Viviamo
immersi nella retorica, la retorica della buona politica, della buona scuola,
del buon lavoro, della crisi che non è solo economica ma di valori.
Ci
immergiamo nella retorica e ci adagiamo come fossimo nella piscina dell’acqua
miracolosa di Lourdes, trovando in essa se non la soluzione ai problemi,
comunque un temporaneo sollievo che ci conferma ancor di più la bontà della
cosa.
La
retorica è consolatoria, ci permette di trovare sempre e comunque un habitat
idoneo in cui trovare conferma alle nostre convinzioni e di identificare
chiaramente il nemico o avversario. Nemico che, quasi sempre non è diverso da
noi seppur immerso in una retorica di stampo differente: “La retorica, a quanto
pare, è artefice di quella persuasione che induce a credere ma che non insegna
nulla intorno al giusto e all'ingiusto” (Socrate).
Il
giusto e non giusto sono le uniche categorie che l’essere umano da qualsiasi
punto parta può e dovrebbe considerare discriminanti. La retorica fine a se
stessa è spesso autocelebrativa e induce a valutare il mondo intorno in maniera
manichea e limitata. Scompaiono i chiaroscuri, i dubbi, le incertezze,
rimangono le convinzioni, i giudizi tranchant, che non lasciano spazio ad altro
che alla propria visione. Di retorica è imbevuta la storia dell’uomo fin dagli
albori, raccontati, spiegati in modo romanzato e inverosimile con la storiella
di Adamo ed Eva o similari ma, comunemente accettato per secoli, in nome del conformismo.
Ecco
l’altro frutto della retorica: Il conformismo, che non è solo quello della
massa ignorante veicolata e inconsapevole di esserlo (ovviamente il più insidioso),
ma anche dell’esatto contrario quando, da parte di minoranze, orgogliose di
esserlo, ci si aggrappa in maniera quasi disperata alla propria visione, frutto
spesso di letture di vita ed esperienze del tutto soggettive e non la si mette
in discussione per timore di compromettersi ed essere giudicato, o
autogiudicato.
"Non
sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso" (cit.Pietro
Ingrao) l’eretico, che sosteneva la necessità di prendere atto d'un cambiamento
necessario in quel momento storico.
Ecco
l’ antitodo alla retorica e al conformismo: l’eresia, quella lucida, ragionata,
ostinata nella ricerca del meglio a prescindere e non per salvare sè o la
propria coscienza.
“…andare
a un'alleanza non già fra Pci e Psi ma con le sinistre dei socialisti e dei cattolici,
politiche e sindacali….” Quando Ingrao disse nella direzione nazionale del PCI
nel 1969 queste parole sapeva di uscire dall’ortodossia e dalla retorica del “il
partito ha sempre ragione” ma, grazie a quelle parole e a ciò che hanno
comportato, il partito stesso e coloro che ne erano rappresentati scrissero alcune
delle pagine più belle, anche se tormentate, della storia del movimento operaio
italiano.
La
retorica e il suo figlio legittimo il conformismo (che può essere di vari
colori anche se in genere ne vediamo uno solo) sono il freno più potente alla
storia e al progresso umano. Compito dell’essere umano illuminato, o che si
ritenga tale, è il mettersi in discussione sempre. E’ fare dell’esercizio
critico e dell’eresia il proprio modus vivendi e operandi. Solo così potremo
chiedere ad altri di essere diversi e convincerli della necessità del
cambiamento, perché, solo così, saremo capaci di dimostrare praticamente la non
sudditanza ad un pensiero unico sia esso
piattamente maggioritario o orgogliosamente minoritario.
La
vita, la ricerca della giustizia sono cantieri aperti, sono viaggi nell’ignoto
senza nessuna di quelle certezze che la retorica rende consolatorie nell’affrontare
il mare aperto su rotte e itinerari prefissati.
Il
coraggio si dimostra anche nel rischiare di incorrere nell’errore e nella
perdita della rotta, ma potendo sempre dire di averci comunque provato. Il
rimanere in porto per paura o convenienza ci avrebbe messo al sicuro da errori
e delusioni, ma avremmo mancato, magari per l’ennesima volta, l’occasione con
la storia per vedere se ci sono nuove terre e nuovi mondi.
Ad
maiora
MIZIO
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