E’
di qualche giorno fa la caporetto dell’aeroporto di Fiumicino dopo l’ incendio
di qualche mese fa che ancora ne rende inagibile una parte è arrivato
l’incendio della pineta circostante e a seguire un corto circuito che hanno mandato
in tilt l’aerostazione per due giorni. Senza voler fare dietrologia sembrerebbe
ci possa essere un nesso tra queste casuali disgrazie, il futuro dell’aeroporto
e le traversie del sindaco di Roma Marino. Però non è di questo che vorrei
parlare, altri lo hanno fatto e lo faranno con una dovizia e accuratezza di
particolari sicuramente superiore alla mia. Mi vorrei soffermare su quelle reazioni emotive esagerate che alla fin fine
hanno individuato nel personale presente a terra il responsabile dei disservizi.
Aggressioni verbali e fisiche, ingiurie, minacce e chi più ne ha più ne metta.
Reazioni che ormai non fanno più notizia in altri settori (vedi nei servizi di
trasporto pubblico, urbano o ferroviario) dove sembra ormai comunemente
accettato il fatto che l’operatore che si trova di fronte a noi è sicuramente
il responsabile unico meritevole, nella migliore delle ipotesi, di minacce e denuncie
o, nel caso non si vogliano aspettare i lunghi tempi della giustizia, di un
sana e liberatoria “mazziata”.
E’
fine luglio, inizio delle meritate sudate e agognate ferie, si capisce il
disappunto, la contrarietà, il voler cercare spiegazioni e richiedere certezze
a fronte di eventi fastidiosi ma non controllabili e non prevedibili la cui
risoluzione difficilmente può essere data nei tempi e nei modi che si
vorrebbero, tantomeno da parte del singolo operatore presente.
Il
tempo, la fretta che tutto pervade e tutto condiziona ecco la molla che manda
in corto circuito l’impiegato modello, l’insegnante premurosa, il
professionista esemplare trasformandoli in esseri assetati di sangue.
Facciamo
qualche passo indietro, fino a pochi decenni fa la vacanza, il viaggio per
certi ceti sociali era cosa rara, limitata e preziosa. Per i più era normale la
settimana al mare più vicino, magari nella spiaggia libera con partenza la
mattina e rientro la sera con annesse fagottate di cibarie varie.
Oggi
la deregulation, le privatizzazioni, la globalizzazione, la cosiddetta
concorrenza del libero mercato hanno permesso quasi a tutti di trasformarsi, da
frequentatori di “Mappatella beach”, in
trasvolatori oceanici. Biglietti aerei a 10 euro, soggiorni esotici allo stesso
prezzo di una settimana alla pensione “Miramare”. Come lo champagne 3X2 e le
ostriche di allevamento danno l’ebbrezza e l’illusione del lusso low cost.
Tutto
questo viene pagato ovviamente da qualcuno. In primis dai lavoratori delle
suddette aziende in termini economici e di diritti, in seconda battuta dagli
stessi frequentatori con livelli di sicurezza, e di confort ovviamente ridotti.
O si pensa che con dieci euro si riesca a pagare pilota, benzina, tasse
aeroportuali e tutto il resto?
Si
diceva il tempo. E’ diventato l’ossessione dei nostri giorni. Lo scatenato e
aggressivo trasvolatore low cost è così rabbioso, perchè anche lui,
probabilmente, nel suo mondo, nel suo
lavoro è sottoposto allo stesso stress. Costretto a lavorare sempre di più per
guadagnare, magari, sempre meno, per cui quella settimana da similricco, lo deve ripagare, al pari di novello Fantozzi,
di tutte le umiliazioni e di tutti i sacrifici effettuati durante l’anno e
quindi al diavolo chiunque si metta di traverso.
Molto
spesso in lui coabita anche il viaggiatore compulsivo, quello che, grazie
all’abbattimento dei costi (abbiamo visto ottenuti con quali mezzi) vive con la
cartina del mondo costantemente spiegata davanti alla ricerca continua del
luogo, della meta più sperduta e originale, ovviamente sempre a basso costo.
Alla fine, come in tutte le cose, si diventa schiavi di un mondo virtuale in
cui si perde di vista quello che dovrebbe essere il primo e più importante
aspetto del viaggio: il piacere della scoperta, la meraviglia, l’assaporare
lentamente i colori i sapori gli odori che il mondo ci propone, per finire a
collezionare luoghi come una volta si collezionavano le cartoline
Ricordo
la meraviglia, il piacere provato in un viaggio da Roma a Fiuggi con la vecchia
ferrovia ormai abbandonata da decenni. Quattro ore di viaggio, un’enormità per
poche decine di chilometri, ora con lo stesso tempo si va a Londra , Mosca e
quasi a New York. La lentezza, lo sferragliare di quel trenino che si
arrampicava, i dialoghi rilassati e rilassanti con i pochi viaggiatori presenti. A distanza di molti
anni ricordo tutti i particolari con la stessa nitidezza quasi fosse successo
appena ieri, ecco il vantaggio di averli vissuti lentamente.
Tra
le tante cose cui dovremmo cominciare ad opporci è il furto del nostro tempo,
della nostra vita. Rivolgiamo la nostra rabbia il nostro risentimento contro
chi ci opprime con leggi e regole fatte ad uso e consumo di speculatori e
padroni senza scrupoli.
Non
è, e non può essere, il lavoratore il mio nemico, non può esserlo neanche
l’anziano o il giovane, tantomeno lo straniero o il povero.
L’avversario
è la vita che ci sfugge tra impegni, appuntamenti, doveri imposti dal nostro
spaventoso modo di vivere. Per dilatare artificiosamente i bisogni abbiamo
costretto migliaia di persone a lavorare di notte, la domenica, le feste per
poter garantire ad altri l’illusione di partecipare a questa grande kermesse
consumistica (di valori e di tempo prima che di cose).
E’
il tempo di fermarsi a riflettere. Dove stiamo andando così di corsa? A cosa
serve scimmiottare stili di vita da presunti vip se questo ci rende ciechi,
sordi, insensibili rispetto i nostri simili al punto da individuarli come nemici?
Questi
non sono discorsi di destra o sinistra, sono dettati da semplice buonsenso e che pongono un’altrettanto semplice
domanda: quanto potremo sopportare questa disumanizzazione portata all’estremo in nome del profitto,
della distruzione del pianeta a scapito del rispetto e del benessere collettivo?
Anche
la sinistra richiede, rincorre, auspica la crescita. Ma crescita di cosa? Dei
consumi? Della competizione tra esseri umani? Del lavorare sempre di più con sempre
meno diritti per garantirsi, forse, i più fortunati, una settimana di vacanza
low cost in posti esotici dove saremo serviti da altri esseri umani sottopagati
e sfruttati per bisogno?
Vivere
lentamente, lavorare tutti per lavorare meno e meglio. La ricerca, il progresso
indirizzate a questo obiettivo prima che al solo profitto. Su questo sono molte
le domande da farci e ancora di più le risposte che dovremo darci. Quando si
parla di cambiamento, di alternativa non può e non deve essere solo una
questione di nomi e schieramenti, deve essere un progetto culturale prima che
politico complessivo di ripensamento del nostro modo di vivere.
Riconoscere
la causa prima che ci fa diversi e distinti per riscoprire tutto quello (ed è
molto di più) che ci rende simili per cambiare e abbattere un sistema suicida, sbagliato ancor prima che
ingiusto.
Ad
maiora
MIZIO
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