Renzi
ce l’ha fatta a mettere insieme una risicata fiducia al Senato, nonostante
abbia praticamente preso a schiaffi i senatori (la Annunziata parla di
“provocazione dadaista”). La maggioranza, però, è la stessa che aveva Letta,
niente di più. Della Camera non diciamo: risultato ovvio. I giornali sono tutti
molto freddi per la vaghezza del discorso e il suo stile “informale”. Diversi
sottolineano l’eccessiva propensione alle battute e la strafottenza del gesto:
i plateali sbadigli, il discorso tenendo ostentatamente la mano in tasca ecc.
(peraltro come fece Carlo Scognamiglio nel suo discorso di insediamento come
Presidente del Senato nel 1994). Comunque, in effetti il tono era quello di chi
dice: “Sbrigatevi a votarmi e non fatemi perdere tempo,
bestie!”.
Non
che la maggioranza dei senatori non meriti questo ed altro, ma è scomparsa
l’ultima ombra di rispetto per le istituzioni. In fondo, invertendo il detto
latino, potremmo dire “senatores mali viri, Senatus bona res”. Ma lasciamo
perdere e vediamo al merito: la nota che si coglieva nei commenti giornalistici
era una certa incredulità nei confronti del giovanotto neo Premier, come dire
“Renzi ha vinto, ma non ha convinto”. Lo prendiamo per un segno di scetticismo
di chi sta dietro quelli che scrivono: i “poteri forti” (ammesso che quelli
italiani si possano ancora definire così) non sembrano puntare granché su
questo governo. E con buona ragione.
Renzi
sta seduto su due sedie: una è la maggioranza (fittizia) con Alfano che gli ha
votato la fiducia e l’altra (quella vera) è con Berlusconi per le riforme
istituzionali. Quanto durerà? Prima o poi una delle due sedie verrà meno e lui
finirà di sedere per terra.
In
secondo luogo: la fiducia si vota a scrutinio palese, per cui i parlamentari si
attengono alle indicazioni di partito, ma su moltissime altre cose si vota a
scrutinio segreto, in particolare sulle riforme istituzionali e lì faremo la
conta vera.
E
questo discorso vale in particolare per il Pd, dove Letta, Civati, Bersani,
D’Alema si divertiranno a fare “lo schiaffo del soldato” con Renzi.
Ci
sono poi valutazioni di politica estera di cui ci occuperemo a breve e che
ripetono la situazione di “doppia maggioranza”.
Poi,
la squadra dei ministri sembra la “Corrida” di Corrado: dilettanti allo
sbaraglio. Largo ai giovani, per carità, non saremo mai troppo contenti della
scomparsa dei vecchi tromboni e diamo anche per scontato che il rinnovamento
comporta anche rapide ascese di sconosciuti. Va bene, ma, insomma, ci vuole
almeno qualcuno che abbia fatto qualcosina prima di diventare ministro. Questi
da dove escono, dall’uovo di Pasqua? Va bene, staremo a vedere senza pregiudizi
cosa sanno fare almeno sul piano amministrativo (su quello politico non ci
facciamo nessuna illusione).
Infine,
il discorso ha prospettato cose di buon senso come la riduzione delle tasse sul
lavoro e il saldo dei debiti della Pa con le aziende, ma senza dire dove si
troveranno i soldi per farlo, per il resto belle frasi (“c’è bisogno di sogni e
di coraggio” ecc.) ma poco di concreto.
Insomma,
tutto ha un’aria di estrema precarietà, improvvisazione, scarsa credibilità,
come un castello di carte tenuto insieme con lo sputo.
Civati
è stato quello che lo ha avvertito più acutamente degli altri, poi alla fine si
è piegato anche lui per evitare di dover uscire dal partito. Lo capisco, forse
una scissione a freddo ora, a tre mesi dalla Europee (quando la scelta sarebbe
stata non presentarsi e, di fatto, autoescludersi o presentarsi a fare una cosa
affrettatissima) sarebbe stato un passo falso. Ma non è neppure questa una
soluzione che può durare, perché, se Renzi riesce nel suo tentativo e mette
radici, trasformerà il Pd in un “partito del leader” esattamente come Forza
Italia, e non ci sarà spazio per nessun
altro, da Letta a D’Alema a Civati, appunto. Se invece dovesse fallire, non so
se ci sarà ancora un Pd in cui militare in attesa di tempi migliori. Saremmo ai
titoli di coda.
Però
attenti: Renzi non va preso sotto gamba. Non credo che il suo governo possa
durare a lungo, ma il piano potrebbe essere diverso da quello dichiarato di
durare. Immaginiamo questo scenario:
a-
Renzi fa rapidamente alcune cose di facile consenso del tipo sbattere fuori i
consiglieri di Stato-consulenti strapagati (bisogna riconoscere che è una idea
ottima, perché questa cosa è uno scandalo), distribuisce in due mesi un po’ di
soldi alle aziende creditrici della Pa, tassa qualche titolo finanziario
speculativo e alleggerisce le tasse sul lavoro. Ribadisce il suo forte tasso di
informalità: tutto mirato solo a riassorbire almeno parte della protesta ora
andata al M5s (quel che basta a portarlo al fatidico 37%)
b-
Nello stesso tempo, vara questo orrore di legge elettorale che gli
assicurerebbe la maggioranza assoluta alla Camera
c-
Poi va al Senato dove, presumibilmente, la sua proposta di abrogazione viene
bocciata con un voto bulgaro. E questa sarebbe la vera mossa calcolata, che
spiegherebbe anche la “provocazione dadaista” di qualche giorno fa, fatta
proprio per spingere i senatori a votargli contro. A quel punto monta
l’indignazione contro la Casata che, come al solito, non vuole rinunciare a
nulla e lui cavalca l’ondata di protesta, dimettendosi ed imponendo nuove
elezioni, dove ci va come “quello che stava facendo le cose giuste ed è stato
bloccato dai soliti politici”. Beninteso: con liste tutte di amici suoi e dopo
aver massacrato bersaniani, cuperliani, civatiani, lettiani, dalemiani ed ogni
qual si voglia oppositore. Alla Camera avrebbe ottime probabilità di farcela,
al Senato probabilmente non avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi (lì si
dovrebbe votare con il proporzionale) ma il clamoroso successo alla Camera lo
metterebbe in condizioni di forza tali da domare anche la riottosa assemblea di
Palazzo Madama: magari sciogliendo quella sola e ripetendo le elezioni
all’insegna della “governabilità”, magari con una legge elettorale ad hoc.
A
quel punto avrebbe tagliato le unghie agli oppositori interni, disporrebbe di
una maggioranza solida alla Camera, metterebbe il Senato in ginocchio e sarebbe
anche in grado di imporre le dimissioni a Napolitano ed eleggere un nuovo
Presidente di suo gradimento. E forse sarebbe anche in grado di operare una
radicale riforma Costituzionale.
A
quel punto inizierebbe il vero governo Renzi di cui, questo attuale, è solo un
modesto battistrada, con una sola vera operazione politica da fare: le nomine
negli enti pubblici da inzeppare di fedelissimi.
E
se le cose andassero davvero così, saremmo davvero al regime.
Aldo
Giannuli