Da
sempre l’idea o il progetto di qualcosa di fortemente innovativo sono
indissolubilmente legate a nomi e cognomi destinati a restare nella storia. Questo
avviene in tutti campi del sapere e del pensiero umano, ma quando questo, accade
in politica colui che l’incarna, in genere, anche non volendo, diventa un
leader. Perché in politica, oltre l’idea innovativa , è necessaria la prassi, l’organizzazione,
la motivazione emotiva e ideale, altrimenti si rischia i cadere nel tran tran
burocratico, notarile, ininfluente e legato solo a logiche amministrative e/o
di spartizione del potere. Mi si dirà che non sempre l’dea corrisponde ad un’azione
vera e propria e, conseguentemente, non dà vita, oltre alla progettualità, a nessuna forma di leaderismo, ed è certamente vero ma entreremmo in un campo più
complesso che tira in ballo l’intellighenzia e il ruolo degli intellettuali
organici, che ci porterebbe ad altro rispetto quello che vorrei evidenziare. Perché
questa riflessione sui leader o sul leaderismo? Sicuramente perché,
specialmente a sinistra, ne sentiamo visceralmente il bisogno avendo in questi
anni traversato tutte le possibile interpretazioni ideali o di realismo
politico, ma, escludendo alcuni trascurabili momenti, senza poterli legare a
una o più figure carismatiche capaci di scuotere emotivamente la passione e la
ragione. Certamente l’ideale, la passione, il trasporto possono e devono essere
indipendenti da una figura che ne esalta ma potrebbe anche limitarne l’impatto.
Pensiamo all’attualità e al M5S. Senza il traino mediatico e carismatico di un
personaggio come Grillo, il movimento avrebbe avuto quel successo e quello
sviluppo rapido cui abbiamo assistito? O, sarebbe, molto più realisticamente
rimasto confinato nel ristretto ambito della velleitaria protesta qualunquista
al pari, ad esempio, del movimento dei forconi?
Dicevamo,
la sinistra ha presentato negli ultimi venti anni, sull’onda della necessità di
adeguarsi al nuovo, diverse sfaccettature e variabili, ognuna legata a
personaggi che l’hanno, più o meno coerentemente, rappresentata. Ma pensando a
Occhetto, Prodi, Veltroni, Bertinotti, Bersani fino ad arrivare agli attuali
Renzi, Vendola, Civati e Ferrero possiamo in loro scorgere e riconoscere quel
quid che fa di un buon politico (con idee più o meno criticabili) un leader
carismatico e trascinatore di folle? Ognuno di loro ha trovato o troverà una
ristretta cerchia di adoratori e ammiratori a prescindere che, ne hanno fatto o
ne potrebbero fare, un piccolo rais, ma non certo un leader. In alcuni momenti
alcuni di questi hanno avuto l’intuizione giusta al momento giusto per fare il
salto di qualità ma, l’hanno poi cristallizzata in una visione ferma all’attimo
e incapace di tradursi ed evolvere in capacità
di analisi e di empatia con il proprio popolo.
Queste
riflessioni mi sono state indotte dalla lettura dell’intervista del presidente
del mio partito, Vendola, pubblicata sul Manifesto. Ecco, quella mi è sembrata
la classica situazione in cui il potenziale leader ha perso drammaticamente e,
forse, irrimediabilmente la lucidità necessaria per incarnare un' idea che sia
trainante e passionalmente coinvolgente. Se Vendola, in questo caso, ma riguarda
un po’ tutti, avesse ancora la capacità di leggere le dinamiche sociali e
politiche scrollandosi di dosso l’amore per proprie visioni che il tempo e l’esperienza
hanno dimostrato aver esaurito la carica innovativa, avrebbe capito che certe
dichiarazioni sono fuori tempo massimo, non solo per i lavoratori e i
cittadini, ma anche per gran parte del proprio piccolo ma appassionato popolo.
Si dimostra che, chi non riesce più ad essere empaticamente connesso con la
ragione e il sentimento dei propri rappresentati è destinato ad essere sempre
più marginalizzato e ad esercitare la propria funzione di leader ai minimi livelli e solo nei confronti del cerchio
magico di interessati adoratori che, personaggi di tale livello, si trovano
intorno pronti ad offrire elogi e applausi a prescindere.
Idee
innovative ci sono, perché ce le porge la società stessa, le drammatiche
situazioni sociali, ambientali, storiche e, forse, ancora non è nato il o la leader
capace di interpretare in maniera sinteticamente significativa la complessità
dell’attuale situazione.
La
soluzione? Forse è quella di lavorare sul campo, impegnarsi, proporre, lottare,
seminare fame di giustizia e sete d’uguaglianza, sporcarsi le mani, e non solo,
sperando che da quest’humus possano
nascere, crescere e formarsi i nuovi leaders.
E
poi, se son rose fioriranno!
Ad
maiora
MIZIO