venerdì 12 febbraio 2016

ATTENTI AL LUPO

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In un’Italia in cui non esistono piani paesaggistici che non siano suscettibili di varianti, parchi i cui limiti e le cui competenze non possano essere riviste, in cui si privatizza anche il mare per ricerche petrolifere, in cui ci sono 40.000 morti l’anno per causa dell’inquinamento ambientale. Un’ Italia in cui le falde acquifere si stanno progressivamente impoverendo e inquinando, in cui i fiumi ospitano più sacchetti di plastica e altri agenti inquinanti che pesci o crostacei, in cui il territorio agricolo e naturale viene consumato a ritmi insostenibili, qual è il grande, vero e unico pericolo?
Ovviamente il lupo, che perde il pelo ma non il vizio di voler continuare la sua dieta di carnivoro, non piegandosi alle mode che lo preferirebbero vegano.
Quindi, a fronte di qualche pecora o capra immolata sul desco della bestia feroce (rimborsate in molte regioni con indennizzi pubblici), si progetta un piano di abbattimento dei suddetti famelici animali.
Negli anni ’70 i lupi in Italia erano stimati in un numero intorno ai cento esemplari, si rischiava di perdere un importante testimone della ricchezza faunistica nazionale. Attraverso campagne di stampa e informazione da parte di associazioni ambientaliste e di salvaguardia, venne piano piano ridefinita l’ immagine del lupo che, da crudele mangiatore di bambini delle fiabe, ritornava ad essere quello che in effetti è. Un animale timido, elusivo, minacciato e che non aveva mai rappresentato un pericolo per gli esseri umani, se non sul piano economico per qualche pastore.
Venne quindi avviata un’operazione di salvaguardia del lupo e del suo habitat naturale, operazione portata ad esempio in molti paesi per il successo ottenuto.
Il lupo dal suo areale residuo nel Parco d’Abruzzo e in Calabria ha progressivamente riconquistato gli antichi territori, risalendo la catena degli Appennini fin sulle Alpi e addirittura cominciando a sconfinare nei paesi vicini (dove, a onor del vero, nonostante la fama di civiltà di quei paesi, vengono presi a fucilate appena se ne manifesta la presenza).
Si calcola che il numero attuale di lupi presenti in Italia sia di circa mille esemplari, distribuiti lungo tutta la catena appenninica e parte di quella alpina. Uniche regioni che non ne registrano la presenza sono la Sardegna e la Sicilia.
Quindi, pur comprendendo la rabbia e il danno subito da qualche pastore, non sembra logico che anziché un’opera d’educazione e di conoscenza, come fatta in Abruzzo negli anni ’70, che portò, nel tempo, ad un rispetto e ad una convivenza pacifica, si pensi a piani di abbattimento fatti, poi in base a quale ponderato studio a da chi, non si sa.
Molto più semplice introdurre le stesse forme d’indennizzo, anche in quelle regioni che non ne prevedono, accanto a tecniche di dissuasione e difesa delle greggi sperimentate con successo in altre parti d’Italia.

D’altra parte un piano selettivo d’abbattimento, e non solo di lupi, è già operante. Difatti sono circa 300 i lupi che ogni anno vengono abbattuti dai bracconieri  o che finiscono sotto le ruote di auto e treni.

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Inoltre, non conosco i dati, ma credo che siano molto più numerose le pecore o altri animali d’allevamento che muoiono in incidenti stradali o comunque provocati dall’uomo, rispetto al piccolo prelievo operato dai lupi, eppure non ho mai visto mobilitazioni popolari o di istituzioni progettare piani d’abbattimento programmato di auto e camion.
Ad maiora


MIZIO

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