mercoledì 5 agosto 2015

LA FRETTA E’ DI SINISTRA?


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E’ di qualche giorno fa la caporetto dell’aeroporto di Fiumicino dopo l’ incendio di qualche mese fa che ancora ne rende inagibile una parte è arrivato l’incendio della pineta circostante e a seguire un corto circuito che hanno mandato in tilt l’aerostazione per due giorni. Senza voler fare dietrologia sembrerebbe ci possa essere un nesso tra queste casuali disgrazie, il futuro dell’aeroporto e le traversie del sindaco di Roma Marino. Però non è di questo che vorrei parlare, altri lo hanno fatto e lo faranno con una dovizia e accuratezza di particolari sicuramente superiore alla mia. Mi vorrei soffermare su quelle  reazioni emotive esagerate che alla fin fine hanno individuato nel personale presente a terra il responsabile dei disservizi. Aggressioni verbali e fisiche, ingiurie, minacce e chi più ne ha più ne metta. Reazioni che ormai non fanno più notizia in altri settori (vedi nei servizi di trasporto pubblico, urbano o ferroviario) dove sembra ormai comunemente accettato il fatto che l’operatore che si trova di fronte a noi è sicuramente il responsabile unico meritevole, nella migliore delle ipotesi, di minacce e denuncie o, nel caso non si vogliano aspettare i lunghi tempi della giustizia, di un sana e liberatoria “mazziata”.
E’ fine luglio, inizio delle meritate sudate e agognate ferie, si capisce il disappunto, la contrarietà, il voler cercare spiegazioni e richiedere certezze a fronte di eventi fastidiosi ma non controllabili e non prevedibili la cui risoluzione difficilmente può essere data nei tempi e nei modi che si vorrebbero, tantomeno da parte del singolo operatore presente.
Il tempo, la fretta che tutto pervade e tutto condiziona ecco la molla che manda in corto circuito l’impiegato modello, l’insegnante premurosa, il professionista esemplare trasformandoli in esseri assetati di sangue.
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Facciamo qualche passo indietro, fino a pochi decenni fa la vacanza, il viaggio per certi ceti sociali era cosa rara, limitata e preziosa. Per i più era normale la settimana al mare più vicino, magari nella spiaggia libera con partenza la mattina e rientro la sera con annesse fagottate di cibarie varie.
Oggi la deregulation, le privatizzazioni, la globalizzazione, la cosiddetta concorrenza del libero mercato hanno permesso quasi a tutti di trasformarsi, da frequentatori di “Mappatella beach”,  in trasvolatori oceanici. Biglietti aerei a 10 euro, soggiorni esotici allo stesso prezzo di una settimana alla pensione “Miramare”. Come lo champagne 3X2 e le ostriche di allevamento danno l’ebbrezza e l’illusione  del lusso low cost.
Tutto questo viene pagato ovviamente da qualcuno. In primis dai lavoratori delle suddette aziende in termini economici e di diritti, in seconda battuta dagli stessi frequentatori con livelli di sicurezza, e di confort ovviamente ridotti. O si pensa che con dieci euro si riesca a pagare pilota, benzina, tasse aeroportuali e tutto il resto?
Si diceva il tempo. E’ diventato l’ossessione dei nostri giorni. Lo scatenato e aggressivo trasvolatore low cost è così rabbioso, perchè anche lui, probabilmente,  nel suo mondo, nel suo lavoro è sottoposto allo stesso stress. Costretto a lavorare sempre di più per guadagnare, magari, sempre meno, per cui quella settimana da similricco,  lo deve ripagare, al pari di novello Fantozzi, di tutte le umiliazioni e di tutti i sacrifici effettuati durante l’anno e quindi al diavolo chiunque si metta di traverso.
Molto spesso in lui coabita anche il viaggiatore compulsivo, quello che, grazie all’abbattimento dei costi (abbiamo visto ottenuti con quali mezzi) vive con la cartina del mondo costantemente spiegata davanti alla ricerca continua del luogo, della meta più sperduta e originale, ovviamente sempre a basso costo. Alla fine, come in tutte le cose, si diventa schiavi di un mondo virtuale in cui si perde di vista quello che dovrebbe essere il primo e più importante aspetto del viaggio: il piacere della scoperta, la meraviglia, l’assaporare lentamente i colori i sapori gli odori che il mondo ci propone, per finire a collezionare luoghi come una volta si collezionavano le cartoline
Ricordo la meraviglia, il piacere provato in un viaggio da Roma a Fiuggi con la vecchia ferrovia ormai abbandonata da decenni. Quattro ore di viaggio, un’enormità per poche decine di chilometri, ora con lo stesso tempo si va a Londra , Mosca e quasi a New York. La lentezza, lo sferragliare di quel trenino che si arrampicava, i dialoghi rilassati e rilassanti con i pochi  viaggiatori presenti. A distanza di molti anni ricordo tutti i particolari con la stessa nitidezza quasi fosse successo appena ieri, ecco il vantaggio di averli vissuti lentamente.
Tra le tante cose cui dovremmo cominciare ad opporci è il furto del nostro tempo, della nostra vita. Rivolgiamo la nostra rabbia il nostro risentimento contro chi ci opprime con leggi e regole fatte ad uso e consumo di speculatori e padroni senza scrupoli.
Non è, e non può essere, il lavoratore il mio nemico, non può esserlo neanche l’anziano o il giovane, tantomeno lo straniero o il povero.
L’avversario è la vita che ci sfugge tra impegni, appuntamenti, doveri imposti dal nostro spaventoso modo di vivere. Per dilatare artificiosamente i bisogni abbiamo costretto migliaia di persone a lavorare di notte, la domenica, le feste per poter garantire ad altri l’illusione di partecipare a questa grande kermesse consumistica (di valori e di tempo prima che di cose).
E’ il tempo di fermarsi a riflettere. Dove stiamo andando così di corsa? A cosa serve scimmiottare stili di vita da presunti vip se questo ci rende ciechi, sordi, insensibili rispetto i nostri simili al punto da individuarli come nemici?
Questi non sono discorsi di destra o sinistra, sono dettati da semplice buonsenso  e che pongono un’altrettanto semplice domanda: quanto potremo sopportare questa disumanizzazione  portata all’estremo in nome del profitto, della distruzione del pianeta a scapito del rispetto e del benessere collettivo?
Anche la sinistra richiede, rincorre, auspica la crescita. Ma crescita di cosa? Dei consumi? Della competizione tra esseri umani? Del lavorare sempre di più con sempre meno diritti per garantirsi, forse, i più fortunati, una settimana di vacanza low cost in posti esotici dove saremo serviti da altri esseri umani sottopagati e sfruttati per bisogno?
Vivere lentamente, lavorare tutti per lavorare meno e meglio. La ricerca, il progresso indirizzate a questo obiettivo prima che al solo profitto. Su questo sono molte le domande da farci e ancora di più le risposte che dovremo darci. Quando si parla di cambiamento, di alternativa non può e non deve essere solo una questione di nomi e schieramenti, deve essere un progetto culturale prima che politico complessivo di ripensamento del nostro modo di vivere.
Riconoscere la causa prima che ci fa diversi e distinti per riscoprire tutto quello (ed è molto di più) che ci rende simili per cambiare e abbattere  un sistema suicida, sbagliato ancor prima che ingiusto.

Ad maiora 

MIZIO 

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