domenica 24 marzo 2024

EQUIVOCI

 




Dopo tanti tentativi di capire, di interpretare, di storicizzare gli eventi, le questioni e i relativi personaggi, si arriva a conclusioni spesso di una banalità sconcertante. Quante parole, quante mistificazioni, quanti demoni vestiti da santi e quanti santi trattati da demoni.

La verità appare all'improvviso come una saetta che illumina e squarcia un paesaggio desolato e desolante. Il big bang che si dice abbia dato il via a tutto ciò che possiamo, non solo vedere e conoscere ma anche, a tutto ciò che si possa anche solo e semplicemente immaginare, si ripropone dimensionalmente rapportato, all'improvviso e potenzialmente nella mente e nella vita di ognuno di noi.

Il rinchiudersi in una forma pensiero standard, immutato e immutabile nel tempo, se da una parte, facilita la comunicazione e la condivisione di una piattaforma comune di convivenza e accettazione delle relative regole. Dall'altra ne mostra spesso i limiti e la permeabilità. Permeabilità che, proprio facendo leva strumentalmente su quelle regole condivise e da accettare come inevitabili, permette a chiunque lo voglia e lo possa, di farsi interpreti di un ruolo e di una funzione più autopromozionale che corrispondenti a un interesse collettivo..

Può sembrare un ragionamento eccessivamente proiettato in una dimensione altra e anche, tutto sommato, di lana caprina. Ma se lo facciamo trascendere da quella dimensione esclusivamente e intellettualmente speculativa, per riportarlo in una dimensione più accessibile e calata nella realtà, ne possiamo sostanziare e riconoscerne una sua validità. Non assoluta certamente, e con molti bug o limiti facilmente riscontrabili. Ma sono gli stessi bug e limiti che si possono ritrovare in qualsiasi ragionamento abbia la pretesa di interpretare un qualsivoglia concetto o processo espresso o da giudicare. La differenza la fa quella cosa cui si accennava in precedenza. Cioè la condivisione per necessità o convenienza, di una comune piattaforma interpretativa e di un modus vivendi condiviso e accettabile dai più.

Detto ciò in premessa a cosa e dove si vuol andare a parare?

Praticamente a nulla più che al provare di fornirsi di una chiave di lettura della realtà circostante non limitandola ad una percezione unica e immutabile. Ma inquadrandola come frutto di convenzioni, abitudini, visioni non sempre e non per tutti, corrispondenti un sentire reale e spurio da interessi speculativi.

Questo, se da una parte è la meravigliosa caratteristica che fa della vita sulla Terra un'esperienza unica e irripetibile per ognuno. Per altri aspetti ne permette un condizionamento eccessivamente limitativo e penalizzante per la maggior parte di noi.

Ne limita capacità, analisi, visione complessiva oscurandone approccio, metodo e finalità. Cosa che renderebbe necessaria una consapevolezza di coscienza e di pensiero con relativa capacità di resistenza, di critica alternativa e propositiva. Che poi non sarebbe altro che la base indispensabile per qualsiasi ipotesi di evoluzione e crescita personale o collettiva. Senza mettere, e mettersi in discussione, banalmente non si cresce e non si migliora.

Però per non appesantire troppo il ragionamento credo sia il momento di riportare il tutto ad una dimensione vicina e sicuramente più comprensibile. Che è la dimensione intellettualmente meno speculativa ma più vicina e compresa nella vita di ognuno, Anche se detestata, a torto o ragione, dai più. Che è la dimensione politica. Dimensione in cui ritroviamo trasformati in atti pratici e impattanti nella vita di ognuno, qualsiasi ipotesi, scelte o prospettive future fatte nella sua dimensione.

Si vive immersi in una comunicazione mediatica che trasforma e riduce spesso il tutto in una semplice e banalizzante questione di destra e sinistra. Cosa che non sarebbe in assoluto sbagliata, se solo fosse corrispondente al vero.

Appare chiaro, difatti che destra e sinistra nella percezione comune non siano più categorie dell'anima e della coscienza. Ma appartenenti ad altre, più meschine e limitate interpretazioni e schieramenti.

Di quelle che erano grandi (condivisibili o meno) concezioni, teorie capaci di sviluppare azioni, anche rivoluzionarie, coinvolgenti e di massa di altissimo livello qualitativo, non rimane che un unico grande immenso e brutalmente pernicioso equivoco.

Equivoco che un PD, ad esempio, sia sinonimo di appartenenza ad una qualsiasi sinistra. Equivoco che si ritenga un M5S come rivoluzionario nel senso nobile del termine. Equivoco che questa destra cialtrona, sia diversa da quella fascista da cui con molta fatica si dichiara diversa. Equivoco che alcuni personaggi compresi nel loro ruolo di sedicenti portatori di verità e giustizia assoluta, dal loro piccolo limitato recinto, possano nella loro minimale dimensione, poter cambiare alcunchè. Ritagliandosi e contentandosi di un ruolo che, comunque promuove e gratifica quasi esclusivamente il proprio ego.

Equivoco, fondamentalmente, che tutto ciò che questi (e i loro epigoni continentali o addirittura planetari) possano in qualche misura poter cambiare qualcosa che non sia pro domo loro e, anche dei propri sponsor e padroni. Difficile semplicemente da sperare se ad oggi sono al di fuori di slogan e di autocitazioni, risultare incapaci, impossibilitati e soprattutto, senza la volontà di cambiare, in primis sè stessi.

Ecco se questa consapevolezza, quando sia semplicemente registrata, ma non applicata nella visione complessiva, al pari della stessa funzione di un paio di occhiali per la miopia, apparirà per una strampalata, curiosa e sostanzialmente inutile o velleitaria provocazione. Ma se fatta propria e indossata costantemente come una seconda pelle, permetterà di vedere oltre le parole e le apparenze. Cosa che permetterebbe una maggiore coscienza e consapevolezza del tutto. Fornendoci una chiave di lettura più ampia per operare scelte e giudicare personaggi e azioni. Difatti l'obiettivo di questo ragionamento non è quello di porsi fuori dal mondo in una posizione di presunta superiorità morale o intellettuale. Ma anzi, di ribadire la necessità di immergersi nelle cose del mondo. In quanto solo con una maggiore consapevolezza e maggiori strumenti di valutazione si può vivere in modo più compiuto. Cosa che, ovviamente, non mette al riparo da errori o delusioni, ma ne limita effetti e contraccolpi in negativo e le relative frustranti delusioni.

Certo apparentemente rimane sempre molto più semplice, pagante e meno impegnativo sposare una causa, legarsi ad una sigla e fare squadra con tutto il bagaglio di emotività e retorica connesso. Sicuramente più gratificante che affidarsi ad una navigazione, spesso in solitaria, più perigliosa e meno sicura. Ma che preveda sempre e comunque una visione scevra da condizionamenti di sorta, comprese quelli delle proprie convinzioni.

Mettere sempre e comunque, in discussione se stessi, è la migliore garanzia di poter giudicare e criticare qualsiasi altra situazione.

Banalmente, come si ripete da sempre, non puoi pensare di cambiare il mondo, se non riesci a cambiare per primo te stesso.


MIZIO

domenica 10 marzo 2024

SORELLA? NO, MEGLIO SIGNORA.


 

Quando arriva una certa, che non è uguale per tutti, c'è chi se la sente tale già a 30 anni e chi anche a sessanta, la ignora bellamente. Ma tutti prima o poi, con quello spartiacque del dato anagrafico ci fanno i conti. Volenti o nolenti, il tempo che passa porta a riflessioni che, progressivamente si spostano dal cercare il modus e il significato migliore del vivere, alla consapevolezza che questo a quel certo punto, non basta più. I progetti rimangono, rimangono le aspettative, si mantiene comunque, qualche speranza ma con la sempre più lucida consapevolezza dell'avvicinarsi della fine della corsa.

La questione, anche se esorcizzata ironicamente, magari con gesti e battute, nel più profondo del nostro essere, sappiamo essere lì, a prescindere di qualsiasi altra nostra considerazione, aspettativa o paura. Le forze tutto sommato ancora permettono una vita piena, autonoma e, se limite c'è, non è dovuto ancora a incapacità o impossibilità legate alle tante primavere , ma ad altri e più impellenti motivi. Magari di natura economica, di opportunità o di situazioni familiari complesse che necessitano della nostra presenza di una nostra presenza. Si riesce, fortunatamente, ancora ad avere un pensiero lucido e attento, non condizionato o condizionabile dal marasma circostante.

Inevitabile, e anche comprensibile, qualche scivolata nostalgica, ripensando a momenti, situazioni, visi e nomi del passato che per un fatto naturale, o per qualsiasi altro motivo, non fanno più parte del nostro vissuto giornaliero. Ma questo, però è sentimento comune che prescinde da un'età in particolare. Quella cui mi riferisco, invece, come dicevo, porta a riflessioni di altro tipo. Per mia natura sono abituato alla curiosità. Al cercare risposte, al non fermarmi all'ovvio, al probabile, al pensiero maggioritario o addirittura alla fuga. Vogliamo perciò chiamare questa inevitabile, anche si spera lontana fine di cui sopra, col nome con cui è sicuramente più conosciuta, ma soprattutto più temuta dalla stragrande maggioranza? Come qualcuno con l'animo molto aperto e inclusivo che in passato, l' ha definita addirittura sorella? Si proprio lei, la morte.

Le stesse religioni, i sacerdoti, le civiltà, persino gli artisti, quasi sempre l'hanno raffigurata con un simbolismo macabro. Come qualcosa da esorcizzare provocando repulsione e solleticando la paura. Poche civiltà hanno avuto e hanno, un approccio, diciamo “laico”, con tale aspetto della vita. E, in genere, sono quelle più legate ai ritmi e leggi che regolano la vita naturale. Vita in cui l'essere umano è solo uno dei tanti protagonisti e comprimari di quel mirabile intrecciarsi preciso che è il processo evolutivo naturale. Quindi evento, magari non piacevole, non da ricercare, ma da considerare inevitabile. E come tale accettato senza eccessivi traumi o tragedie. Ovviamente a questo livello di considerazione molto contribuiscono anche le credenze e le speranze legate a sviluppi e stati successivi alla fine della vita fisica. Che spesso, si credono come un semplice continuare l'esistenza, magari da un'altra parte e in altra forma. Aspetti che, ovviamente, solo la fede, le tradizioni e le convinzioni intime rendono più accettabili.

Nel nostro mondo moderno, basato molto più su una distinzione netta ed escludente della natura e delle sue leggi. Con una lettura più a favore di un' esistenza centrata su sé stessi e su una personale, continua ricerca della felicità individuale o collettiva, risulta visione decisamente meno diffusa e praticata.

Anche gli stessi rappresentanti o seguaci di religioni che promettono, sperano o credono in paradisi successivi, ci si approcciano col sacro timore e le stesse paure comuni all'ateo più incallito. Anche lo stesso pensiero filosofico, che pure è quello che più e meglio di altri, ha provato a rendere comprensibile o, perlomeno accettabile, tale aspetto, lo ha fatto però, con un occhio distaccato, quasi da semplice osservatore e non spingendosi troppo avanti nella ricerca. Quasi col sacro timore di sfrugugliare qualcosa che deve rimanere avvolta nel mistero. Sia per rispetto della sacralità della sua natura, sia per non rischiare di mettere a repentaglio la nostra sanità e incolumità mentale e spirituale.

E' pur vero che, per fortuna, questi nostri tempi. Questa nostra società. Questo modo di vivere e guardare alla vita. Con la storia che abbiamo alle spalle. Con i trascorsi personali e collettivi, possiamo permetterci, qualora lo si voglia e lo si senta, di avere un pensiero laico e personale anche su tale aspetto. Aspetto che, insieme alla nascita, rappresenta uno dei due confini invalicabili e insondabili della nostra esistenza.

E vi pare quindi, che una mente curiosa, smaniosa, e per fortuna ancora attiva e pensante non si metta lì, prima o poi, a ragionarci su?

Prerequisito indispensabile, ovviamente è l'umiltà nell'approccio e la consapevolezza che a poco e nulla si arriverà comunque. E partendo da una semplice e banale considerazione. Nessuno è mai uscito vivo dalla vita. Quindi, o la vita non è tale o la stessa morte non ne rappresenta il suo contrario. Ma solo un suo aspetto inevitabile e, direi anche indispensabile. A volte, nei casi di malattie gravi o incidenti altrettanto gravi, si parla retoricamente di lotta contro la morte, del rifiuto della stessa, dell'eroismo e delle virtù che si mettono in mostra in tali conflitti fino alla sua sconfitta. Se a guardiamo da questi punti di vista gli eventuali risultati positivi, non rappresentano altro che vittorie parziali. Certamente gradite, da festeggiare e valutare più che positivamente, ma con la consapevolezza che alla fine prima o poi, sarà sempre lei. La signora (ma sarà poi proprio una signora?) di nero vestita a vincere contro chiunque.

Quindi inutile e velleitario lo sfidarla. Ma anche e soprattutto il ricercarla, ovviamente. Perché, se siamo vivi qui e adesso, evidentemente è con questa condizione che dobbiamo forzatamente convivere e confrontarci. Per quali motivi o ragioni lo si debba fare, ognuno la pensi come ritenga più opportuno e consono alle proprie convinzioni.

Ma questo è, e questo rimane un assunto immutabile, a prescindere da qualsiasi altra considerazione e, oggettivamente valido per tutti

Perciò oltre a ricercare, leggere, confrontarsi cercando di costruirsi una propria personale convinzione e considerazione sulla questione, magari semplicemente da affiancare o per contrastarne altre. Nel frattempo che ci si capisca qualcosa di più, intanto ne ho maturata almeno una sicura (di convinzione).

Visto come funziona l'andazzo e visto che è cosa che non potrò evitarle all'infinito.

Si perché l'unica cosa che si possa sperare, oltre che a rimandarne il più possibile la conoscenza è che, quando questa ci sarà, lei mi faccia la cortesia di trattarmi con la dolcezza e il garbo che si deve a un vecchio amico. Uno che ha provato a capirla e conoscerla, pur con tutti i limiti imposti dalla condizione umana. Ma senza l'astio, la repulsione o addirittura, il lancio di guanti sfide nei sui confronti. Modi con cui, molti normalmente si approcciano provocatoriamente a lei. E spero mi scuserà se, nonostante tutto, non riesca ancora però, a considerarla sorella. Spero le sia sufficiente il rispetto e l'attenzione che le pongo e con cui la considero. Rispetto e attenzioni dovute a qualsiasi signora. Figuriamoci a lei. (sperando sempre sia davvero una signora).

Ad maiora


MIZIO

mercoledì 22 novembre 2023

PATRIARCATO E DINTORNI

 Ripeto che il dibattito suscitato dalla morte della povera Giulia è perlomeno stucchevole. Almeno secondo me. Non serve il puntare il dito in modo indiscriminato. Non serve  scavare un fossato incolmabile e incomprensibile ai più tra generi e gruppi di persone. Non serve una graduatoria di buoni e cattivi a prescindere. Se accanto all'analisi politica, sociale e storica non si affianca quella indispensabile e  riferita ad una natura umana che sappiamo imperfetta. Natura di cui ignoriamo fondamentalmente, origine e finalità ultime, si rimane in mezzo al guado. Un guado che oltre non risolvere alcunché, aggiunge problematiche ulteriori. Vedo attacchi concentrici e anche bipartisan ad un cosiddetto patriarcato. Concetto che, di fatto, in larga parte della popolazione di questi tempi sembra, almeno nel suo

senso più deteriore abbondantemente non più rispondente alla realtà.  C'è piuttosto, sempre più presente ed esaltata la logica del più forte. Logica che poi si  ritiene "normale" affermare anche con la violenza. Sia essa fisica, che economica, sociale o di genere. Questione che, se è assolutamente vero  per alcuni aspetti essere più presente nella componente maschile, risulta però, laddove le condizioni lo permettano, anche assolutamente trasversale. Nel bullismo, ad esempio, così diffuso, sembrano non esserci differenze e limiti sostanziali tra chi lo esercita. L' affermazione e riconoscimento del sé attraverso la logica del gruppo che passa dallo svilimento e umiliazione del più  debole. Di qualsiasi genere questi sia. Magari su qualcuna/o più di altri perché visti più deboli e facili. 

Altro esempio, nei rapporti di lavoro spesso non è certo il genere a modificare i rapporti e gli abusi del potere e il ricorso all'uso della forza derivante dalla posizione. (In questo caso non fisica)

Certo si può affermare che questi siano esempi che possono essere analizzati e riportati più facilmente all'interno di un dibattito e di un posizionamento per una loro modifica . Come, altrettanto ovviamente, di fronte ad una morte innocente, l'approccio non può che essere diverso. Ma, pur nella diversità e nel maggiore sconquasso emotivo derivante, non può e non deve mancare mai la lucidità necessaria per un'analisi serena tesa alla ricerca del necessario equilibrio.  Pare, invece, anche in questi casi prevalere una logica di schieramento aprioristico, piuttosto quella che sarebbe necessaria e più funzionale. Credo che la società nel suo complesso debba e possa mettere in piedi misure di contenimento di tali fenomeni, oltre che mettendo in discussione sé stessa e la propria natura, anche sgombrando il campo dalla faciloneria e semplificazione con cui,  in genere, si è  portati a ricorrere in tali situazioni. Necessario introdurre modelli educativi e relazionali diversi sia nelle istituzioni preposte che negli ambiti familiari, ovviamente Ma quelle stesse istituzioni e le famiglie per poter esercitare a pieno tale esercizio, non potrebbero che farlo in un contesto sociale, economico e politico completamente diverso che lo renda compatibile e proficuo. Come potrebbe essere altrimenti se, accanto alla buona volontà dei singoli, corrispondesse poi, un ambiente attorno in cui fosse esaltata la competizione, il merito e conseguentemente la logica del più forte (migliore) cui si accennava prima?

E, comunque, sappiamo già che, oltre tutto quello che si potrebbe e si dovrebbe mettere in campo, ci sarà sempre quel tot di imponderabilita' e imperscrutabilità dell'animo umano. Quegli aspetti che potrebbero, nonostante tutto, ancora dar vita a episodi anche tragici. 

Il patriarcato, se lo vogliamo definire così non è, almeno in questa fase storica, appannaggio caratteristici di un genere. Ma eventualmente, di un sistema basato su rapporti di forza e di potere in cui le vittime sono sempre da ricercare tra i più  deboli E se sono di più tra appartenenti a un genere piuttosto che ad un altro, non è certo nella maggiore propensione di questi all'uso della violenza. Ma più semplicemente, nella maggiore possibilità di esercitarla (almeno fisicamente). Personalmente sono nato e cresciuto in ambienti non certo all'avanguardia. Circondato da famiglie "tradizionali" nell'estrema periferia cittadina. Frequentatore abituale di oratorio e catechismo. Quindi il prototipo perfetto del tipico maschio italico secondo alcune analisi che si vogliono progressiste. Eppure nella mia vita come in quella dei tanti con cui sono cresciuto di anni e di esperienze, non ci sono mai stati episodi violenti. Non sono mancati momenti complicati, anche dolorosi certamente, ma mai sfociati nella violenza o in nessuna presunta superiorità o supremazia di alcun tipo.

Perché quelle forme educative e modelli, seppur condizionanti, alla fine, nel bene e nel male, passano al vaglio del proprio singolo, unico e intimo sentire.

MIZIO

giovedì 9 novembre 2023

IMPOTENZA

Ho passato anni a cercare di decifrare quale fosse il sentimento prevalente che, in una qualche misura, fosse capace di agire nel personale intimo più profondo. Quel non luogo dove dovrebbe farla da padrona ciò che definiamo coscienza. Quel substrato caratteriale, ereditario e culturale già preesistente in ognuno di noi che viene progressivamente, alimentato, arricchito e reso intelligibile negli anni attraverso le diverse esperienze della vita. Per molto tempo ho pensato che i sentimenti prevalenti fossero la rabbia, o meglio, il rancore. Il senso di insopportabilita' dell'ingiustizia e la ricerca di un'etica e di una dirittura morale che potesse rendere credibile scelte e azioni conseguenti. Poi, nello scorrere del tempo, si è aggiunto il senso di vuoto, la delusione, l'incapacità di accettare prima ancora di quella per capire di tante situazioni. La strenua, anche se impari, lotta per non abbandonarsi alla rassegnazione e alla sconfitta personale, oltre che storica e ideale. Quindi all'interno del personalissimo eremo esistenziale, in cui ognuno di noi si rifugge per provare a capire e ritrovarsi, improvvisamente appare il tutto molto più chiaro. Il sentimento prevalente che ha accompagnato la mia vita, pur nella differente scala d'importanza e relativa percezione, è stato sempre fondamentalmente quello dell'impotenza. La consapevolezza che, nonostante l'impegno e le buone intenzioni, il tutto fosse intangibile, immutabile e anzi, peggiorato nel tempo. Con relativa conseguente frustrazione esistenziale e il rinchiudersi, per sopravvivere, in recinti più stretti ma più comprensibili e compatibili con il resto della vita. Vita che, nonostante noi e per fortuna, continua a scorrere a prescindere. Soprattutto per chi ci è, nonostante tutto, più vicino. Impotenza quindi, che spiega meglio, e più di mille elucubrazioni, il mio ripetuto allontanarsi da situazioni che non condividevo, non capivo e non riuscivo a far diventare e sentire mie fino in fondo, nonostante una certa e sincera disponibilità. E nell'affermare ciò, non ne esalto certo una sua valenza positiva, che pur potrebbe ritrovarsi, ma ne certifico la sua (credo) quasi definitiva vittoria. Vittoria non facile, non riconosciuta, non accettata per molto tempo. Ma come arrivano implacabili le varie stagioni della vita, arriva pure quella della necessaria consapevolezza. Quella presa di coscienza che rende chiaro e leggibile ciò che sembrava, fino ad un certo momento, incomprensibile o inaccettabile. Però, a differenza di altri sentimenti, quello dell'impotenza rispetto il proprio ruolo nella vita e nella società, può essere combattuto e relegato in un cantuccio. A patto di rimanere, pur nello scetticismo complessivo, parzialmente aperti e disponibili a qualsiasi novità dovesse smuovere curiosità, interesse per i suoi presupposti e le sue potenzialità. MiZIO

martedì 10 ottobre 2023

COMUNITA'...MA DE CHE?

In relazione ad ogni avvenimento più o meno grave che accade in qualche parte del mondo nelle dichiarazioni sia dei media, che dei politici si fa un costante riferimento alla cosiddetta Comunità Internazionale. Una Comunità che, a seconda delle circostanze, condanna, solidarizza o appoggia Tizio o Caio. Ma tradotto in soldoni chi e cosa è questa Comunità Internazionale? Logica vorrebbe che tale entità sia rappresentata dal consesso internazionale più ampio possibile che si conosca, l'ONU. E che, conseguentemente, sia l'opinione espressa da tale istituzione o perlomeno, dalla maggioranza dei partecipanti. Però, leggendo anche molto superficialmente le notizie in merito, veniamo a scoprire che la stragrande maggioranza delle risoluzioni ONU approvate, sono rimaste lettera morta. Non hanno quasi mai, minimamente rappresentato un vincolo tale da condizionare o risolvere le questioni in oggetto. E pensiamo, tanto per non fare nomi e rimanere alla cronaca, alla questione palestinese e anche alla guerra in Ucraina. All'ONU sono state votate risoluzioni, anche a grande maggioranza, esattamente contrarie e contrastanti con quelle che ci raccontano, espresse dalla Comunità Internazionale. Quindi appare chiaro che la cosiddetta comunità è un concetto veicolato e valevole solo in alcuni paesi e porzioni del pianeta. Concetto che risale ad una presunzione di superiorità che, se già molto discutibile nei secoli scorsi, oggi appare totalmente fuori da ogni contesto e logica. Sembrano questioni di lana caprina, a fronte dei drammi e delle tragedie odierne. Ma è proprio dalla sottovalutazione dei linguaggi e dai messaggi meno esibiti, che passano i condizionamenti e e le distorsioni nelle letture degli accadimenti. Le stesse distorsioni e condizionamenti che i poteri, in ogni angolo del mondo, hanno sempre usato per distrarre e tenere divisi e sfruttabili interi popoli. MIZIO

LA RAI E' MIA E NON SI TOCCA

Non ho mai avuto simpatie o lesinato critiche alla Rai. Sia per la qualità non sempre eccelsa dei suoi programmi, che per il modo in cui è stata costantemente utilizzata dal potere politico. Ma lo tsunami programmatico e gestionale in atto, l'abbassamento qualitativo dell'offerta. Le censure preventive su personaggi e programmi. L'informazione drogata o anestetizzata appaltata a personaggi di scarsa o nulla capacità professionale, ma fedeli alla linea. E per quella poca residua con l'ambizione di essere libera, non mancano le minacce preventive e il confino in lager e spazi residuali dei palinsesti. Paradossalmente oggi sembrano quasi più aperti e meno allineati alcuni network privati. Tra l'altro sembra riprendere fiato anche l'ipotesi coccolata da molti da tempo, della sua privatizzazione. Con relativi spacchettamenti magari da lasciare in gestione agli appetiti di egoismi politici o territoriali. Cosa che non troverebbe opposizione nel corpo molle della società. Sia per il diminuito appeal dei suoi programmi, sia per provare a liberarsi dell'odioso ticket del canone (cosa che invece rimarrebbe, a meno di non cambiarne la natura). Io credo di essere tra i pochi che, pur come dicevo all'inizio, critico e non apprezzando granchè i suoi programmi, la difenderei a prescindere. Per lo stesso motivo per cui ho difeso dalle privatizzazioni e dal dare in pasto al cinismo del mercato, tutti gli altri settori strategici dello stato privatizzati nel tempo, Trasporti, comunicazioni, strade e autostrade oltre le migliaia di aziende a questi settori collegate. Tutti aspetti di un patrimonio collettivo lasciati alle speculazioni e al profitto del mercato. E, praticamente sempre, senza neanche riuscire nel cambio, a migliorare il servizio stesso e, tantomeno il bilancio dello stato. Molta della programmazione Rai è indifendibile (soprattutto in quest'ultima versione) ma la sua potenzialità mediatica, tecnica professionale non può essere nè svilita nè svenduta. Ma andrebbe difesa e valorizzata per quello che è il suo compito primario e istituzionale. Rappresentando il meglio dell'informazione e dell'immagine culturale e artistica del paese nel mondo. PS: non ho amici, parenti o interessi privati di alcun tipo legati alla Rai e al suo mondo. MIZIO

giovedì 28 settembre 2023

In passato avevo scritto di momenti di silenzio necessari e di frammenti di utopia altrettanto necessari. Oggi sempre nel solco di una riflessione più generale non legata a momenti o situazioni specifiche, cerco di approfondire il concetto. Cosa vuol dire, in pratica, oggi inseguire l'utopia? Significa forse riannodare i fili spezzati con un passato che, al contrario di oggi, faceva intravedere luminose prospettive? Certo, ma non solo e non prevalentemente. Non solo perchè altri e troppi sono i soggetti, poco o nulla coinvolti o affascinati da un'operazione nostalgia. Operazione relativa a fatti e accadimenti spesso vissuti, al massimo, come elementi storici non dissimili da tanti altri studiati (poco e male) a scuola. Ma soprattutto perchè difficilmente inquadrabili in una lettura manichea e banalizzata delle problematiche attuali. Tantomeno possono affascinare le politiche e le posizioni tanto care ai cultori della realpolitik o dell'altrettanto anestetizzante politically correct. Logiche che hanno fatto letteralmente terra bruciata di ogni elemento utopico, sterilizzando il dibattito e le prospettive in un disegno dai confini castranti e limitati che ha aumentato differenze, conflitti sociali e paure. Quindi sgomberiamo il campo, pur non dimenticandolo o accantonandolo, da visioni che si rifanno a un mondo che non c'è più e ragionevolmente non ci sarà neanche nel prossimo futuro. Il conflitto capitale lavoro è sempre d'attualità anzi, per certi versi in maniera ancor più netta e brutale. Ma oggi, si inserisce in una frammentazione di sensibilità dovute alla mancanza di un tessuto connettivo idoneo, in cui non sono presenti solo il buono e il cattivo. Ma soprattutto, il cui punto d'osservazione va obbligatoriamente spostato a un livello superiore e sovranazionale. In un certo senso rispolverare il vecchio “Proletari di tutto il mondo unitevi” anche se in forma 2.0. Perchè sovranazionali e trasversale sono gli interessi in gioco sia economici che di strategia relativa. L'idea di rinchiudersi in un'ottica locale, seppur attrattiva, non sarebbe in grado di spostare quasi nulla, se non inserita in una visione più complessiva, che tenga conto non solo del bianco e nero di cui sopra , ma anche di tutte le sfumature di grigio comprese fra loro. I cambiamenti climatici, ad esempio, ci esporranno sempre più a fenomeni di migrazione per miseria e fame, oltre ai sempre più frequenti fenomeni estremi e disastrosi sul nostro territorio. La desertificazione dell'Africa e di parte dei paesi mediterranei, non è stata certo fermata prima dai decreti Minniti o Salvini. Tantomeno lo sarà dall'attivismo più mediatico che sostanziale della Meloni o di qualsiasi altro soggetto. Azioni buone al massimo, per limitare i flussi nell'immediato. A questo non si possono non aggiungere i devastanti effetti della robotizzazione, dell'Intelligenza artificiale che ci proietteranno rapidamente e nella cosiddetta industria 4.0, prossima ventura. Cosa che creerà, presumibilmente, milioni di nuovi poveri anche tra quelle classi sociali che finora erano state appena sfiorate dalla crisi. Aspetto che le classiche letture e ricette non saranno certo sufficienti a interpretare e a dare risposte. L'affacciarsi di paesi, fino ad oggi ai margini dell'economia mondiale e che a grandi balzi si stanno riappropriando di ricchezze e risorse finora limitate ai soli paesi avanzati, fa presagire scenari inquietanti non solo in termini economici, ma di utilizzo e gestione di quei beni che diventeranno sempre più rari e preziosi. Gli USA lo stanno capendo prima di altri e, grazie alla guerra in Ucraina (non entro nel merito delle responsabilità), stano usando la debole e prona Unione Europea come serbatoio di risorse da cui drenare ricchezza e su cui scaricarne i costi. Pare ci sia, da parte dei paesi europei, una cecità genetica a calcolare i rischi derivanti dal nuovo scacchiere mondiale che si va a prospettare. I paesi BRICS, volenti o nolenti saranno sempre più presenti e decisivi negli equilibri futuri. Rimanere arroccati a difesa del signorotto rinchiuso nel suo castello (USA), quando l'evoluzione dei processi appare di facile lettura e' scelta stupidamente suicida. Quindi se è vero che la causa prima dei problemi, fondamentalmente sia sempre la stessa, cioè lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in nome del profitto e del potere, da sola non è più sufficiente nel cercare e proporre soluzioni. Sarà necessario, soprattutto a sinistra avventurarsi in campi probabilmente anche inesplorati e nuovi, correndo il rischio di incappare anche in errori, incomprensioni e rischiando anche di pestare qualche sensibilità poco incline ai cambiamenti. Coscienti che, per muoversi nel nuovo mondo prossimo futuro sia necessaria sia la vecchia mappa cartacea che il nuovo navigatore satellitare. Tornando rapidamente a noi e all'immediato, se ci si rinchiudesse nel classico recinto identitario o se si scegliesse di riproporre il giochino e schema dell'accordo "necessario" contro le destre o altro ci si condannerebbe all' inconsistenza e fondamentalmente, all'inutilità della nostra presenza. Le utopie si coltivano e crescono certamente nel coraggio e nella coerenza delle scelte, molto meno nelle acrobazie dialettiche o nel rifiuto del cambiamento necessario. Cambiamento, tra l'altro, che non può limitarsi ad essere tale, purchessia, ma che deve essere prospetticamente e significativamente migliorativo della vita degli esseri umani (e non solo).