"Spesso ci sono più cose negli spazi bianchi tra le righe, che nelle parole".
Ed
eccoci in piazza, le aspettative non sono molte, come spesso accade
ultimamente, ma c’è sempre quel pizzico di curiosità infantile e un po’
narcisista di vedere quanti siamo. Beh, non moltissimi direi, ma più di quello
che temevo o pensavo.
Cerco
un punto più elevato per uno sguardo d’insieme. La piccola sorpresa sembra
essere che, le teste ancora di colore scuro superano, sia pure non di molto,
quelle grigie o bianche. Non considerate, in quanto difficilmente
classificabili, quelle sprovviste di copertura tricologica.
Fatta
la prima e abituale, operazione di valutazione generale, si passa alla parte
analitica del chi, anziché del quanti.
Però!
Parecchi volti nuovi, la maggioranza, comunque, fa parte della solita compagnia
di giro che si sposta e si ritrova nelle strade, nelle piazze di Roma e, a
volte, anche d’Italia. Presenzialisti, me compreso, della peggiore specie.
Quelli che ancora manifestano un sacro e riverente atteggiamento nei confronti
dei momenti collettivi. Persone che se non dovessero o, non potessero esserci,
avrebbero lo stesso stato d’animo contrito del cattolico cui capitasse di saltare
la messa domenicale. Viverle, respirarne l’aria, l’atmosfera è decisamente
altro rispetto il racconto o commento di terzi sui social.
Potrebbe
piovere, dice qualcuno, ma no, è una nuvola chiara non di pioggia, piuttosto guarda!
Ecco cosa erano quelle strane grida e quel rumore tra i rami. Pappagalli! E pure di quelli belli grossi. Verdi,
gracchianti e veloci nel continuo
spostarsi da un albero all’ altro tra i rami. Che meraviglia! Un
giardino, una piazza romana con i rumori e i colori di una foresta tropicale.
Con
il solito fastidiosissimo fischio iniziale dell’impianto stereo, improvvisamente
parte la musica e soverchia quella, sia pur potente dei verdi acrobati delle
chiome.
E
così tra qualche saluto distratto, un abbraccio con chi non si vede da tempo,
gli incoraggiamenti di turno a qualcuno che deve intervenire, cerco una
postazione da cui poter seguire tranquillamente e con attenzione.
Alla
destra del palco, sembra esserci più spazio, meno movimento e, di conseguenza
più calma,Bene! Mettiamoci qui.
“Oh,
ciao. Si, hai visto? C’è un po’ di gente, pensavo peggio. Dai che ce la faremo.
Se, se vabbè….a dopo”.
Una
postazione laterale rispetto il palco offre svantaggi e vantaggi. Lo svantaggio
è quello di doversi accontentare delle parole e perdere la mimica, spesso più
interessante del discorso, degli oratori. Però, poco male, li conosco quasi
tutti e potrei, di alcuni, quasi anticipare pensieri e gestualità. Invece, il
grande, indubbio vantaggio è quello di avere quasi tutti i presenti schierati
di fronte, consentendomi, così, di osservare reazioni , gesti e attenzione
degli astanti.
Che
magnifico e inutile passatempo quello di guardare il prossimo con occhio
attento, fattosi, col tempo anche esperto, non certo da psicologo ma da curioso
esploratore dell’animo umano. C’è modo
di osservare tanti di quegli stereotipi così frequenti in queste situazioni.
Dal classico compagno barbuto con cappello, occhiali e sigaro, alla compagna,
un tempo femminista militante, oggi madre o nonna con prole o nipoti al
seguito. Segno, anche questo del cinismo dei tempi. Se non hai soldi o nonni
compiacenti non puoi permetterti neanche di allevare figli e, rischi così, di
ritrovarteli al seguito di anziani che giocano ancora alla rivoluzione. Beh,
parlare proprio di rivoluzionari è forse eccessivo, ma indignati permanenti effettivi, senz’altro.
Emerge
qualche giovane volto di ventenne, più numerosi, e meno caratterizzati quelli
dei sedicenti ancora giovani. Insomma, quelli della fascia trenta-quaranta.
In mezzo un ragazzo di colore vende libri di
fiabe africane.
Qualcuno
un po’ più anziano sembra concentrato nell’ascolto ma quello sguardo assorto,
che conosco bene, è la vitrea fissazione tipica della fase di dormiveglia, propedeutica al pisolino pomeridiano.
Beh,
comunque la sensazione è sempre quella di un ritorno a casa. La si ritrova sempre
uguale, con poche o nulle novità. Manca il venditore di giornale, segno dei tempi, ma,
forse , solo perchè è pomeriggio e, comunque ormai, leggono tutti lo smartphone.
Quello
invece, mi sembra di conoscerlo.
Il viso
è familiare.
E,
infatti anche lui sembra mi stia guardando. Distolgo lo sguardo appena questo
si incrocia col suo per evitare inutili imbarazzi e con apparente disinteresse lo
volgo altrove. Altrove, si, ma per un nanosecondo, perché subito torno
distrattamente, e a volo radente, a guardare da quella parte. Beh! Non mi sta
guardando, mi sta proprio fissando. Mi sento, allora, in diritto/dovere di
infischiarmene del bon ton e soffermarmi anch’io a guardare con più attenzione.
Ha più o meno la mia età e, anche per lui, sembra ben portata. Occhiali
leggeri, capelli brizzolati con ancora qualche chiazza scura, preziosi retaggi
di antichi splendori tricologici, vestito casual. E lo conosco, certo che lo
conosco ma, maledizione, non riesco a ricordare quando e dove l’ho visto. Non
sembra un habituè di questi momenti, anche se appare certamente a suo agio, l’avrei
visto senz’altro in altre occasioni e l’avrei ricordato. O, forse, è uno dei
tanti colleghi di lavoro conosciuti nel corso degli anni, o forse un vicino di
casa di quando ero a Roma o forse….boh, non lo ricordo!
Con
un cenno del capo indica un chiosco li affianco, quasi un invito lanciato tra la
folla ma diretto chiaramente a qualcuno in particolare. Chissà con chi ce l’ha.
Sbaglierò
però sembra proprio che continui a guardare me o, perlomeno dalla mia parte.
Ah,
ecco conosce sicuramente questo tizio arrivato appena qui dietro per fumare la
sua sigaretta. E no! Questo non è venuto per fumare in pace, se ne sta proprio
andando nella direzione opposta e lo sconosciuto continua a guardare in serena attesa
di una risposta al suo invito gestuale
Dovrei
forse avvicinarmi o, magari prima con altri cenni, magari casuali, verificare
se il tutto non sia frutto di una mia forzatura fantasiosa.
Alt!
Un momento. E se invece fosse un approccio di altro tipo? Non mi danno certo
fastidio i gay, figuriamoci. Ma comunque, non vorrei dover giustificare il mio
diniego all’interno di un rapporto casuale tra sconosciuti, lasciando i dubbio,
magari che il rifiuto possa riguardare lui e non essere il segnale, invece, di
una mia convinta eterosessualità.
Però
la curiosità è un tarlo che continua a rodermi dentro. Chi è? Mi ha
riconosciuto e io invece ancora no. Non può essere che mi sia dimenticato di
qualcuno che invece, sembra conoscermi bene. O forse no, non è impossibile che
possa accadere.
Ok
rispondo! Ho deciso! Un breve cenno con la mano pronto, eventualmente, a trasformarlo
in un gesto casuale di tutt’altro significato. Lui, invece coglie l’attimo si
alza e mi fa segno di seguirlo in quel chioschetto un po’ discosto dalla calca.
Va
bene, siamo tra gente di sinistra, tra compagni, se dovessi essere messo in
condizione di spiegare potrei farlo sapendo di trovare comprensione. E
comunque, ormai la curiosità mi sta divorando come una scimmia.
“Ciao”
e allunga la mano per stringere la mia.
“Ciao,
scusami, ma ci conosciamo?”
“Direi
proprio di si! Accomodati e parliamone”. “Dopo di te”, “Non sia mai, prego” “Ok
sediamoci contemporaneamente”
Da
vicino è ancora più forte la sensazione di familiarità .
Passa
un compagno e ci guarda con un curioso e prolungato sguardo. Avrò, forse,
qualcosa fuori posto? E il pensiero corre alla patta dei pantaloni. Magari è
aperta. Un rapido controllo effettuato con noncuranza mi assicura che da quelle
parti tutto è in ordine.
Ci
sediamo. Il cameriere si avvicina, “Che prendi?” “Un caffè grazie”, “Ci avrei
giurato! Sei noiosamente prevedibile. Caffè anche per me”.
Andiamo
bene! Pure presuntuoso e prevenuto.
“Hai
detto di conoscermi. Com’è possibile, visto che io, pur avendo una
strana sensazione di deja vù, in realtà non mi ricordo assolutamente di
qualcosa che mi possa collegare a te”
“E’
tutto molto semplice. Ci conosciamo da tanto, tanto tempo. Praticamente da
sempre. Non ti ricordi? Ero con te quando nei prati intorno San Policarpo quel
ragazzotto, Lorenzo si chiamava, voleva distruggere il campo di calcio che tu e
i tuoi amici avevate costruito con tanta fatica e di cui andavate giustamente
fieri. Non ci hai pensato un attimo a difendere il tuo e loro lavoro, e le hai
buscate. Tu, a quei tempi, così piccolo e gracile. Ricordi, ti chiamavano
cardillo? E, poi, non sei mai stato un violento, la tua mitezza di faceva
rifuggire dal fare a botte. Ma lo hai fatto lo stesso per difendere il lavoro e
la fatica di tanti ragazzini. Io ero lì a dirti che, la cosa, anche se, forse,
non era la più giusta, mi rendeva, comunque, orgoglioso e fiero di te”
“Si,
ricordo la questione, Lorenzo era decisamente più grande e forte di me. Ma tu
allora eri uno dei ragazzi con cui giocavo al calcio? Come ti chiami?”
“Ogni
cosa a suo tempo, non è importante il mio nome, quanto quello che tu hai fatto
da allora in poi”
Intanto
arrivano i caffè, sorseggio il mio con consumata lentezza persino eccessiva, ma necessaria
per raccogliere un po’ le idee. A questo
punto, decisamente, più confuse che mai.
Per
quanti sforzi facessi, non riuscivo a inquadrare il mio occasionale
interlocutore in alcun momento significativo della vita. Ma forse, dipende
tutto dal numero di anni trascorsi.
Adesso
mi dirà come si chiama e tutto sarà più chiaro.
Certo
che per essere una conoscenza di così vecchia data, ha una memoria di ferro e
una capacità di fisiognomica ancora più stupefacente. Come mi ha riconosciuto
dopo tanto tempo?
“Ero
con te” riprese il discorso senza darmi la possibilità di chiedere ancora, ”quando
arrivò da voi Don Roberto. Ricordi che tempesta emotiva ed esistenziale fu per
te e per gli altri ragazzi della Scuola 725?”, “Certo che lo ricordo, e come
potrei dimenticarlo, uno degli incontri più importanti della mia vita. Crebbi
più in quei pochi, ma decisivi anni,
che, probabilmente, in tutto il resto della mia esistenza. Ah ecco allora dove
ci siamo visti. C’eri anche tu!”
“Ovvio
che c’ero. Io c’ero e ci sono sempre stato dove eri tu. Anche adesso sono qui. non
lo vedi?” “Scusami non ti seguo. Come c’eri sempre. Mi hai pedinato? E a che
scopo, non mi sembra che la mia vita sia stata così interessante da meritare
attenzioni costanti. E poi, ti ripeto, è
vero che mi sembra di conoscerti, ma non ricordo assolutamente nulla che ti
riguardi. Se fosse come dici tu dovrei rammentarmi qualcosa, almeno un
fotogramma. Invece niente, zero assoluto”.
“Se
invece di fare continue domande a me, cominciassi a porne qualcuna a te stesso,
forse potresti avere più chiaro chi sono. O, per dire meglio, chi sei tu.
Ricordi i momenti di dolore, di frustrazione, di paura di tormento che hai
attraversato? Ma anche quelli di gioia, di speranza di entusiasmo. Bene sappi
che li abbiamo tutti vissuti insieme. E, a volte, anche se raramente ti sei
anche ricordato di me e, ancora più raramente hai provato ad ascoltarmi”.
A
questo punto cominciai, sinceramente anche ad avere un po’ di timore. Che razza
di discorsi sta facendo. Matto non sembra, perlomeno non del tutto, visto che
sa troppe cose vere sul mio conto. Cose che io stesso avevo quasi dimenticato.
Perché non mi dice chiaramente chi è. Così la facciamo finita con questa
commedia che sta rasentando l’assurdo. E, a questo punto, credo di aver diritto
di sapere anche cosa vuole.
“Senti
dimmi chi o cosa sei. Sei forse uno di quelle persone che vanno in giro
affermando di essere dotate di poteri paranormali? Hai attinto, non so come,
alcune informazioni su di me e adesso vuoi magari, predirmi il futuro, per
spillarmi soldi? Sappi che non ci casco. Soldi non ne ho molti e quei pochi
servono a me e alla mia famiglia. Figurati se li butto con un ciarlatano.”
“Ahahahah,
sapessi quanto sei ridicolo. Ma ti pare che non sappia che non sei ricco e come
tu sia molto critico, se non di più, su certe cose. Ma dai! Te l’ho detto, ma
forse, non ascolti io sono con te da sempre, ci sarò per sempre e ti conosco
più di quanto possa conoscerti te stesso”.
“E
allora se ci sei da sempre perché sono io a non conoscerti?. Perché non ho
memoria di alcuna cosa vissuta insieme? Dammi qualche spiegazione logica e
valida e poi potremo continuare a parlare. Senno’ tanti saluti… E’ stato un
piacere…..anzi, neanche tanto, e arrivederci”.
“Tranquillo,
tanto sai meglio di me che non lo farai. Vuoi delle risposte? Hai visto come ci
stanno guardando tutti? Non ti sembra che i loro sguardi siano diversi da
quelli, normalmente impalpabili, che si concedono a due amici seduti al bar?”
“E’
vero, questo lo stavo notando anch’io. Eppure non mi sembra di essere
particolarmente eccentrico e, anche la tua, di stranezza, al momento la conosco
solo io. Forse abbiamo alzato un po’ troppo il tono della voce ….si è percepito
qualcosa …o forse….”
“Zitto
un attimo e ascolta. O, meglio guardami. Non noti niente? Occhiali, occhi,
capelli, naso, labbra non ti ricorda nessuno? E la mia voce, il modo di
gesticolare, quei piccoli trascurabili tic non li riconosci? Sai a volte, mi
mangio anch’io le unghie”.
“Perché dovrei guardarti per.....oddio….ma
tu….è vero sembri…….. anzi sei proprio….porca miseria ..ma…tu…sei io. …ecco perchè.....porca miseria. Ma tu, cioè io..cioè io sono…te. No…ma è
impossibile… tu io…. uguale a me….Cavolo!!!”
Qualche secondo, non troppi, in verità, di stupito silenzio. Com’è possibile?.... Ma che siamo gemelli? I miei non mi hanno mai detto nulla in proposito. E’ vero che non parlavano mai volentieri del loro passato ma…forse questa, almeno da grande me l’avrebbero detta. Sei stato forse abbandonato o…venduto da piccolo? O…forse sono stato venduto io?. O mamma, mamma che confusione……”
Qualche secondo, non troppi, in verità, di stupito silenzio. Com’è possibile?.... Ma che siamo gemelli? I miei non mi hanno mai detto nulla in proposito. E’ vero che non parlavano mai volentieri del loro passato ma…forse questa, almeno da grande me l’avrebbero detta. Sei stato forse abbandonato o…venduto da piccolo? O…forse sono stato venduto io?. O mamma, mamma che confusione……”
“Ma
quale venduto, ma quale gemello. Gli studi appassionati che hai portato avanti
per tanti anni. In cui io ti portavo per mano, ti indicavo le letture, ti
procuravo gli incontri giusti, ti ho lasciato persino dei libri sui treni per
farteli trovare “casualmente”. Ero con te quando avesti…, anzi, veramente, ero
io a procurartele, quelle tue strane esperienze. I mille discorsi, i mille
viaggi alla ricerca di quel qualcosa, del tassello che mancava, le situazioni estreme
che ti sconcertavano le hai proprio dimenticate? Eppure ne avevi compreso
molto, ti sentivi persino pronto al grande salto. E sono io che, ti ho impedito
di farlo, perché pronto non lo eri allora e oggi mi stai dimostrando che avevo
ragione, visto che non lo sei neanche adesso.”
“Aspetta
quella notte, quando accadde la prima volte…tu eri lì?” “Ovvio! Anzi non ero
lì, ero te”. “No, aspetta, non correre se tu eri lì ed eri me, io dove ero?”
“Non
ricordi? Ti sei anche spaventato vedendoti nel letto. Dai, possibile che dicevi
di aver capito tutto, e adesso che ne hai la prova vivente davanti a te, dubiti
in questa maniera?”
“Perché
tu non faresti lo stesso? E poi, a cosa dovrei credere? Non sono certo sicuro
di poter serenamente decidere cosa pensare di tutto ciò”
“Hai
ragione. Probabilmente farei lo stesso anche io. Anzi il mio compito primario è
proprio quello di salvarti (o salvarci) da te stesso”.
“E
perché in tutti questi anni non ti sei mai fatto vedere? Se è vero che sei
stato sempre con me, almeno qualche volta avrei dovuto incontrarti”.
“Ragioni
ancora e sempre da stupido, scusami. Hai dimenticato i tre livelli di
percezione? Mi stai dimostrando quanto sia facile far finta di non averli.
Ecco, quando serviva il mio aiuto, io
ero lì nella parte che tu, troppo spesso, trascuravi. Non perché non sia
giustificabile la tua disattenzione. La vita oggi è tremendamente complicata e
impegnativa, soprattutto quando ti senti addosso responsabilità e oneri di
altre persone care. So benissimo quali e quante prove tu abbia dovuto superare.
Ma ogni volta che stavi per cadere io ero lì e ti mostravo una potenziale via
d’uscita. Non risolutiva, che quello era compito solo tuo, ma sufficiente a
farti rialzare da terra. Non ho mai permesso che ti abbandonassi alla
disperazione. Quante volte hai detto a te e agli altri: ”Per fortuna che
proprio in quel momento…..” Ecco quel momento te lo preparavo io, sperando che
tu fossi in grado coglierlo. E finora devo dire, l’hai, quasi sempre , saputo
cogliere. Ecco adesso che, forse il tutto ti è un po’ più chiaro. Vuoi dirmi
qualcosa tu?”
“E
che dovrei dirti. Io sono qui, tranquillo, convinto di partecipare ad una delle
tante manifestazioni, forse inutili, ma che mi fanno sentire a mio agio
e…arrivi tu a scombussolare tutto il mio lato razionale e logico faticosamente
costruito per centrifugarmi neuroni, sentimenti e certezze. Sei forse quello che
i cristiani chiamano angelo custode o quello che gli spiritualisti chiamano
spirito guida?”
“Ma
quale angelo custode, quale spirito. Ti ho detto e ripetuto che io sono te. Non
sono esterno a te. Sono con te e in te. Tu non saresti completo senza di me e
io senza di te. Senza l’uno e l’altro, semplicemente non saremmo. Siamo nati
insieme frutto del desiderio di due esseri umani e della legge universale che
tende alla completezza e alla perfezione evolutiva. Tu non eri, io non ero,
insieme siamo. Le religioni mi chiamano anima, corpo astrale, eterico. La
scienza mi definisce inconscio, Es, Io, Super io, la stragrande maggioranza mi
identifica genericamente come coscienza. E, detto fra noi, è la definizione che
preferisco. Decisamente più laica, più libera meno soggetta a dogmi, precetti o
contestazioni con disquisizioni tanto prolisse e dotte, quanto noiose e inutili.
Come anima o spirito guida in questo ambiente di miscredenti, prevenuti a
prescindere, ci starei a disagio. Come coscienza è il mio, o meglio, il nostro
habitat naturale”.
“Senti,
non so se sto capendo bene quello che sta succedendo. Forse, tra un po’ mi
sveglierò e, magari, avrò dimenticato tutto. Forse è uno di quei sogni lucidi
di cui ho letto qualcosa anni fa. Forse è una qualche forma di follia di cui
non ho cognizione, qualche forma di Alzheimer che si manifesta in forma acuta.
Di una cosa sono sicuro, non ho fatto uso
di droghe o alcool, quindi non è una visione indotta. Forse…..”
“Forse
basta, adesso. Ho già abusato troppo della discrezionalità di cui ho potuto
usufruire per questa occasione. Sappi che non tutti, anzi, pochissimi hanno di
queste opportunità. Dovevo e volevo solo ricordarti che non sei mai solo. Io,
anche se non mi vedrai più, sarò, però, sempre con te e in te. Ti chiedo solo
di ascoltarmi più spesso, sarebbe un bene anche per me. Sai, qualche
gratificazione per il buon lavoro svolto fa bene a tutti. E magari insieme
potremmo fare grandi cose, non credi? Ciao…a risentirci presto,. Ovviamente non
ti dico per ovvi motivi arrivederci. Non ci vedremo più. Almeno in queste
vesti. E’ un momento che dovrai ricordare e farne ciò che vuoi, ma senza
possibilità di replica…..”
“No
aspetta, non puoi andartene così. Ho mille cose da chiederti, mille curiosità,
un milione di dubbi da chiarire”. “Ciao, devo andare…non posso….”
“Fermati….ma
che succede… perché ti stai sbiadendo? Dove vai?”.
“….
E adesso dove sei?....Dai fatti vedere. Sembro scemo a parlare da solo….O forse
lo sono veramente”.
“Oddio
ma che cavolo è successo”.
Intorno
la manifestazione si sta avviando alla conclusione. Siamo agli impegni solenni.
Alla rivendicazione orgogliosa dei propri ideali e io immagino di avere l’aria
stralunata e fessa di un tonno appena pescato.
“Suo
fratello è andato via? Prende qualcos’altro?”
“Mio
fratello? No, guardi non era…” Lasciamo perdere. Troppo complicato
Il
cameriere mi riporta alla realtà e, professionalmente, insensibile mi porge lo
scontrino con il conto.
Due
caffè! Quindi non ho sognato. Qualcuno c’era, qui con me.
E
ha lasciato anche il conto da pagare.
Devo
pensare che la mia coscienza, ammesso sia
stata veramente era lei, ha probabilmente origini scozzesi.
“Tenga
il resto”
“Grazie!" "Buonasera.”
Vabbè,
torno a casa.
O,
forse dovrei dire: torniamo?
“Perchè
vieni anche tu, vero?”
.....E silenzio fu!
MIZIO
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