Ormai,
sono tanti anni fa quando decisi di ripetere un'esperienza già fatta
altre volte. Andare a pesca nel fiume Sangro, in pieno Parco
Nazionale d'Abruzzo, ovviamente con i permessi previsti e
limitatamente alla porzione di fiume in cui era possibile farlo, con
il ferreo rispetto delle regole previste. A differenza delle altre
volte, però decisi di andarci da solo e la pesca, alla fine era
solo una scusa, soprattutto con me stesso. La realtà è che avevo
bisogno di stare un po' da solo. Solo e immerso in
un ambiente, che mi stava diventando abbastanza familiare, e che
riservava sempre sorprese, ma soprattutto, permetteva il
raggiungimento di uno stato d'animo, non so se equiparabile alla
pace interiore, ma sicuramente estremamente gradevole. Stato d'animo
di cui, a volte, si sente un estremo bisogno.
Partenza
ovviamente, la mattina che era ancora buio, arrivo all'ufficio del
Parco dopo un paio d'ore ma era ancora chiuso quindi, gradevole
seconda colazione, quasi obbligatoria, in un bar appena aperto. Tutto
era come lo ricordavo e come sarebbe dovuto essere. Un paesino di
montagna, si sveglia presto, forse ancor più presto che in città,
ma in modo totalmente diverso. Con calma, con discrezione. Verrebbe
da dire, quasi con rispetto. Senza quella frenesia tipica della
grande città. C'è il tempo per i saluti, per una carezza al cane
che scodinzola, per guardare il fiume che scorre vivace sotto la
strada e il cui gorgogliante scorrere fa da perenne colonna sonora.
Il tempo di fare il permesso, indossare stivali, prendere lo stretto
indispensabile e scendere giù sulle rive del fiume. Visti i limiti
giustamente imposti dal regolamento, da quel punto potevo solo
risalirlo per il breve tratto, forse poco più di un km, e poi,
eventualmente ridiscenderlo. Mi immersi nel rumoroso silenzio del
fiume che, allontanandosi dal paese, si trovava a scorrere in mezzo a
boschi. Nel suo scorrere faceva risaltare quella ,casuale e precaria
quanto si vuole, equilibrata armonia di suoni, colori e sfumature
d'infinito.
Le
piccole, guizzanti trotelle fario, tipiche del corso d'acqua non
mancarono di mostrare il loro gradimento all'esca artificiale usata
mostrandosi nei loro splendidi colori. Ero da solo, non intendevo
mangiarle, quindi ritornavano tutte guizzanti nel loro liquido
elemento naturale ma, ovviamente, con la raccomandazione di essere
più attente la prossima volta.
Il
periodo era di tipica primavera avanzata che a quell'altezza (1000 m
circa) risultava essere quel periodo dell'anno in cui la natura si
veste a festa col suo abito migliore. Impossibile resistere e essere
indifferente alla sua bellezza, per cui la risalita di quel tratto di
fiume fu dedicata più all'osservazione e alla meraviglia che alla
pesca vera e propria. Fiori, piante, uccelli di ripa, natrici,
insetti, farfalle. Ogni particolare era cosa degna di una sosta e di
un attimo di rispettoso stupore. Non c'erano gli attuali smartphone,
quindi quei momenti potevano e dovevano essere vissuti intensamente
solo in quell'attimo, per poterne poi, serbarli nella memoria e
nell'anima più a lungo possibile.
Ma come
tutte le cose, anche quelle più piacevoli hanno una loro conclusone.
Arrivai al punto limite oltre il quale non si poteva più pescare,
che era il primo pomeriggio.
La fame
cominciava a farsi sentire quindi, seduto comodamente al sole sulla
riva del fiume, consumai i panini preparati la sera prima, mandandoli
giù con l'acqua fresca che avevo preso nel fontanile del paese.
Mi
guardai intorno e, tutto sommato, visto che era ancora presto e
avevo, ormai soddisfatto la voglia di pescare, decisi di non tornare
indietro per la stessa via acquatica. Per quel giorno avevo già
disturbato abbastanza il fiume e i suoi legittimi abitanti. La zona
la conoscevo, dato il periodo non c'era quasi nessuno e scelsi allora
di effettuare un giro più lungo per ritornare al paese. Passando per
quei luoghi che nel passato mi avevano visto scorazzare tra ruscelli
e boschi insieme agli amici di sempre. Considerate che in quegli anni
ancora non c'erano tutte le regole e le giuste limitazioni che ci
sono state successivamente, quando il turismo ambientalista è
diventato fenomeno di massa e fu necessario regolamentarlo. Quindi mi
avviai per un sentiero che saliva dolcemente fino alla base del
gruppo montuoso dove avrei preso l'altro che, con qualche saliscendi,
mi avrebbe riportato in paese seppur dalla parte opposta rispetto a
quella della mattina.
Mentre
salivo, l'acqua fresca bevuta poco prima, fece sentire i suoi
naturali effetti secondari. Per cui mi fermai e, per evitare
eventuali ma possibili imbarazzi, cercai un angolo discreto e non in
vista dal sentiero che potesse degnamente assolvere alla necessaria
discrezione richiesta. Un piccolo avvallamento con una serie di
cespugli rigogliosi si prestava magnificamente alla bisogna. C'era
solo da scendere un pochino e fare un piccolo saltello.
Così
feci e, nel momento stesso in cui atterrai facendo un po' di rumore,
molto più rumore venne dalla mia sinistra. Da un cespuglio a pochi
metri notai una massa scura di rispettevoli dimensioni che alzandosi
in piedi emise un grugnito un po' strozzato e scappò nella direzione
opposta alla mia. Ovviamente rimasi impietrito, non capendo subito,
cosa fosse successo. Vedendolo allontanarsi anche se per pochissimi
secondi, mi resi conto di aver incontrato, anzi disturbato, il più
raro e prezioso abitante di quei luoghi. Un orso bruno marsicano
sorpreso, impaurito e sicuramente infastidito giustamente dalla mia
presenza. Magari mentre era impegnato a frugare tra i cespugli n
cerca di bacche e frutti o, magari semplicemente stava per fatti suoi
a casa sua. Inutile dire che se lui si era spaventato figuratevi io
che dalla forte emozione (paura?), improvvisamente, non avvertivo
nemmeno più alcun bisogno impellente. La sorte volle che lui si
fosse avviato verso valle e io dovevo andare, invece, in direzione
opposta. Perchè è vero che quell'incontro me lo auguravo da anni
ma, essere da soli in sua compagnia e a distanza ravvicinata,
sinceramente mi sembrava poco prudente e opportuno per entrambi.
Riprendendo
a camminare, la visione di quel fulmineo e improvviso incontro mi
fece compagnia sostituendo qualsiasi altro pensiero e distraendomi
pure dalle bellezze circostanti, pur notevoli. Cercavo di ripassarne
mentalmente i particolari anche i più minuti e insignificanti. Mi
rimproveravo di non aver guardato con attenzione al cespuglio e nei
suoi immediati pressi, per capire di più sul motivo della presenza
proprio in quel posto. Ma erano pensieri sovrastati, comunque, dal
piacere, ancora incredulo, di aver vissuto quel momento e poterlo
raccontare. Arrivai nel punto in cui avrei dovuto prendere l'altro
sentiero che mi avrebbe riportato in paese e per farlo avrei dovuto
percorrere un tratto di strada asfaltata. Mentre la percorrevo vidi
avvicinarsi un cane che traversava la strada stessa in senso obliquo.
Non mi allarmai o sorpresi più di tanto. Il randagismo era, ed è
ancora purtroppo, fenomeno frequente e comunque era uno solo. Se
avesse avuto cattive intenzioni l'avrei potuto controllare facilmente
. Non era neanche troppo grosso. Si non è grosso ma neanche piccolo
e mi pare, non vorrei sbagliarmi. E no, cavolo! Quello che a distanza
sembrava un cane, avvicinandosi, fermandosi un attimo a guardarmi
distratto, no non potevo sbagliare era proprio lui, un lupo. A
differenza dell'incontro con l'orso ho avuto tempo e modo di
guardarlo con calma mentre sdegnosamente mi ignorava allontanandosi
senza fretta dalla strada senza neanche voltarsi a guardare se mi
fossi mosso verso di lui. Evidentemente mi considerava alla stessa
stregua di come l'avevo considerato all'inizio io. Non pericoloso e
decisamente alla sua portata se avessi fatto un qualsiasi tentativo
di essere aggressivo o fastidioso.
Se la
prima visione era stata semplicemente una sorpresa, enormemente
piacevole, adesso era addirittura un cosa impensabile e
statisticamente quasi impossibile. Un orso e un lupo, fino a quel
momento visti solo nello zoo di Pescasseroli. I due re indiscussi
delle montagne abruzzesi. Due tra i più elusivi, rari e preziosi
animali dei nostri boschi mi si sono consegnati alla visione senza
trappole, senza estenuanti ricerche e, praticamente senza condizioni.
Per loro non avrà significato nulla più di un fastidio equiparabile
a quello di un moscerino. Invece in me hanno lasciato un'impronta
talmente profonda che, a distanza di decenni ancora ne rivivo
l'emozione del momento. Anche perchè, nonostante, altri tentativi,
non sono mai più riuscito a ripetere l'esperienza. Nè in quel posto
né in altri luoghi. L'unica cosa vagamente assimilabile è aver
sentito, un'unica volta, l'ululato di un lupo.
Inutile
dirvi che l'ultimo tratto per tornare al paese e alla macchina fu
percorso rapidamente perdendo qualsiasi altro interesse. Cosa di cui
mi sarei dovuto anche scusare con Madre Natura. Ma talmente forti
erano state le emozioni degli incontri di quel pomeriggio da non
avere, forse, altro spazio negli occhi e nell'anima per ulteriori
bellezze pur presenti in gran numero da quelle parti.
Perchè
ho ritenuto di raccontare ciò? Intanto perchè, come detto sopra, è
stata un'esperienza e una giornata talmente particolare, da sentire
quasi il dovere di renderla fruibile, se non altro con la fantasia,
anche da altri.
La
seconda e forse più importante motivazione è quella di raccontare,
in questo periodo in cui si parla di caccia agli orsi e ai lupi,
quanto possa essere molto più appagante e soddisfacente l'incontro,
anche casuale con questi animali. Incontri in cui dovrebbe prevalere
il rispetto, la curiosità ma non la paura e, tantomeno, sentimenti
di criminale vendetta. Come, invece purtroppo, avviene sempre più
frequentemente nei loro riguardi. Io invece, non finirò mai
di ringraziarli per l'onore, il piacere e il privilegio che mi hanno
concesso. Sperando sempre che prima o poi si possa ripetere.
MIZIO