La
commedia all'italiana di lupi, cani, cinghiali e... fantasie
Negli
ultimi tempi è riesplosa in parte dell'Italia settentrionale, e soprattutto in
Piemonte, Liguria e Toscana, un'accanita "caccia alle streghe"
alimentata da una serie di incredibili storielle, a confronto con le quali le
favole che le nonne d'una volta narravano la sera ai bambini non potrebbero che
impallidire.
Giornalisti
alla ventura hanno rispolverato la leggenda extra-metropolitana inestinguibile
dei lupi lanciati da aerei o da elicotteri misteriosi, magari con il
paracadute, che fa il paio con quella dei sacchetti pieni di vipere catapultati
nelle campagne dai malvagi di turno. Un modo assai semplice di diffamare chi
difende la natura, e di reclamare a ogni passo soccorsi e finanziamenti, magari
invocando lo "stato di calamità".
Intendiamoci:
non c'è dubbio che i lupi siano carnivori predatori, e che episodi di attacchi
alle greggi e agli animali domestici possano verificarsi: ma dove il bestiame
viene ben custodito, con ricoveri notturni o reti elettrificate, e soprattutto
con validi cani da pastore, la quantità dei danni risulta alquanto ridotta: e
va comunque indennizzata prontamente e adeguatamente. Ma non occorre essere
grandi esperti, per capire che i più seri problemi alle attività agropastorali
derivano oggi da ben altri fattori. Anzitutto, dal randagismo canino e
dall'ibridazione tra i cani abbandonati e qualche lupo disperso dal branco,
fenomeni tutti provocati dall'uomo. Per non dire della scriteriata, ripetuta
introduzione di cinghiali alloctoni, provenienti dall'Europa centro-orientale, capaci
di riprodursi e diffondersi a ritmi un tempo impensabili.
Chiunque
ammetta, con un minimo di onestà intellettuale, questa semplice evidenza, non
potrà allora non riconoscere che la presenza sul territorio di branchi di lupi
lasciati tranquilli può costituire il metodo migliore, e certamente il meno
dispendioso, per arginare le conseguenze di questi gravi errori umani. E non
solo perché i lupi contengono l'espansione dei cinghiali, ma anche perché li
spostano continuamente, tenendoli in movimento ed evitando che i loro danni
colpiscano sempre gli stessi sfortunati agricoltori.
D'altro
canto è ben noto che i cani randagi, vaganti e rinselvatichiti (tre categorie
simili, spesso confuse ma ben distinte sul piano eco-etologico) ammontano
certamente a ben più di un milione in Italia: ma se dovessimo dar credito alle
voci e alle idee correnti, sarebbe difficile trovare qualcuno disposto a
riconoscere il loro pesantissimo impatto sul bestiame domestico, quasi si
nutrissero soltanto di aria fresca e di tenere erbette. La ragione è molto
semplice: dando sempre la colpa al lupo, il danno risulterà meglio dimostrato,
e quindi l'indennizzo sarà più probabile.
Anche
i ridicoli piani di abbattimento d'un certo numero di lupi, in base a programmi
redatti a tavolino da baronìe accademiche furbastre a caccia di finanziamenti,
non farebbero che aggravare la situazione, disgregando i branchi, isolando gli
individui subadulti e provocando tra i sopravvissuti maggior riproduzione, o
addirittura causando occasionali fenomeni di ibridazione.
Resta
tuttavia difficile comprendere come mai istituzioni, parchi, riserve,
università, associazioni ambientaliste e media non abbiano mai pensato di
rivolgersi per chiarimenti al Gruppo Lupo Italia, che dispone in proposito
della più ampia esperienza, memoria storica e documentazione, avendo dovuto
affrontare e risolvere per decenni, nel modo più rapido ed efficace, tutti
questi problemi, non certo nuovi né sconosciuti.
Cancellare
la memoria storica, non è certo un mistero, si rivela sempre frutto di
ignoranza e miopia, e fonte di enormi errori che possono portare a conseguenze
disastrose per tutti. Ma nell'Italia oggi in declino, questo sembra purtroppo
un deplorevole costume sempre più diffuso.
Franco
Tassi
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