Nella
civilissima Francia, la compagnia di bandiera nazionale Air France preannuncia
un corposo piano industriale che prevede migliaia di licenziamenti nel glorioso
solco dell’iperliberismo che, laddove ci sono errori e pecche di gestione e
valutazioni chiede di pagarne il prezzo sempre e comunque ai più deboli, ai
lavoratori.
Pur
non essendo i sindacati francesi omologabili per accondiscendenza a quelli
italiani (con alcune gloriose eccezioni come la Fiom e alcune sigle autonome)
la reazione dei dipendenti non ha seguito i normali canali previsti in casi
come questi, quelli di una lunga e difficile trattativa sindacale, ma hanno
percorso la via più breve e diretta. I responsabili della gestione del
personale (autori pratici del piano di riorganizzazione) sono stati molto
semplicemente e brutalmente messi a conoscenza del non gradimento
dell’operazione e lasciati letteralmente senza camicia e costretti ad un’ ingloriosa
fuga in mutande che molto poco si addice alla dignità e al rigore dell’incarico
ricoperto.
Ovviamente
da noi che siamo quasi sempre spettatori e quasi mai protagonisti si è levato
il solito classico lamento italico :”Hanno fatto bene!”, “Loro si che si fanno
rispettare.” “Dovremmo farlo anche noi” (che in genere significa lo faccia
qualcun altro che io tengo famiglia). Ma al di là di questo, cosa significa
ciò? Intanto che non è un caso che in Francia ci siano state rivoluzioni di cui
noi abbiamo solo avuto percezioni di rimbalzo e che, comunque, hanno
interessato solo una fascia limitata della popolazione. Che in Francia non è un
caso che gli scioperi , molto più duri e massicci, di quelli nostrani non
suscitino reazioni scomposte ma, anzi, molto spesso ricevono attestati di
solidarietà da altre categorie sindacali e sociali. Non è un caso che il senso
di appartenenza e l’orgoglio del francese tipo siano dovuti all’attenzione che
lo stato gli ha sempre rivolto in termini di servizi e welfare (non messi in
discussione sostanziale storicamente neanche dalla destra) creando un clima di
solidarietà e comunanza di cui da noi non troviamo traccia.
In
questo quadro che le politiche neoliberiste imposte dal potere finanziario
globale, dall’Europa a trazione tedesca,che l’imposizione delle privatizzazioni
e della riduzione generalizzata del costo del lavoro attraverso licenziamenti
di massa possano provocare reazioni di tipo diverso dalle nostre appare, oltre
che probabile, quasi certo. D’altra parte ricordiamo il precedente del sequestro,
qualche anno fa, dei dirigenti della locale Telecom le cui scelte di drastico
ridimensionamento provocarono numerosi suicidi e disperazione tra migliaia di
lavoratori.
Giglioli
sull’Espresso parla della crisi dei corpi intermedi, ed è sicuramente una
giusta e condivisibile chiave di lettura. Ma se fosse solo questo non si
spiegherebbe come mai analoghe e peggiori reazioni simili non avvengano anche
da noi dove il ruolo dei sindacati e dei partiti di sinistra negli ultimi
decenni ha progressivamente e passivamente assistito o, addirittura, gestito
l’impoverimento generalizzato dei lavoratori.
E
cerco di essere più chiaro arrivando brevemente al punto. Appare chiaro che la
banalizzazione e l’appiattimento dovuto alla massificazione attraverso
l’imposizione di modelli standard comportamentali e sociali sembra cominciare a
scricchiolare paurosamente.
Questo
porta ad una serie di riflessioni: la globalizzazione intesa come possibilità
per il modello iperliberista di fare e sfruttare a piacimento, non può e non
deve essere vista come un’ineluttabilità scritta nel destino dell’umanità.
L’evoluzione delle varie società, gruppi o etnie ha seguito percorsi diversi di
cui si può e si deve tenere conto. La globalizzazione deve viaggiare acquisendo
inestimabile valore, sulla possibilità
di contaminazione culturale per l’arricchimento singolo e collettivo, per le
stupende possibilità di migliorare il proprio status sociale e morale, ma non
può e non deve costituire il volano per ampliare l’area di sfruttamento e di
limitazione dei diritti umani prima che
democratici, come invece è avvenuto e sta avvenendo.
Qui
entra in ballo la politica e le sue scelte. Non voglio ripetere fino alla noia
i danni mostruosi che questo tipo di
sviluppo ha provocato e le responsabilità, in questo, del potere politico. Le
conosciamo tutti benissimo. Le masse che migrano e si spostano per guerra, per
fame, per bisogno, per paura sono filiazione diretta di logiche finalizzate al
massimo profitto sotto qualsiasi forma. Come si dice “pecunia non olet” si può
guadagnare potere e ricchezza, con le armi, con il petrolio, con il traffico di
esseri umani o con qualsiasi tipo di sfruttamento, basta essere privi di scrupoli
e legalizzati dalla debolezza e dalla collusione del potere politico.
La
sinistra, anch’essa, nel corso degli ultimi anni, avendo perso di vista il
punto di partenza e, soprattutto, non vedendo ancora quello d’arrivo, s’è
accomodata in una lettura analoga a
quella del potere non sforzandosi di adottare parametri alternativi di giudizio
e conseguenti valutazioni.
Alt!
Fermiamoci un attimo. Rimettiamo tutto in discussione, rivediamo le nostre
priorità. Non si può, nelle analisi e nelle scelte tenere fuori l’elemento principale:
l’essere umano. La politica deve ricominciare,(o cominciare) a riparametrare le
scelte e le visioni non in base a sole valutazioni economiche, sociali,
culturali e morali che, però, non tengano conto della meravigliosa possibilità
di scoprirsi simili e più ricchi nel riconoscimento della diversità. Applicare
le regole del neoliberismo in maniera acritica imponendola a tutti espone a
comportamenti e reazioni diverse a seconda dell’ambiente in cui vengono calate.
Ecco quindi che, anche nella Francia moderna, inserita a pieno titolo nel
contesto finanziario mondiale, scelte che sono state già applicate in altri
stati e assorbite passivamente, danno luogo a reazioni che, evidentemente, si
rifanno a archetipi tramandati attraverso le generazioni.
Quindi
ad azioni simili in Francia si griderà. ‘A la Bastille”, in Grecia magari ”Oxi”
e in Italia “...tacciloro!”. Tutto questo alla fin fine per dire cosa? Una
cosetta semplice semplice. Non esiste sistema o ideologia che possa ritenersi
ideale se non tiene conto dell’elemento umano. Prima le persone, poi tutto il
resto.
Ad
maiora
MIZIO
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