Gli scienziati dell' Onu hanno dato l'allarme:”12 anni per salvare il mondo”. Questo è il limite temporale per poter sperare di invertire la tendenza al riscaldamento globale che potrebbe scattare e superare il famigerato grado e mezzo arrivando ai due gradi di aumento della temperatura con conseguenze disastrose e senza possibilità di ritorno. Scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei mari, desertificazione progressiva. Scomparsa di migliaia di specie vegetali e animali e cambiamenti complessivi e drammatici per l'accesso all'acqua e alla possibilità stessa di vita per come la conosciamo. E' vero che di allarmi del genere negli ultimi decenni ne sono stati lanciati molti e, quasi sempre l'accusa preconcetta di catastrofismo li ha depotenziati facendoli scivolare nella considerazione alla stessa stregua della storia di Pierino e il lupo.
E
adesso, che sembrerebbe che il lupo sia arrivato veramente, e stia
proprio dietro la porta di casa, pare quasi che la cosa non ci
interessi più di tanto. E' vero che è aumentata di molto la
sensibilità del singolo verso gli animali o verso la salvaguardia di
piccoli o grandi porzioni di territorio da tutelare. Cose ottime,
cose da sviluppare e apprezzare ma che non incidono se non in minima
parte sul risultato finale. Salvare il cucciolo di cinghiale o il
piccolo riccio sulla strada è cosa buona e giusta come impegnarsi
per la salvaguardia del fazzoletto di verde sotto casa. Ma hanno un
effetto positivo quasi esclusivamente per noi stessi e il nostro
impegno ma hanno un impatto prossimo allo zero se non c'è
un'attenzione pari o superiore al mantenimento dell'equilibrio
ambientale complessivo. E questo, purtroppo sfugge alle possibilità,
anche le più positive del singolo, ma rientrano in quelle assunzioni
di coscienza e responsabilità che devono diventare collettive. Per
far questo bisogna ripensare complessivamente e non settorialmente,
l'organizzazione stessa della società. Ripensare la mobilità del
singolo e di conseguenza, l'organizzazione del lavoro. Andare verso
un lavorare meno, lavorare tutti e lavorare meglio. Ripensare il
consumismo sfrenato, con i suoi ritmi infernali di produttività
(crescita) malata e destinata fatalmente a infrangersi contro
l'esaurimento delle fonti non rinnovabili di materie prime e la
desertificazione del pianeta. Spostare le risorse ancora disponibili
verso una loro redistribuzione più equa affinchè i cambiamenti
necessari siano più facilmente accettati dalla gran massa.
Introdurre come legge ineludibile né quella divina né tantomeno
quella di mercato ma solo ed esclusivamente quella della natura e
delle sue potenzialità, enormi ma non infinite, di produrre e
garantire benessere e sopravvivenza a tutti se rispettata. Sviluppare
cultura e conoscenza quale principale se non unico argine,
all'ignoranza e all'incapacità di comprendere i processi sia sociali
che naturali. Così, come sarebbe un argine alla sovrappopolazione,
soprattutto nei paesi più poveri, con la valorizzazione e il
riconoscimento della funzione e delle potenzialità delle donne,
ancor oggi troppo limitate nel loro essere in quei paesi.
Per non
parlare dell'inquinamento atmosferico e delle acque, del consumo
continuo di suolo, della pesca intensiva che sta spopolando interi
oceani, delle miliardi di tonnellate di plastica e altri rifiuti che
contaminano e alterano equilibri biologici frutto di milioni di anni
di evoluzione. Questo quadro mette paura solo a immaginarlo,
figuriamoci a doverlo vivere come stiamo facendo e come tragicamente
si aggraverà non tra un secolo ma già da domani. Conviene allora,
come struzzi mettere la testa sotto la sabbia e fare finta che non
sia così? Magari sperare in maniera fatalistica o fideistica che
qualcosa cambi o, come nella famosa opera di Eduardo, tanto “Addà
passà a nuttata”! La nuttata che stiamo contribuendo, con i nostri
silenzi, con il nostro disinteresse a costruire non passerà, se non
in tempi misurabili in secoli e solo con un'inversione totale del
nostro modello di sviluppo.
Fatto un
elenco e un quadro non terroristico, ma realistico, delle prospettive
a breve rimane da stabilire cosa possiamo ragionevolmente fare.
Diciamo che parliamo di piccole speranze, ammesso che ancora sia
possibile coltivarne. Si può, ragionevolmente, pensare di operare
svolte così radicali e impattanti se continuiamo ad avere come
riferimenti i dati dei vari PIL dei vari paesi, del Moloch del
debito pubblico, di una crescita misurata in miliardi di ore
lavorate o miliardi di prodotti immessi sul mercato? Come si potrà
convincere i potenti della terra (economici, finanziari e politici) a
rinunciare al proprio disegno egemonico sul pianeta e sulla vita
dello stesso? Non lo si potrà certo fare se guardiamo, ad esempio, a
come la maggioranza degli elettori nel nord e nel sud del pianeta si
sta esprimendo. Si premiano candidati e forze politiche che fanno
della cementificazione, della distruzione del territorio dello
sfruttamento intensivo e pronta cassa delle risorse e delle fonti
energetiche non rinnovabili la propria Bibbia. I Salvini in Italia,
Ii Trump in America e i Bolsorano in Brasile ne sono solo gli ultimi
e più rappresentativi esponenti. Rappresentano esattamente e senza
gli infingimenti cui altri ricorrono, lo spirito predatorio ed
egoista del peggiore essere umano. Visione in cui si privilegia il
singolo, il suo egoismo, la competizione anziché valorizzare una
visione, meno gratificante per il singolo ma drammaticamente
necessaria, basata su rispetto, solidarietà, equilibrio tra gli
esseri umani e l'ambiente tutto.
Questo
sarebbe il compito storico che toccherebbe alla sinistra e a chiunque
abbia nel pensiero solidale e altruistico il faro nella propria vita.
Purtroppo
è un compito storico che, a questo punto possiamo definire
tranquillamente in gran parte fallito. E, con altrettanta certezza
possiamo certificare che non c'è alcuna capacità o voglia di
prenderne atto.
Dodici
anni, ma fossero anche cento, per l'universo sono meno di un battito
di ciglia. Per la Terra, i suoi abitanti e il genere umano sono
l'attuale limite tra la possibilità di continuare a vivere o
scegliere, invece, un suicidio collettivo.
Ad
maiora!
MIZIO