venerdì 2 dicembre 2016

SE VINCE IL SI….



Siamo arrivati quasi alla fine di questa lunga, tormentata, difficile campagna elettorale sul referendum costituzionale. Ci si arriva stremati, consumati, convinti che, comunque, in questo periodo storico una spaccatura così profonda nel paese non la ritenevamo assolutamente necessaria, al di là delle cosiddette questioni nel merito della riforma. Le quali, avrebbero avuto bisogno, laddove si fosse deciso di intervenire su di essa, di ben altro clima di confronto, di elaborazione e proposte le più condivise possibili.
Però, come si dice, “cosa fatta capo ha” e, in attesa di consumere le ultime ore di impegno per conquistare qualche ultimo indeciso alla causa del no, vorrei portarmi già al 5 dicembre e prefigurare l’Italia prossima ventura nel caso, non augurabile, vinca il si. Lo faremo anche dopo, in ogni caso, con i dati e le reazioni relative al risultato reale e non ipotetico, ma intanto può essere un modo simpatico e per valutare le proprie capacità di analisi politica. Analisi che partono, non da posizioni o da ponderate elucubrazioni frutto di studi e approfondite ricerche, ma da semplici sensazioni derivanti dal vivere quotidiano tra, e, insieme alla cosiddetta ”ggente”.
Mi pare che tutti siano stati d’accordo che, chiunque vinca, il sole continuerà a sorgere, tento per citare Obama. L’Italia continuerà a doversi confrontare con i suoi mille problemi, probabilmente anche con la stessa classe politica, responsabile prima, anche se non unica, dell’attuale situazione. Non sarà tre volte Natale o festa tutto il giorno. I precari, i disoccupati, i lavoratori, avranno gli stessi identici problemi del 3 dicembre.
Quindi? Cambiare tutto per non cambiare nulla?
Calma! Qualcosa cambierà, anche se per avvertirne gli effetti ci sarà da aspettare qualche tempo. Perché la riforma costituzionale messa in piedi, non sortirà alcun effetto se non accompagnata da una riforma elettorale conseguenziale (L’Italicum?) all’interno della ogica di semplificazione politica e del bipolarismo.
Quindi avremo un Senato che non sarà più eletto dai cittadini, checchè se ne dica, perchè così è scritto chiaramente nella riforma. La Camera dei deputati con un premio di maggioranza superiore a quello, già discutibile, attuale non sarà  più rappresentativa ma potrebbe essere espressione di una minoranza più o meno significativa.
Allora, tutto bene Madama Dorè, vista con l’ottica del supremo interesse della stabilità e della governabilità.
Sfuggono, però, alcuni particolari a questa visione paradisiaca, prefigurata da alcuni di “lor signori” (cit. Fortebraccio per chi lo ricorda).
La situazione economica e sociale italiana è, per chi l’avesse dimenticato, drammatica. Le criticità del disagio e di inclusione non sembrano poter essere superate in tempi brevi, nonostante in queste ultime ore ci si sforzi di far intravedere scenari positivi, e lo sarà,a maggior ragione, con la vittoria del si.
Senza voler entrare nel merito di tutte le analisi che confermano l’aumento dei poveri, la difficoltà di accesso di un numero sempre maggiore alle prestazioni sanitarie, alla possibilità di studio e spesso di sopravvivenza, ma , tenendola, comunque, presente, a tutto questo noi andiamo a togliere quella che è la possibilità di mediazione politica e sociale che può dare la rappresentanza, garantita dalla costituzione vigente.
Avremo, quindi e logicamente, un aumento della forza attrattiva di visioni populiste e massificatrici, con un probabile spostamento elettorale verso queste o, a un rassegnato astensionismo (già decisamente troppo alto ad oggi). Questo nel migliore dei casi. Perché c’è anche il rischio, non solo teorico, che, a fronte dell’impossibilità di vedere rappresentate legalmente e democraticamente le proprie criticità, ci possa essere una recrudescenza e un aumento di forme di illegalità, a quel punto difficilmente condannabili, fino ad arrivare ad un aumento possibile, di consensi a forme anche di confronto violento.
Negli ultimi tempi abbiamo già assistito a forme di repressione, spesso brutale, di forme di contrapposizione sociale con relativa diminuzione degli spazi democratici di manifestare il proprio pensiero o il proprio disagio. Conseguentemente, nel caso malaugurato, di una recrudescenza di tali manifestazioni nel quadro prefigurato, mi sembra logico aspettarsi un ulteriore giro di vite in questo senso.
La sinistra credo, si debba porre seriamente il problema, perché storicamente e, logicamente, è da quella parte che sono mancate quelle risposte fino ad oggi. Quelle risposte che puntellano, sostengono con un’azione politica non frammentata e non episodica, le aspettative dei settori più disagiati della società.
Se dovesse (ripeto, malauguratamente e in via ipotetica) vincere il si il compito della sinistra sarebbe di quelli da far tremare le vene nei polsi e penso sia inutile, e persino dannoso, oggi prefigurare scenari che tengono conto solo dei nostri desiderata personali e non di una responsabilità storica e politica più complessiva.
Comunque, per consolarci, sono convinto che vincerà il NO, e potremo tranquillamente continuare nei nostri balletti e nelle nostre sterili polemiche, continuando a non capire cosa si muove e cosa si aspetta chi è schiacciato e messo al muro da questo sistema, a prescindere dal voto referendario che rappresenterebbe solo la ciliegina su una torta che è, comunque, già pronta da tempo.
Ad maiora


MIZIO   

domenica 20 novembre 2016

ERA NO PRIMA E SARA' NO ADESSO

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La governabilità legata alla stabilità è il nuovo (ma mica poi tanto) mantra che anima le scelte e gli indirizzi della politica negli ultimi decenni. Inseguito e sollecitato soprattutto dalla classe imprenditoriale, da quella finanziaria che vedevano, e vedono, nella rappresentanza e nella conseguente dialettica, un freno a quelle che sono considerate le loro priorità. Priorità indicate sempre sotto la lente di parametri e interessi economici che quasi mai vanno a braccetto con un sentimento di equità e giustizia.
La presunta superiorità del sistema maggioritario (meglio se bipolare o, addirittura, bipartitico),è legata a quell’altro mito della sua altrettanto presunta modernità visto che è adottato da quei paesi considerati all’avanguardia, primi fra tutti quelli anglosassoni.
Se vogliamo indicare una data simbolo che demarchi un prima e un dopo nella questione, non possiamo che risalire al referendum del 1993 ove la maggioranza degli italiani (non io) sotto l’onda emotiva dello scandalo di tangentopoli e della caduta del muro di Berlino con le sue conseguenze, scelse di abbandonare il sistema elettorale proporzionale, mantenendone soltanto una percentuale del 25% con la nuova legge  adottata, denominata Mattarellum. Da allora non sono mai terminati gli attacchi tesi a limitare sempre più quegli aspetti legati alla rappresentatività per spostare l’asse sempre più verso la stabilità. Detto in parole povere, chi vince si prende tutto per 5 anni e, a fronte di una sempre maggiore complessità della società, si tenta di rispondere con una semplificazione e una limitazione alla massima potenza della partecipazione e della vita politica.
Da questo punto di vista l’introduzione del sistema maggioritario ha prodotto limitati effetti, vista la frequenza con cui sono continuati a cadere e cambiare i governi. Ha prodotto molti più effetti sulla partecipazione e sul legame che, dal dopoguerra, legava la stragrande maggioranza degli italiani all’attivismo e condivisione della vita politica. Recisi i rami degli ideali, del senso di appartenenza, della delega rappresentativa, lentamente ma progressivamente ci siamo avvicinati a quelle democrazie avanzate cui si faceva riferimento prima con percentuali di partecipazione al voto di poco superiore al 50% e con una ancor più misera partecipazione alla vita attiva dei partiti, divenuti progressivamente sempre più comitati elettorali o d’affari. Partiti che, prima erano punti di riferimento collettivi e popolari (anche quelli cosiddetti borghesi), e che dopo, nel migliore dei casi, sono stati visti come opportunità per “svoltare” nella vita o come strumenti al servizio di interessi poco chiari e, molto spesso, ancor meno leciti.
Sono usciti dalla porta per non rientrare più la dialettica, il confronto, la mediazione, il senso di giustizia sostituiti dall’insulto, dall’ astio, dal posizionamento svincolato dalla ragione e affidato solo all’essere contro. La nuova parola d’ordine diventa vincere, a prescindere dal “come” e dal “per cosa”.
La sinistra e la destra spostano le truppe e gli interessi  verso il centro, dando vita a soluzioni ibride al limite della peggiore ingegneria genetica, denominate centrodestra e centrosinistra in cui, spesso, all’interno dello stesso schieramento predominano sospetti e sgambetti. Prodi, D’Alema, Berlusconi, ancora Prodi, ancora Berlusconi, e poi Monti, Letta, fino ad arrivare all’attuale Renzi l’elenco di chi si è succeduto alla guida dei non pochi governi indica chiaramente che anche l’unico obbiettivo condiviso, quello della stabilità, non è stato raggiunto.
Qualcuno, sano di mente, può in tutta sincerità, affermare che queste stagioni politiche siano state caratterizzate, oltre che dalla stabilità, dal buon governo, dalla giustizia ed equità?
Si può affermare che la società italiana abbia fatto quel salto qualitativo che le avrebbe permesso di superare i limiti e le contraddizioni delle stagioni precedenti?
Personalmente e, credo insieme alla stragrande maggioranza degli italiani, posso affermare tranquillamente di no, anzi si sono registrati notevoli passi all’indietro su temi fondamentali come quello dei diritti sociali, della rappresentanza, della democrazia.
Già sento qualcuno che comincia a pensare: ”Va bene, però dimentichi che c’è stata la globalizzazione, l’Europa, la nuova moneta e le nuove politiche comunitarie e bla bla bla….”. No, non lo dimentico, anzi, credo che le scellerate scelte fatte dei paesi europei in termini economici, di giustizia, di solidarietà, sarebbero stati senz’altro migliori se avesse prevalso un principio di eguaglianza e di rappresentatività, piuttosto che gli interessi delle lobby economiche e finanziarie che, trovano nel sistema elettorale semplificato il loro habitat preferito.
Chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui si aspetterà adesso , legittimamente, una conclusione.
Siamo alla vigilia dell’ennesimo, forse decisivo, attacco alla costituzione. La parola d’ordine adesso è resistere. E resistere vuol dire VOTARE NO il 4 dicembre al referendum.
Subito dopo, partire per ricostruire un habitat politico idoneo alla rappresentanza degli ultimi e dei penultimi, mettendo da parte egoismi, visioni personalistiche e limitate. Rimettere in discussione quelle che sembrano essere, ormai, pietre tombali su alcune questioni, a cominciare dalla legge elettorale che, per me, deve ritornare ad essere proporzionale, magari non pura, ma proporzionale.
E per ripartire col piede giusto non si può, a mio modestissimo parere, che ripartire da sinistra.
Ad maiora!


MIZIO

sabato 12 novembre 2016

SOLO A VOLTE




Quando è solo
e per farsi compagnia
sceglie tra pensieri
raccolti per la via.

Progetta un mondo
che sembri migliore
e inciampa sempre
nel suo lato peggiore.

Si cambia un momento
per poi ritrovarsi indietro
a carezzare ancora
la stessa palla di vetro.

Un’intuizione, una sola
anche di seconda mano
ma che sia quella giusta
buona per il sacro e il profano.

Ché duellar con le parole
armati di penna e malinconia,
a volte, ma solo a volte,
fa vincer  la  poesia.


MIZIO

martedì 1 novembre 2016

TREMORI E TIMORI


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La terra trema e non sembra fermarsi, come il cuore in gola che batte sempre più forte. Le ferite alla montagna, i colpi di maglio sulle case, sulle chiese. Il nostro paese come corpo di novello Cristo oltraggiato, torturato che, fattosi  carne, riesce solo a tremare. Sta superando, ormai, anche, la paura e invoca solo pace.
Le ferite che non sanguinano nemmeno più e, forse, sono le peggiori. Quelle che non cicatrizzeranno, quelle che rimarranno lì e bruceranno tutte le notti rinnovando ogni volta, non solo il terrore, ma la rassegnazione per un destino già segnato.
Il cuore verde dell’Italia, il corpo vivo, l’anima stessa del nostro paese, la catena che unisce non solo idealmente tutta la nostra penisola si scopre fragile, indifesa, novella vestale oltraggiata, non sappiamo se da un dio capriccioso e cinico o da esseri umani convinti d’essere a sua immagine e somiglianza.
Dopo essere stati cacciati dall’Eden sembrerebbe che i monti dell’Appennino Centrale siano i luoghi e i paesaggi che più gli si avvicinino. Forse, per questo, tanti grandi spiriti dell’anima, dell’arte, del bello si sono dati appuntamento in questi luoghi. Non è un caso che qui ogni monte, ogni pietra, ogni albero trasudi spiritualità e senso della meraviglia, di fronte al quale anche il più incallito dei miscredenti non può che rimanere in rispettoso silenzio.
Lo stesso silenzio che rimane dopo gli imprevisti, improvvisi, agghiaccianti schiaffi che la natura infligge alle nostre certezze.
Uscendo dalle immaginifiche metafore, affascinanti quanto si vuole, ma stucchevoli rispetto il dramma consumato si rende quanto mai necessario porsi la domande del che fare da oggi in poi.
Prendere atto dell’ineluttabilità degli eventi è il primo necessario passo. Pensare che tutto possa ritornare come prima senza una presa di coscienza, che nulla potrà essere come era è, invece, il principale errore da evitare.
L’altro errore da evitare, anche se può sembrare antitetico rispetto, il primo è  pensare a forme di eradicazione sociale e culturale di quei luoghi. La ricostruzione, per quanto lunga, difficile, costosa non può che avvenire mantenendo salde le radici e i sentimenti in quei luoghi, pena una seconda e ancora più dolorosa strage di anime.
Norcia, Amatrice, Castelluccio nel nostro immaginario possono continuare a vivere anche senza ricostruirle, ma per chi di quei luoghi è figlio e, anche custode per le generazioni future, non possiamo immaginare qualcosa di diverso da un ritorno a casa.
Quando avvengono accadimenti del genere sembriamo tutti presi e coscienti della nostra pochezza e della nostra impotenza. E, se singolarmente, riusciamo anche a trovare una scala classificatoria di valori con un’alta valenza morale, nel trasferire il tutto a dimensioni politiche e collettive le riposizioniamo in maniera diversa e moralmente discutibile.
Senza girarci troppo intorno, un paese come l’ Italia (ma non solo) che molto più di altri è sottoposto a rischi sismici, con la presenza di vulcani ad alta potenziale pericolosità, di fragilità diffusa del territorio, oltre ad essere esposta, vista la posizione, a fenomeni di accoglienza di enormi masse di disperati dall’Africa, può legare il suo destino e quello di milioni di cittadini alle ferree, ciniche, insensibili logiche finanziarie e neo liberiste di un’Europa a trazione bancaria?
Sembra di capire che, al momento, i fondi stanziati per i soccorsi e l’assistenza dei terremotati non saranno inseriti tra le spese correnti e non peseranno nel rapporto debito Pil, ed è già un piccolo passo avanti, ma è solo la punta dell’iceberg. Proprio per quello che si diceva un attimo prima la situazione geologica e geografica dell’Italia la pone in condizione di estrema precarietà e rende improcrastinabile e necessaria la programmazione di un piano pluriennale di messa in sicurezza dell’intero territorio. Per fare questo si rende prioritaria, anche perché estremamente giusto, la revisione delle leggi, dei trattati che limitano la spesa pubblica e la libera circolazione delle persone (argomenti in apparenza poco accomunabili ma sottoposti alle stesse inconcepibili logiche di trattati sottoscritti non con le penne e il cuore, ma con la calcolatrice in mano).
Le leggi, i trattati, le norme quando palesano limiti ed errori è giusto che debbano e possano essere sottoposti a riletture e correzioni. L’ economia quando svincolata dalla finanza e sottoposta al controllo e alla mediazione della politica è uno strumento utile e necessario regolatore sociale. Laddove questo non è, e non sia ritenuto possibile, mantenendo ostinatamente inalterate, scale di valori antitetici con la logica e la vita stessa, non credo sia una bestemmia denunciarne i limiti e prospettare, anche, scelte conseguenti.
Il territorio italiano, la sua storia, la sua bellezza, i suoi abitanti se non possono evitare i tremori della natura devono e possono evitare il timore di essere considerati come i passeggeri di terza classe del Titanic. Perché se è vero che, se la nave affonda, affondano tutti, ma quelli che hanno meno possibilità di sortirne fuori vivi sono proprio quelli che già sono, per natura, o scelta, sotto la linea di galleggiamento.
Ad maiora


MIZIO

sabato 22 ottobre 2016

NAJA, NON NOIA



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"Spesso ci sono più cose negli spazi bianchi tra le righe, che nelle parole".


Ebbene si, sono proprio io ….
E’ cominciato così, grazie alle nuove potenzialità che il progresso tecnologico ci ha messo a disposizione. Dall’altra parte della tastiera e del monitor come un fantasma liberato da secolari catene il volto, il nome, che si sostanzia come presenza uscendo dai cassetti della memoria. 
Altre volte in questi anni casualmente o meno, hai ritrovato volti e nomi antichi, tutti smarriti per le strade del mondo eppure,….eppure. Eppure questa volta è diverso. Nella vita ci sono dei punti che possiamo riconoscere, a posteriori, come dei crinali. Quelli in cui deve operare delle scelte. Se scendere a valle, a destra o sinistra, se continuare a camminare o se fermarti ancora un po’ a rimirare il panorama e riempirti occhi e anima di qualcosa che, temi difficilmente potrà ripetersi
Ecco, la naja (servizio militare obbligatorio) per la mia generazione e per tutte quelle che ci hanno preceduto o seguito, ha significato, alla fin fine tutto questo. Un periodo di tempo sospeso in cui potersi permettere, giustificati, di rimandare le decisioni e intanto godere degli orizzonti e dei confini della propria vita da un  punto di vista tanto neutro quanto provvisorio.
Ritrovarsi, quindi, dopo più di tre decenni in un modo fortunoso, in un mondo, naturalmente regno del caos in cui sembra non esistere il caso, ha fatto riemergere e annusare di nuovo quel profumo, quella sensazione di senza tempo, di distacco, sia pur momentaneo, dalle beghe esistenziali.
I rapporti nascevano e si esaurivano in maniera assolutamente occasionale ma, a volte, si affinavano, si consolidavano e si sostanziavano grazie proprio a quell’ apparente casualità e transitorietà. Non c’era motivo di competizione, invidia o dietrologia proprio per la mancanza di incroci di interessi comuni e, potenzialmente,  conflittuali. La comunanza d’interessi si basava, soprattutto, sulla condivisione di questo tempo sospeso proprio sul confine di una vita che era lì lì per sbocciare con i suoi problemi, le sue aspettative e le sue responsabilità. E ci si scambiava momenti leggeri come il fumo della sigaretta che passava da una mano all'altra.
Alfio è stato il primo a riemergere dal web. Il toscano, che mi iniziò alla conoscenza del vin santo. Poi come un filo di Arianna che si srotola davanti, rapidamente,con  un passaggio dopo l’altro ecco Vincenzo, il gigante buono della Sabina, Eugenio il serio lavoratore padano, Gianni che ci deliziava con i profumi e i prodotti della sua Sardegna, e poi Luca che generosamente ci ospitava nella fattoria del nonno e poi Salvatore che sembra non attraversare un periodo facile e poi…. poi sicuramente altri arriveranno.
Nostalgia del bel tempo che fu, senz’altro. Rimpianto per qualcosa che poteva essere e non è stato, anche. Ma soprattutto il ritrovare e riallacciare in una qualche misura, momenti di vita che, altrimenti, sarebbero rimasti incompiuti ed estranei da tutto il resto. Come oasi sperdute nel deserto avvolte nelle sue immensità, di cui rimane solo un malinconico sentore.
Come inquadrare, altrimenti correttamente, le serate in pizzeria con quattro lire, le escursioni alla scoperta del territorio naturale e artistico della Tuscia, le serate a mangiare salame, vin santo e formaggio che il buon Alfio e il Gianni riportavano dai loro brevi permessi a casa.
I papaveri e le margherite nelle bocche dei cannoni cantando la canzone dei Giganti, le interminabili discussioni politiche che finivano in bisboccia. La quarta internazionale, la FGCI, i proletari in divisa, la morte di Paolo Sesto e di Papa Luciani. Le Brigate Rosse, il rapimento Moro. Tutto centrifugato da quel nostro particolare punto di vista.
Ci stavamo preparando alla vita, e pensavamo di averla già capita. Atto di presunzione perdonabile,solo in quanto, addebitabile all’ età. Solo oggi capisco e riconosco che, novello Socrate, tutto quello che so è di non sapere.
Poi, anche se atteso spasmodicamente, ma quasi all’ improvviso arrivò il giorno del congedo. Quello dei saluti, dell’impegno di rivederci e di non perdersi e, in qualche momento abbiamo anche tenuto fede all’impegno. Poi la vita ci ha preso, ci ha trascinato nei suoi gorghi. Ognuno di noi ha tentato, perlomeno, di rimanere a galla, di dare un senso compiuto agli anni che avevamo srotolati davanti, sperando fossero più e migliori di quelli che ci lasciavamo alle spalle.
E ne sono passati tanti, alcuni migliori, altri che non hanno rispettato le aspettative e, a volte, quando meno te lo saresti aspettato, ritornavi a percorrere quei sentieri, quelle serate apparentemente senza senso, tentando, almeno, di ricordare ancora il profumo di quell'oasi. Ritornavano le immagini buffonesche di quattro cialtroni, fondamentalmente pacifisti, che trafficavano con un fucile in mano, cercandogli un uso alternativo rispetto quello per cui era stato costruito.Si riviveva, quasi epidermicamente, quella solidarietà nata nel comune sentire, di sottrarsi a quei riti, tanto stupidi quanto diffusi, del nonnismo e della rivalità regionale.
Solo adesso che ci siamo ritrovati, sia pur virtualmente, in uno di quegli incroci, quasi karmici, di cui si parlava prima, so che la vita stessa, come del resto fa sempre, ci sta offrendo l’occasione di ritrovare quella parte di noi stessi che avevamo quasi dimenticato di avere. Sepolta com’ era sotto montagne di impegni, di doveri, di responsabilità, di attese messianiche di qualcosa che sappiamo non arrivare mai, in quanto sempre stata e, sempre sarà, parte di ognuno di noi.



MIZIO

mercoledì 5 ottobre 2016




VERITA’ NASCOSTE

Verità nascoste
come perle di fiume
per caso pescate
tra le pagine di un volume
Misera è la vita
che conta la sabbia nel costume
neanche fossero minuti
e non sa di aver anche le piume.


MIZIO

sabato 1 ottobre 2016

LA COSCIENZA NON PAGA I CAFFE'....

"Spesso ci sono più cose negli spazi bianchi tra le righe, che nelle parole".


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Ed eccoci in piazza, le aspettative non sono molte, come spesso accade ultimamente, ma c’è sempre quel pizzico di curiosità infantile e un po’ narcisista di vedere quanti siamo. Beh, non moltissimi direi, ma più di quello che temevo o pensavo.
Cerco un punto più elevato per uno sguardo d’insieme. La piccola sorpresa sembra essere che, le teste ancora di colore scuro superano, sia pure non di molto, quelle grigie o bianche. Non considerate, in quanto difficilmente classificabili, quelle sprovviste di copertura tricologica.
Fatta la prima e abituale, operazione di valutazione generale, si passa alla parte analitica del chi, anziché del quanti.
Però! Parecchi volti nuovi, la maggioranza, comunque, fa parte della solita compagnia di giro che si sposta e si ritrova nelle strade, nelle piazze di Roma e, a volte, anche d’Italia. Presenzialisti, me compreso, della peggiore specie. Quelli che ancora manifestano un sacro e riverente atteggiamento nei confronti dei momenti collettivi. Persone che se non dovessero o, non potessero esserci, avrebbero lo stesso stato d’animo contrito del cattolico cui capitasse di saltare la messa domenicale. Viverle, respirarne l’aria, l’atmosfera è decisamente altro rispetto il racconto o commento di terzi sui social.
Potrebbe piovere, dice qualcuno, ma no, è una nuvola chiara non di pioggia, piuttosto guarda! 
Ecco cosa erano quelle strane grida e quel rumore tra i rami.  Pappagalli! E pure di quelli belli grossi. Verdi, gracchianti e veloci nel continuo  spostarsi da un albero all’ altro tra i rami. Che meraviglia! Un giardino, una piazza romana con i rumori e i colori di una foresta tropicale.
Con il solito fastidiosissimo fischio iniziale dell’impianto stereo, improvvisamente parte la musica e soverchia quella, sia pur potente dei verdi acrobati delle chiome.
E così tra qualche saluto distratto, un abbraccio con chi non si vede da tempo, gli incoraggiamenti di turno a qualcuno che deve intervenire, cerco una postazione da cui poter seguire tranquillamente e con attenzione.
Alla destra del palco, sembra esserci più spazio, meno movimento e, di conseguenza più calma,Bene! Mettiamoci qui.
“Oh, ciao. Si, hai visto? C’è un po’ di gente, pensavo peggio. Dai che ce la faremo. Se, se vabbè….a  dopo”.
Una postazione laterale rispetto il palco offre svantaggi e vantaggi. Lo svantaggio è quello di doversi accontentare delle parole e perdere la mimica, spesso più interessante del discorso, degli oratori. Però, poco male, li conosco quasi tutti e potrei, di alcuni, quasi anticipare pensieri e gestualità. Invece, il grande, indubbio vantaggio è quello di avere quasi tutti i presenti schierati di fronte, consentendomi, così, di osservare reazioni , gesti e attenzione degli astanti.
Che magnifico e inutile passatempo quello di guardare il prossimo con occhio attento, fattosi, col tempo anche esperto, non certo da psicologo ma da curioso esploratore dell’animo umano.  C’è modo di osservare tanti di quegli stereotipi così frequenti in queste situazioni. Dal classico compagno barbuto con cappello, occhiali e sigaro, alla compagna, un tempo femminista militante, oggi madre o nonna con prole o nipoti al seguito. Segno, anche questo del cinismo dei tempi. Se non hai soldi o nonni compiacenti non puoi permetterti neanche di allevare figli e, rischi così, di ritrovarteli al seguito di anziani che giocano ancora alla rivoluzione. Beh, parlare proprio di rivoluzionari è forse eccessivo, ma indignati permanenti effettivi, senz’altro.
Emerge qualche giovane volto di ventenne, più numerosi, e meno caratterizzati quelli dei sedicenti ancora giovani. Insomma, quelli della fascia trenta-quaranta.  
In mezzo un ragazzo di colore vende libri di fiabe africane.
Qualcuno un po’ più anziano sembra concentrato nell’ascolto ma quello sguardo assorto, che conosco bene, è la vitrea fissazione tipica della fase di dormiveglia, propedeutica al pisolino pomeridiano.
Beh, comunque la sensazione è sempre quella di un ritorno a casa. La si ritrova sempre uguale, con poche o nulle novità. Manca il venditore di giornale, segno dei tempi, ma, forse , solo perchè è pomeriggio e, comunque ormai, leggono tutti lo smartphone.
Quello invece, mi sembra di conoscerlo.  
Il viso è familiare.
E, infatti anche lui sembra mi stia guardando. Distolgo lo sguardo appena questo si incrocia col suo per evitare inutili imbarazzi e con apparente disinteresse lo volgo altrove. Altrove, si, ma per un nanosecondo, perché subito torno distrattamente, e a volo radente, a guardare da quella parte. Beh! Non mi sta guardando, mi sta proprio fissando. Mi sento, allora, in diritto/dovere di infischiarmene del bon ton e soffermarmi anch’io a guardare con più attenzione. Ha più o meno la mia età e, anche per lui, sembra ben portata. Occhiali leggeri, capelli brizzolati con ancora qualche chiazza scura, preziosi retaggi di antichi splendori tricologici, vestito casual. E lo conosco, certo che lo conosco ma, maledizione, non riesco a ricordare quando e dove l’ho visto. Non sembra un habituè di questi momenti, anche se appare certamente a suo agio, l’avrei visto senz’altro in altre occasioni e l’avrei ricordato. O, forse, è uno dei tanti colleghi di lavoro conosciuti nel corso degli anni, o forse un vicino di casa di quando ero a Roma o forse….boh, non lo ricordo!
Con un cenno del capo indica un chiosco li affianco, quasi un invito lanciato tra la folla ma diretto chiaramente a qualcuno in particolare. Chissà con chi ce l’ha.
Sbaglierò però sembra proprio che continui a guardare me o, perlomeno dalla mia parte.
Ah, ecco conosce sicuramente questo tizio arrivato appena qui dietro per fumare la sua sigaretta. E no! Questo non è venuto per fumare in pace, se ne sta proprio andando nella direzione opposta e lo sconosciuto continua a guardare in serena attesa di una risposta al suo invito gestuale
Dovrei forse avvicinarmi o, magari prima con altri cenni, magari casuali, verificare se il tutto non sia frutto di una mia forzatura fantasiosa.
Alt! Un momento. E se invece fosse un approccio di altro tipo? Non mi danno certo fastidio i gay, figuriamoci. Ma comunque, non vorrei dover giustificare il mio diniego all’interno di un rapporto casuale tra sconosciuti, lasciando i dubbio, magari che il rifiuto possa riguardare lui e non essere il segnale, invece, di una mia convinta eterosessualità.
Però la curiosità è un tarlo che continua a rodermi dentro. Chi è? Mi ha riconosciuto e io invece ancora no. Non può essere che mi sia dimenticato di qualcuno che invece, sembra conoscermi bene. O forse no, non è impossibile che possa accadere.
Ok rispondo! Ho deciso! Un breve cenno con la mano pronto, eventualmente, a trasformarlo in un gesto casuale di tutt’altro significato. Lui, invece coglie l’attimo si alza e mi fa segno di seguirlo in quel chioschetto un po’ discosto dalla calca.
Va bene, siamo tra gente di sinistra, tra compagni, se dovessi essere messo in condizione di spiegare potrei farlo sapendo di trovare comprensione. E comunque, ormai la curiosità mi sta divorando come una scimmia.
“Ciao” e allunga la mano per stringere la mia.
“Ciao, scusami, ma ci conosciamo?”
“Direi proprio di si! Accomodati e parliamone”.  “Dopo di te”, “Non sia mai, prego” “Ok sediamoci contemporaneamente”
Da vicino è ancora più forte la sensazione di familiarità .
Passa un compagno e ci guarda con un curioso e prolungato sguardo. Avrò, forse, qualcosa fuori posto? E il pensiero corre alla patta dei pantaloni. Magari è aperta. Un rapido controllo effettuato con noncuranza mi assicura che da quelle parti tutto è in ordine.
Ci sediamo. Il cameriere si avvicina, “Che prendi?” “Un caffè grazie”, “Ci avrei giurato! Sei noiosamente prevedibile. Caffè anche per me”.
Andiamo bene! Pure presuntuoso e prevenuto.
“Hai detto di conoscermi. Com’è possibile, visto che io, pur avendo una strana sensazione di deja vù, in realtà non mi ricordo assolutamente di qualcosa che mi possa collegare a te”
“E’ tutto molto semplice. Ci conosciamo da tanto, tanto tempo. Praticamente da sempre. Non ti ricordi? Ero con te quando nei prati intorno San Policarpo quel ragazzotto, Lorenzo si chiamava, voleva distruggere il campo di calcio che tu e i tuoi amici avevate costruito con tanta fatica e di cui andavate giustamente fieri. Non ci hai pensato un attimo a difendere il tuo e loro lavoro, e le hai buscate. Tu, a quei tempi, così piccolo e gracile. Ricordi, ti chiamavano cardillo? E, poi, non sei mai stato un violento, la tua mitezza di faceva rifuggire dal fare a botte. Ma lo hai fatto lo stesso per difendere il lavoro e la fatica di tanti ragazzini. Io ero lì a dirti che, la cosa, anche se, forse, non era la più giusta, mi rendeva, comunque, orgoglioso e fiero di te”
“Si, ricordo la questione, Lorenzo era decisamente più grande e forte di me. Ma tu allora eri uno dei ragazzi con cui giocavo al calcio? Come ti chiami?”
“Ogni cosa a suo tempo, non è importante il mio nome, quanto quello che tu hai fatto da allora in poi”
Intanto arrivano i caffè, sorseggio il mio con consumata lentezza persino eccessiva, ma necessaria  per raccogliere un po’ le idee. A questo punto, decisamente, più confuse che mai.
Per quanti sforzi facessi, non riuscivo a inquadrare il mio occasionale interlocutore in alcun momento significativo della vita. Ma forse, dipende tutto dal numero di anni trascorsi.
Adesso mi dirà come si chiama e tutto sarà più chiaro.
Certo che per essere una conoscenza di così vecchia data, ha una memoria di ferro e una capacità di fisiognomica ancora più stupefacente. Come mi ha riconosciuto dopo tanto tempo?
“Ero con te” riprese il discorso senza darmi la possibilità di chiedere ancora, ”quando arrivò da voi Don Roberto. Ricordi che tempesta emotiva ed esistenziale fu per te e per gli altri ragazzi della Scuola 725?”, “Certo che lo ricordo, e come potrei dimenticarlo, uno degli incontri più importanti della mia vita. Crebbi più in quei  pochi, ma decisivi anni, che, probabilmente, in tutto il resto della mia esistenza. Ah ecco allora dove ci siamo visti. C’eri anche tu!”
“Ovvio che c’ero. Io c’ero e ci sono sempre stato dove eri tu. Anche adesso sono qui. non lo vedi?” “Scusami non ti seguo. Come c’eri sempre. Mi hai pedinato? E a che scopo, non mi sembra che la mia vita sia stata così interessante da meritare attenzioni costanti.  E poi, ti ripeto, è vero che mi sembra di conoscerti, ma non ricordo assolutamente nulla che ti riguardi. Se fosse come dici tu dovrei rammentarmi qualcosa, almeno un fotogramma. Invece niente, zero assoluto”.
“Se invece di fare continue domande a me, cominciassi a porne qualcuna a te stesso, forse potresti avere più chiaro chi sono. O, per dire meglio, chi sei tu. Ricordi i momenti di dolore, di frustrazione, di paura di tormento che hai attraversato? Ma anche quelli di gioia, di speranza di entusiasmo. Bene sappi che li abbiamo tutti vissuti insieme. E, a volte, anche se raramente ti sei anche ricordato di me e, ancora più raramente hai provato ad ascoltarmi”.
A questo punto cominciai, sinceramente anche ad avere un po’ di timore. Che razza di discorsi sta facendo. Matto non sembra, perlomeno non del tutto, visto che sa troppe cose vere sul mio conto. Cose che io stesso avevo quasi dimenticato. Perché non mi dice chiaramente chi è. Così la facciamo finita con questa commedia che sta rasentando l’assurdo. E, a questo punto, credo di aver diritto di sapere anche cosa vuole.
“Senti dimmi chi o cosa sei. Sei forse uno di quelle persone che vanno in giro affermando di essere dotate di poteri paranormali? Hai attinto, non so come, alcune informazioni su di me e adesso vuoi magari, predirmi il futuro, per spillarmi soldi? Sappi che non ci casco. Soldi non ne ho molti e quei pochi servono a me e alla mia famiglia. Figurati se li butto con un ciarlatano.”
“Ahahahah, sapessi quanto sei ridicolo. Ma ti pare che non sappia che non sei ricco e come tu sia molto critico, se non di più, su certe cose. Ma dai! Te l’ho detto, ma forse, non ascolti io sono con te da sempre, ci sarò per sempre e ti conosco più di quanto possa conoscerti te stesso”.
“E allora se ci sei da sempre perché sono io a non conoscerti?. Perché non ho memoria di alcuna cosa vissuta insieme? Dammi qualche spiegazione logica e valida e poi potremo continuare a parlare. Senno’ tanti saluti… E’ stato un piacere…..anzi, neanche tanto, e arrivederci”.
“Tranquillo, tanto sai meglio di me che non lo farai. Vuoi delle risposte? Hai visto come ci stanno guardando tutti? Non ti sembra che i loro sguardi siano diversi da quelli, normalmente impalpabili, che si concedono a due amici seduti al bar?”
“E’ vero, questo lo stavo notando anch’io. Eppure non mi sembra di essere particolarmente eccentrico e, anche la tua, di stranezza, al momento la conosco solo io. Forse abbiamo alzato un po’ troppo il tono della voce ….si è percepito qualcosa …o forse….”
“Zitto un attimo e ascolta. O, meglio guardami. Non noti niente? Occhiali, occhi, capelli, naso, labbra non ti ricorda nessuno? E la mia voce, il modo di gesticolare, quei piccoli trascurabili tic non li riconosci? Sai a volte, mi mangio anch’io le unghie”.
Perché dovrei guardarti per.....oddio….ma tu….è vero sembri…….. anzi sei proprio….porca miseria ..ma…tu…sei io. …ecco perchè.....porca miseria. Ma tu, cioè io..cioè io sono…te. No…ma è impossibile… tu io…. uguale a me….Cavolo!!!” 
Qualche secondo, non troppi, in verità, di stupito silenzio. Com’è possibile?.... Ma che siamo gemelli? I miei non mi hanno mai detto nulla in proposito. E’ vero che non parlavano mai volentieri del loro passato ma…forse questa, almeno da grande me l’avrebbero detta. Sei stato forse abbandonato o…venduto da piccolo? O…forse sono stato venduto io?. O mamma, mamma che confusione……”
“Ma quale venduto, ma quale gemello. Gli studi appassionati che hai portato avanti per tanti anni. In cui io ti portavo per mano, ti indicavo le letture, ti procuravo gli incontri giusti, ti ho lasciato persino dei libri sui treni per farteli trovare “casualmente”. Ero con te quando avesti…, anzi, veramente, ero io a procurartele, quelle tue strane esperienze. I mille discorsi, i mille viaggi alla ricerca di quel qualcosa, del tassello che mancava, le situazioni estreme che ti sconcertavano le hai proprio dimenticate? Eppure ne avevi compreso molto, ti sentivi persino pronto al grande salto. E sono io che, ti ho impedito di farlo, perché pronto non lo eri allora e oggi mi stai dimostrando che avevo ragione, visto che non lo sei neanche adesso.”
“Aspetta quella notte, quando accadde la prima volte…tu eri lì?” “Ovvio! Anzi non ero lì, ero te”. “No, aspetta, non correre se tu eri lì ed eri me, io dove ero?”
“Non ricordi? Ti sei anche spaventato vedendoti nel letto. Dai, possibile che dicevi di aver capito tutto, e adesso che ne hai la prova vivente davanti a te, dubiti in questa maniera?”
“Perché tu non faresti lo stesso? E poi, a cosa dovrei credere? Non sono certo sicuro di poter serenamente decidere cosa pensare di tutto ciò”
“Hai ragione. Probabilmente farei lo stesso anche io. Anzi il mio compito primario è proprio quello di salvarti (o salvarci) da te stesso”.
“E perché in tutti questi anni non ti sei mai fatto vedere? Se è vero che sei stato sempre con me, almeno qualche volta avrei dovuto incontrarti”.
“Ragioni ancora e sempre da stupido, scusami. Hai dimenticato i tre livelli di percezione? Mi stai dimostrando quanto sia facile far finta di non averli. Ecco, quando serviva il mio aiuto,  io ero lì nella parte che tu, troppo spesso, trascuravi. Non perché non sia giustificabile la tua disattenzione. La vita oggi è tremendamente complicata e impegnativa, soprattutto quando ti senti addosso responsabilità e oneri di altre persone care. So benissimo quali e quante prove tu abbia dovuto superare. Ma ogni volta che stavi per cadere io ero lì e ti mostravo una potenziale via d’uscita. Non risolutiva, che quello era compito solo tuo, ma sufficiente a farti rialzare da terra. Non ho mai permesso che ti abbandonassi alla disperazione. Quante volte hai detto a te e agli altri: ”Per fortuna che proprio in quel momento…..” Ecco quel momento te lo preparavo io, sperando che tu fossi in grado coglierlo. E finora devo dire, l’hai, quasi sempre , saputo cogliere. Ecco adesso che, forse il tutto ti è un po’ più chiaro. Vuoi dirmi qualcosa tu?”
“E che dovrei dirti. Io sono qui, tranquillo, convinto di partecipare ad una delle tante manifestazioni, forse inutili, ma che mi fanno sentire a mio agio e…arrivi tu a scombussolare tutto il mio lato razionale e logico faticosamente costruito per centrifugarmi neuroni, sentimenti e certezze. Sei forse quello che i cristiani chiamano angelo custode o quello che gli spiritualisti chiamano spirito guida?” 
“Ma quale angelo custode, quale spirito. Ti ho detto e ripetuto che io sono te. Non sono esterno a te. Sono con te e in te. Tu non saresti completo senza di me e io senza di te. Senza l’uno e l’altro, semplicemente non saremmo. Siamo nati insieme frutto del desiderio di due esseri umani e della legge universale che tende alla completezza e alla perfezione evolutiva. Tu non eri, io non ero, insieme siamo. Le religioni mi chiamano anima, corpo astrale, eterico. La scienza mi definisce inconscio, Es, Io, Super io, la stragrande maggioranza mi identifica genericamente come coscienza. E, detto fra noi, è la definizione che preferisco. Decisamente più laica, più libera meno soggetta a dogmi, precetti o contestazioni con disquisizioni tanto prolisse e dotte, quanto noiose e inutili. Come anima o spirito guida in questo ambiente di miscredenti, prevenuti a prescindere, ci starei a disagio. Come coscienza è il mio, o meglio, il nostro habitat naturale”.
“Senti, non so se sto capendo bene quello che sta succedendo. Forse, tra un po’ mi sveglierò e, magari, avrò dimenticato tutto. Forse è uno di quei sogni lucidi di cui ho letto qualcosa anni fa. Forse è una qualche forma di follia di cui non ho cognizione, qualche forma di Alzheimer che si manifesta in forma acuta. Di una cosa sono sicuro,  non ho fatto uso di droghe o alcool, quindi non è una visione indotta. Forse…..”
“Forse basta, adesso. Ho già abusato troppo della discrezionalità di cui ho potuto usufruire per questa occasione. Sappi che non tutti, anzi, pochissimi hanno di queste opportunità. Dovevo e volevo solo ricordarti che non sei mai solo. Io, anche se non mi vedrai più, sarò, però, sempre con te e in te. Ti chiedo solo di ascoltarmi più spesso, sarebbe un bene anche per me. Sai, qualche gratificazione per il buon lavoro svolto fa bene a tutti. E magari insieme potremmo fare grandi cose, non credi? Ciao…a risentirci presto,. Ovviamente non ti dico per ovvi motivi arrivederci. Non ci vedremo più. Almeno in queste vesti. E’ un momento che dovrai ricordare e farne ciò che vuoi, ma senza possibilità di replica…..”
“No aspetta, non puoi andartene così. Ho mille cose da chiederti, mille curiosità, un milione di dubbi da chiarire”. “Ciao, devo andare…non posso….”
“Fermati….ma che succede… perché ti stai sbiadendo? Dove vai?”.
“…. E adesso dove sei?....Dai fatti vedere. Sembro scemo a parlare da solo….O forse lo sono veramente”.
“Oddio ma che cavolo è successo”.
Intorno la manifestazione si sta avviando alla conclusione. Siamo agli impegni solenni. Alla rivendicazione orgogliosa dei propri ideali e io immagino di avere l’aria stralunata e fessa di un tonno appena pescato.
“Suo fratello è andato via? Prende qualcos’altro?”
“Mio fratello? No, guardi non era…” Lasciamo perdere. Troppo complicato
Il cameriere mi riporta alla realtà e, professionalmente, insensibile mi porge lo scontrino con il conto.
Due caffè! Quindi non ho sognato. Qualcuno c’era, qui con me.
E ha lasciato anche il conto da pagare.
Devo pensare che la mia coscienza, ammesso  sia stata veramente era lei, ha probabilmente  origini scozzesi.
“Tenga il resto”
“Grazie!" "Buonasera.”
Vabbè, torno a casa.
O, forse dovrei dire: torniamo?
“Perchè vieni anche tu, vero?”
.....E silenzio fu!


MIZIO

venerdì 26 agosto 2016

TERREMOTI NECESSARI

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Abbiamo riempito l’Italia di asfalto e cemento, abbiamo bucato, traforato, deviato fiumi, espropriato, distrutto, prosciugato sorgenti, creato laghi, cancellato panorami, coste e montagne. Il tutto snobbando con un’alzata di sopracciglio, le proteste, le perplessità, le esigenze di chi in quei luoghi ha convissuto per secoli con rispetto e all’interno di un rapporto equilibrato con l’ambiente circostante. 
Non è la nostalgica riproposizione dei bei tempi andati o del buon selvaggio capace di convivere con la natura e i suoi rischi. Perché i terremoti, anche distruttivi, ci sono sempre stati, come alluvioni e inondazioni. Fenomeni che non si potevano (e non si possono ) prevedere né fermare. Quello che possiamo fare, grazie alle moderne tecnologie e alle conoscenze acquisite nel corso dei secoli da ricerca e scienza, è di utilizzarle al meglio per la prevenzione, lo studio e la salvaguardia di comunità umane e naturali.
Oltre l’impatto devastante con rischi non sufficientemente considerati delle cosiddette grandi opere “indispensabili” quanti miliardi di euro costeranno? Tutte risorse che andranno a pesare, insieme ai danni ambientali, in un bilancio futuro come saldo negativo in termini sia economici che sociali. 
Anche l’ONU ci fa sapere che l’Italia è in ultima posizione in quanto a prevenzione, strutture e adeguamenti per la sicurezza del territorio. Mentre siamo sicuramente all’avanguardia per linee Alta velocità, rete autostradale, cattedrali e opere inutili progettate e costruite per i grandi eventi.
L’Italia, che si dimostra straordinariamente solidale e generosa in occasioni tragiche, è però incapace di controllare e amministrare  il quotidiano. Per guadagnare 5 minuti tra Roma e Milano non ci si ferma neanche di fronte il rischio di provocare potenziali danni in città come Firenze.
Italia, paese dalla natura e dal patrimonio artistico tanto preziosi e straordinari quanto ignorati e fragili, non può e non deve permettersi distrazioni o delegare ad un ipotetico futuro la presa di coscienza di tale realtà e la necessità di scelte conseguenti.
Introdurre nel sentimento e nelle coscienze colletive, prima ancora che nelle regole scritte, che gli aspetti economici, gli interessi finanziari non potranno e non dovranno mai avere la prevalenza rispetto la salvaguardia e la messa in sicurezza del territorio, delle comunità che le abitano e della stessa vita umana.
Ma, si dirà, il debito pubblico, gli accordi con l’Europa da rispettare, il fiscal compact che ha strangolato gli enti locali, come si fa, dove troviamo le risorse.
Ecco il punto focale attorno il quale, anche se si vuol far finta di niente, ruota tutto il discorso e ritroviamo il bandolo della matassa.
I soldi si trovano e ci sono solo per quelle opere che garantiscono , speculazioni e salvaguardano interessi che ricadono nell’immediato e limitatamente ad alcuni soggetti. Quei, come li definisco io, “lor signori”, che con argomentazioni supportate dagli "Azzeccagarbugli” di turno, tentano (riuscendoci) di convincerci che sono opere necessarie per lo sviluppo e la modernizzazione del paese oltre che per creare posti di lavoro, anche se precario e limitato nel tempo.
Gli stessi che sono i guardiani degli interessi finanziari e speculativi della nuova economia globale che salvaguarda i profitti, il libero scambio di merci al più basso costo possibile, bypassando esigenze vitali di singoli e di interi popoli. Gli stessi che considerano moralmente accettabile il sacrificio di migliaia di esseri umani in guerre “umanitarie”. Che obbligano milioni di uomini e donne a migrazioni bibliche per sfuggire a guerre e fame e farli, poi, finire ammassati e sfruttati in lager ai margini delle ricche e accoglienti democrazie.
Si dirà che c’entra tutto questo con i terremoti?
C’entra come c’entrano tutte le altre migliaia di cose che non vanno nella nostra moderna società. C’entra e c’entrano tutte quelle speculazioni e quei condizionamenti che ci portano a giustificare e a considerare prioritario l’interesse economico, piuttosto che gli interessi della sopravvivenza e salvaguardia del pianeta e dell’umanità.
Non aspettiamoci che questa presa di coscienza, che questa inversione di tendenza parta da lor signori o dall'alto. Deve maturare, crescere all’interno di ognuno di noi che senta questa esigenza.E, conseguentemente, maturare la convinzione e la necessità di trasformarla, con azioni e prese di posizioni, in qualcosa di visibile e tangibile. Ognuno nel proprio ambito sia esso politico, sociale, religioso, filosofico, morale.
Siamo vigili e presenti laddove questi pericoli si manifestano e si concretizzano, si sensibilizzi il proprio parente, il vicino di casa, si rompa le scatole al politico, all’amministratore locale, al professionista che dovrà decidere o attuare determinate cose.

Se i terremoti, le alluvioni  non si possono prevedere, si possono sicuramente limitare i danni e salvaguardare vite umane, città, borghi e territori con scelte politiche, economiche, di prevenzione e di salvaguardia ma soprattutto con una presa di coscienza, singola e collettiva che dia vita a un terremoto politico e sociale tanto auspicabile quanto necessario.
Ad maiora

MIZIO

venerdì 19 agosto 2016

TEMPO AL TEMPO?


Sicuramente molti ricordano quella scena di uno dei tanti film di Fantozzi, in cui il megapresidente galattico si rivolge al sottoposto umiliato, con queste parole:”Non si preoccupi del tempo, Fantocci. Posso aspettare… Io!
Ecco, il tempo. Si dice che sia galantuomo e che alla fine agisca come una livella che tutti riporta alla stessa dimensione di miseri esseri umani naufraghi inconsapevoli dell’avventura della vita.
Una delle maggiori preoccupazioni dell’essere umano è stato quello della sua misurazione, necessaria per scandire e organizzare la vita sociale. In altro ambito filosofi, teologi e pensatori di ogni tipo e di ogni epoca ne  hanno fatto oggetto di riflessioni speculative,  di opere d’arte,  poetiche, letterarie.
In un mondo che negli ultimi decenni ha accelerato esponenzialmente i suoi ritmi il tempo è diventato sempre più un elemento relegato a funzioni statistiche relative alla velocità di produzione con parametri che sempre più si allontanano da quelli delle persone per essere adattati a quelli di una competizione produttiva globale.
L’anticipazione profetica di Villaggio trova attualmente la sua applicazione pratica non solo nella singola vessazione parodistica del povero impiegato, cui necessitava far percepire la distanza di classe con il padrone, ma è diventato un comune sentire condiviso, inconsapevolmente, pure dalle “vittime”.
Questo senza dubbio è da ascrivere come uno dei maggiori successi di manipolazione e condizionamento di massa da parte del “potere”. Sembra quasi di essere entrati in una dimensione atemporale o di tempo sospeso, in cui tutto viene sacrificato e rimandato ad un possibile, ma improbabile futuro ricco, oltre che di possibilità economiche, anche di tempo da dedicare a sè e ai propri cari e ai propri interessi.
Tutto questo, e cerco di riportare il tutto ad una dimensione più vicina a noi, è avvenuto nella consapevole o meno, della (non) azione delle forze politiche e sindacali. Quella politica (in particolare di sinistra) e quel sindacato il cui compito storico sarebbe quello di rappresentanza e di salvaguardia della vita di tutti, in particolare dei milioni di Fantozzi è rimasta alla finestra, testimone muta, distratta e, per certi aspetti, complice
La politica per sua natura spesso diventa retorica e immaginifica, prospettando futuri meravigliosi a fronte di sacrifici immediati. Ma mentre prima il sogno del Sol dell’avvenire (sia pur utopico), segnava percorsi di lotte e conquiste con ricadute positive e tangibili nel quotidiano delle persone, oggi le scelte fatte “responsabilmente” lo peggiorano a fronte di improbabili miglioramenti , il cui confine, come l’utopia, viene spostato sempre più in avanti. I tempi della politica non sono più in lento ma progressivo avvicinamento a quelli della vita ma sempre più velocemente se ne stanno allontanando. I giovani, magari  laureati, i precari, i disoccupati del Sud, ma non solo, gli esodati, le donne e uomini separati senza sostegno hanno i loro bisogni vitali oggi! Non domani, dopodomani o chissà quando. E’ un attimo passare da giovane precario di belle speranze a precario cronico. Ancor meno tempo ci vuole per passare da disperato di mezza età a clochard o suicida. Una società che invecchia senza preoccuparsi di provvedere al proprio ricambio è una società destinata ad estinguersi ma sembra, che questo aspetto nel dibattito politico, sia totalmente assente e non percepito.
Sono partito dal tempo come valore messo in discussione per arrivare all’azione politica non casualmente ma attraverso un ragionamento che  ha una sua logica e importanza fondamentale (ovviamente per me). Frutto forse dell’età che avanza ma, soprattutto di un’analisi oggettiva condivisa da molti, e di una presa d’atto di una qualità di vita enormemente peggiorata, sia nell’immediato che nelle realistiche prospettive.
Chi mi conosce sa che non sono un nostalgico. Sono teneramente e sentimentalmente legato a quelle che erano idee, lotte, forme d’organizzazione della mia gioventù, ma anche realisticamente cosciente che sono improponibili oggi nelle stesse forme.
Ma sono anche coscientemente convinto che la politica a sinistra deve riprendere il suo ruolo che non può essere quello di mediatore e pacificatore sociale in nome di un luminoso, ipotetico  futuro.  Deve ricominciare a tessere la trama per un vestito e una politica che, pur in un’ottica utopica (necessaria per motivazioni, adesioni e fidelizzazioni), venga cucito sulle misure dei bisogni attuali, in particolare dei soggetti più disagiati.
Chi ha tempo non aspetti tempo! E a noi non ne è rimasto molto.
Ad maiora


MIZIO

lunedì 15 agosto 2016

Tra l’odio razziale e le discriminazioni quotidiane: l’ottica biblica

Un altro contributo del Dott. Santopietro che analizza con lo sguardo e la codifica della fede, un problema, quello dell'intolleranza razziale e religiosa, che caratterizza il nostro tempo.
MIZIO



“Io non mi domando a che razza appartiene un uomo: basta che sia un essere umano; nessuno può essere qualcosa di peggio” (M. Twain, in “L’uomo che corruppe Hadleyburg”)


L’eco delle cronache drammatiche legate alle stragi globali del fanatismo islamico, di cui colpisce tristemente quella di Nizza, si aggiungono i  frequenti episodi di violenza razziale verificatisi negli Stati Uniti, che sembravano fossero prerogativa degli statunitensi, ma in questo tormentato Luglio del 2016, l’Italia è stata scossa dall’efferato omicidio a sfondo razziale accaduto a Fermo. Un brusco risveglio. Si dirà, per esorcizzare la brutale realtà, che in fondo“tutto il mondo è paese”, come per dire: “mal comune mezzo gaudio”quindi…. Ma la riflessione che vorrei fare con voi alla luce delle Sacre Scritture,  tenuto conto  delle importanti influenze che hanno sulla vita quotidiana  la morale, gli schemi culturali e le innovazioni tecnologiche, è che nell’uomo  di ogni tempo prevale un “invariante nucleo psichico”, di cui fa parte una primitiva avversione per ciò  è “diverso”, per qualità fisica o psicologica o pigmentale o religiosa o comportamentale, cioè tutto ciò che non è omologato, non conforme al modello sociale dominante, generando pericolose aspettative disattese,  base dell’ostilità più bieca: l’espressione antropologica dell’odio razziale! Insomma, il rischio è che chi è percepito come “diverso”, sia implicitamente un nemico, “nutrimento” necessario ad alimentare la spinta xenofoba. Eppure non esistono razze umane, né esistono di ordine superiore ad altre, esiste una sola umanità, di cui sono molteplici le varie etnie sparse nel mondo (Ge 11,1ss). Da un punto di vista biblico, tutti gli uomini sono a immagine e somiglianza di Dio (Ge 1,26-27). Si potrà obiettare che Dio abbia costituito un “suo popolo”, differente da tutti gli  altri. Dio allora avrebbe “discriminato” fra gli uomini? No! Gli Ebrei, privilegiati nel rapporto con l’Eterno, avrebbero dovuto introdurre, preparare gli altri popoli alla Sua conoscenza, avrebbero dovuto illuminare l’intera umanità, avrebbero dovuto divulgare, rendere familiare l’idea monoteista e, soprattutto, rendere nota la Sua smisurata misericordia. Il simbolo concreto del “pellegrino”, di colui il quale è sprovvisto del vincolo etnico-nazionalista e, perciò, sempre straniero in questo mondo, fu Abramo (Ge, 12,1ss), il padre delle tre grandi religioni monoteiste (Gv 8,39). Ma accadde che il popolo del V.T. invece di assecondare gli insegnamenti di Dio, s’insuperbì, si gonfiò di vano orgoglio per il solo fatto di essere l’unico popolo dell’unico e vero Dio! Un onore che divenne un onere non corrisposto! Ma, attenzione, allo stesso modo può avvenire oggigiorno a noi cristiani se mostriamo la medesima alterigia nei confronti degli altri, che non appartengono alla chiesa di cui si è parte, come successe a Diotrefe (III Gv1,9). Agli ebrei di quel tempo, oltre l’inosservanza della legge divina, mancò  la pratica dell’umiltà: antidoto necessario per neutralizzare la superbia o la convinzione immotivata di essere così a posto  al cospetto di Dio (I Co 13,1ss). Ma già millenni fa, Dio tuonò severamente contro il suo popolo, insensibile alla caricatevole profondità della Sua legge:
“Voglio misericordia e non sacrifici” (Osea 6,6).
L’opera di misericordia era richiesta agli Ebrei nelle loro relazione umana, ma includeva esplicitamente anche la sfera dei rapporti con gli stranieri (gli “impuri”, “i senza Dio, “i cani infedeli”) come è sancito in Deuteronomio (10,17-19):
“Circoncidete dunque il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra nuca perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dei, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d'Egitto…(…)”.
In questi passi, l’autore sacro conferisce alla circoncisione un significato spirituale che va oltre  la sacralità del rito di fratellanza etnico-religiosa, anticipando di millenni (1440 a. C. circa)  il concetto cristiano dell’Apostolo Paolo, il quale riteneva che  il vero segno di appartenenza spirituale al popolo di Dio fosse solo quello inciso nell’anima, nella mente, nel cuore del fedele e non nell’esteriorità di un meccanico atto carnale!!
Giudeo, infatti, non è chi appare tale all’esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini, ma da Dio. (Ro 2,28-29)
Il “non indurite più la vostra nuca” corrisponde alla testardaggine del popolo di ieri, ma anche quello di oggi, se ripropone il medesimo atteggiamento superbia verso i propri simili e di opposizione al Signore (cfr. I Co 10),  perciò Dio, a causa del profondo pregiudizio che nutrivano per i forestieri, fu costretto a enfatizzare alcuni dei suoi “titoli”: l’Essere il Dio degli dèi, il Signore dei signori, come a ricordare loro che sulla terra  non esistono altri dèi né altri signori all’infuori di Lui! Né alcun umano può essere imparziale e praticare la giustizia con assoluta equità! Dio ha dovuto ricordare come i forestieri fossero degni del suo amore, perché anche essi furono stranieri in terra straniera durante il periodo della cattività egiziana, avendo inoltre subite  tante inumane vessazioni . Avrebbe dovuto essere  loro nota pure l’idea di un Dio che mai avrebbe accettato “regali” senza una sincera disposizione di cuore, senza ubbidienza (Ge 4,4-8; I Sa 8,1ss), esattamente come avvenne nell’eclatante episodio di Anania e Saffira (At 5,1ss), i quali  “sacrificarono” la metà dei proventi ricavati dalla vendita di un loro terreno, alla nascente chiesa di Gerusalemme facendo intendere che fosse invece la somma intera, mentendo di fatto allo Spirito: il “Dio buono” del N.T. punì mortalmente la coppia! Per inciso, oggi moltissime chiese, se non forse tutte, nella stessa situazione avrebbero elogiato il gesto ipocrita della coppia. Ma Dio non ha riguardo alle persone, come conferma l’Apostolo Pietro:
“In verità io comprendo che Dio non usa alcuna parzialità; ma in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito” (At 10,34-35; Ro 2,11; Ef 6,9).
Le sfumature discriminatorie quotidiane, che possono rivelare il germe di un’imparzialità di fondo, sono spesso sottovalutate anche fra i cristiani, tanto che il fratello di Gesù, Giacomo, ci ammonisce a fare la dovuta domanda:
“Se nella vostra assemblea, infatti, entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, ed entra anche un povero con un vestito sporco, e voi avete un particolare riguardo a colui che porta la veste splendida e gli dite: ”Tu siediti qui in un bel posto”, e al povero dite. “Tu stattene là in piedi”, oppure: “Siediti qui sotto, vicino allo sgabello dei miei piedi”, non avete fatto una discriminazione fra voi stessi, divenendo così giudici dai ragionamenti malvagi?” (Gc 2,2-4).
Certo, con ciò non si vuole affermare che esista un legame diretto fra queste forme di discriminazioni e l’odio razziale, l’intenzione, infatti, è quella di sottolineare come sia molto arduo, quasi impossibile per l’essere umano, cristiani compresi, essere imparziale nei rapporti di tutti i giorni (Ro 3,10). Rispetto al rapporto fra identità etnico-culturale e appartenenza religiosa, quest’ultima viene usata come propellente motivazionale per compiere atti disumanamente feroci, esasperando il gradiente di diversità con “l’altro”, amplificando l’odio per il nemico che minaccia la propria appartenenza e, quindi, giustificando assurdamente qualsiasi strage in nome di Dio che è, a sua volta,  impropriamente  utilizzato come “arma di massa”, altrimenti impossibile da concepire da una qualsiasi persona ordinaria! Purtroppo qualcosa del genere, che rafforza l’idea dell’esistenza di “un nucleo psichico invariante” nel tempo, era stata prevista oltre 2000 anni fa dall’evangelo di Giovanni:

“Vi ho detto queste cose affinché non siate scandalizzati. Vi espelleranno dalla sinagoghe; anzi l’ora viene che chiunque vi ucciderà penserà di rendere un servizio a Dio” (Gv 16,1-2).