“Ma
domando: il giorno in cui si formerà il comitato popolare del Tuscolano (che
sarà pieno di gente oggi inconsapevole, che spera di poter ricominciare il
ciclo nasci-consuma-crepa) che si fa? Ci si va, oppure no, perché lì ci sono
quelli di Casa Pound, i grillini, i riciclati del PdCI, i signoraggisti, i
piddini civatini e mille altre strane creature?”
(Ecodellarete
15 agosto 2013)
“Rispetto
agli obiettivi ultimi, la mia personalissima opinione è che, in questa fase,
occorra ampliare il fronte, unendo nella battaglia di oggi anche classi sociali
e visioni del mondo che, domani, saranno certamente protagonisti di nuovi
conflitti. Non il 99%, ovviamente, ma una percentuale indefinita, la cui entità
sarà chiarita, a posteriori, dagli storici. Insomma, serve una spallata.”
(Ecodellarete,
16 agosto 2013)
Vladimir
Ilich Lenin probabilmente non conosceva il Tuscolano. È un quartiere nella
parte sud-orientale di Roma. Storicamente – insieme al vicino quartiere Appio
Latino – dagli anni Settanta è stato considerato di Destra. La sede del MSI in
via Acca Larentia nel 1978 fu teatro dell’uccisione di due militanti del Fronte
della Gioventù da parte di un gruppo terroristico di Sinistra. Negli scontri
successivi un terzo ragazzo venne ucciso da un ufficiale dei Carabinieri. Un
quartiere difficile insomma, almeno nel passato. Probabilmente Ecodellarete non
lo ha scelto a caso per esemplificare.
Torniamo
a Lenin, probabilmente non fu un caso neppure questo: sulla prima pagina Lenin
mise una frase di Lassalle scritta a Marx: “… La lotta di partito dà a un
partito forza e vitalità; la maggior prova di debolezza di un partito è la sua
dispersione e la scomparsa di barriere nettamente definite; epurandosi, un
partito si rafforza… ». Potrebbe essere già questa una risposta alla teoria
dell’ampliamento di fronte? Forse sì e probabilmente no, perché “Che fare?” non
è un manuale buono per tutte le epoche, è un documento, oramai storico, di
centoundici anni fa. Però funziona da spunto, perché, evidentemente, la domanda
“che fare?” esce sempre fuori. In forme diverse magari, assumendo la forma del
“e tu cosa proponi”? o simili. La frase che Lenin sceglie è programmatica e
dice in sostanza: non si va da nessuna parte se non si hanno chiare le proprie
idee. Diluirle non serve a nulla, anzi, è nocivo.
Invece,
a me pare, almeno dai dialoghi che sono emersi nei commenti, che ci sia una
idea che per certi versi funziona in questo modo:
siamo
nel bel mezzo di una crisi economica devastante
una
crisi economica è il miglior tessuto aggregante per le classi subalterne
qualcuno
sta prospettando una soluzione: l’uscita dall’Euro
l’uscita
dall’Euro è una cosa concreta, molto comunicabile e trasversale
approfittiamo
di questa occasione e facciamo un fare un passo avanti al nostro progetto
anticapitalista (che chiameremo magari antiglobalista)
il
passo in avanti lo facciamo con chi ci sta – tanto Destra e Sinistra – sono
concetti svuotati dalla storia.
Questa
idea è spinta anche dall’urgenza di far presto, magari prima che la crisi
finisca e si dissolva un collante aggregativo. Perciò vanno bene tutte le più
“strane creature” politiche. Certo ci sono lenin_che_faredelle differenze con
Casa Pound, con i
signoraggisti
di Alfonso Luigi Marra, con il PD (della corrente giusta), magari con i Massoni
di
qualche nuovo Rito ed Obbedienza, con quelli della MMT, con i Sovranisti, con
il movimento di Magdi Allam, etc, etc. Non è importante chi siano, si tratta di
allargare il fronte: il punto comune è l’uscita dall’Euro. Poi, dopo, vedremo
di affrontare le differenze. Insomma: se l’obiettivo ultimo è picconare il
capitalismo casinò, afferriamo questo tema e mettiamoci in direzione dell’onda.
E
però questa strategia (che somiglia più ad una tattica) assomiglia a certi
medicinali che servono a curarti le vesciche sui piedi ma hanno tante di quelle
controindicazioni ed effetti collaterali da mandarti definitivamente in
ospedale. Ma chiediamoci prima di tutto: è una strategia realistica? Se penso
ad un tavolo di conferenza stampa con seduti insieme, Civati, Marra, Allam,
Ferrero, Rizzo, Fiore io qualche dubbio sul realismo comincio a nutrirlo. Un
tavolo del genere sfiora la fantascienza politica, però, siccome tutto è laicamente
possibile e religiosamente non bisogna porre freni alla Divina Provvidenza,
ammettiamo che un tavolo del genere, magari anche più affollato lo si componga.
Ciò
ammesso usare il tema dell’uscita dall’Euro richiede come minimo qualcuno che
mastichi economia, sia presentabile, crei le basi teoriche con un minimo di
autorevolezza. Insomma bisognerebbe arruolare un economista. Uno serio in
circolazione potrebbe essere Brancaccio, ma Brancaccio sembra non amare l’idea
del “Fronte Unico Anti Euro”, magari è un po’ schizzinoso e lui dall’Euro vuole
uscire da Sinistra (e quindi non va bene perché nega l’ultimo punto della
strategia). Se si ripiega su qualcun altro il pericolo è che l’economista non
si accontenti di portare l’acqua con le orecchie al progetto. Ossia:
l’economista potrebbe essere uno che rischia di suo, la sua carriera e vuole un
ruolo meno ancillare. In un caso del genere l’economista si fa un suo giro per
le varie “strane creature” in incontri pubblici. Incontra, che so, i
monarchici, i marxisti dell’Illinois, i Sovranisti, le schegge impazzite del
PdCI, qualche grillino. Dice le sue cose e poi si accorge che ciascuno di
questi gruppi ha un disperato bisogno di lui, più di quanto lui potrebbe avere
bisogno di loro. Allora magari l’economista, che non è scemo, pensa: “se mi
devo esporre mi espongo da me”. Perciò tornato a casa – dopo ciascuno di questi
incontri – l’economista fonda un blog, si stufa di presentare libri altrui
sull’uscita dall’Euro e si scrive il suo libro da sé. Siccome non ha un passato
memorabile dal punto di vista politico (ossia fino a ieri nessuno se lo filava
a parte i suoi studenti) ha le carte in regola per attirare, lui sì, ogni sorta
di strana creatura in un ambiente realmente “interclassista”. Così viene
seguito da una crescente schiera di seguaci tutti “ex” qualcosa, operai,
imprenditori, bottegai, professionisti che, finalmente hanno trovato qualcuno
che le cose le dice e le dice “cattive”, infonde spirito di squadra e difende
bene il suo orticello. Magari trova anche l’interesse dei media. I media
infatti di economia non capiscono una beata fava e amano moltissimo far
emergere idee diverse dal mainstream che fanno più audience. A questo punto
l’economista decide che gli serve un megafono e per averlo occorrono due cose:
un amico giornalista e qualcosa che abbia un nome e assomigli ad un serio
“pensatoio”. Un giornalista ambizioso, magari preso a pedate da una rete
televisiva e desideroso di fare il botto in quella nuova, lo si trova sempre.
Un paio di autorevoli cariatidi le si trovano sempre e fanno immagine, se c’è
un banchiere o un amico di banchieri pure meglio. Et voilà l’economista si è
messo in proprio e il Fronte Unico Anti Euro è ancora fermo al palo.
L’economista ha un “assetto variabile”, può “correggere il tiro”, usare chiavi
dialettiche diverse (più aggressivo in rete, più conciliante con un Manifesto,
per esempio).
Ma
è fermo al palo perché l’economista si è fatto i calzetti suoi o perché
qualcosa nella progettualità Del Fronte non funziona? “La seconda che hai
detto” direbbe Guzzanti.
Siamo
di fronte al “Dilemma del Tuscolano”. Andarci o non andarci? Se ci vado i
pericoli sono quelli. E – a parte la possibilità in termini reali che tutte le
“strane creature” si coalizzino – il rischio è che chi simpatizza per una
“strana creatura” si disgusti a vederla insieme con una “strana creatura” di
segno opposto. Così l’illusione che la somma di piccole forze dia un risultato
(in termini di consenso) maggiore del valore di ciascuna si rivela, appunto,
una scomemssa persa, se non una chimera.
Bene.
Al Comitato del Tuscolano non ci si va. Ed allora si ritorna al “Che fare?”.
Forse la prima cosa da fare potrebbe essere prendere in seria considerazione la
frase di Lassalle e decidere che i compagni di strada di un viaggio vanno presi
con dei criteri di maggiore contiguità. Giusto per evitare una armata
Brancaleone dalla quale un economista serio come Brancaccio si terrebbe (e come
rimproverarlo?) a debita distanza fisica e politica. Dopo aver deciso che il
viaggio lo si fa insieme soltanto a “strane creature” compatibili politicamente
ci si arma di santa pazienza. Perché illudersi di imboccare ogni scorciatoia è
velleitario. Come d’altro canto è illusorio pensare di essere Noè ed imbarcare
sulla propria arca tutte le diverse creature del mondo. Se c’è una inondazione
è più realistico pensare di poter far salire sull’arca i parenti, gli amici, i
vicini di casa che non i passanti sconosciuti. In più, non si può far
accomodare nella stessa cabina della nave lo stupratore seriale e la fidanzata,
auspicando che il comune bisogno di salvezza sia sufficiente a non far accadere
spiacevoli incidenti (spiacevoli, soprattutto per la fidanzata).
Scelti
i compagni di viaggio un primo aspetto positivo è che si acquista in
credibilità ed è, per questo, possibile costruire un luogo accogliente dove,
magari far sedere attorno ad un tavolo personaggi seri. Magari nel frattempo
l’economista che si è messo in proprio si è montato la testa e si domanda cosa
fa di mestiere un sociologo e se gli serve un sociologo. Ecco allora, caro
Fiorenzo, è venuto il momento di fare un tavolo non con le “strane creature”
assortite, non un posto provvisorio e comune per il topo e il serpente. Un
tavolo al quale ci siano – di un’area contigua – sociologi, storici, antropologi,
economisti e tutti quelli che servono, perché servono tutti. Riappropriandosi
della propria identità politica (non partitica), ricentrandosi sulla propria
area. Il che significa fare una cosa seria. E vedrai che le persone, alle cose
fatte bene, aderiscono più di quanto tu non sospetti.
Dice
Savasandir: sono gli “intellettuali che
devono cambiare linguaggio per andare materialmente in mezzo alla gente” e – in
una stessa frase dice una verità e una cosa senza senso. Si tratta di far
diffondere il messaggio che gli intellettuali mandano, divulgandolo e
rendendolo potabile alla gente. E questo compito è, anche, uno dei compiti del
vero politico e uno dei contenuti della politica costruttiva. Lasciamo che gli
intellettuali continuino ad avere il tempo per continuare ad essere
intellettuali. Ascoltiamoli e impegniamoci a tradurre per tutto le buone idee.
Entriamo in una logica multidisciplinare perché, quello che vuoi affrontare, è
solo apparentemente un tema economico e non può essere affrontato da un’ottica
puramente economica.
La
risposta alla domanda “che fare?” è dunque, riassumendo questa:
- riappropriarsi
della propria identità politica
- scegliersi
compagni di viaggio contigui lasciando perdere strane e/o improbabili creature
- lasciar
perdere qualsiasi egonomista disposto a farsi i calzetti suoi
- acquistare
credibilità e creare un soggetto comune che metta intorno al tavolo persone in grado di ragionare da angolature diverse
- tradurre
questi ragionamenti in posizioni concrete, dibatterle, farle diventare proposta
politica integrandola con il sentire comune del gruppo di lavoro.
- diffonderle e discutere
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