Ecco
la lista delle condizioni che chiede Hamas e la Jihad islamica e provate
onestamente a giudicare se c'è una richiesta ingiusta tra queste
Dopo
che abbiamo detto tutto ciò che c’è da dire sul conto di Hamas – che è
integralista, che è crudele, che non riconosce Israele, che spara sui civili,
che nasconde munizioni dentro le scuole e gli ospedali, che non ha fatto niente
per proteggere la popolazione di Gaza – dopo che è stato detto tutto questo, e
a ragione, dovremmo fermarci un attimo e ascoltare Hamas. Potrebbe perfino
esserci consentito metterci nei suoi panni e forse addirittura apprezzare
l’audacia e la capacità di resistenza di questo nostro acerrimo nemico, in
circostanze durissime.
Invece
Israele preferisce tapparsi le orecchie davanti alle richieste della
controparte, anche quando queste richieste sono giuste e corrispondono agli
interessi sul lungo periodo di Israele stesso. Israele preferisce colpire Hamas
senza pietà e senza alcun altro scopo che la vendetta. Stavolta è
particolarmente chiaro: Israele dice di non voler rovesciare Hamas (perfino
Israele capisce che se lo fa si ritroverà sulla porta di casa la Somalia, altro
che Hamas), ma non è disponibile ad ascoltare le sue richieste. Quelli di Hamas
sono tutti “bestie”? Ammettiamo pure che sia vero, ma tanto lì stanno e lì
restano, e lo pensa anche Israele. Quindi, perché non ascoltarli?
La
settimana scorsa sono state pubblicate, a nome di Hamas e della Jihad islamica,
dieci condizioni per un cessate il fuoco che sarebbe durato dieci anni.
Possiamo anche dubitare che le richieste arrivassero davvero da quelle due
organizzazioni, ma comunque erano una buona base per un accordo. Tra di esse
non ce n’era neanche una che fosse priva di fondamento.
Hamas
e la Jihad islamica chiedono libertà per Gaza. C’è forse una richiesta più
comprensibile e lecita? Senza accettarla non c’è modo di mettere fine
all’attuale ciclo di uccisioni e di evitarne un altro nel giro di pochi mesi.
Nessuna operazione militare – aerea, terrestre o marittima che sia – fornirà
una soluzione. Solo cambiando radicalmente atteggiamento nei confronti di Gaza
si potrà garantire ciò che tutti vogliono, cioè la tranquillità.
Leggete
l’elenco delle richieste e giudicate onestamente se tra di loro ce ne sia anche
una sola ingiusta: ritiro dell’esercito israeliano e autorizzazione dei
coltivatori a lavorare le loro terre fino al muro di sicurezza; scarcerazione
di tutti i prigionieri rilasciati in cambio della liberazione di Gilad Shalit e
poi arrestati; fine dell’assedio e apertura dei valichi; apertura di un porto e
di un aeroporto sotto gestione Onu; ampliamento della zona di pesca;
supervisione internazionale del valico di Rafah; impegno da parte di Israele a
mantenere un cessate il fuoco decennale e chiusura dello spazio aereo di Gaza
ai velivoli israeliani; concessione ai residenti di Gaza di permessi per
visitare Gerusalemme e pregare nella moschea Al Aqsa; impegno da parte di
Israele a non interferire con le decisioni politiche interne dei palestinesi,
vedi la creazione di un governo di unità nazionale; infine, apertura della zona
industriale di Gaza.
Queste
sono condizioni civili, i mezzi per realizzarle sono militari, violenti e
criminali. Ma la verità (amara) è che tutti se ne fregano di Gaza quando non
spara missili contro Israele. Guardate la sorte toccata a quel dirigente
palestinese che ne aveva abbastanza delle violenze, Abu Mazen: Israele ha fatto
tutto quanto in suo potere per distruggerlo. E qual è la triste conclusione?
“Funziona solo la forza”.
A
Gaza – e in minor misura anche in Israele – si sta versando una quantità
terrificante di sangue. Questo sangue è versato invano. Hamas è martellato da
Israele e umiliato dall’Egitto. L’unica possibile soluzione sta nella direzione
esattamente opposta a quella dove sta andando Israele. Un porto a Gaza, così
che possa esportare le sue ottime fragole? Agli israeliani suona come
un’eresia. Qui, ancora una volta, si preferisce il sangue (palestinese) alle
fragole (palestinesi).
Gideon Levy
Editorialista del quotidiano israeliano Haaretz
Gideon Levy
Editorialista del quotidiano israeliano Haaretz