Fino
a qualche anno fa quando un governo non aveva più la maggioranza e non
rappresentava più, quindi la volontà popolare, veniva sfiduciato dal Parlamento.
Parlamento
formato da eletti e non da nominati, questo è vero, e nello stesso Parlamento
si discuteva, si decideva eventualmente un nuovo governo o si tornava al voto.
Ora
tutto questo sembra appartenere alla preistoria, i governi si decidono in
incontri a due, a tre o con decisioni personali come è successo per gli ultimi
esecutivi.
Ieri,
ad esempio, Il governo Letta non è stato sfiduciato dal Parlamento (benchè
scarsamente, rappresentativo), ma dalla “smisurata ambizione” di un singolo
che, evidentemente rapito dal sacro furore di investitura divina (ricorda un
altro unto dal signore), ha deciso di soprassedere a tutte quelle fastidiose formalità
che prevedono le normali regole di una democrazia rappresentativa.
Non
a caso, infatti, il programma di governo che sarà presentato, riguarda quasi esclusivamente
aspetti di ingegneria istituzionale: riforma elettorale, riforme
costituzionali, riforma del mercato del
lavoro, ovviamente, tutte, con la formula del prendere o lasciare.
Beh,
forse sarò un nostalgico, ma credo fermamente che un paese non possa essere
riformato e governato sull’onda dell’emotività e dell’umoralità del momento e
del singolo. Che una Costituzione, pensata e ponderata accuratamente in momenti
in cui la libertà e la democrazia rappresentavano un valore da difendere e
preservare per le generazioni future
possa
essere cambiata a colpi di maggioranza parlamentare senza coinvolgimento del
popolo e dei suoi rappresentanti si profila, senz’altro, come un pericolo e un
attentato alla democrazia stessa.
Si
dice il momento è grave (lo sento dire da qualche decennio, ormai), le vecchie
regole non valgono più.
Bene
posso anche essere d’accordo, ma le nuove regole vanno riscritte insieme. Non
si può pensare ad una legge elettorale che non tenga più conto, ad esempio,
della rappresentatività, che era uno dei principi alla base del sistema elettorale con il sistema proporzionale prevista
dalla costituente. E’ vero i piccoli partiti possono essere un intralcio per
alcune azioni di governo, possono esercitare pressioni per ottenere più
vantaggi di quelli che spetterebbero, ma rappresentano, anche e soprattutto,
fette di società che altrimenti non avrebbero visibilità.
Ovviamente
ci riferiamo a quei partiti e movimenti che hanno una loro storia e motivazioni
sociali, non certo alle liste create “ad personam” per squallidi interessi di
bottega.
Leggiamo,
inoltre, che la lista dei ministri dell’autocandidato premier è stata sottoposta
al vaglio del presidente di Confindustria, o addirittura che sia stata
concordata con questi.
Fosse
anche solo questo ci troveremmo di fronte a un fatto gravissimo di fronte al
quale qualunque persona abbia a cuore la democrazia e la libertà (e si, anche
la libertà) ha il dovere di indignarsi e di prendere posizione.
Ad
maiora
MIZIO
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