lunedì 6 aprile 2015

IL BIVIO


E siamo arrivati al bivio, storicamente, politicamente, socialmente. Questo periodo verrà ricordato volenti o nolenti, nei libri di scuola, come un periodo di profonde trasformazioni. Quello che ancora non sappiamo è come saranno giudicate e valutate le risultanze che da questi cambiamenti deriveranno. Se dovessimo valutare le cose al momento attuale, dovremmo ipotizzare un arretramento complessivo della società conosciuta sino ad oggi.
Arretramento economico e conseguente impoverimento collettivo, arretramento sul tema dei diritti, soprattutto quelli del lavoro con qualche concessione sui diritti civili, decisa accelerata nel senso di uno “sviluppo con una forte connotazione neoliberista e consumista e con il ripristino, se non ufficiale nei fatti di una forte diseguaglianza classista.
Poveri sempre più poveri e legati alla ruota del bisogno in competizione tra loro per accaparrarsi qualche briciola di benessere, ricchi sempre più ricchi, potenti e padroni dei destini del mondo. L’unica differenza, ma sostanziale, rispetto il vecchio capitalismo classista del novecento l’irrompere in prima persona del capitalismo finanziario a scapito di quello imprenditoriale. Nei termini pratici e per i suoi effetti sulle masse cambia poco, ma nella valutazione e nella ricerca della soluzione possibile, potrebbe essere una differenza determinante.
Molti di quegli imprenditori che nei decenni passati erano il “nemico” naturale nelle rivendicazioni, oggi appaiono, se pur in posizione privilegiata, anche loro inseriti in un gioco più grande di cui non hanno le leve e di cui, spesso, rimangono vittime.
Questo impone una riflessione che non sia e non può essere solo di circostanza e limitata a convegni tra esperti. Inserendo poi, nel calderone delle necessità impellenti, quello di indirizzare lo sviluppo verso forme più rispettose dell’ambiente in cui viviamo e un utilizzo più razionale delle risorse naturali, delle fonti energetiche, delle risorse idriche e al tempo stesso garantire uno standard di vita accettabile per tutti, vediamo quanto sia complessa e ardua l’impresa di cambiare rotta.
Ma, proprio per l’emergenzialità di cui parlavamo inizialmente che, da questo punto, possiamo già considerare non inscrivibile nei vecchi schemi di lettura lo sforzo titanico che le forze d’opposizione debbono fare nel ripensare complessivamente la propria azione politica e il proprio modo stesso di rappresentarsi.
Alcuni hanno tentato già di farlo ma in maniera limitata e, comunque sempre con il vecchio vizio della difesa aprioristica della propria unica verità, legandosi e compromettendosi in scelte che apparivano e appaiono ai più, fondamentalmente legate a interessi personali o di parte. Altri si sono barricati nella difesa coerente e autorassicurante fin che si vuole, ma sterile per l’impatto sostanziale, della propria diversità e purezza ideologica.
Altri tentativi sono stati effettuati da forze politiche che si sono presentate come nuove (vedi il M5S) sfruttando principalmente la rabbia repressa della massa ma, in fondo, sterilizzandola in un’azione politica tesa più a magnificare se stessa che ai risultati che si sarebbero potuti ottenere. Io, comunque per inciso, sono tra quelli che non demonizzano i pentastellati, conoscendone molti sinceramente convinti di stare lavorando per un cambiamento sostanziale, ma dimenticandosi, purtroppo, che, prima di tutto, il cambiamento riguarda il proprio modo d’essere. Meno dispotico, più democratico all’interno e meno legato a figure carismatiche che, se pur necessarie all’inizio, poi rappresentano un freno all’azione politica vera e propria
Non sarò certo io a buttare a mare la lettura marxista dei conflitti sociali, ne dimentico le teorie gramsciane sull’egemonia culturale delle classi dominanti, ma a queste devo forzatamente legare altre chiavi di lettura e penso, ad esempio, ala visone eretica di un Pasolini, profetico per molti aspetti. Penso alle motivazioni che erano e sono alla base dei movimenti no-global, che non possono essere archiviate semplicemente con le immagini degli scontri del G8 o del 15  ottobre.2011 a Roma. Le tematiche, portate avanti e troppo spesso accantonate dalle stesse forze di sinistra che, avrebbero il compito storico, di indirizzare il cambiamento, le hanno  riportate, poi, ad un discorso spartitorio e correntizio delle dinamiche interne, meritavano e meritano, invece, una maggiore attenzione e una maggiore valenza nelle scelte che, forzatamente, si dovranno fare.
Allora, ricapitolando, non più e non soltanto operai contro padroni. Non più e non soltanto uno sviluppo e una crescita legata allo sfruttamento umano e dell’ambiente. Non più e non soltanto la difesa di un modello di società che vede nel consumo a prescindere la sua unica ragion d’esistere. Non più e non soltanto proposte politiche che siano legate esclusivamente a richieste di carattere economico. Per fare questo è necessario rivedere i propri capisaldi e individuare quelli che sono gli ostacoli e i “nemici” da superare. Non dobbiamo aver paura nell’identificare chiaramente nel potere finanziario il nemico numero uno che abbiamo di fronte e, conseguentemente, non aver timori nell’indicare l’attuale assetto della comunità europea, nella sua organizzazione e nelle sua finalità uno degli strumenti usati da questo potere per i suoi fini.
Se si vogliono cambiare le cose non si possono usare occhiali da presbite per guardare lontano o viceversa, quindi, senza tema di apparire antieuropeisti, dire chiaramente che questa Europa non ci rappresenta e soprattutto non rappresenta gli interessi (dati alla mano) della stragrande maggioranza dei suoi popoli. Non aver paura di contaminarsi nel cercare, su questi temi, alleanze e sponde che condividono questa visione (ovviamente non mi riferisco all’opportunismo di fascisti e/o razzisti) e segnatamente a quelle forze che, pur non strettamente politiche esprimono dubbi e critiche a questa società. Non posso non pensare, e non a caso, per restare all’attualità, alle dichiarazioni di Papa Francesco, che sembrano, spesso, uscite, da un vocabolario terzomondista del Novecento e di conseguenza con aperture a quel potenziale movimento religioso che, ad esempio in molti paesi dell’America Latina e dell’Africa si è dimostrato molto sensibile a determinati temi ed è protagonista del tentativo di riscatto sociale dei poveri di quelle aree. Così come non si può non pensare ad un coinvolgimento di tutti quei rappresentanti della piccola borghesia imprenditoriale e commerciale che è stata spazzata via dalla crisi e dallo strapotere finanziario. Certo, capisco e condivido in pieno l’attaccamento romantico e passionale per le lotte dei lavoratori, della bandiera rossa sventolata orgogliosamente in piazza, del sogno della rivoluzione proletaria. Tutte cose che ho condiviso e cui sono sentimentalmente e visceralmente legato ma che ho il dovere, pena l’apparire come il soldato a guardia deli bidoni vuoti,  di arricchire e riempire di contenuti e significati nuovi, non ultimo quello del superamento della disputa generazionale che questa società ci ha dato come lettura per distogliere lo sguardo dai veri temi sul tappeto. Il conflitto e la competizione generazionale è sicuramente un dato di fatto insito nella natura umana, ma non può e non deve rientrare nel nostro schema di lettura come fattore discriminante e fare dell’anziano o del giovane il proprio nemico.
E ritornando al bivio di cui all’inizio, noi possiamo essere protagonisti del cambiamento se convinti che questo sia necessario e, nel contempo, serenamente ma lucidamente riconoscere che, fino ad ora non siamo riusciti a rappresentare altro che la nostra impotenza e la nostra supponenza. Credo sia più che necessario cominciare a guardare dalle nostre parti per rimettere in piedi la baracca con scelte coerenti e conseguenti,  su cui cercare di far convergere più forze possibili senza discriminazioni ma anche senza diritti di primogenitura. Landini ha cominciato ad indicare una via, ma non può essere responsabilità e compito di uno solo, per quanto abile e capace, quello di operare cambiamenti radicali che devono, prima di tutto passare nelle nostre menti e nelle nostre coscienze. Se riusciremo a farlo saremo ricordati dai posteri come coloro che hanno sventato il rischio di una tirannia economica suicida ultradecennale, se continueremo a guardarci in cagnesco ad erigere steccati ad accontentarci di qualche seggio tanto per esserci, passeremo alla storia come la sinistra più inutile che si ricordi.
Ad maiora


MIZIO

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