Cambia
il direttore d’orchestra, cambia l’età, cambia l’accento, ma il refrain è
sempre lo stesso.
Ma
vogliamo dirlo una volta per tutte che quella delle privatizzazioni è un
puttanata e un imbroglio bello e buono cantato e ricantato continuamente ai
poveri gonzi che bevono tutto da complici o stupidi interpreti di interessi
propri o altrui.
Non
c’è bisogno di chissà quali analisi o statistiche per sostenere ciò, basta un
minimo di informazione e serenità di giudizio. Dagli anni ’90 in poi sono state
privatizzate via via le grandi aziende pubbliche: dalle FS, alle PT, alla
Telecom, alla Società Autostrade, all’Alitalia, all’ ENI, alle Aziende
pubbliche erogatrici di gas e energia sino ad arrivare addirittura a
quelle dell’acqua. Per arrivare infine
alle centinaia di aziende a partecipazione statale figlie di quel miracolo
economico e di genio italico che era stato l’IRI.
Più
di un milione di posti di lavoro persi, a fronte di poche decine di migliaia di
assunzioni con contratti a tempo determinato e precario. Centinaia di milioni
di euro tolti dal circuito della spesa e dei consumi in nome del risanamento
finanziario.
Il
risultato lo abbiamo tutti sotto gli occhi: il debito pubblico è aumentato a
dismisura in maniera esponenzialmente maggiore rispetto il periodo
pre-dismissioni, il grande capitale finanziario e non, ha aumentato in egual
misura i propri profitti. La politica, quella nobile arte del confronto e
dell’interesse collettivo, ridotta a fare da zerbino ai potentati economici.
Una nazione e un popolo ridotto allo stremo da questa sciagurata cura
prescritta da medici incapaci o complici.
Allora
forse, non erano i servizi pubblici la causa del deficit, forse non era neanche
l’altro terribile leviatano, il costo del lavoro, la causa della crisi.
Ma
possiamo e dobbiamo ricominciare a dirlo senza vergogna o timore di apparire
demodè, la responsabilità prima e unica della crisi, del debito, delle
ingiustizie, delle disuguaglianze è il sistema capitalista soprattutto nella
sua ultima versione più cinica e spietata, quella liberista finanziaria.
Essere
di sinistra, anche non- o post-o neo-comunista vuol dire soprattutto essere
anti capitalisti. Identificando nel principio base di tale sistema, lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, attraverso la competizione indotta e mirata
al raggiungimento del più alto profitto personale l’alfa e l’omega delle
storture e delle ingiustizie della
moderna società..
Non
riconoscere più questo ha portato a una lettura della realtà attraverso le
lenti del pensiero unico con il bel risultato di non essere più in grado di
decodificarla e, quindi, dando per scontato che, questa, sia l’unica,
immodificabile e possibile.
La
politica, quella bella, nobile deve dare soluzioni non limitarsi a dare nome ai
problemi, o a fare il contabile amministratore di condominio, per quello ci
sono i ragionieri.
La
politica deve disegnare progetti, deve ritrovare la capacità di far sognare,
deve far sedere di nuovo intorno al tavolo del possibile l’utopia, la poesia e
il sano risentimento sociale, e deve farlo in fretta. Il potente può
permettersi di aspettare, il diseredato, il disoccupato, il giovane precario,
non possono permetterselo, il tempo nell’arco della vita dei singoli non può
essere parametrata con i tempi dei massimi sistemi.
Se
non si è più in grado di fare questo, vi prego toglietevi dai piedi, mettete su
una bella bocciofila organizzate gite sociali, ma non vi occupate più della
cosa pubblica. Non nascondete dietro paroloni e concetti astrusi il vostro
personale interesse o la vostra incapacità. Sapete? Si riesce a vivere
benissimo anche senza tromboni e soloni e anche voi vivreste meglio non dovendo
più sacrificarvi per noi.
Ad
maiora
MIZIO
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