martedì 31 maggio 2011

Acqua privatizzata o pubblica? Nestlè va oltre: quotiamola in borsa!

La Nestlé e la privatizzazione dell’acqua. Altro che acqua bene comune! La multinazionale svizzera, già sotto boicottaggio per la sua politica sul latte in polvere per l’infanzia, sostiene che l’oro blù va del tutto affidato alle leggi della domanda e dell’offerta. Altolà dell’Istituto europeo di ricerca sulle politiche dell’acqua. Replica del Comitato italiano per il contratto mondiale dell’acqua. Petrella: irresponsabili e ridicoli.
Istituire una Borsa dell’acqua. È questa l’ultima uscita della multinazionale Nestlé. Lo ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters il presidente Peter Brabeck, sottolineando che una scelta di questo tipo «così come per altre materie prime, contribuirebbe a regolare il problema della carenza di questo bene prezioso».

Immediata la risposta di Riccardo Petrella, presidente dell’Istituto Europeo di Ricerca sulle Politiche dell’Acqua (Ierpe), il quale ha affermato che si tratta di «una proposta irresponsabile e ridicola».

In un comunicato, la Facoltà dell’acqua, attiva presso il Monastero del bene comune di Verona, spiega che Brabeck vuole “risolvere” il problema della concorrenza, nella regione canadese di Alberta, tra agricoltori che necessitano d’acqua per i raccolti e le compagnie petrolifere che utilizzano ingenti quantità d’acqua per estrarre il petrolio dalle sabbie bituminose. Secondo il presidente della Nestlé, «quando la domanda aumenta, il mercato reagisce e la gente comincia a usare la risorsa in maniera più efficiente».

La proposta di Nestlé ha già trovato consenso nel governo di Alberta che come primo passo, ha inventato la distinzione tra diritti alla terra e diritti all’acqua, in modo che il possesso della terra non dia automaticamente diritto all’acqua che vi scorre. Petrella non ha dubbi sul fatto che «affidare l’acqua alla Borsa significa confiscare ai popoli della Terra un bene comune pubblico insostituibile per la vita, consegnando il futuro della vita di milioni di persone al potere di arricchimento di pochi grandi speculatori finanziari». E aggiunge: «I propagandisti dell’acqua rara (oro blu) sono gli stessi che hanno prodotto la penuria della risorsa idrica imponendo politiche economiche predatrici ed usi insostenibili e inquinanti. Non possiamo permettere a questi gruppi la possibilità e il potere di imporre la loro irresponsabilità. Sarebbe indecente».

Sulla questione è intervenuto anche Rosario Lembo, presidente del Comitato italiano per il contratto mondiale sull’acqua, con una secca replica: «L’acqua non è una merce e pertanto è assurdo creare una Borsa mondiale dell’acqua! La proposta di consolidare un approccio già dominate che punta a classificare l’acqua come una merce a valenza economica, costituisce una provocazione che lascia chiaramente trasparire gli interessi dei principali gruppi economici e finanziari mondiali, e come intendono gestire e governare il bene comune acqua nel corso dei prossimi anni. Questa proposta va rigettata con forza attraverso azioni di contrasto da parte dei cittadini di ogni parte del mondo».
«È assurdo pensare – aggiunge Lembo – che l’accesso all’acqua potabile, che l’Onu ha di recente riconosciuto come un diritto umano, possa essere regolato attraverso una Borsa mondiale, analogamente a quanto è purtroppo avvenuto per il petrolio, i semi, il grano. Non è attraverso lo strumento del prezzo che si può pensare di contrastare la competitività crescente tra gli usi produttivi delle risorse idriche e quindi fra agricoltura ed idroelettrico o di ridurre gli sprechi, affidando all’aumento del prezzo la riduzione dei consumi per superare i trend crescenti di depauperamento e scarsità delle risorse idriche». (Agoravox)

Germania, addio al nucleare

ENERGIA

Ultimo reattore spento nel 2022
Berlino sarà la prima potenza industriale a rinunciare completamente all'atomo, che attualmente copre il 22% del suo fabbisogno energetico. Dei 17 impianti chiusi dopo il disastro di Fukushima, 8 non saranno più riattivati. L'annuncio del ministro dell'ambiente: "Non torneremo indietro"
dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI
BERLINO – È fatta: la Germania della cancelliera cristianoconservatrice Angela Merkel è la prima grande potenza economica a dire addio all’atomo. Alle prime ore del mattino, dopo un lungo vertice alla Cancelleria e consulti con le opposizioni di sinistra, i sindacati, le Chiese, le parti sociali e il ministro dell’Ambiente, il democristiano Norbert Roettgen ha dato l’annuncio: tra dieci anni, nel 2022, l’ultimo dei 17 reattori atomici tedeschi sarà spento.

L’addio al nucleare costerà 40 miliardi di euro, e sarà accompagnto da uno sforzo ancor più massiccio di quelli già intensi compiuti finora per la riconversione alle energie rinnovabili e pulite. Berlino, sull’onda del terrore provato dalla società tedesca e da tutto il pianeta per la tragedia di Fukushima, si è dunque decisa a bruciare i tempi e a dare l’esempio a tutto il mondo.

Non ci sarà un ritorno indietro, non sarà possibile perché la nostra decisione lo vuole escludere, ha detto Roettgen. Ecco i principali punti del piano governativo, deciso dopo aver sentito la commissione etica bipartisan del Bundestag e dopo negoziati di un’intensità senza precedenti con le opposizioni, cioè socialdemocrazia, verdi e Linke:

1. Le date di spegnimento. L’ultimo reattore sarà spento entro il 2021, tra appena dieci anni. Dal 2021 al 2022 tre reattori saranno tenuti in standby, pronti all’uso, in caso di rischio di blackout.

2. Dopo il 2022? Sarà tenuto in stand-by come riserva un solo reattore, ma solo per la produzione di energia in caso di emergenze e per evitare blackout.

3. I costi della riconversione. I media e gli esperti li hanno calcolati in 40 miliardi di euro. Il mantenimento della tassa sull’energia atomica pagata dai produttori di energia aiuterà a finanziare la spesa.

4. Gli obiettivi della riconversione. Tra il 2020 e il 2030 il governo vuole che le energie rinnovabili passino a coprire almeno tra il 70 e l’80 per cento del totale del fabbisogno d’energia della prima potenza economica europea.

5. La situazione attuale. Da alcune settimane sono accesi pochissimi dei 17 reattori: molti sono spenti per controlli di sicurezza o manutenzione. Per cui già adesso la percentuale di fabbisogno energetico fornita dalle centrali atomiche tedesche, 17 per cento circa del totale, è decisamente inferiore a quella (22 per cento) che la Germania ricava da eolico, fotovoltaico, biomassa e altre energie rinnovabili.

La tragedia di Fukushima, il decollo dei Verdi che sembrano in marcia verso il traguardo di divenire primo partito d’opposizione (e in alcuni sondaggi sono il primo partito tout court) e le disfatte elettorali del centrodestra negli ultimi mesi in molte elezioni regionali, a vantaggio soprattutto degli ecologisti, hanno dunque convinto Angela Merkel a una svolta radicale. La cancelliera aveva infatti cancellato (nel 2009) il programma di addio dolce all’atomo lanciato nel 1998 dalla Spd del suo predecessore Gerhard Schroeder e dai suoi alleati Verdi dell’allora ministro degli Esteri Joschka Fischer.

Il centrodestra sosteneva le ragioni dell’atomo e della lobby atomica, dicevano i critici. Ma, come ella stessa ha ammesso in pubblico, Fukushima ha costretto a una riflessione profonda: un rifiuto dell’atomo nella società e una tempesta di dubbi nella stessa Dc tedesca. Già da anni, l’economia tedesca si prepara a vivere senza atomo: mentre la dipendenza dalle centrali, dal 1998 a oggi, è diminuita dal 33 per cento al 17 per cento del fabbisogno totale di elettricità, l’efficienza energetica dell’industria made in Germany è cresciuta del 48 per cento e il paese è diventato molto più competitivo e global player di economie come quella francese che invece scommettono tutto sul nucleare.

Le prime reazioni del mondo economico (come un duro commento dell’amministratore delegato di Daimler, Dieter Zetsche) sono state negative: criticano l’eccessiva fretta e parlano dei rischi dell'insufficienza energetica. La Merkel ha deciso di ignorare riserve e ‘nyet’ dei poteri economici, pure sostenuti dall’ala destra del suo partito e dai suoi alleati di governo liberali (Fdp), e di seguire la scelta degli elettori e del paese reale. Ascoltando opposizioni, sindacati e chiese più che non i produttori d’energia e gli imprenditori.
(da La Repubblica

30 maggio 2011)

Bisfenolo A: dal 1 giugno stop ai biberon in policarbonato

Dopo il blocco della produzione, entra in vigore il divieto di commercializzazione dei biberon in policarbonato contenenti bisfenolo A (BPA). La sostanza, giudicata dannosa per la salute, risulta infatti particolarmente pericolosa per i bambini. Per la Commissione europea è preferibile utilizzare contenitori in vetro.

Il bisfenolo A è un composto organico utilizzato principalmente nella produzione di materie plastiche e in particolare di policarbonato, alla base di una serie di prodotti per bambini, ma anche di dispositivi medici, odontoiatrici e ottici.

Le evidenze circa la tossicità del bisfenolo A si sono accumulate nel corso degli anni, a partire dagli anni Trenta e sempre più intensamente nell’ultimo decennio, nel corso del quale sono stati pubblicati diversi studi negli Stati Uniti, ad esempio attraverso il National Institute of Envirommental Heath Sciences , e in Europa.

Così è stato dimostrato che il BPA interferisce con l’equilibrio ormonale e può danneggiare lo sviluppo cerebrale, gli organi riproduttori, sia nei feti che negli adulti, e il sistema immunitario; alcuni studi hanno ricondotto all’assunzione di BPA anche problemi cardiaci, di obesità, di diabete ed effetti cancerogeni.

Nel 2010 una ricerca condotta in Italia con il coordinamento del professor Giulio Signorile, presidente della Federazione Italiana Endometriosi, ha individuato la relazione tra BPA e endometriosi, patologia largamente diffusa tra le donne in età riproduttiva.

L’assunzione del bisfenolo A avviene tramite l’utilizzo dei contenitori per alimenti in policarbonato: l’instabilità del legame chimico tra le molecole del BPA aumenta il rischio che la sostanza si diffonda nel liquido o nel cibo racchiuso nel contenitore e venga quindi ingerita.

A partire dal 2010, alcuni governi, come quelli danese e francese, hanno deciso di vietare l’impiego di BPA per la fabbricazione di contenitori in plastica per alimenti o bevande destinati ai bambini fino a 3 anni.


Le evidenze circa la tossicità del bisfenolo A si sono accumulate nel corso degli anni
A seguito di questi interventi, nel novembre scorso, la Commissione europea ha adottato la direttiva 2011/8/UE che ha stabilito il divieto di produzione di biberon in policarbonato contenenti bisfenolo A a partire dal 1 marzo 2011 e il divieto di importazione e commercializzazione dal 1 giugno dello stesso anno.

La decisione si basava sulle ricerche condotte dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che nel 2006 ha confermato la validità della dose giornaliera tollerabile (TBI) pari a 0,05 mg per chilo di peso corporeo, evidenziando però come il sistema di eliminazione di BPA di un bambino non sia sufficientemente sviluppato per tutelarlo dagli effetti nocivi connessi all’assunzione della sostanza.

In particolare, l’EFSA ha individuato proprio nei biberon in policarbonato “la principale fonte di esposizione al BPA per i bambini”, da cui la decisione della Commissione di bloccarne la diffusione e di promuovere l’utilizzo di altri materiali plastici e soprattutto del vetro.

Le aziende produttrici si sono gradualmente adattate alle nuove regole introducendo linee di prodotti in plastica privi di bisfenolo per sostituire quelli realizzati con BPA. Un’alternativa sicura è rappresentata comunque dal vetro, che presenta l’ulteriore vantaggio di non alterare la composizione e il sapore dell’alimento.

Un primo successo quindi, ma ancora parziale. Sebbene l’EFSA abbia attribuito ai biberon il maggior grado di pericolosità, resta da capire quanti altri contenitori e prodotti alimentari per bambini siano confezionati con policarbonato, a partire dalle tazze e dai coperchi dei vasetti degli omogeneizzati.
Da "informare per resistere"





http://www.ilcambiamento.it/legislazione_ambientale/bisfenolo_a_stop_biberon_policarbonato.html

lunedì 30 maggio 2011

Sapete qual è il segnale del risveglio? È il momento in cui ci si chiede: "Sono io il pazzo, o lo sono tutti gli altri?"
Anthony De Mello

Il bavaglio alla rete

....Accade in Italia. E solo in Italia. Grazie ad una sentenza della prima sezione penale della Corte di Appello di Catania, che ha equiparato un blog ai giornali di carta. Dunque commette il reato di stampa clandestina chiunque abbia un diario in Internet e non lo registra come testata giornalistica presso il tribunale competente, come prevede la legge sulla stampa n° 47 del 1948.
Insomma, noi come Repubblica, il Corriere, Il Fatto etc., come se fossimo una redazione di tutto punto, obbligati ad indicare editore e direttore responsabile.
Tutto nasce dalla vicenda dello storico e giornalista siciliano Carlo Ruta e del suo blog Accadeinsicilia, che si occupava del delicato tema della corruzione politica e mafiosa. In seguito a una denuncia del procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera, quel blog è stato sequestrato e chiuso nel 2004 e Ruta ha subito una condanna in primo grado nel 2008.
Ora la Corte di Appello di Catania, nel 2011, ritiene che quel blog andava considerato come un giornale qualsiasi, dunque doveva essere registrato presso il “registro della stampa” indicando il nome del direttore responsabile e l’editore.
La domanda è: cosa succederà ai 50mila blog italiani? Ovvio, non appena qualcuno di loro (e noi ad esempio) daranno fastidio al potente di turno, potranno chiuderci senza alcun problema. A meno che non intervenga il Parlamento in senso contrario, stabilendo, com’è in tutto il mondo, che i blog non possono essere equiparati alla carta stampata (altrimenti lo Stato ci dia per ogni nostro e-reader l’equivalente dei finanziamenti pubblici che prendono Repubblica e il Corriere per i loro lettori presunti).....Pubblicato da Pierpaolo Farina il mag 29, 2011 in Giustizia, Il Rompiballe, Media, Politica | 28

domenica 29 maggio 2011

Conosciamo una multinazionale che ci vuole bene


Monsanto è il principale produttore mondiale di Ogm ed è una delle aziende più controverse della storia industriale. Dalla sua fondazione, nel 1901, ha accumulato diversi processi a suo carico, a causa della tossicità dei suoi prodotti. Eppure oggi la multinazionale di Saint Louis si pubblicizza come azienda della “scienza della vita”, apparentemente convertita al verbo dello sviluppo sostenibile.
Quali sono i veri scopi di Monsanto? Dopo aver ignorato per tanto tempo gli effetti della propria attività sull’uomo e sull’ambiente, perché l’azienda esprime improvvisamente interesse per la questione della fame nel mondo?
Il libro “Il mondo secondo Monsanto” (Arianna Editrice), risultato di tre anni di importanti ricerche che hanno portato l’autrice, la francese Marie Monique Robin, in America, Europa e Asia, racconta la poco nota storia dell’azienda Monsanto.
Ed è un racconto rivelazione. Avvalendosi di documenti inediti, delle testimonianze delle vittime, di scienziati e di uomini politici, il libro ricostruisce la genesi di un impero industriale
Secondo l’autrice “grazie a una comunicazione menzognera, a rapporti di collusione con l’amministrazione nord americana e a pressioni e tentativi di corruzione, la Monsanto è divenuta la prima azienda al mondo produttrice di semi”.
Il testo svela, inoltre, il ruolo giocato da Monsanto nell’estensione planetaria delle colture Ogm, senza che ci sia stato alcun controllo serio relativo ai loro effetti collaterali sulla natura e sulla salute umana.
Pubblicato in Francia dalla casa editrice La Découverte, “Il mondo secondo Monsanto” ha già venduto 100.000 copie. L’omonimo documentario è stato trasmesso con enorme successo dal canale televisivo franco-tedesco Arte.
Il 14 marzo 2008, tre giorni dopo la messa in onda del film, sul sito web di Arte si poteva leggere: “Il Mondo secondo Monsanto ha suscitato un passaparola abbastanza colossale nella blogosfera (…). Sono stati identificati più di 338 blog francofoni che citano il titolo del documentario, 224 dei quali dopo la messa in onda”. Oggi, ossia dieci mesi più tardi, una ricerca “Le monde selon Monsanto” sul Service Blog Search di Google dà…8.669 blog francofoni; per “The world according to Monsanto” il risultato è di 9.428 blog anglofoni; e, con “El mundo segùn Monsant”’ di 3.314 blog ispanofobi”.
“Il mondo secondo Monsanto”, oltre a gettare ombre inquietanti sulla storia della multinazionale americana, rivela al lettore i pericoli che la coltura degli Ogm può portare alla salute umana e la dannosità del pesticida più venduto al mondo: Roundup, fiore all’occhiello della produzione Monsanto.
“In tutte le mie conferenze, – spiega Marie Monique Robin – insisto particolarmente sull’importanza di rivedere l’omologazione del Roundup, che costituisce ai miei occhi un’urgenza sanitaria. A questo pesticida è legato il 70% delle piante transgeniche coltivate sul pianeta. In Francia, ma anche in Canada, vi sono cittadini che hanno deciso di restituire al venditore i loro bidoni dell’erbicida più venduto al mondo e numerosi sono i comuni che hanno già vietato (o vieteranno) il suo uso, così come quello di altri prodotti simili ugualmente pericolosi”.
Il 24 novembre 2008, un articolo di “Le monde” denunciava, per la prima volta, gli effetti nefasti sulla fertilità maschile dei pesticidi (e delle materie plastiche), che sono dei perturbatori endocrini (come il Roundup di Monsanto): “la loro presenza diffusa nell’ambiente potrebbe spiegare perché il numero e la qualità degli spermatozoi degli uomini siano diminuiti circa del 50% rispetto al 1950”.
Marie-Monique Robin ha vinto il premio Albert- Londres, il più prestigioso della stampa francese (1995). Giornalista, scrittrice e regista, è autrice di molti documentari che le sono valsi diversi riconoscimenti internazionali e di documentari ripresi in America Latina, Africa, Europa e Asia.

venerdì 27 maggio 2011

CONSUMATORE? NO GRAZIE!

In questi ultimi anni è nata una nuova forma di associazionismo: quella nata a difesa dei consumatori. Non certamente una cosa negativa, visti i soprusi e il mercimonio dei produttori e dei loro padrini.
Ma qualcosa non mi torna, mi infastidisce, sarà forse quella parolina  cui, ormai assuefatti, non facciamo più caso?
E già proprio quella CONSUMATORI!!
La si può interpretare e leggere con diverse chiavi di lettura la prima e la più ovvia è quella letterale. Consumare non può essere vista come una cosa virtuosa essendo legata a doppio filo al significato di sprecare. Usare e non consumare perciò come prima distinzione. Quindi fruitori e non consumatori, l'accezione è decisamente più accettabile.
Seconda chiave di lettura, non disgiunta dalla prima, il concetto di consumo è legato strettamente a questo tipo di sviluppo dissennato e suicida che sta impoverendo drammaticamente popoli e interi continenti, con alterazioni sociali, culturali e ambientali come mai prima nella storia dell'umanità. Continuare, quindi, in questa pantomima della difesa del consumatore senza mettere in discussione il concetto stesso di consumo, vuol dire implicitamente l'accettazione delle regole di questo gioco. Difendere il consumatore e contemporaneamente proporre e perseguire modelli di sviluppo alternativi sarebbe decisamente più accettabile.
Terza, ma non ultima chiave di lettura,  noi non siamo  e non dovremmo mai sentirci  consumatori! Sembra qualcosa che attiene piu' a qualche specie di insetti, magari anche necrofori invece che sentirci prima di tutto esseri umani, poi cittadini, poi studenti, lavoratori o qualsiasi altra attività indichi il nostro posto in società. Poi tante altre cose compresa, eventualmente, la funzione di fruitori di beni e servizi. Quindi tante grazie a coloro che si impegnano nell'attività di difesa del consumatore ma non riesco a accettarla come una condizione valida al punto di doverle dare una dignità e un riconoscimento che dovrebbe attenere a ben altri aspetti della nostra vita.

giovedì 26 maggio 2011

Dopo aver tanto corso, un uomo dovette fermarsi per aspettare che la propria anima lo raggiungesse - Proverbio Himalayano

L’impianto nucleare di Sessa Aurunca: 23 anni per chiuderlo e mezzo miliardo di euro

di Nello Trocchia

Alla stazione quando chiedi per la centrale, la evocano con misura, distanza, quasi paura. Da queste parti lo chiamano mostro, l’impianto che ha smesso la sua attività nel 1978, dopo 33 anni è ancora lì ad agitare paure e timori della popolazione, nonostante le precauzioni di chi la gestisce. E’ chiusa, ma aumentano i costi di gestione, prelevati dalle tasche dei cittadini. Siamo a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, ai confini con il Lazio. Nei pressi del fiume Garigliano sorge la centrale nucleare entrata in funzione nel 1964 e spenta dopo 14 anni a seguito di un guasto.

Il fatto quotidiano entra nell’impianto, oggi in fase di dismissione, insieme alla commissione bonifiche ed ecomafie della regione Campania. Il presidente Antonio Amato è impegnato, fin dal suo insediamento, in un tour. Da mesi attraversa scheletri, monumenti allo spreco, discariche e impianti disseminati lungo una terra, una volta appellata come felix. Dell’intera commissione presente solo un consigliere. “Quella del nucleare – denuncia il presidente Amato – è una scelta assolutamente sbagliata, per le primarie questioni legate alla sicurezza ed alla salute, ma anche in termini di costi benefici, il calcolo appare del tutto privo di logica. Ancora oggi paghiamo sulla nostra bolletta i costi della dismissione delle passate centrali. Pensare di realizzare nuove centrali è una scelta del tutto scriteriata”.

Il tema è di stretta attualità in vista del referendum del prossimo giugno che si propone di bocciare il ritorno all’atomo varato dal governo. L’accesso alla centrale nucleare di Sessa Aurunca è riservato, il sito è strategico e all’esterno è protetto dagli agenti di un istituto di vigilanza. La fase di decommissioning, il completo smantellamento dell’area, è affidata alla Sogin, la società per azioni, a capitale pubblico, che ha in carico la gestione, nel nostro paese, della fine degli impianti nucleari. Per chiuderli occorre una società, ma soprattutto capitali umani ed economici.

Il decomissioning prevede l’allontanamento del combustibile nucleare, nel caso della centrale di Sessa in parte trasferito in Inghilterra e in parte al deposito ‘Avogadro‘ di Saluggia, la decontaminazione delle strutture e lo smantellamento dell’esistente. “Del sito resterà solo la cupola, l’enorme sfera centrale – spiegano i tecnici Sogin – perché è stata costruita dall’architetto Riccardo Morandi”. La completa bonifica del sito era prevista entro il 2016, ma la data è slittata. ” I ritardi nelle autorizzazioni e la mancanza di un sito di stoccaggio nazionale per le scorie – chiariscono gli esperti Sogin – ha ritardato la data di conclusione dei lavori”.

Più passa il tempo e più aumentano i costi di mantenimento. La data ora prevista per il completamento delle operazioni di dimissioni è il 2022, ben 23 anni dopo l’inizio dell’attività di decommissioning. Non si escludono ulteriori proroghe, se il governo nazionale non avrà individuato e realizzato il deposito nazionale delle scorie. La Sogin ha un progetto: sito di deposito nazionale più centro di ricerca, in una zona ancora da individuare, che raccoglierà 80mila metri cubi di rifiuti radioattivi dalle centrali dismesse di tutta la penisola. La stima per i rifiuti del Garigliano si aggira intorno ai 6-7 mila metri cubi che saranno allocati, in attesa del deposito nazionale, nella stessa centrale casertana in un sito provvisorio in costruzione chiamato D1( che si aggiunge ad un altro deposito in loco già esistente). I costi, sempre secondo la Sogin, per la completa dismissione si aggirano intorno ai 450 milioni di euro per la sola centrale di Sessa Aurunca.

Un conto che al momento pagano gli italiani attraverso un contributo inserito nella bolletta elettrica, la cosiddetta componente A2. Per capirci la centrale non funziona da 33 anni, per smantellarla in termini previsionali ne occorrono 23, un quarto di secolo, ad un costo di mezzo miliardo di euro. Per smantellare tutte le centrali il costo è intorno ai 5 miliardi di euro(compresa la realizzazione del deposito nazionale), raddoppiato rispetto alle previsioni iniziali. Un impianto che produce reddito e ricchezza anche se fermo, ma per le ditte che si accaparrano gli appalti, sub-appalti con il giro dei fornitori. In terra di Gomorra il rischio è il lucro delle organizzazioni criminali, ‘ firmiamo protocolli di legalità e chiediamo certificati antimafia attenendoci con rigore al codice degli appalti’ assicurano gli esperti Sogin.

Anche Legambiente assiste alla visita della centrale. Nel marzo scorso il ministro della salute Ferruccio Fazio rispondendo ad una interrogazione parlamentare aveva negato ogni tipo di danno sanitario o ambientale causato dalla centrale. “Il ministro – denuncia Giulia Casella del circolo Legambiente locale – ha risposto, ma bisogna rimarcare che non c’è uno studio epidemiologico nell’area( dovrebbe partire a breve, ndr) e manca, in provincia di Caserta, un registro dei tumori per capire l’impatto sulla salute che ha avuto l’impianto, visti i numerosi casi di neoplasie, malformazioni, registrati in passato nel periodo di vita della centrale”. Per il presidente della commissione regionale Antonio Amato il lavoro di bonifica sembra procedere positivamente, ma rileva un ulteriore criticità: “La mancanza di un protocollo di monitoraggio con Arpac e Asl per il quale intendiamo promuovere un’azione di sollecita a questi enti strumentali della regione”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

I BAMBINI DI FUKUSHIMA

La Tepco ha annunciato, oggi, che anche nei reattori 2 e 3 c’è stata la parziale fusione del nocciolo. Abbiamo sentito Ernesto Burgio, Coordinatore del Gruppo ISDE-Medici per l’Ambiente.

La notizia non ha nulla di nuovo. Nonostante la comunicazione della Tepco, perché già il 25/26 marzo le notizie sul fatto che ci fosse una fusione almeno parziale nei reattori 1, 2, 3 non solo nell’1, erano emerse con certezza. Tutti e 3 i reattori erano stati abbondantemente innaffiati con acqua di mare già alla fine di marzo, e l’acqua di mare come tutti sappiamo danneggia notevolmente le strutture. Ma quel procedimento urgente ci fa capire che era legato a un inizio di fusione. La Tepco sostiene che la situazione sia abbastanza sottocontrollo. Rimane il dato però che loro stessi già a marzo dissero che le acque degli oceani, dell’Oceano Pacifico nella zona delle centrali, presentava un aumento significativo di radionuclidi. Quindi che ci siano stati degli sversamenti lo ammettono dal 30 marzo. I livelli di radioattività dell’acqua nella zona erano saliti da 1200 a 3000 a 4000 volte sia per lo iodio che per il cesio e per di più proprio qualche giorno fa ho visto il grafico: è vero che è calata la quantità, la densità di questi radioisotopi nelle acque. Però c’è ancora parecchio cesio, che è forse il problema maggiore in questi casi, perché si concentra molto nei muscoli, quindi nelle catene alimentari. Dura molto più a lungo, perché dura decenni, quindi chiaramente bisognerà capire nei prossimi mesi.

In Giappone hanno innalzato i limiti di radiazioni ai quali può essere esposto un bambino. C’è chi sostiene che un bambino ogni 200 si ammalerà di cancro. Ma in casi di radiazioni c’è più rischio per un adulto o per un bimbo?

Questa è una bella domanda, ma è anche complessa. Il problema vero è questo: il modello di esposizione e di valutazione dei rischi è un modello antico, di 50 anni fa. Si continua a valutare la pericolosità della situazione sulla base di un modello prima di tutto disegnato dai fisici e non dai biologi e tanto meno dai medici, che tiene conto della cosiddetta dose totale assorbita e che valuta, ma in maniera assolutamente teorica, a tavolino i rischi come legati direttamente, in modo proporzionale alla dose totale. Questo non ha niente a che vedere con quello che realmente succede. La pericolosità di queste situazioni, soprattutto quando si verificano incidenti, non è legato alla quantità massima di radiazioni emesse immediatamente, che colpisce tutto sommato una parte limitata di popolazione direttamente esposta. Il pericolo è legato alle piccole quantità quotidiane che vengono assorbite da milioni di persone. Per di più, questo tipo di assunzione per via alimentare significa un assorbimento per via interna. Le cellule vengono esposte per anni o decenni a piccole quantità quotidiane di radioisotopi e quindi di radioattività. Nei bambini soprattutto, ma in generale nei soggetti in via di sviluppo, quindi dove gli organi e i tessuti si stanno formando, la tossicità è ancora maggiore. Il fatto che aumentino queste soglie arbitrariamente, proprio per permettere che la situazione non venga paralizzata, è un espediente purtroppo non del tutto inusuale perché perfino in Italia ultimamente con il benzopirene, pensando a situazioni come Taranto, hanno fatto la stessa cosa. Poi c’è stata una levata di scudi, però di fatto anche qui si fanno queste cose. Con l’atrazina è successa la stessa cosa. Quando vedono che una sostanza tossica diventa diffusa, anziché dire la riduciamo, tendono a fare questa follia di alzare i livelli di soglia. Perfino con le centraline nelle nostre città lo fanno, anziché dire: l’Europa chiede una diminuzione progressiva del particolato fine e soprattutto dell’ultrafine che neanche viene preso in considerazione, le cosiddette autorità locali fanno il contrario, tendono a elevare le soglie per lasciare tutto com’è. Ma questo sostanzialmente per una questione di incoscienza e di inconsapevolezza: sono convinti che tutto sommato i danni non sono così gravi. Sui bambini e ancora di più sull’embrione e sul feto queste piccole quantità quotidiane, interferiscono sulla programmazione addirittura dei tessuti. Gli studi che hanno dimostrato l’aumento delle leucemie attorno alle centrali. Ma non è importante l’esposizione diretta dei bambini a dosi massive come si continua a pensare e come continuano le istituzioni a rassicurare dicendo: “beh l’esposizione a dosi piccolissime… “. Le dosi piccolissime quotidiane, soprattutto per via interna, sono proprio quelle più pericolose.

Alcuni oceanografi hanno stabilito che anche l’Atlantico è stato contaminato. Dunque lo sarà anche il Mediterraneo?

Che venga addirittura inquinato l’intero Oceano Pacifico e quindi l’Atlantico e il Mediterraneo, attualmente a me sembra un allarme un po’ eccessivo. Però tutto dipende da quanto dura l’emissione e la diffusione e quindi le capacità di diluizione da parte degli oceani. Sarà da vedere, speriamo di avere la possibilità di ragionare su dati attendibili, perché come dicevamo già le altre volte, è un po’ paradossale, ma noi dobbiamo ragionare sui dati che vengono dati dalla Tepco che sono inevitabilmente riduttivi. C’è un silenzio stampa abbastanza assordante!

Abbiamo dati certi circa l’impatto di Chernobyl sui tumori in Europa?

Rivedendo tutti gli studi epidemiologici a partire da Hiroshima e poi soprattutto proprio su Chernobyl, la quantità di patologie che realmente è stata prodotta direttamente dall’esposizione, quindi sulle popolazioni che vivevano in Ucraina, in Bielorussia e nei paesi limitrofi e soprattutto via, via che la nube è stata studiata più a fondo per quanto riguarda gli effetti e la deposizione in particolare del cesio nelle catene alimentari, è stato verificato che c’è un aumento abbastanza marcato delle leucemie infantili in proporzione diretta. Lì dove è stato trovato un livello alto di cesio, in proporzione sono aumentate le leucemie infantili. Chernobyl è stata un ingrediente fondamentale nell’aumento dei tumori infantili che abbiamo in Italia. Abbiamo addirittura un incremento nel primo anno del 3% dei tumori infantili che in 15/20 anni significa un aumento veramente significativo.
In più c’è per esempio il problema della tiroide. Anche dopo Chernobyl abbiamo cercato di avere i dati sicuri sulle emissioni e sulla diffusione dello iodio 131. Non abbiamo potuto fare nulla, perché i dati si sono saputi dopo anni. I dati ufficiali non arrivavano, erano state fatte delle verifiche in Italia. Che ci fosse un aumento di iodio 131 si sapeva, ma se si fosse potuto sapere in tempo e in maniera continua, avremmo potuto per esempio dare iodio preventivo ai nostri pazienti e secondo me si sarebbero ridotti i danni, invece c’è stato un aumento veramente notevole di patologie tiroidee in tutta Europa e nelle zone più vicine all’incidente. C’è stato un aumento veramente notevole, centinaia di volte, del calcinoma tiroideo infantile che è un tumore raro che colpisce la tiroide perché proprio lo iodio 131 si fissa sulla ghiandola e praticamente produce una proliferazione cellulare neoplastica. Questi sono dati assolutamente sicuri.


di Ernesto Burgio -
L'Etica del Lavoro e del Delirio
DI MIRELLA PIERONI



Se vogliamo inserire il “Lavoro” nell’ambito di una corretta definizione di Marketing, esso può essere considerato come uno degli elementi dello scambio, evoluzione del baratto delle società primitive. Da un lato c’è un soggetto che ha bisogno di un bene/servizio e dall’altro chi può fornirglielo in cambio di un bene/servizio di uguale valore. O più esattamente in cambio del suo corrispondente in denaro. Se lo scambio avviene con equità il risultato è la soddisfazione reciproca.

La soddisfazione reciproca c’è quando il lavoratore produce con competenza e professionalità nel tempo e nei modi concordati il bene/servizio richiesto e l’Impresa lo retribuisce equamente in relazione al valore corrispondente a quanto prodotto. Le cose sembrerebbero semplici, ma chi stabilisce il valore corrispondente a quanto prodotto? Se nello scambio i soggetti avessero pari forza contrattuale il problema non si porrebbe. Invece nelle società odierne dominate dal denaro e dal profitto, il lavoratore è la parte più debole perché unico interlocutore che chiede lavoro per vivere a un soggetto/Impresa il cui scopo è quello di realizzare profitti e non certo quello impellente di mangiare e pagare un affitto o un mutuo. L’Impresa quindi nel trattare con il singolo cercherà sempre di ottenere il massimo impegno lavorativo con una retribuzione minima, consapevole del fatto che troverà sempre un lavoratore più bisognoso e quindi più disponibile e ricattabile. Dal dopoguerra fino alla fine degli anni ottanta, le migliori condizioni di vita e una più diffusa scolarizzazione hanno fatto emergere bisogni più elevati di quelli fisiologici - scala di Maslow - e fra i lavoratori si è conseguentemente accresciuta la necessità di unione per interloquire con maggior peso nei confronti dei datori di lavoro. Ciò li ha portati ad organizzarsi fino a diventare delle strutture rappresentative dei lavoratori, che forti del mandato degli stessi sono venuti a sostituirsi al singolo, consentendo nel tempo di ottenere eque retribuzioni e diritti sociali e umani come orari consoni, pausa pranzo, ferie, malattia retribuita, diritto di sciopero. Può essere che in seguito, un certo tipo di lavoratore si sia approfittato delle tutele tanto duramente conquistate da altri e abbia confuso, in modo assurdo e delirante, il diritto al lavoro, con quello di stare al lavoro, inteso logisticamente, senza un reale e doveroso impegno, mentre un altro tipo di lavoratore più serio e dedito con impegno ai compiti affidatigli, si sia crogiolato nel ritenere scontati e inalienabili quei diritti, cominciando a disertare le riunioni sindacali e delegando sempre più alle organizzazioni sindacali. Si fece anche strada la consuetudine di concordare, all’occorrenza, singolarmente con il capo qualche privilegio in cambio di maggiore dedizione o anche delazione.

Quanto sopra, ma non solo, ha offerto il pretesto, incontestato anche dai Sindacati, di limitare progressivamente questi diritti, perché assurdamente si dovevano tutelare padroni e padroncini. Così invece di trovare il giusto strumento o semplicemente applicarlo per isolare e “punire” i lavativi, si sono puniti tutti i lavoratori. Il tutto agevolato dal fatto che anche le organizzazioni sindacali nate per tutelare la categoria dei lavoratori, si sono involute, decidendo, agevolati anche da una sempre più crescente assenza dei lavoratori nelle riunioni, tutto dall’alto e cominciando a sacrificare diritti e posti di lavoro in cambio anch’esse di privilegi, promozioni per se stessi e per i propri parenti e amici. Mentre nel frattempo si erodevano un po’ alla volta, giorno dopo giorno, anno dopo anno, diritti e posti di lavoro, in modo altrettanto graduale e subdolo i management aziendali hanno indotto i lavoratori, soprattutto i giovani e i livelli intermedi e dirigenziali con ricaduta a pioggia sugli altri, a lavorare sempre di più, oltre l'orario, senza pause, rinunciando anche a parte delle ferie e senza maggiore retribuzione. Tutto ciò è avvenuto tramite un vero e proprio lavaggio del cervello, attraverso corsi e riunioni, dove ti fanno sentire che tu sei parte dell'Azienda e se ne vuoi realizzare la “mission" e quindi la sopravvivenza dell'Azienda e di chi ci lavora devi dare il massimo. Siamo stati in molti a cadere in questo delirio lavorativo, che non consente spazi per altro e che sacrifica tutto il privato sull’altare del “Dio Lavoro e Carriera” e dove spesso le promesse di carriera, aumenti di salari restano solo promesse, perché sono promesse false che hanno il sapore del ricatto: per il precario il miraggio di un posto fisso e per chi ha un posto fisso, il miraggio della carriera. Poi basta un cambio di vertice e management aziendale e tutte le promesse cadono come castelli di carta. A volte sono sufficienti solo scuse per non mantenere quanto promesso e per portare solo a casa propria i risultati dell’extra-lavoro svolto da altri.

Il lavoro totalizzante, insicuro, rende le persone stanche e fragili e per questo meno partecipi alla vita sociale e politica, più inclini ad abbandonarsi alla sera in poltrona a vedere programmi insulsi con l’idea vana di rilassarsi senza sapere che attraverso il lavoro moderno - che di moderno non ha niente - prima, e con il programma televisivo, dopo, qualcuno sta addormentando e plagiando le loro menti.

sabato 21 maggio 2011

Ecologia Mentale
DI REBOOT



L’ecologia è un tema che mi sta molto a cuore. Per questo mi fa male vederlo spesso trattato in maniera riduttiva e abusiva. La macchina propagandistica è attivissima anche in tema di ecologia e ambiente. Si investono miliardi per renderci difficile capire la verità degli eventi e diffondere un senso d’impotenza e di paura che spesso sfociano nella negazione del problema e nel disinteresse.

“Green” è solo la strategia di marketing del momento, inventata per vendere cose vecchie come se fossero nuove. Il consumo etico, gli imballaggi biodegradabili, le lampadine a risparmio energetico sono un modo facile e veloce per illuderci di avere la coscienza pulita. E’ l’illusione di nuova economia, un’economia più accettabile e contemporanea, a essere in vendita. Per il resto è “business as usual”. Con un po’ di makeup e una buona agenzia di PR, il nostro modello di produzione e consumo è più libero di prima di compiere i più gravi disastri ambientali e le peggiori nefandezze umane. Questo anche grazie ad un sistema giuridico e un sistema politico compiacenti, ma soprattutto grazie a un sistema culturale totalmente connivente. Agire solo sulla tutela dell’ambiente sperando di ottenere risultati duraturi è un’illusione. E’ il sistema di connivenze in sé che va ricucito, messo in discussione e modificato, non una sua parte. Se s’imbarca acqua, è utile darsi da fare per buttarla fuoribordo con un secchio, ma se non ci da anche da fare per riparare la falla, ci sono ben poche speranze di rimanere a galla.

Sono le fondamenta del sistema etico-culturale in cui siamo nati che dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione e riparare. Sono le nostre credenze di base, le nostre abitudini e le nostre consuetudini. E’ l’idea che abbiamo di noi stessi che dobbiamo ripensare. Cambiare, vuol dire mettere in discussione tutto il nostro essere. Il processo di trasformazione di mentalità inizia dal singolo e, come un virus, si diffonde poi all'intera popolazione. Solo se questo processo avrà luogo, un bel giorno, studiosi e amanti della natura, scopriranno che il loro scopo coincide esattamente con quello di studiosi e amanti della salute, della libertà, della giustizia e della bellezza. E se questo processo non avverrà, saranno una lunga serie di brutti giorni per tutti. L’unica possibilità che abbiamo per vivere in un posto ospitale è che le nostre idee, come una corrente elettrica, a un certo punto generino un’esigenza così urgente e diffusa da cambiare leggi e istituzioni. Fino a che non sapremo in grado d’immaginare una civiltà diversa, non cambierà mai niente, se non a livello superficiale.

Non facciamoci distrarre. Cerchiamo d’identificare e tenere presente la radice del problema, le relazioni di causalità, le priorità e le responsabilità. Partendo dalle nostre. Il primo passo da fare quindi, non è verso né contro qualcosa o qualcuno. E’ un passo indietro, per poter valutare il quadro d'insieme, e riconoscere la migliore direzione verso cui dirigere le nostre energie.

lunedì 2 maggio 2011

LA VITA E' UN MISTERO: IL RISVEGLIO DELLA COSCIENZA (A. Di Mello)


La vita è un mistero, il che significa che la mente razionale non è in grado di comprenderla. Per questo dovete svegliarvi, e improvvisamente vi renderete conto che la realtà non è problematica: il problema siete voi.

-- Anthony De Mello