Pubblichiamo un altro prezioso contributo del Dott. Maurizio Santopietro con un suo particolare punto di vista sull'evoluzione dei rapporti e la sessualità.
E’
profondo l’interesse, di grande parte della gente, per l’Amore,
(nella manifestazione prevalentemente sessuale o di coppia), per la
Salute (concepita come assenza di malattie), per il Danaro (come
fonte di potere, di successo personale e sociale), così come
vengono considerati generalmente nel nostro Paese. Questi argomenti
affascinano talmente tanto che i cosiddetti “operatori
dell’occulto” costruiscono intere fortune e, considerando che nel
mese di dicembre * abbondano le richieste di previsioni, di
oracoli, di predizione del futuro, mi sembra utile ragionare su
questi temi, tentando una diversa argomentazione. Nel campo
dell’Amore, ad esempio, o più precisamente nell’espressione
sessuale, sembra (apparentemente) paradossale come, in un periodo di
disinibizione culturale (video, grafica, cinematografica, televisiva,
ecc…), aumentino i disturbi da “mancanza di desiderio sessuale”.
Disturbi che difficilmente si manifestavano, o di cui non si sentiva
parlare prima degli inizi settanta. La morale dominante relativa alla
sessualità era condizionata fortemente dalla concezione religiosa,
spingendo verso una mentalità “bigotta”, almeno nelle relazioni
pubbliche, dal momento che fungeva da vero e proprio tabù sociale.
La sessualità era “giustificata” in funzione della procreazione,
all’interno del rapporto coniugale, cosicché ogni altra variazione
“sul tema” apparteneva ad ambiti “immorali”, legati a
concezioni “perverse”. Senza però voler entrare nel merito del
giudizio morale in modo specifico anzi, limitando il raggio delle
valutazioni secondo altri punti di vista, si noti come emerga, nei
confronti del periodo “presessantottino”, una profonda diversità
di modelli comportamentali esibiti nell’esecuzione dei rituali del
corteggiamento, per quello della “prima volta”, per l’incontro
a scopo sessuale. Queste condotte sociali richiedevano tempi
nettamente più lunghi, rispetto a quelli attuali, per realizzare il
fine principale, costituito appunto dalla gratificazione sessuale. In
queste epoche snaturale” deterrente contro la perdita di desiderio.
Allora il punto da dibattere diventa il seguente: esisteva già tale
forma di disturbo sessuale, oppure non era rilevato? O non se ne era
a conoscenza? Di fatto la concezione inibitoria implicita nel costume
sessuale dominante, rendeva l’esperienza intima, altamente privata,
quasi segreta e profondamente desiderata. Se così fosse, sarebbe
proprio il ”tabù sociale”, il “modulatore” della ricerca al
soddisfacimento del piacere sessuale! Infatti, in quanto “limitato”
dal contesto socio-culturale (periodo di “repressione istintuale”),
il piacere sessuale sembra allora essere legato, entro una certa
misura, al “piacere di trasgredire” e al “piacere della
conquista” (il premio). Ai nostri giorni accade, infatti,
esattamente l’opposto, i “contatti” eterosessuali sono
iperfacilitati e la consumazione del comportamento sessuale avviene
in tempi molto più rapidi, inoltre il confine del limite morale,
legato all’esperienza sessuale, si sposta troppo rapidamente, da
non permettere adeguati processi di assimilazione e di accomodamento
del sistema di “credenze” individuale. In seguito a tali
cambiamenti di costume, cade in modo drastico e improvviso il
“limite”, assieme alle ideologie che culturalmente lo
legittimava, e assieme altri fattori fra cui: a) l’emersione di
modelli morali “libertini” (da quello naturalistico dei “Figli
dei Fiori” quello consumistico della “prestazione”); b)
l’accentuazione dell’ansia di “prestazione” (soprattutto
maschile); c) il cambiamento del ruolo sociale della donna e
dell’uomo; d) la scoperta della sessualità femminile, di cui
(quasi) nulla si sapeva, e che ha spiazzato il maschio, ex
“dominatore”, soprattutto in rapporto al punto precedente. Tutto
ciò ha concorso alla produzione di problematiche
relazionali-sessuali difficilmente prevedibili in termini
epidemiologici, considerando la liberalità dei nuovi approcci alla
sessualità. E’ probabile che il processo culturale di
ridefinizione del costume sessuale sia avvenuto in modo “traumatico”,
sia rispetto al criterio temporale (lasso di tempo molto breve, per
un processo di assimilazione compatibile con il ritmo di
interiorizzazione psicologica), sia concettualmente (le credenze,
secolarmente consolidate, difficilmente sono sostituibili nello
spazio di poche generazioni). Tutto ciò ha provocato, secondo me,
una profonda “rottura delle abitudini” storicamente acquisite,
tra i modelli emergenti e la risposta individuale, causando un certo
disorientamento verso il modo di vivere l’esperienza sessuale. In
altre parole, si sarebbe creata una grande spaccatura tra la nuova e
la veccia concezione culturale (ogni cambiamento è una naturale
crisi), e tra i “nuovi costumi sessuali” e i modelli psicologici
individuale (sistema di credenza personale). Del resto, le vecchie
concezioni morali possedevano “proprietà statiche”, avendo avuto
una durata per generazioni e generazioni, conferendo quindi
stabilità di ruolo, di aspettative, generando sicurezza psicologica;
al contrario, i tempi tecnologici condizionando continuamente le
nuove concezioni (si pensi alle tecniche di contraccezione, a
internet, alla realtà virtuale, ecc..), e spostando repentinamente i
confini morali della sessualità, estremizzandoli (lo scambio di
coppia è un opzione una volta impensabile, ad esempio), producono
effetti ansiogeni e incertezza. Sul piano proprio del costume diventa
più difficoltoso discriminare il “lecito” dall’illecito e tra
ciò che è sano e ciò che è “malato” (ad esempio,
l’omosessualità, che riguarda la scelta dell’”oggetto
sessuale” adulto, era considerata, ancora decenni fa, una
“patologia”), e così via. I “limiti”, per l’elevato grado
di incoerente complessità della nostra vita socio-economica, non
sono più identificabili come una volta, e non solo nello specifico
ambito sessuale, ma anche nella sfera a) dell’educazione pedagogica
(bambini che non ricevono più sufficientemente “no”, che non
provano più piacere dei continui giocattoli ottenuti senza
“merito”); b) in quella alimentare (come nel caso dell’anoressia,
caratterizzata dall’“assenza” di desiderio del cibo, o del suo
contrario, la bulimia); c) in quella civica (in cui l’emersione
egoistica dell’Io non fa vedere il confine del rispetto per gli
altri); d) in quella scolastica (in cui il ruolo dell’insegnante è
sganciato dalla funzione pedagogico-educativa), ecc… Cadendo il
limite si dissolve il relativo desiderio, e ciò contribuisce alla
formazione di altri comportamenti sintomatologici delle diverse sfere
comportamentali, infatti, venendo a mancare i vari “piaceri” ,
(cioè l’altra faccia del limite), si riducono i fattori di
coesione delle funzioni e delle parti dell’Io. E’ opportuno
perciò insegnare nell’educazione globale, un sano apprendimento
dei “limiti”, al di là delle ideologie culturali di volta in
volta dominanti.
Dott. Maurizio Santopietro
N.B.:
L’articolo è già stato pubblicato da “L’attualità”, n.1
Gennaio 2004toriche, la “non facilità” a soddisfare il bisogno
sessuale, sembra porsi quasi come una sorta di “
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