In
un’Italia in cui non esistono piani paesaggistici che non siano suscettibili di
varianti, parchi i cui limiti e le cui competenze non possano essere riviste, in
cui si privatizza anche il mare per ricerche petrolifere, in cui ci sono 40.000
morti l’anno per causa dell’inquinamento ambientale. Un’ Italia in cui le falde
acquifere si stanno progressivamente impoverendo e inquinando, in cui i fiumi ospitano
più sacchetti di plastica e altri agenti inquinanti che pesci o crostacei, in
cui il territorio agricolo e naturale viene consumato a ritmi insostenibili, qual
è il grande, vero e unico pericolo?
Ovviamente
il lupo, che perde il pelo ma non il vizio di voler continuare la sua dieta di
carnivoro, non piegandosi alle mode che lo preferirebbero vegano.
Quindi,
a fronte di qualche pecora o capra immolata sul desco della bestia feroce (rimborsate
in molte regioni con indennizzi pubblici), si progetta un piano di abbattimento
dei suddetti famelici animali.
Negli
anni ’70 i lupi in Italia erano stimati in un numero intorno ai cento
esemplari, si rischiava di perdere un importante testimone della ricchezza
faunistica nazionale. Attraverso campagne di stampa e informazione da parte di
associazioni ambientaliste e di salvaguardia, venne piano piano ridefinita l’
immagine del lupo che, da crudele mangiatore di bambini delle fiabe, ritornava
ad essere quello che in effetti è. Un animale timido, elusivo, minacciato e che
non aveva mai rappresentato un pericolo per gli esseri umani, se non sul piano
economico per qualche pastore.
Venne
quindi avviata un’operazione di salvaguardia del lupo e del suo habitat
naturale, operazione portata ad esempio in molti paesi per il successo
ottenuto.
Il
lupo dal suo areale residuo nel Parco d’Abruzzo e in Calabria ha progressivamente
riconquistato gli antichi territori, risalendo la catena degli Appennini fin
sulle Alpi e addirittura cominciando a sconfinare nei paesi vicini (dove, a
onor del vero, nonostante la fama di civiltà di quei paesi, vengono presi a
fucilate appena se ne manifesta la presenza).
Si
calcola che il numero attuale di lupi presenti in Italia sia di circa mille
esemplari, distribuiti lungo tutta la catena appenninica e parte di quella
alpina. Uniche regioni che non ne registrano la presenza sono la Sardegna e la
Sicilia.
Quindi,
pur comprendendo la rabbia e il danno subito da qualche pastore, non sembra
logico che anziché un’opera d’educazione e di conoscenza, come fatta in Abruzzo
negli anni ’70, che portò, nel tempo, ad un rispetto e ad una convivenza
pacifica, si pensi a piani di abbattimento fatti, poi in base a quale ponderato
studio a da chi, non si sa.
Molto
più semplice introdurre le stesse forme d’indennizzo, anche in quelle regioni
che non ne prevedono, accanto a tecniche di dissuasione e difesa delle greggi
sperimentate con successo in altre parti d’Italia.
D’altra
parte un piano selettivo d’abbattimento, e non solo di lupi, è già operante.
Difatti sono circa 300 i lupi che ogni anno vengono abbattuti dai
bracconieri o che finiscono sotto le
ruote di auto e treni.
Inoltre,
non conosco i dati, ma credo che siano molto più numerose le pecore o altri
animali d’allevamento che muoiono in incidenti stradali o comunque provocati
dall’uomo, rispetto al piccolo prelievo operato dai lupi, eppure non ho mai
visto mobilitazioni popolari o di istituzioni progettare piani d’abbattimento
programmato di auto e camion.
Ad
maiora
MIZIO
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