mercoledì 28 marzo 2012

LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA (E.A.POE)






La Morte Rossa aveva devastato a lungo il paese. Nessuna pestilenza era mai stata così fatale o terrificante. Il sangue era il suo emblema e il suo sigillo, il rosso colore e la repulsione per il sangue.
C'erano pene atroci, vertigini improvvise, e poi un profuso sanguinamento dai pori, fino alla dissoluzione. Il colore scarlatto attaccato al  corpo ed in particolare al volto della vittima erano  la maledizione della peste, che la bandivano da ogni aiuto e dalla pietà dei suoi compagni.
E l'intero attacco, la sua evoluzione e la fine della malattia erano questioni di appena una mezz'ora.

Ma il Principe Prospero era felice, impavido e sagace. Quando i suoi domini furono spopolati della metà, chiamò al suo cospetto un migliaio di amici felici e in salute fra i cavalieri e le dame della sua corte e con loro si rinchiuse nel profondo isolamento di una delle sue abbazie fortificate. Questa era una estesa e magnifica costruzione, frutto dell'eccentrico, ma regale gusto del principe stesso.
Un forte e alto muro la circondava. Il muro aveva cancelli di ferro. I cortigiani, una volta entrati, portarono una una fornace e grossi martelli e saldarono le serrature. Decisero di non lasciare alcun mezzo per entrare o uscire nemmeno nel caso di un improvviso impulso a sparire o nel caso qualcuno fosse impazzito. L'abbazia era abbondantemente fornita. Con tali precauzioni i cortigiani avrebbero potuto abbandonare ogni prevenzione contro il contagio. Il mondo esterno avrebbe potuto prendersi cura di sé stesso da solo. Nel frattempo sarebbe stato sciocco essere tristi o rimuginare.
Il principe aveva provveduto a  fornire ogni genere di divertimenti. C'erano buffoni, c'erano improvvisatori di versi, c'erano ballerine, c'erano musicisti, c'era la Bellezza, c'era il vino.
Tutto questo e la sicurezza erano dentro. La  “Morte Rossa” era fuori.


Fu verso la fine del quinto o sesto mese di questa reclusione, mentre la pestilenza imperversava più che mai nel mondo esterno,  che il Principe Prospero organizzò per le sue migliaia di amici  un ballo in maschera di incredibile magnificenza.
Quella mascherata ebbe un allestimento voluttuoso. Ma prima lasciate che vi racconti delle stanze in cui fu tenuta. Ce n'erano sette – una suite imperiale. In molti palazzi, solitamente, le suite si sviluppano in modo lungo  e stretto, mentre porte scorrevoli sono poste su muri sul lato opposto, in tal modo la visione d'insieme è scarsamente impedita. Qui le cose erano differenti, come era naturale aspettarsi da un sovrano così amante del bizzarro. Le stanze erano così irregolarmente disposte che era impossibile vedere più di una stanza per volta. C'era una stretta curva ogni venti o trenta yarde e ad ogni svolta un nuovo effetto. A destra e a sinistra, nel mezzo di ogni muro, una alta e stretta finestra gotica dava su un corridoio chiuso che seguiva le curve dell'appartamento. Queste finestre erano di vetro piombato i cui colori variavano a seconda del colore prevalente delle decorazioni della camera nelle quali si aprivano. Quella all'estremità orientale ad esempio era decorata in blu e di un vivido blu erano le sue finestre. La seconda stanza aveva in porpora le sue decorazioni e i suoi arazzi e qui i vetri erano porpora. La terza era tutta in verde e le vetrate erano verdi. La quarta era rifinita ed illuminata in arancio, la quinta in bianco, la sesta in violetto. La settima stanza era fittamente rivestita di arazzi di velluto nero che ricoprivano anche tutto il soffitto e ricadevano in pesanti falde su un tappeto dello stesso materiale e colore. Ma solamente in questa stanza  il colore delle finestre non corrispondeva a quello delle decorazioni. I vetri erano rossi, un profondo color rosso sangue. In nessuno degli appartamenti c'erano lampade o candelabri, nel mezzo di una profusione di ornamenti dorati che giacevano sparpagliati da una stanza all'altra o che pendevano dal soffitto. Non c'era luce di alcun tipo emanata da  lampada o da  candela in tutta la suite. Ma nei corridoi che seguivano l'andamento dell'appartamento, si trovavano, opposti ad ogni finestra, dei pesanti tripodi che reggevano bracieri di fuoco che proiettavano i propri raggi attraverso i vetri e illuminavano debolmente ogni stanza. In tal modo si producevano una varietà di variopinti e fantastici effetti. Ma nella camera nera occidentale l'effetto della luce del braciere che si riversava sui drappi neri attraverso le vetrate tinte nel color del sangue era scioccante ed estremo, e dava un aspetto così selvaggio alle espressioni di coloro che entravano, che solo pochi della compagnia furono coraggiosi abbastanza da mettere anche solo piede fra le sue mura.
Era in questa stanza tuttavia che si trovava contro il muro occidentale un gigantesco orologio d'ebano. Il suo pendolo ondeggiava avanti e indietro con un cupo , pesante e monotono rintocco, e quando la lancetta dei minuti  aveva terminato il suo giro, e l'ora scoccava, dai polmoni d'ottone dell'orologio proveniva un suono che era alto, profondo ed eccessivamente musicale, ma che era anche di una nota ed una enfasi così particolare che, ad ogni cambio d'ora,  i musicisti dell'orchestra erano costretti a fare una pausa momentaneamente nella loro esecuzione per prestare attenzione al suono; ed anche i ballerini cessavano le loro evoluzioni, e  un breve sconcerto aleggiava sull'intera gaia compagnia, e mentre l'orologio suonava ancora si notava che i più frivoli diventavano pallidi, e i più anziani si passavano le mani sulla fronte, come se si trovassero confusi in un sogno ad occhi aperti o in una meditazione. Ma quando l'eco era completamente cessato, una chiara risata pervadeva l'intera assemblea, i musicisti si guardavano l'un con l'altro e sorridevano del loro nervosismo e della loro follia, e facevano promesse, sussurrate l'uno all'altro, che il successivo rintocco non avrebbe prodotto in loro una tale emozione; e poi nel giro di altri sessanta minuti ( che comprendono tremilaseicento secondi del tempo che vola), arrivava un altro rintocco dell'orologio e c'erano di nuovo lo stesso sconcerto, tremore e meditazione di prima.

Ma, a dispetto di queste cose, era una festa gaia e magnifica. I gusti del principe erano singolari. Aveva un occhio raffinato per i colori e gli effetti. Disprezzava le decorazioni alla moda. I suoi progetti erano coraggiosi e fieri,  e le sue idee splendevano di un lustro barbarico. C'erano alcuni che avrebbero detto che egli era pazzo. I suoi seguaci sentivano che non lo era. Era necessario ascoltarlo e vederlo e toccarlo per essere sicuri che non lo era.

Egli aveva diretto in gran parte le decorazioni mobili delle sette stanze in occasione di questa grande festa, ed era stato il suo gusto a decidere i personaggi dei mascherati. Certamente  essi erano grotteschi. Ce n'erano di abbaglianti, luccicanti, piccanti e fantastici, molti dei quali si sarebbero visti nell'Hernani. C'erano figure arabesche con strani arti e decori. C'erano fantasie deliranti come quelle  create da un pazzo. C'era molto del bello, del debosciato, molto del bizzarro, qualcosa del terribile e neanche un po' di ciò che avrebbe provocato disgusto. Avanti e indietro nelle sette stanze si inseguivano, infatti,  una moltitudine di sogni. E questi sogni contorti aggirandosi e prendendo colore dalle pareti delle stanze, facevano sì che la musica selvaggia dell'orchestra sembrasse l'eco dei loro passi.  E poi risuonavano i colpi dell'orologio d'ebano nella stanza dei velluti. E poi, per un momento, tutto era fermo, tutto silenzioso, ad esclusione della voce dell'orologio. I sogni si immobilizzano come congelati. Ma poi l'eco dei rintocchi muore – non sono durati che un istante – ed una chiara, semi-smorzata risata aleggia dopo che essi sono svaniti. Ed ora la musica cresce di nuovo e i sogni rivivono, e ondeggiano  avanti e indietro più felicemente di prima, prendendo colore dalle multicolori finestre attraverso le quali fluiscono i raggi  provenienti dai  tripodi.
Ma nella camera che si trova più ad occidente delle sette non c'è nessuna delle maschere che si avventuri, mentre la notte sta svanendo e fiotti di luce rossa brillano attraverso i pannelli color sangue, e l'oscurità dei drappeggi neri si riempie d'orrore, e a colui i cui piedi calpestano il tappeto nero arriva  dal vicino orologio d'ebano un rintocco smorzato, ma più solennemente enfatico di quelli che raggiungono le orecchie di chi indulge in più lontani piaceri nelle altre stanze.
Ma le altre stanze erano densamente affollate ed in esse batteva febbrilmente il cuore della vita.
La festa continuò vorticosamente, fino a che l'orologio non cominciò a suonare la mezzanotte. Allora la musica cessò, come ho già detto, e le evoluzioni dei ballerini si fermarono e ci fu un difficile arresto di ogni cosa come prima. Ma ora c'erano dodici rintocchi che la campana dell'orologio doveva battere. E fu allora che che accadde forse che,  con più tempo a disposizione, più pensieri si insinuarono nelle meditazioni di coloro che erano più pensierosi fra i festanti. E fu allora forse, prima che l'ultimo rintocco svanisse nel silenzio, che ci furono molti individui nella folla che si resero conto della presenza di una figura mascherata che non aveva catturato l'attenzione di nessuno prima. E le dicerie su questa nuova figura erano esplose in bisbiglii tutto attorno, che crebbero nell'intera compagnia fino a raggiungere un ronzio, un mormorio,  che era espressione di disapprovazione, sorpresa ed infine di terrore, paura, disgusto.

In una riunione fantastica come quella che ho dipinto c'è da pensare che nessuna apparizione ordinaria avrebbe potuto suscitare tanto clamore. In realtà la libertà concessa alle maschera era quasi illimitata; ma la figura in questione aveva superato in audacia Erode ed era andata oltre i limiti , sebbene indefiniti, del decoro del principe. C'erano corde nel cuore anche dei più sconsiderati che non potevano essere toccate senza emozione. Anche per i più perduti, per i quali vita e morte sono ugualmente scherzi, ci sono cose sulle quali non si può scherzare. L'intera compagnia sembrava sentire ora profondamente che nel costume e nel comportamento dello straniero non c'erano né umorismo né decenza. La figura era alta e smunta, e rivestita da capo a piedi dei vestiti della tomba. La maschera che copriva il viso era fatta così tanto bene da assomigliare ad un corpo in putrefazione che anche l' osservazione più attenta avrebbe avuto difficoltà a scorgere il trucco. Tuttavia perfino questo avrebbe potuto essere sopportato,anche se non approvato, dai folli festanti tutto attorno. Ma la maschera era arrivata al punto di assumere le sembianze della Morte Rossa. Gli abiti erano bagnati di sangue e la sua ampia fronte, come tutti i lineamenti del suo volto, erano cosparsi di scarlatto orrore.

Quando l'occhio del Principe Prospero cadde su tale spettrale immagine (che con un solenne e lento movimento, come se volesse più pienamente recitare il proprio ruolo, passeggiava avanti e indietro fra i ballerini), sembrò fosse scosso  in un primo momento da un forte brivido di terrore o disgusto, ma successivamente la sua fronte si imporporò di rabbia.


“Chi osa?” chiese con voce rauca ai cortigiani che gli erano vicini - “Chi osa insultarci con questa blasfema parodia? Catturatelo e smascheratelo, così sapremo chi dovrà essere impiccato dalle mura all'alba  ”
Fu nella stanza blu o stanza orientale che il Principe Prospero pronunciò queste parole. Risuonarono nelle sette stanze fortemente e chiaramente, perché il principe era un uomo fiero e robusto, e la musica era diminuita ad un cenno della sua mano.
Fu nella stanza blu dove il principe si trovava,con un gruppo di pallidi cortigiani al suo fianco.
All'inizio, quando iniziò a parlare, ci fu un leggero rapido movimento di questo gruppo nella direzione dell'intruso, che in quel momento era già a portata di mano ed ora, con passo deliberato e maestoso, si fece ancora più vicino a colui che aveva parlato. Ma poiché una soggezione indefinibile ispirata dalla folle maschera aveva attanagliato l'intero gruppo, non ci fu nessuno che allungò una mano per afferrarla, così che essa passò senza impedimenti ad una yarda dalla persona del principe; e mentre la vasta congrega, come guidata da un unico impulso, sciamava dal centro delle stanze verso i muri, essa camminò ininterrottamente, ma con lo stesso passo solenne e misurato che l'aveva contraddistinta dall'inizio – dalla camera blu alla porpora – dalla porpora alla verde – dalla verde a quella arancio – attraverso quest'ultima verso la bianca – ed era arrivata alla violetta prima che un movimento deciso fosse fatto per arrestarla.
Fu allora che il Principe Prospero, folle di rabbia e vergogna per la propria codardia, corse velocemente attraverso le sei camere mentre nessuno lo seguiva a causa di un terrore mortale che era sceso su tutti. Egli brandiva un pugnale sguainato e si era avvicinato, con rapida impetuosità, a tre o quattro passi dalla figura in ritirata, quando infine, raggiunta l'estremità della stanza di velluto, questa si girò improvvisamente e affrontò il proprio inseguitore. Ci fu un grido acuto – e il pugnale cadde luccicando sul tappeto nero, sul quale appena un istante dopo, giacque prostrato dalla morte il Principe Prospero. Allora, invocando il coraggio selvaggio della disperazione, una folla di festanti si riversò in una volta sola nella stanza nera e, afferrando la maschera, la cui figura si ergeva eretta e immobile all'ombra dell'orologio d'ebano, ebbe il fiato mozzato dall'orrore accorgendosi che gli abiti funerei e la maschera cadaverica che avevano agguantato con tanta violenza non ospitavano alcuna forma tangibile.
Ed ora era nota a tutti la presenza della Morte Rossa. Era arrivata come un ladro nella notte. Ed uno per uno caddero i festanti nelle sale impregnate di sangue della loro festa, e morirono ognuno con la postura disperata della propria caduta. E la vita dell'orologio d'ebano scomparve con l'ultimo dei gaudenti. Le fiamme dei tripodi si spensero. E l'Oscurità e la Decadenza e la Morte Rossa stabilirono il loro illimitato dominio su tutto.

Traduzione libera di Bluewilow


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