure dalle bellezze circostanti, pur notevoli. Cercavo di ripassarne mentalmente i particolari anche i più minuti e insignificanti. Mi rimproveravo di non aver guardato con attenzione al cespuglio e nei suoi immediati pressi, per capire di più sul motivo della presenza proprio in quel posto. Ma erano pensieri sovrastati, comunque, dal piacere, ancora incredulo, di aver vissuto quel momento e poterlo raccontare. Arrivai nel punto in cui avrei dovuto prendere l'altro sentiero che mi avrebbe riportato in paese e per farlo avrei dovuto percorrere un tratto di strada asfaltata. Mentre la percorrevo vidi avvicinarsi un cane che traversava la strada stessa in senso obliquo. Non mi allarmai o sorpresi più di tanto. Il randagismo era, ed è ancora purtroppo, fenomeno frequente e comunque era uno solo. Se avesse avuto cattive intenzioni l'avrei potuto controllare facilmente . Non era neanche troppo grosso. Si non è grosso ma neanche piccolo e mi pare, non vorrei sbagliarmi. E no, cavolo! Quello che a distanza sembrava un cane, avvicinandosi, fermandosi un attimo a guardarmi distratto, no non potevo sbagliare era proprio lui, un lupo. A differenza dell'incontro con l'orso ho avuto tempo e modo di guardarlo con calma mentre sdegnosamente mi ignorava allontanandosi senza fretta dalla strada senza neanche voltarsi a guardare se mi fossi mosso verso di lui. Evidentemente mi considerava alla stessa stregua di come l'avevo considerato all'inizio io. Non pericoloso e decisamente alla sua portata se avessi fatto un qualsiasi tentativo di essere aggressivo o fastidioso.
Se la prima visione era stata semplicemente una sorpresa, enormemente piacevole, adesso era addirittura un cosa impensabile e statisticamente quasi impossibile. Un orso e un lupo, fino a quel momento visti solo nello zoo di Pescasseroli. I due re indiscussi delle montagne abruzzesi. Due tra i più elusivi, rari e preziosi animali dei nostri boschi mi si sono consegnati alla visione senza trappole, senza estenuanti ricerche e, praticamente senza condizioni. Per loro non avrà significato nulla più di un fastidio equiparabile a quello di un moscerino. Invece in me hanno lasciato un'impronta talmente profonda che, a distanza di decenni ancora ne rivivo l'emozione del momento. Anche perchè, nonostante, altri tentativi, non sono mai più riuscito a ripetere l'esperienza. Nè in quel posto né in altri luoghi. L'unica cosa vagamente assimilabile è aver sentito, un'unica volta, l'ululato di un lupo.
Inutile dirvi che l'ultimo tratto per tornare al paese e alla macchina fu percorso rapidamente perdendo qualsiasi altro interesse. Cosa di cui mi sarei dovuto anche scusare con Madre Natura. Ma talmente forti erano state le emozioni degli incontri di quel pomeriggio da non avere, forse, altro spazio negli occhi e nell'anima per ulteriori bellezze pur presenti in gran numero da quelle parti.
Perchè ho ritenuto di raccontare ciò? Intanto perchè, come detto sopra, è stata un'esperienza e una giornata talmente particolare, da sentire quasi il dovere di renderla fruibile, se non altro con la fantasia, anche da altri.
La seconda e forse più importante motivazione è quella di raccontare, in questo periodo in cui si parla di caccia agli orsi e ai lupi, quanto possa essere molto più appagante e soddisfacente l'incontro, anche casuale con questi animali. Incontri in cui dovrebbe prevalere il rispetto, la curiosità ma non la paura e, tantomeno, sentimenti di criminale vendetta. Come, invece purtroppo, avviene sempre più frequentemente nei loro riguardi. Io invece, non finirò mai di ringraziarli per l'onore, il piacere e il privilegio che mi hanno concesso. Sperando sempre che prima o poi si possa ripetere.

MIZIO

sabato 28 settembre 2019

TERRA E GIOVENTU' BRUCIATA?


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Ieri hanno manifestato per il clima milioni di giovani e meno giovani in tutto il mondo e anche in Italia. E' comunque un fatto sempre importante e di buon auspicio che, sopratutto i più giovani scendano in piazza, prendano coscienza e cerchino di indirizzare le scelte per il proprio futuro. Quindi la valutazione complessiva è,e rimane estremamente positiva. Gli imbecilli che ironizzano su Greta e i gretini, li lasciamo tranquillamente continuare a crogiolarsi nei loro convincimenti. Li lasciamo nella loro presunzione di superiorità stabilita da chissà quale cieca divinità che li ha scelti come razza e come individui superiori. li lasciamo volentieri nelle loro convinzioni di vivere su un pianeta dalle risorse inesauribili per le quali sono giuste, sacrosante e giustificate anche le guerre. Li lasciamo al loro unico punto di vista che la competizione e lo sfruttamento dell'uomo sull' uomo e del pianeta siano l'unica forma di convivenza possibile. Li lasciamo nel loro ostinato tener basso lo sguardo capaci di guardare solo al piccolo meschino interesse immediato, perchè se alzassero gli occhi al cielo e tutt' intorno, vedrebbero la bellezza e la meraviglia dell' universo intero. Universo che, se creato da un Dio o dal caos, poco importa, si attiene a leggi universali che non prevedono eccezioni di sorta neanche per i più potenti fra noi. La vita di tutto il pianeta è sì una cosa meravigliosa ma anche stupendamente fragile, legata a equilibri frutto di milioni di anni di evoluzione e in continuo, perenne aggiornamento. Troppi di noi, pensano ancora che tali equilibri possano essere tranquillamente rotti e violentati senza che ci siano pesanti ritorni da pagare per chi ne è l'autore. Finora questi ritorni il sistema capitalista (che è stato il primo e maggiore colpevole delle accelerazioni nel consumo e nello sfruttamento) li ha dirottati sui popoli meno avanzati tecnologicamente del Terzo Mondo e sulle classi subordinate dei propri paesi. Oggi gli equilibri politici ed economici del mondo stanno cambiando molto rapidamente e paesi un tempo arretrati, seguendo lo stesso modello di sviluppo, hanno esponenzialmente aumentato la velocità di un rapido esaurimento delle risorse naturali provocando altresì, enormi cambiamenti del clima e sull'habitat dell'intero pianeta, comprese le sue regioni più remote e considerate incontaminate. La deforestazione e la desertificazione di enormi porzioni del pianeta avanzano inesorabilmente privando di risorse e possibilità di vita dignitose intere popolazioni, provocando anche una cospicua parte di quel fenomeno migratorio che tanto preoccupa gli eletti del Signore di cui sopra.
Quindi che milioni di ragazzi e ragazze di tutto il mondo esprimano pubblicamente e in modo prepotente le loro preoccupazioni è da salutare sicuramente in modo non positivo, ma di più. Ma con altrettanta decisione e chiarezza va detto loro e a tutti noi che la battaglia per la salvezza del pianeta e della stessa vita che esso permette, passa certamente anche da un uso più virtuoso o, addirittura col divieto dell'uso del sacchetto o della cannuccia di plastica, ma fondamentalmente dovrà passare attraverso un cambiamento totale del nostro attuale stile di vita a cominciare dalla lotta al consumismo. Boicottare i prodotti con package non riciclabile è utile ma non quanto lottare contro il sistema che ne rende possibile o addirittura necessaria, la produzione. Il pericolo maggiore che questa generazione di ragazzi corre è quello, come altre precedenti, che si convincano che si possa o si debba venire a patti col sistema, invece che impegnarsi quotidianamente e senza condizionamenti per cambiarlo fin dalla alla base. Questo non vuol certo essere un appello all'insurrezione popolare adolescenziale, ma è indubbio che una lotta per salvare il pianeta non possa che sposarsi con lotte democratiche per cambiare l'intero sistema societario. Da me non avrete appelli a votare o sposare la causa di questo o quel partito ma un consiglio non posso fare a meno di darlo. Diffidate, diffidate sempre da chi vi userà come un'icona laica da portare in giro a coprire le proprie malefatte. Diffidate da chi vi offrirà una candidatura o da chi vi osannerà in programmi televisivi, un attimo prima di passare la linea alla pubblicità. Ascoltate tutti, non seguite nessuno se non la vostra coscienza. Non fate della lotta per salvezza del mondo un fatto esclusivamente generazionale, perchè siete giovani oggi e lo sarete per un po', ma poi diventerete adulti, uomini e donne che avranno il compito e la responsabilità di educare e formare altri giovani. Per salvare il pianeta c' è bisogno di un ripensamento generale del modello di vita e dei rapporti interpersonali o tra i popoli. Faccio un esempio. Fino agli anni '80, in Italia la fauna selvatica era considerata “res nullius” cioè cosa di nessuno. Quindi gli eventuali danni o prelievi illeggittimi erano puniti in maniera estremamente lieve proprio per la scarsa considerazione giuridica. La situazione cambiò quando invece venne considerata non più cosa di nessuno ma proprietà di tutti attraverso lo Stato, con ricadute pesanti sul piano giuridico. Ecco questo sarebbe un primo passo da pretendere dagli organismi sovranazionali come l'ONU. Considerare Gaia (il bel nome dato alla Terra considerandola un unico essere vivente) un bene universale il cui utilizzo, almeno per le cose che rivestono importanza globale al di là dei confini geopolitici, come le grandi foreste tropicali o delll'Artico non possono essere delegate ai singoli paesi.  Parliamo degli oceani dei mari, della calotta polare, dell''Antartide e, comunque  di tutti quegli ambienti che devono essere protetti e salvaguardati perchè elementi garanti di un equilibrio globale. Mi sembra persino ovvio sottolineare che questo senza una visione sociale completamente diversa non sarebbe possibile, Non sarebbe né giusto né possibile scaricare il costo e i limiti di tali scelte alle popolazioni locali o, semplicemente più povere. Ci sarebbero da fare scelte che spostino ricchezze da dove ce ne sono troppe e inutilmente accumulate a favore di chi ne ha molte di meno. Si accennava prima all'equilibrio necessario in tutto l'Universo. Ecco la ricerca di equilibrio anche nel sociale deve essere il primo e pregiudiziale atto da intraprendere per invertire il percorso distruttivo perseguito negli ultimi secoli. Poi chiamatelo come volete socialismo, comunismo, solidarismo, volemose bene, alla fine è il risultato che conterà.
Ovviamente, e questo vale soprattutto per i giovani che hanno sfilato e manifestato nei paesi più ricchi e privilegiati, come il nostro c'è da saper che per salvare il pianeta sarà non solo utile, ma indispensabile anche un cambio delle nostre abitudini di vita. Spostare risorse per una mobilità collettiva più sostenibile, forse dovremo dire addio all'aria condizionata dappertutto. Magari bisognerà rinunciare a cambiare smartphone o abbigliamento tutti gli anni. Riscoprire il concetto di uso delle cose sostituendolo a quello di consumo. Non partecipare e non incentivare la corsa all'arricchimento individuale, spendersi per il prossimo, lottare per lavorare meno per lavorare tutti.
Se si sarà disposti e convinti a fare tutto ciò(e io me lo auguro) forse quella di ieri potrebbe essere solo la prima parte di un'avventura straordinaria verso una magnifica utopia.
D'altra parte la belleza e la forza dell'essere giovani è proprio la capacità di sognare e credere nelle utopie.

MIZIO





giovedì 13 dicembre 2018

La Giunta Zingaretti favorisce la speculazione immobiliare nei parchi naturali del Lazio.


Lo scorso 12 settembre 2018 è stato approvato, con emendamenti, l’articolo 3 della proposta di legge regionale n. 55 del 2018 sulla semplificazione amministrativa effettuata dalla Giunta regionale del Lazio, presieduta da Nicola Zingaretti, che ha modificato l’art. 26 della legge regionale Lazio n. 29/1997 e s.m.i. sulle aree naturali protette.

La modifica riguarda la procedura di approvazione dei piani dell’area naturale protetta (parchi e riserve naturali), ora impera il silenzio – assenso: “trascorsi tre mesi dall’assegnazione della proposta di piano alla commissione consiliare competente la proposta è iscritta all’ordine del giorno dell’Aula … Il Consiglio regionale si esprime entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano s’intende approvato”.

In precedenza, la Giunta regionale, entro 90 giorni, raccoglie i necessari pareri esterni e ne formula uno complessivo, poi assegna la proposta alla Commissione consiliare competente, che – sempre entro altri 90 giorni – invia la proposta di piano all’Aula per il pronunciamento definitivo.  
In realtà, può mancare qualsiasi pronunciamento, perché è sempre previsto il silenzio – assenso.  In complessivi sette mesi di silenzio – assenso il piano dell’area naturale protetta può esser approvato senza la benchè minima discussione.
L'antica torre dell'Acquafredda

Una vera e propria autostrada amministrativa per favorire le più devastanti speculazioni immobiliari anche nei parchi e nelle riserve naturali del Lazio.
Qualche esempio: la proposta di piano della riserva naturale “Tenuta dell’Acquafredda” prevede ben 180 mila metri cubi di volumetrie “a scopo socio-sanitario” per la “valorizzazione di terreni di proprietà dell’ente ecclesiastico” Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica, il Vaticano, per capirci, mentre numerosi interventi di grave trasformazione del territorio avverranno mediante piani ambientali di miglioramento agricolo (PAMA) comprendenti impianti di compostaggio, centro di vendita ortofrutticola e nuove volumetrie (es. Quarto della Zolforatella).

L'operazione è decisamente grave sul piano politico-ambientale, ma rivela anche profili di incostituzionalità, visto che contrasta con gli articoli 12, 22 e 25 della legge n. 394/1991 e s.m.i. sulle aree naturali protette, legge quadro che vincola anche le normative regionali e che prevede la valenza di piani paesistici per i piani delle aree naturali protette, obbligando la Regione alla co-pianificazione con il Ministero dell’ambiente e con il Ministero per i beni e attività culturali.


Decima, Castello di Monte di Leva

Se la legge regionale, una volta approvata, conserverà tali aspetti, il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus rivolgerà un’istanza al Governo perché la impugni (art. 127 cost.) davanti alla Corte costituzionale per lesione delle competenze statali in materia ambientale (art. 117, comma 2°, lettera s. cost.).


Come avvenuto per i tagli boschivi nella riserva naturale “Decima – Malafede” della primavera 2018, più volte denunciati dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus in tutte le sedi, emergono gravi omissioni e assordanti silenzi nell’attività gestionale delle aree naturali protette del Lazio e di Roma Capitale in particolare, segno evidente che la speculazione e la difesa degli interessi particolari sia amorevolmente considerata in via trasversale fra le forze politiche.
                       
                               Gruppo d’Intervento Giuridico onlus



martedì 30 ottobre 2018

SE 12 ANNI VI SEMBRAN TROPPI!


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Gli scienziati dell' Onu hanno dato l'allarme:”12 anni per salvare il mondo”. Questo è il limite temporale per poter sperare di invertire la tendenza al riscaldamento globale che potrebbe scattare e superare il famigerato grado e mezzo arrivando ai due gradi di aumento della temperatura con conseguenze disastrose e senza possibilità di ritorno. Scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei mari, desertificazione progressiva. Scomparsa di migliaia di specie vegetali e animali e cambiamenti complessivi e drammatici per l'accesso all'acqua e alla possibilità stessa di vita per come la conosciamo. E' vero che di allarmi del genere negli ultimi decenni ne sono stati lanciati molti e, quasi sempre l'accusa preconcetta di catastrofismo li ha depotenziati facendoli scivolare nella considerazione alla stessa stregua della storia di Pierino e il lupo.
E adesso, che sembrerebbe che il lupo sia arrivato veramente, e stia proprio dietro la porta di casa, pare quasi che la cosa non ci interessi più di tanto. E' vero che è aumentata di molto la sensibilità del singolo verso gli animali o verso la salvaguardia di piccoli o grandi porzioni di territorio da tutelare. Cose ottime, cose da sviluppare e apprezzare ma che non incidono se non in minima parte sul risultato finale. Salvare il cucciolo di cinghiale o il piccolo riccio sulla strada è cosa buona e giusta come impegnarsi per la salvaguardia del fazzoletto di verde sotto casa. Ma hanno un effetto positivo quasi esclusivamente per noi stessi e il nostro impegno ma hanno un impatto prossimo allo zero se non c'è un'attenzione pari o superiore al mantenimento dell'equilibrio ambientale complessivo. E questo, purtroppo sfugge alle possibilità, anche le più positive del singolo, ma rientrano in quelle assunzioni di coscienza e responsabilità che devono diventare collettive. Per far questo bisogna ripensare complessivamente e non settorialmente, l'organizzazione stessa della società. Ripensare la mobilità del singolo e di conseguenza, l'organizzazione del lavoro. Andare verso un lavorare meno, lavorare tutti e lavorare meglio. Ripensare il consumismo sfrenato, con i suoi ritmi infernali di produttività (crescita) malata e destinata fatalmente a infrangersi contro l'esaurimento delle fonti non rinnovabili di materie prime e la desertificazione del pianeta. Spostare le risorse ancora disponibili verso una loro redistribuzione più equa affinchè i cambiamenti necessari siano più facilmente accettati dalla gran massa. Introdurre come legge ineludibile né quella divina né tantomeno quella di mercato ma solo ed esclusivamente quella della natura e delle sue potenzialità, enormi ma non infinite, di produrre e garantire benessere e sopravvivenza a tutti se rispettata. Sviluppare cultura e conoscenza quale principale se non unico argine, all'ignoranza e all'incapacità di comprendere i processi sia sociali che naturali. Così, come sarebbe un argine alla sovrappopolazione, soprattutto nei paesi più poveri, con la valorizzazione e il riconoscimento della funzione e delle potenzialità delle donne, ancor oggi troppo limitate nel loro essere in quei paesi.
Per non parlare dell'inquinamento atmosferico e delle acque, del consumo continuo di suolo, della pesca intensiva che sta spopolando interi oceani, delle miliardi di tonnellate di plastica e altri rifiuti che contaminano e alterano equilibri biologici frutto di milioni di anni di evoluzione. Questo quadro mette paura solo a immaginarlo, figuriamoci a doverlo vivere come stiamo facendo e come tragicamente si aggraverà non tra un secolo ma già da domani. Conviene allora, come struzzi mettere la testa sotto la sabbia e fare finta che non sia così? Magari sperare in maniera fatalistica o fideistica che qualcosa cambi o, come nella famosa opera di Eduardo, tanto “Addà passà a nuttata”! La nuttata che stiamo contribuendo, con i nostri silenzi, con il nostro disinteresse a costruire non passerà, se non in tempi misurabili in secoli e solo con un'inversione totale del nostro modello di sviluppo.
Fatto un elenco e un quadro non terroristico, ma realistico, delle prospettive a breve rimane da stabilire cosa possiamo ragionevolmente fare. Diciamo che parliamo di piccole speranze, ammesso che ancora sia possibile coltivarne. Si può, ragionevolmente, pensare di operare svolte così radicali e impattanti se continuiamo ad avere come riferimenti i dati dei vari PIL dei vari paesi, del Moloch del debito pubblico, di una crescita misurata in miliardi di ore lavorate o miliardi di prodotti immessi sul mercato? Come si potrà convincere i potenti della terra (economici, finanziari e politici) a rinunciare al proprio disegno egemonico sul pianeta e sulla vita dello stesso? Non lo si potrà certo fare se guardiamo, ad esempio, a come la maggioranza degli elettori nel nord e nel sud del pianeta si sta esprimendo. Si premiano candidati e forze politiche che fanno della cementificazione, della distruzione del territorio dello sfruttamento intensivo e pronta cassa delle risorse e delle fonti energetiche non rinnovabili la propria Bibbia. I Salvini in Italia, Ii Trump in America e i Bolsorano in Brasile ne sono solo gli ultimi e più rappresentativi esponenti. Rappresentano esattamente e senza gli infingimenti cui altri ricorrono, lo spirito predatorio ed egoista del peggiore essere umano. Visione in cui si privilegia il singolo, il suo egoismo, la competizione anziché valorizzare una visione, meno gratificante per il singolo ma drammaticamente necessaria, basata su rispetto, solidarietà, equilibrio tra gli esseri umani e l'ambiente tutto.
Questo sarebbe il compito storico che toccherebbe alla sinistra e a chiunque abbia nel pensiero solidale e altruistico il faro nella propria vita.
Purtroppo è un compito storico che, a questo punto possiamo definire tranquillamente in gran parte fallito. E, con altrettanta certezza possiamo certificare che non c'è alcuna capacità o voglia di prenderne atto.
Dodici anni, ma fossero anche cento, per l'universo sono meno di un battito di ciglia. Per la Terra, i suoi abitanti e il genere umano sono l'attuale limite tra la possibilità di continuare a vivere o scegliere, invece, un suicidio collettivo.
Ad maiora!

MIZIO


sabato 13 ottobre 2018

LA' DOVE PISCIANO I CANI

Ci sono più cose negli spazi bianche fra le righe che nelle parole scritte.


Breve estratto iniziale di un testo, in gran parte autobiografico che prima o poi vedrà la luce!




La' dove adesso portano a pisciare i cani, ho dormito io. Sembra impossibile che un prato, fortunatamente diventato un parco strappato alla speculazione edilizia, possa aver ospitato, neanche troppi anni fa, un'intera comunità. Una comunità che è stata per gli anni dell'infanzia anche la mia. Le maestose rovine degli acquedotti con la loro presenza millenaria ci facevano da scudo e da riferimento. Quello che oggi distratti running con l'occhio fisso sul cardiofrequenzimetro e coppie in cerca di tranquillità vedono come un angolo in cui rifugiarsi per sfuggire al caos dell'incombente città era il nostro habitat. Il panorama creato dalle fila dei palazzi che nascevano come funghi alterando continuamente la skyline, erano il nostro orizzonte e il nostro confine. Fortunatamente alle spalle si stendeva ancora la campagna romana che tentava di resistere alle bramosie dei palazzinari e porgeva la mano ai primi declivi dei Colli Albani. Campi di grano, vigneti, pinete erano la nostra savana e la nostra Amazzonia. Nulla chiedevano e molto davano, compresi i bagni nella marrana che allora era limpida e non insozzata da mille schifezze, in cui facevamo conoscenza sul campo e senza insegnanti di pesci, rane, tritoni e rettili. Ogni metro quadro è stato testimone di qualche nostra avventura. Ogni albero ha conosciuto il nostro stupore e la nostra, anche crudele, innocenza. Innocenza messa, presto a dura prova dall'incontro, che inevitabilmente diventava scontro, con l'habitat meschino, razzista e snob della piccola e media borghesia che, intanto progressivamente, si avvicinava. Eravamo i figli dei sottoproletari, eravamo gli zingari, come con disprezzo ci chiamavano. Eravamo i figli delle ultime vittime della guerra i cui genitori avevano faticato più di altri per rimettersi in piedi. Cui si erano aggiunti nel frattempo i figli degli emigranti dall'Abruzzo, dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Calabria, finiti relegati ai margini della grande città bisognosa di mano d'opera. La storia, anche ripensando all'oggi, alla fin fine racconta sempre sé stessa anche se con interpreti diversi. Ero circondato da figure come quelle descritte da Pasolini, cinici, sfrontati, costantemente sopra le righe, potenzialmente anche violenti ma fondamentalmente disarmati nella tragica impotenza a fronte di un mondo che cambiava troppo in fretta per i loro semplici schemi di lettura e capacità di decodifica.
In questo humus poteva nascere, e sarebbe stato anche comprensibile, un mix esplosivo di rabbia, di voglia di rivalsa a tutti i costi e anche di violenza cieca. Per fortuna, come cantava anche il grande Faber, dal letame nascono soprattutto fiori. Nello specifico, grazie anche a figure fondamentali nella nostra crescita sono nati molti fiori mossi dalla voglia giustizia e non di vendetta, dalla smania di conoscenza, dalla ricerca di un riscatto in termini di conquista di dignità e coscienza. Fiori che nel tempo si sono, quasi naturalmente, trasformati in impegno sociale, politico, per alcuni anche religioso ma, per tutti, fondamentalmente in un continuo tentativo di costruzione di un mondo in cui non ci siano classifiche di merito, ma solo persone con i loro sogni e i loro bisogni.
E di questo cammino di ricerca e conquista, non facile e irto di ostacoli, con molte dolorose cadute  e altrettanti momenti entusiasmanti che cercheremo di parlare. Ne parleremo non certo con la voglia o la presunzione di insegnare alcunchè, convinti come siamo, che l'avventura della vita sia per sua natura solitaria e non trasmettibile, se non a grandi linee.

MIZIO

domenica 23 luglio 2017

TRA INCENDI; AUTOSTRADE E......


L'Italia sta bruciando. Dove non ci sono stati roghi forse è perchè era già bruciato tanto in altre stagioni. La situazione idrica provocata dalla siccità sta assumendo connotazioni drammatiche anche in zone che finora sembravano escluse da questo problema,ad esempio, come Roma che a memoria d'uomo non aveva mai avuto problemi di approvvigionamento idrico.I danni di questa e delle altre stagioni siccitose che si susseguono con sempre maggiore frequenza li stiamo cominciando a scontare e li sconteremo sempre più negli anni a venire. Stiamo andando incontro ad una catastrofe, forse senza precedenti, e il nostro paese sembrerebbe in pole position, tra i paesi industrializzati, a dover fare i conti con i nefasti effetti del cambiamento climatico.Abbiamo firmato l' accordo di Parigi sul clima, ma già sappiamo che è un pannicello caldo e insufficiente ad affrontare la vastità del problema, con l'aggravante che non è stato sottoscritto neanche da tutti i paesi (ad es. Usa che hanno ritirato la firma). Se continueremo con questo trend non sarà solo un problema di qualche in grado in più e, quindi, di dover stare all'ombra nelle ore più calde. L'innalzamento del livello dei mari derivante dallo scioglimento dei ghiacci polari renderà inabitabili e improduttive milioni di ettari di territorio oggi coltivabile o abitato. Cambierà il clima e i paesaggi che abbiamo imparato a conoscere da millenni. Cambierà la morfologia, la vegetazione, la fauna e sicuramente cambieranno forzatamente, in peggio, le nostre abitudini e i nostri stili di vita.Oggi ci preoccupiamo dell'arrivo dei migranti dall'Africa, tra pochi decenni potremmo essere noi costretti a spostarci da un paese diventato progressivamente inospitale.I cambiamenti, l'evoluzione, le estinzioni, anche di massa, fanno parte della storia del pianeta e non saremo certo noi a poterle impedire. Quello che possiamo fare è impedire che avvengano in tempi ristretti e per nostra responsabilità..Cosa che, per altro, sta già accadendo e non solo in linea puramente ipotetica.Siamo coscienti che fare questo vuol dire mettere in discussione un intero modello di sviluppo basato sullo sfruttamento intensivo, dell'ambiente, delle materie prime e anche degli esseri umani. Questo modello nelle sue varie versioni possiamo ricondurlo tranquillamente sotto un'unica denominazione: modello capitalista.Anche per questo non può essere sufficiente una semplice operazione di maquillage ad un modello ormai paragonabile ad un organismo che finirà per divorare se stesso. Un pò come il serpente di questa simpatica storiella zen. 
"Come si uccide un serpente? 
Il serpente è ghiotto di marmellata di albicocche. Si spalma la marmellata sulla schiena del serpente dal labbro superiore alla coda. Il serpente comincia a mangiarsi dalla coda e quando ha mangiato anche la testa l'avrai sterminato."
Appare, quindi non importante, ma fondamentale che si costituisca anche politicamente e socialmente un fronte che faccia argine a questa follia e che si manifesti ovunque ci sia la possibilità di impedire scempi o semplicemente continuare come nulla fosse. Per fare un esempio piccolo ma indicativo. E' in dirittura d'arrivo l'apertura dei cantieri della famigerata autostrada Roma Latina. A parte qualche sporadica e isolata manifestazione contraria, la stragrande maggioranza si disinteressa della questione e molti addirittura fanno addirittura il tifo affinchè si faccia in fretta.E, in questo caso non si tratta neanche della vecchia questione dell'uovo e della gallina, perchè l'autostrada oggi non è certo avere l'uovo subito ma è sicuramente non avere la gallina domani. Gallina rappresentata da territori, già compromessi, che verranno tolti per sempre dalla possibilità di essere goduti dai più e di poter svolgere il loro compito regolatore e di protezione. Ettari di zone protette e di pregio naturalistico devastati, ettari di produzione agricola resi improduttivi, centinaia di aziende danneggiate o addirittura fatte chiudere. Centinaia di posti di lavoro a rischio nel lungo termine. Sarà un' autostrada il cui scopo sociale sarà il profitto di alcuni a scapito del bene collettivo e dei poveri utenti che saranno costretti a pagare. Quando mai si sono visti 14 caselli su 50 km di autostrada? 
La semplice messa in sicurezza della Pontina, evidentemente non è affare appetibile.Qualcuno ancora per giustificare l'opera fa finta di credere alla favoletta dei capitali privati Sono pronto a scommettere che il capitale pubblico alla fine sarà la parte maggiore dell'investimento o, comunque sarà superiore a quello della semplice sistemazione della strada esistente o, ma è un sogno alla costruzione finalmente della metropolitana leggera tra Roma e Pomezia, progettata da decenni , o al raddoppio della linea Roma-Nettuno.E, in ogni caso, dopo aver visto i miliardi utilizzati per salvare le banche , quelli utilizzati per gli F35, quelli per le missioni militari in giro per il mondo, non credo di essere più disposto ad accettare la scusa del "non ci sono fondi sufficienti" . Ci dobbiamo rendere conto che di fronte a certe situazioni, con il disastro incombente di cui si parlava all'inizio, non esiste ragion di stato e tantomeno del privato, che giustifichi il consumo, lo sfruttamento del territorio, l'avvelenamento delle risorse idriche, l'impoverimento e l'inquinamento dei mari e dei fiumi. Anzi va incentivato il ripristino ambientale di tutte quelle zone inquinate e devastate. Ormai ogni metro quadro di territorio è da difendere come il più prezioso dei beni di famiglia. Perchè da quello che saremo in grado di lasciare alle generazioni successive dipenderà la stessa possibilità di sopravvivenza del genere umano. Sembra argomento abbastanza convincente, o no?

MIZIO

sabato 21 gennaio 2017

IL MIO ABRUZZO


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I miei primi amici d'infanzia erano abruzzesi, figli di quei "cafoni" che dalle montagne della Marsica arrivavano a popolare le periferie romane. Servivano braccia forti e abituate alla fatica per stare dietro al boom edilizio speculativo degli anni 60/70. Si sacrificavano, si spaccavano la schiena per dare ai loro figli la possibilità di sfuggire a un destino già segnato. E' con loro che ho conosciuto quel modo di stare al mondo. In punta di piedi, delicatamente ma con l'ostinazione e la determinazione che solo una vita di sacrifici in un ambiente duro poteva dare. E' stato anche grazie a loro che ho cominciato la scoperta di quella regione così vicina ma così lontana nelle loro storie nostalgiche, fantastiche e affascinanti piene di lupi, orsi e trote da prendere con le mani nei torrenti dall' acqua ghiacciata.
Poi arrivò la scoperta di Ignazio Silone che, di quelle terre e di quelle genti ne fu il cantore. Sapeva raccontare e far emergerne l' ingenua visione del mondo fatta di rapporti naturali e quasi immutabili, accettati anche nella loro crudezza, ma da sfidare continuamente per mitigarne gli effetti.
Abruzzo forte e gentile! In questa semplice frase è raccolto un mondo che parla di donne e uomini votati alla fatica, alla durezza della vita ma capaci, ostinatamente di andargli incontro col sorriso e la consapevolezza raggiunta grazie a un antico equilibrio. Equilibrio della natura che ha permesso la sopravvivenza di un ambiente unico in Italia e, forse in Europa. Equilibrio nei rapporti tra esseri umani e non. Equilibrio, fondamentalmente con se stessi.
Per chi non lo conosce provi ad andarci, percorra le sue valli incassate fra i monti, passeggi fra le sue faggete, trattenga il respiro alla vista dell'orso o del camoscio. Ci vada con l'anima depurata dall'aspettativa tipica del vacanziero colonizzatore bulimico . Lo percorra con la flemma e la serenità che le genti e i paesaggi infondono e capirà perchè l'Abruzzo e gli abruzzesi ce l'hanno sempre fatta e continueranno sempre a farcela, anche in questa occasione.

Forza Abruzzo .

martedì 1 novembre 2016

TREMORI E TIMORI


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La terra trema e non sembra fermarsi, come il cuore in gola che batte sempre più forte. Le ferite alla montagna, i colpi di maglio sulle case, sulle chiese. Il nostro paese come corpo di novello Cristo oltraggiato, torturato che, fattosi  carne, riesce solo a tremare. Sta superando, ormai, anche, la paura e invoca solo pace.
Le ferite che non sanguinano nemmeno più e, forse, sono le peggiori. Quelle che non cicatrizzeranno, quelle che rimarranno lì e bruceranno tutte le notti rinnovando ogni volta, non solo il terrore, ma la rassegnazione per un destino già segnato.
Il cuore verde dell’Italia, il corpo vivo, l’anima stessa del nostro paese, la catena che unisce non solo idealmente tutta la nostra penisola si scopre fragile, indifesa, novella vestale oltraggiata, non sappiamo se da un dio capriccioso e cinico o da esseri umani convinti d’essere a sua immagine e somiglianza.
Dopo essere stati cacciati dall’Eden sembrerebbe che i monti dell’Appennino Centrale siano i luoghi e i paesaggi che più gli si avvicinino. Forse, per questo, tanti grandi spiriti dell’anima, dell’arte, del bello si sono dati appuntamento in questi luoghi. Non è un caso che qui ogni monte, ogni pietra, ogni albero trasudi spiritualità e senso della meraviglia, di fronte al quale anche il più incallito dei miscredenti non può che rimanere in rispettoso silenzio.
Lo stesso silenzio che rimane dopo gli imprevisti, improvvisi, agghiaccianti schiaffi che la natura infligge alle nostre certezze.
Uscendo dalle immaginifiche metafore, affascinanti quanto si vuole, ma stucchevoli rispetto il dramma consumato si rende quanto mai necessario porsi la domande del che fare da oggi in poi.
Prendere atto dell’ineluttabilità degli eventi è il primo necessario passo. Pensare che tutto possa ritornare come prima senza una presa di coscienza, che nulla potrà essere come era è, invece, il principale errore da evitare.
L’altro errore da evitare, anche se può sembrare antitetico rispetto, il primo è  pensare a forme di eradicazione sociale e culturale di quei luoghi. La ricostruzione, per quanto lunga, difficile, costosa non può che avvenire mantenendo salde le radici e i sentimenti in quei luoghi, pena una seconda e ancora più dolorosa strage di anime.
Norcia, Amatrice, Castelluccio nel nostro immaginario possono continuare a vivere anche senza ricostruirle, ma per chi di quei luoghi è figlio e, anche custode per le generazioni future, non possiamo immaginare qualcosa di diverso da un ritorno a casa.
Quando avvengono accadimenti del genere sembriamo tutti presi e coscienti della nostra pochezza e della nostra impotenza. E, se singolarmente, riusciamo anche a trovare una scala classificatoria di valori con un’alta valenza morale, nel trasferire il tutto a dimensioni politiche e collettive le riposizioniamo in maniera diversa e moralmente discutibile.
Senza girarci troppo intorno, un paese come l’ Italia (ma non solo) che molto più di altri è sottoposto a rischi sismici, con la presenza di vulcani ad alta potenziale pericolosità, di fragilità diffusa del territorio, oltre ad essere esposta, vista la posizione, a fenomeni di accoglienza di enormi masse di disperati dall’Africa, può legare il suo destino e quello di milioni di cittadini alle ferree, ciniche, insensibili logiche finanziarie e neo liberiste di un’Europa a trazione bancaria?
Sembra di capire che, al momento, i fondi stanziati per i soccorsi e l’assistenza dei terremotati non saranno inseriti tra le spese correnti e non peseranno nel rapporto debito Pil, ed è già un piccolo passo avanti, ma è solo la punta dell’iceberg. Proprio per quello che si diceva un attimo prima la situazione geologica e geografica dell’Italia la pone in condizione di estrema precarietà e rende improcrastinabile e necessaria la programmazione di un piano pluriennale di messa in sicurezza dell’intero territorio. Per fare questo si rende prioritaria, anche perché estremamente giusto, la revisione delle leggi, dei trattati che limitano la spesa pubblica e la libera circolazione delle persone (argomenti in apparenza poco accomunabili ma sottoposti alle stesse inconcepibili logiche di trattati sottoscritti non con le penne e il cuore, ma con la calcolatrice in mano).
Le leggi, i trattati, le norme quando palesano limiti ed errori è giusto che debbano e possano essere sottoposti a riletture e correzioni. L’ economia quando svincolata dalla finanza e sottoposta al controllo e alla mediazione della politica è uno strumento utile e necessario regolatore sociale. Laddove questo non è, e non sia ritenuto possibile, mantenendo ostinatamente inalterate, scale di valori antitetici con la logica e la vita stessa, non credo sia una bestemmia denunciarne i limiti e prospettare, anche, scelte conseguenti.
Il territorio italiano, la sua storia, la sua bellezza, i suoi abitanti se non possono evitare i tremori della natura devono e possono evitare il timore di essere considerati come i passeggeri di terza classe del Titanic. Perché se è vero che, se la nave affonda, affondano tutti, ma quelli che hanno meno possibilità di sortirne fuori vivi sono proprio quelli che già sono, per natura, o scelta, sotto la linea di galleggiamento.
Ad maiora


MIZIO

venerdì 26 agosto 2016

TERREMOTI NECESSARI

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Abbiamo riempito l’Italia di asfalto e cemento, abbiamo bucato, traforato, deviato fiumi, espropriato, distrutto, prosciugato sorgenti, creato laghi, cancellato panorami, coste e montagne. Il tutto snobbando con un’alzata di sopracciglio, le proteste, le perplessità, le esigenze di chi in quei luoghi ha convissuto per secoli con rispetto e all’interno di un rapporto equilibrato con l’ambiente circostante. 
Non è la nostalgica riproposizione dei bei tempi andati o del buon selvaggio capace di convivere con la natura e i suoi rischi. Perché i terremoti, anche distruttivi, ci sono sempre stati, come alluvioni e inondazioni. Fenomeni che non si potevano (e non si possono ) prevedere né fermare. Quello che possiamo fare, grazie alle moderne tecnologie e alle conoscenze acquisite nel corso dei secoli da ricerca e scienza, è di utilizzarle al meglio per la prevenzione, lo studio e la salvaguardia di comunità umane e naturali.
Oltre l’impatto devastante con rischi non sufficientemente considerati delle cosiddette grandi opere “indispensabili” quanti miliardi di euro costeranno? Tutte risorse che andranno a pesare, insieme ai danni ambientali, in un bilancio futuro come saldo negativo in termini sia economici che sociali. 
Anche l’ONU ci fa sapere che l’Italia è in ultima posizione in quanto a prevenzione, strutture e adeguamenti per la sicurezza del territorio. Mentre siamo sicuramente all’avanguardia per linee Alta velocità, rete autostradale, cattedrali e opere inutili progettate e costruite per i grandi eventi.
L’Italia, che si dimostra straordinariamente solidale e generosa in occasioni tragiche, è però incapace di controllare e amministrare  il quotidiano. Per guadagnare 5 minuti tra Roma e Milano non ci si ferma neanche di fronte il rischio di provocare potenziali danni in città come Firenze.
Italia, paese dalla natura e dal patrimonio artistico tanto preziosi e straordinari quanto ignorati e fragili, non può e non deve permettersi distrazioni o delegare ad un ipotetico futuro la presa di coscienza di tale realtà e la necessità di scelte conseguenti.
Introdurre nel sentimento e nelle coscienze colletive, prima ancora che nelle regole scritte, che gli aspetti economici, gli interessi finanziari non potranno e non dovranno mai avere la prevalenza rispetto la salvaguardia e la messa in sicurezza del territorio, delle comunità che le abitano e della stessa vita umana.
Ma, si dirà, il debito pubblico, gli accordi con l’Europa da rispettare, il fiscal compact che ha strangolato gli enti locali, come si fa, dove troviamo le risorse.
Ecco il punto focale attorno il quale, anche se si vuol far finta di niente, ruota tutto il discorso e ritroviamo il bandolo della matassa.
I soldi si trovano e ci sono solo per quelle opere che garantiscono , speculazioni e salvaguardano interessi che ricadono nell’immediato e limitatamente ad alcuni soggetti. Quei, come li definisco io, “lor signori”, che con argomentazioni supportate dagli "Azzeccagarbugli” di turno, tentano (riuscendoci) di convincerci che sono opere necessarie per lo sviluppo e la modernizzazione del paese oltre che per creare posti di lavoro, anche se precario e limitato nel tempo.
Gli stessi che sono i guardiani degli interessi finanziari e speculativi della nuova economia globale che salvaguarda i profitti, il libero scambio di merci al più basso costo possibile, bypassando esigenze vitali di singoli e di interi popoli. Gli stessi che considerano moralmente accettabile il sacrificio di migliaia di esseri umani in guerre “umanitarie”. Che obbligano milioni di uomini e donne a migrazioni bibliche per sfuggire a guerre e fame e farli, poi, finire ammassati e sfruttati in lager ai margini delle ricche e accoglienti democrazie.
Si dirà che c’entra tutto questo con i terremoti?
C’entra come c’entrano tutte le altre migliaia di cose che non vanno nella nostra moderna società. C’entra e c’entrano tutte quelle speculazioni e quei condizionamenti che ci portano a giustificare e a considerare prioritario l’interesse economico, piuttosto che gli interessi della sopravvivenza e salvaguardia del pianeta e dell’umanità.
Non aspettiamoci che questa presa di coscienza, che questa inversione di tendenza parta da lor signori o dall'alto. Deve maturare, crescere all’interno di ognuno di noi che senta questa esigenza.E, conseguentemente, maturare la convinzione e la necessità di trasformarla, con azioni e prese di posizioni, in qualcosa di visibile e tangibile. Ognuno nel proprio ambito sia esso politico, sociale, religioso, filosofico, morale.
Siamo vigili e presenti laddove questi pericoli si manifestano e si concretizzano, si sensibilizzi il proprio parente, il vicino di casa, si rompa le scatole al politico, all’amministratore locale, al professionista che dovrà decidere o attuare determinate cose.

Se i terremoti, le alluvioni  non si possono prevedere, si possono sicuramente limitare i danni e salvaguardare vite umane, città, borghi e territori con scelte politiche, economiche, di prevenzione e di salvaguardia ma soprattutto con una presa di coscienza, singola e collettiva che dia vita a un terremoto politico e sociale tanto auspicabile quanto necessario.
Ad maiora

MIZIO