Dopo
aver fatto l nostro dovere di persone sdegnate (giustamente), indignate
(giustamente), dubbiose (giustamente), non è forse il caso di cominciare a fare
una serie di analisi sui motivi che sono dietro determinati avvenimenti?
Sappiamo
tutti dell'impatto e del ruolo degli Stati Uniti e dei paesi occidentali in
genere, nel tentare, di controllare e intervenire in determinati territori senza
che nessuno richiedesse di farlo.
Sappiamo
dell'integralismo islamico che legge con altri occhi la nostra libertà e la
nostra democrazia.
Sappiamo dell'intolleranza xenofoba e razzista che non vede
oltre il proprio naso e che per qualche voto in più darebbe vita a guerre
sante.
Sappiamo tutto, ma difficilmente dal’apparente sapere passiamo a
pensieri conseguenti.
Ci
sarebbero guerre per il petrolio con assetti sociali e uno sviluppo economico diverso?
Ci
sarebbero moti religiosi se non alimentati da un’intollerabile diseguaglianza
sociale?
Ci
sarebbero imbecilli che assediano centri di accoglienza per rifugiati politici
se non ci fosse la povertà, e la conseguente ignorante rabbia?
Tutto
ciò comporta certamente uno sforzo di analisi, di riflessione, di domande,, ma
anche, e soprattutto, di risposte.
Siamo
diventati timorosi nel dire che il vero cancro è, ed è sempre stata, la
discriminazione sociale e le
intollerabili diseguaglianze che da questa dipendono.
Condizione,
questa, necessaria per garantire al potere ceti e popoli disperati da
utilizzare a piacimento per il mantenimento dello status esistente.
Tutto
ciò ha un nome ben preciso: Capitalismo!
Ci
siamo illusi che nelle moderne democrazie occidentali le classi sociali
andassero ormai verso l' omologazione ed una pari dignità. Abbiamo pensato che coniugare
il rispetto delle regole democratiche, tipiche della società borghese, con il
rispetto e migliori condizioni esistenziali dei ceti proletari fosse condizione
sufficiente per il superamento delle barriere sociali e dei muri economici
disinnescando, in questa maniera, le legittime rivendicazioni popolari per un periodo
di tempo sufficiente affinchè si ricreassero le condizioni per il ripristino
del vecchio e immutabile assetto sociale, basato su disuguaglianza e
ingiustizia.
Abbiamo
alle spalle, purtroppo, anche il fallimento dell’utopia comunista con le esperienze
del socialismo reale che, nate per creare l’uomo nuovo e la società nuova sono, con il tempo, diventate mere rappresentazioni di facciata di un nuovo modo
di esercitare il potere in maniera vessatoria (Anche se, a onor del vero, in
questo caso non c’erano discriminazioni sociali. Riguardava tutti!).
E’
vero quando si afferma che la società è cambiata, che il mondo non è più lo
stesso e, di conseguenza, non si può guardare e analizzare con i vecchi schemi
ideologici, ma è altrettanto vero che i rapporti di forza (e lo vediamo in
questi anni di crisi) sono rimasti gli stessi, modificandone solo gli aspetti
esteriori. Gli attuali speculatori predoni del nuovo capitalismo economico sono
i nuovi padroni del vapore e, a differenza del vecchio classico padrone,
svincolati dal rapporto di dipendenza dal prodotto e dal plus-valore aggiunto
del vecchio rapporto padrone-operaio, esercitano il potere in maniera più
cinica e spietata.
Dall’altra
parte, la componente operaia e, in genere, dei lavoratori dipendenti è andata progressivamente
diminuendo, sostituita dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione che
sposta la produzione là dove più conviene.
Sono nate così nuove forme di
proletariato svincolate anch’esse, come il nuovo capitalismo, dal classico rapporto
col plusvalore creato sul prodotto finito.
Sono
le masse, soprattutto, ma non solo, giovanili magari laureate e impiegate in
settori sottopagati, finalizzati alla realizzazione del maggior guadagno
possibile con la minore spesa. Esempio tipico gli operatori dei call center,
pagati (poco) non per il lavoro e il tempo ad esso dedicato ma in funzione di
quanto questo sia produttivo per il gestore.
Tutto
questo, come sappiamo, aiutato e permesso dalla connivenza di una classe
politica incapace di opporre alcunchè allo strapotere finanziario , rinunciando
a priori alla dirigenza dell’ economia ma., anzi, da questa, farsi dirigere e
condizionare.
Ritorniamo
ai nostri operatori di call center, giovani, diplomati, spesso laureati magari
con master e ulteriori specializzazioni che, a differenza, degli operai
classici della vecchia catena di montaggio sindacalizzati e con una netta
coscienza di classe, pur soffrendo la loro situazione, non danno vita ad un
sentire comune di appartenenza tale da mettere in discussione il loro ruolo e la loro posizione.
Ritorniamo
ancora più indietro nel ragionamento, a quando si è accennato all’ apparente superamento delle barriere
sociali nelle moderne democrazie, ecco, questa scarsa reattività degli
sfruttati del secondo millennio è in gran parte dovuta al non sentirsi
appartenente ad una classe subordinata e che la propria condizione sia frutto
del caso la cui soluzione appartiene, non a un cambiamento sostanziale e globale della
società, ma ad una propria capacità di tirarsene fuori individualmente.
Nuovo
capitalismo, nuovi sfruttati, nuove povertà uguale nuova progettualità.
Il
nemico ha cambiato pelle, è più lontano, meno definito occorre, quindi, che
anche noi che ancora crediamo nelle potenzialità dell’essere umano di cambiare
in meglio, ci inventiamo nuove forme di lotta, nuove progettualità, se necessario
anche rinunciando a schematismi ideologici scarsamente applicabili oggi e, ancor
meno, condivisi. Fermo restando l’obiettivo finale di una società più giusta,
più libera, basata sul rispetto e la condivisione anziché sulla sopraffazione e
la competizione. Che poi si chiami comunista, socialista o del sole credo
importi poco alla stragrande maggioranza.
Lavoriamo
per questo, portando le nostre esperienze e le nostre speranze, ma essendo
disposti anche a mettere da parte qualche nostra convinzione e qualche nostro
sentimentalismo, cui , però a nessuno dovrà essere permesso di chiedere di rinunciare.
Ad
maiora!
MIZIO
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