Negli
ultimi tempi grazie alla crisi economica, alla tolleranza dimostrata da
istituzioni e forze politiche, ad un qualunquismo e ad un’ignoranza storica
alimentata ad arte ci sono forze, associazioni e soprattutto molte persone che
si rifanno platealmente e senza infingimenti all’ideologia fascista. Si rimpiange
l’ordine dell’epoca contrapposto al caos attuale, si rimpiange l’autarchia
materiale e di pensiero si rimpiange l’idea di un uomo solo al comando. Si
favoleggia di una grandezza materiale e ideologica persa dall’Italia. Dio
patria e famiglia tornano ad essere i valori cardine su cui fondare una nuova
società. Quindi fuori tutti
e tutto ciò che in qualche misura rende
complessa la convivenza. D’altra parte molti dicono e ripetono che il fascismo
tutto sommato è una visione della società come qualsiasi altra e in democrazia
tutte le idee devono e possono essere rappresentate. A me questi concetti,
espressi spesso anche in buona fede e senza dover ricorre ai principi della
nostra Costituzione e all’apologia che è un reato, fanno venire semplicemente l’orticaria.
Senza andare troppo nell’analisi del rapporto, ad esempio, tra fascismo e
capitale, tra interessi speculativi della grande imprenditoria e dei
latifondisti dell’epoca a danno e scapito dei lavoratori e della piccola
mezzadria agricola, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti di vita vissuta.
Ovviamente
non sono episodi riportati nei libri di storia, fanno parte di quelle
narrazioni minori che rimangono nell’ambito delle mura domestiche e che segnano
la vita dei singoli e al pari degli episodi di maggiore valenza e impatto mediatico.
Mio
nonno Carmine, dopo aver servito la patria nella grande guerra si trasferisce
dal piccolo paese alle pendici dell’Aspromonte, nella grande città alla ricerca
di fortuna per sé e per i figli che sarebbero venuti. Grazie ai servigi prestati
alla patria trova lavoro come impiegato nelle poste dell’epoca. Al tempo non
erano moltissimi coloro in grado di saper leggere e scrivere correttamente. Una
speranza e un riconoscimento che lo rendevano
orgoglioso e soddisfatto della scelta fatta. Lui socialista combattuto tra
interventismo e pacifismo si avvicina al neonato partito Comunista affascinato
dalle meravigliose notizie che arrivavano dall’unione Sovietica che, sembravano
dimostrare, che il paradiso in terra era possibile anche per i poveri diavoli
sfruttati.
In
Italia, invece, un altro ex socialista arringava le folle approfittando dell’incapacità
delle forze politiche dell’epoca. Il 31 ottobre 1922 Mussolini veniva nominato
Capo del Governo.
Da
quel momento tutto cambiò. Per i dipendenti pubblici venne resa obbligatoria l’iscrizione
al partito fascista.
Ovviamente
il buon Carmine non capiva e non volle prenderla ignorando che quella scelta avrebbe
segnato la sua vita e quella della sua famiglia. Fu, ovviamente, licenziato e dovette
vivere di espedienti e piccoli lavoretti. Lui e sua moglie si dovettero
abituare alle irruzioni notturne della milizia alla ricerca di armi e prove inesistenti
di attività antifasciste. Cominciò a fare avanti e indietro con il carcere di
via Tasso dove veniva tenuto alcuni giorni e sottoposto più volte alla cura
dell’olio di ricino e di qualche patriottica manganellata. Si salvò per fortuna
e casualmente, per pochi giorni, dall’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Nel
frattempo nascevano e crescevano i figli tra cui la seconda, Gioconda, che
divenne in seguito mia madre. Lei e il
fratello maggiore Angelo non furono accettati nella scuola pubblica in quanto
figli di antifascisti. Dovettero imparare a leggere e scrivere in casa, grazie
alla pazienza e alle limitate possibilità dei genitori. Vent’anni di stenti, di
ingiustizie, di persecuzioni riscattate dalla partecipazione alla liberazione di
Roma e, dopo la fine della guerra, dal poter riprendere il suo lavoro alle
Poste. Ma i danni e le cicatrici rimasero a lungo, soprattutto per quei due
figli maggiori, rimasti segnati tutta la vita da quegli accadimenti.
Quindi
ecco, sinteticamente spiegato, al di là, delle motivazioni etiche, morali o
politiche la mia totale e viscerale avversione a qualsiasi riferimento a ideologie
fasciste o nostalgiche. Il presunto ordine di quei tempi (in gran parte dovuto
alle caratteristiche dell’ epoca) era pagato con la privazione della libertà e
il non accesso ai bisogni primari di migliaia di persone. L’emarginazione
sociale fin da piccoli, la discriminazione razziale fino ad arrivare ai crimini
di guerra sono state le bollette da pagare in nome della retorica dei treni che
arrivavano in orario. Tutto questo pone il fascismo al di fuori delle logiche e
delle regole della democrazia, quindi, usare la stessa per giustificarne la
presenza è perlomeno offensivo e pretestuoso.
Concludo
con un invito, rivolto soprattutto ai più giovani, a non giocare e non
mitizzare figure e ideologie che rappresentano uno dei punti più bassi della
storia dell’umanità e del nostro paese. La rabbia, il risentimento, la ricerca
della giustizia non sono mai passate e mai lo potranno, attraverso l’esaltazione
di idee fasciste, razziste che trasformano una comprensibile e magari giusta rivendicazione, in un’istigazione all’odio e
alla violenza.
Ad
maiora
MIZIO