Dopo il terremoto del 6 aprile 2009 in Abruzzo, e la condanna all’oblìo perpetuo della città dell’Aquila, destinata a diventare la Pompei del Terzo Millennio - come denuncia chiaramente il suo ultimo abitante che ancora non vuole abbandonare la città, l’insigne storico professor Raffaele Colapietra - le associazioni ambientaliste lanciano oggi un nuovo l’allarme: mascherato da opera benefica, avanza ora silenziosamente un altro sisma devastante, questa volta di origine umana e fortemente voluto da politici, affaristi e costruttori. Un diluvio di cemento gabellato per “opera di bene”, che presto colerà sulle montagne circostanti, dal Gran Sasso al Velino-Sirente.
La soluzione magica di tutti i problemi economici, sociali e urbanistici che affliggono il territorio viene infatti individuata senza esitazione. Si tratta di creare i tanto decantati bacini sciistici: impianti, costruzioni e consumi di territorio nel cuore degli ultimi ambienti naturali finora scampati alla distruzione. Poco importa che si tratti di Parchi Nazionali di grande valore, sottoposti a tutti i vincoli di tutela, nè rileva che – come ormai tutti dovrebbero sapere - l’innevamento della penisola (anche a causa del riscaldamento globale, reso evidente dalla progressiva scomparsa dell’unico ghiacciaio appenninico, il Ghiacciaio del Calderone), non risulta davvero in grado di sostenere attività invernali per prolungati periodi.

Si finge di ignorare ciò che è ormai assodato: e cioè che gli impianti sciistici nell’Appennino costituiscono imprese disastrose sul piano economico, capaci di produrre molti danni paesaggistici, ecologici e ambientali, ma in grado di offrire pochissimi posti di lavoro, e destinate a restare comunque fortemente passive. I ricorrenti fallimenti delle stazioni di Scanno e Pescasseroli, che continuano a divorare fiumi di danaro senza risolvere mai alcun problema, lo dimostrano chiaramente. Nessuno deve fingere di non sapere, e non vedere, che in realtà questi impianti rappresentano veri e propri “specchietti per le allodole” per richiamare un turismo benestante, convincendolo ad acquistare la casa o la villa in montagna. Con un grimaldello del genere, lo scrigno della montagna inviolata potrà essere aperto alla consueta ondata cementizia, edificatoria e speculativa: proprio come è già avvenuto in molte altre località dell’Appennino, vedere per credere.
La domanda che sorge spontanea è quindi una sola, semplice e chiara: perché l’Abruzzo non torna ad essere la Regione Verde dei Parchi? Rilanciandoli davvero, e cercando nell’ambiente, nella sua conservazione e intelligente utilizzazione la risorsa migliore per il proprio futuro… Comprendendo finalmente, nel segno e nel nome dell’Orso marsicano, che la strada maestra per il proprio riscatto è quella della natura.
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