"La semplicità è compagna della verità."
Francesco De Sanctis
Nel precedente post ho parlato della complicazione come uno degli strumenti del
potere per giustificare scelte e legare a sé e al proprio pensiero la maggior
parte delle persone smaniose di allinearsi, convincere e convincersi che il mondo non possa
essere altro che così.
Oggi
voglio spendere due parole su come la complicazione, al pari di un virus ad
alta trasmissibilità, abbia infettato, e non poco, quel mondo a sinistra, che
istituzionalmente avrebbe dovuto rappresentare un’alternativa al modello capitalista.
All’
inizio, parliamo dei secoli IXX e primi decenni
del XX, la lettura della situazione era semplice e non si faceva fatica
a distinguere il giusto dallo sbagliato. Era relativamente facile individuare
il nemico o il proprio compagno.
C’erano
gli sfruttati e poveri da una parte e c’erano i ricchi sfruttatori dall’altra.
Con vari gradi di appartenenza e di situazioni diverse, ma fondamentalmente lo
schema era questo ed era naturale, per chi avesse voglia di impegnarsi e
schierarsi, capire da che parte stare.
In
Italia questa lettura ha dato vita al più grosso fenomeno politico nella
sinistra dell’Europa occidentale: il PCI. Grazie alla presenza di personalità
di eccellente livello culturale e politico (Gramsci, Togliatti, Berlinguer
ecc.), oltre alla presenza e alla lotta contro
un regime fascista che aveva portato l’Italia alla rovina della guerra,
il PCI ha rappresentato per oltre 60 anni un’alternativa credibile e un
riferimento sicuro per chi fosse critico rispetto il sistema. La forza e le lotte che
il Partito, insieme al sindacato, anch’esso chiaramente schierato e non
compromesso, costringevano l’avversario a riconoscere la giustezza delle
richieste o, a piegarsi ad esse, e hanno portato ad un balzo enorme in avanti della
classe operaia in particolare, ma dell’intera società in generale, in termine
di diritti e di benessere. Ovviamente non tutto il merito e non tutto era
dovuto alla presenza del PCI e delle lotte, ma ad una situazione interna e
internazionale, anch’ essa più chiara e definita.
Lo
spettro del comunismo ancora s’aggirava per l’Europa e per il mondo e non solo
in Italia, grazie alla presenza dell’Unione Sovietica, della Cina, di Cuba e di
decine di altri movimenti d’ispirazione marxista in Asia, in America Latina e
persino in Africa.
Ma
ritornando alle cose di casa nostra negli anni ’70, qualcosa comincia a
cambiare, le assemblee, le riunioni cominciano a vedere la sempre più numerosa
presenza di studenti e pseudointellettuali traghettatisi nel movimento dal loro mondo borghese, che venivano a portare il verbo
alla base operaia, ignorante, per definizione. Cominciò una complessa fase di
analisi col microscopio delle parole e delle posizioni espresse e il relativo
giudizio di purezza ideologica o meno. Nacquero così i mille, e forse più,
partiti e movimenti alla sinistra del PCI, che si ritenevano, a torto o ragione,
interpreti migliori e più puri del pensiero marxista, leninista, maoista ,
zapatista, terzomondista ecc. ecc. Tengo volutamente fuori da quest’ analisi le
frange che diedero vita alla stagione del terrorismo, perché meritevoli ben altre e più approfondite analisi.
Ecco
allora che il fronte comune dell’alternativa al sistema comincia a mostrare le
prime crepe, introducendo all’interno di un dibattito corposo, ricco ma chiaro,
elementi di divisione tali da portare molti non riconoscersi più nella
rappresentanza del partito.
Questo,
unito a presenze organiche che, specialmente dopo l’assassinio di Aldo Moro,
presero forza e vigore, lavorarono dall’interno per delegittimare la leadership
politica dell’epoca (Berlinguer) e traghettare il PCI, in nome di un "necessario" modernismo
verso forme di socialdemocrazia, completarono l’opera (Non finirò mai di
ringraziare i cosiddetti Miglioristi per aver contribuito a distruggere
un’esperienza unica come quella del PCI, e che, con il Presidente Giorgio Napolitano, oggi,
mostrano di che pasta fossero fatti e quali interessi perseguivano).
Quindi
ci si trovò a confrontare con una situazione decisamente più complessa in cui
l’appartenenza ad un partito e ad un pensiero comunista erano viste quasi come una vergogna e un limite da parte degli
stessi dirigenti che fecero del tutto per svincolarsi da quell’ingombrante
eredità arrivando, oggi, a dare vita a tutt’altro in nome della necessità di
interpretare una realtà sempre più complessa, ma che a me sembra sempre più una
riedizione della vecchia DC con il vantaggio di non essere più pressata e
insidiata da nessuna alternativa di sinistra.
Oggi
quel poco che rimane della sinistra al di fuori del PD prende la maggior parte
dei propri voti in ambienti di livello culturale più elevato mentre è
praticamente assente negli ambienti più popolari e di disagio sociale. Quindi
non è più vista dal proprio naturale elettorato di riferimento come chi possa
rappresentare le proprie problematiche.
Come
forse qualcuno sa, io sono iscritto a uno di questi partiti soprattutto per
svolgere un’azione a livello locale che tenda a rappresentare e ad unire,
almeno territorialmente, la sinistra però mi trovo spesso a disagio nel dover
leggere e dover, poi, decodificare i discorsi di troppi nostri dirigenti,
affascinanti finchè si vuole, ma prive di quella chiarezza di fondo che ne
rende complicata l’interpretazione. Il popolo che la sinistra dovrebbe
rappresentare anche all’interno di una situazione molto complessa, ha bisogno
per riconoscersi di parole e posizioni chiare non interpretabili o modificabili
a soggetto. Ritornare ad essere anche un po’ populisti, nel senso più nobile
del termine, non è una cosa di cui vergognarsi, ritrovarsi in piazza a
difendere diritti violati o a denunciare ingiustizie anche insieme anche ad
altri movimenti dovrebbe ritornare ad essere la norma e non occasione ogni
volta per star lì a spaccare il capello in quattro e stabilire se sia opportuno
o meno politicamente.
Oggi
la cosa che più potrebbe far saltare il banco è proprio quella di spiazzare
l’avversario e anche chi ancora si ritiene nostro compagno di viaggio (PD?) con
la chiarezza e la semplicità delle scelte, sfilarsi dai giochini e dai
trabocchetti tipici di questa politica della seconda repubblica. Si deve
ritornare a dissodare i nostri campi che per troppo tempo abbiamo abbandonato
alla mercé dei primi venuti.
La
lettura della società deve ritornare alla semplicità originaria, pur nella
complessità attuale, i poveri sono poveri, gli sfruttati rimangono sfruttati, i
ricchi sono ricchi, i padroni sono padroni. Non sono concetti difficili e
nemmeno vecchi , forse solo dimenticati perché scomodi e poco gratificanti quando
facciamo le nostre esternazioni (più o meno pubbliche) alla ricerca del facile
applauso o dell’ammirazione dei (sempre troppo pochi) presenti.
Ritorniamo
semplici, che non vuol dire fessi, ritorniamo umili per ascoltare chi ha tutto
il diritto di essere ascoltato, ritorniamo a guidare e interpretare il
malessere sociale e non solo ad analizzarlo in dotte e approfondite analisi. La
migliore analisi è il vivere e condividere il disagio, l’ingiustizia e provare
insieme a cambiare.
Troppo
semplice? Troppo populista? Forse, ma proviamoci, magari chissà?
Ad
maiora
MIZIO
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