Non
è certo tempo di consuntivi, ovviamente, ma pare che la necessità impellente
manifestata da molti, della costituzione di un soggetto unico a sinistra, si
presenti con maggiore difficoltà rispetto il previsto. Si pensava che
l’esperienza greca, quella spagnola, la deriva liberista del centrosinistra e
del Pd favorissero la riappropriazione di spazi più consoni da parte di forze
con un substrato ideale e sociale simile, che potessero essere superate quelle
posizioni verticistiche utili più a magnificare le proprie qualità e velleità
che ad aggregare e promuovere soluzioni. Si parla di disagio sociale (chiamarla
povertà da quasi fastidio anche a noi) ma non essere tra i poveri nè
fisicamente né propositivamente non ha facilitato certo il rapporto, la funzione di rappresentanza e
difesa che dovrebbe essere scontato e naturale.
Non
si è più presenti fisicamente nelle periferie urbane, si è lasciato il posto a
forze come la Lega e Casa Pound. Nei posti di lavoro si è delegata la
rappresentanza esclusivamente ai sindacati più o meno collusi o depotenziati. Si
demonizzano giustamente, ma senza proporre alternative credibili, le posizioni
di un Salvini, di Grillo di neofascisti più o meno mascherati rimanendo
sterilmente con il cerino in mano acceso dei buoni propositi e dei buoni
sentimenti.
Abbiamo
visto che la demonizzazione dell’avversario da sola non basta e non serve. Serve, invece, esserci nei problemi, serve
proporre alternative percorribili che diano un senso credibile alla critica a
quella demagogia che specula su bisogni e rabbia.
Chi
oggi vive il disagio del non lavoro, della precarietà esistenziale o,
addirittura, quando sconfina nella disperazione assoluta, non può capire le
logiche, argomentate, raffinate motivazioni che rendono necessarie, giuste e
umane le azioni, ad esempio, nei riguardi dei migranti. A parte i soliti
mestatori e speculatori di professione il grosso è rappresentato da un razzismo
che possiamo definire di “necessità” e che ha fin troppo facile presa se
accanto alle doverose misure d’accoglienza non si portano avanti
contestualmente proposte, iniziative e, soprattutto convivenza e presenza tangibile
nei luoghi e nelle problematiche del disagio capace di abbattere le barriere
tra esseri umani. Le lotte per il soddisfacimento dei bisogni primari possono e
devono accomunare disperati nostrani e
stranieri senza competizioni e classifiche, tutte figlie dello stesso cinico
sistema.
Per
troppi anni la politica e i politici di sinistra si sono rinchiusi nei salotti,
nel talkshow, nei convegni e dibattiti ad uso e consumo proprio
autoreferenziandosi a vicenda lasciando sfilacciare lentamente e
progressivamente il rapporto con il proprio habitat naturale. Alcuni convinti che
bastasse una diversa composizione elettorale e la presenza negli organi di
governo per cambiare dall’interno, altri convinti che non si dovesse e non si potesse accettare compromessi
convinti che valga più la propria purezza e identità che la possibilità di
modificare, anche se di poco, in meglio la condizione dei più disagiati.
Per
questo oggi assistiamo ancora a difficoltà di comunicazione tra le varie anime.
Non si è capito che non bisogna e non serve continuare a dialogare tra noi, ne
verrebbe fuori al massimo un riposizionamento in un nuovo soggetto delle stesse
identiche incomprensioni, degli stessi limiti e delle stesse motivazioni che ci
hanno accompagnato sin qui.
Vendola,
Civati, Ferrero, Fassina sono personalità apprezzabili e stimabili per storia e
formazione, ma siamo sicuri che il nuovo possa e debba ripartire dai nomi?
Uno
qualsiasi di questi personaggi che oggi si presenti nelle borgate romane o
nell’hinterland milanese o in qualsiasi altro posto di disagio e precarietà
come pensate che possa venire accolto? Con ovazioni o con il sentirsi rinfacciare
scelte, fallimenti ed errori commessi?
Non
possiamo permettercelo! All’interno di qualunque soggetto vada a formarsi
devono irrompere nuove energie, idee coltivate perché vissute sulla pelle,
personalità che sappiano interpretare i bisogni non perché letti sulle
statistiche Istat ma perché empaticamente fatti propri per storia personale o
scelta.
Qualcuno
in questo ci vedrà del populismo, e in parte forse è vero, ma questi sono tempi
in cui tirare di fioretto non serve a nessuno. Al padre di famiglia licenziato,
al giovane senza futuro, alla donna sfruttata per pochi euro a fare pulizie o
nei campi, agli insegnanti precari servono azioni, identità, obiettivi per cui
lottare e riconoscersi. Riscoprire il valore della lotta per il raggiungimento
di un obiettivo condiviso e non in funzione solo elettorale (anche se
necessario), per ricreare un tessuto connettivo affinchè il disagio e il
problema di uno sia percepito come il disagio e il problema di tutti.
Se
la sinistra sarà in grado, e convintamente, perseguirà questo obiettivo senza
ansie da risultato immediato, credo non sia difficile pronosticare un nuovo e
crescente entusiasmo che ne supporterebbe l’azione.
Se,
al contrario, si risolverà il tutto in una ricerca alchemica in cui fondere proporzionalmente
forze e personalità, pronte magari, al primo stormir di foglie, a rinfacciarsi
reciprocamente errori e scelte, allora saremo costretti a continuare a ricordare
e rimpiangere Berlinguer e Pertini.
Ad
maiora
MIZIO
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