Quanto
si parla di merito e meritocrazia in questi ultimi tempi, sembra quasi che all’improvviso
si sia caduti tutti contemporaneamente dal pero e ci si sia resi conto che non
è sufficiente essere capaci, competenti, onesti per andare ad occupare posti di
responsabilità.
Pur
tuttavia non è di questo aspetto, sia pur importante, che voglio parlare perché
alla fin fine si tratta comunque di una diatriba quasi fine a se stessa in
quanto è quasi impossibile partire da dati sicuramente oggettivi (a parte
alcuni rari casi) per cui le conoscenze, l’appartenenza, la difesa d’interessi
particolari, entrano a far parte dei criteri di valutazione al pari, quasi, di
quelli del merito vero e proprio.
Cosa
indubbiamente grave e da censurare ma che non tiene conto del fattore che più
di tutti rende limitato e superficiale il dibattito sulla meritocrazia.
Tra
un ragazzo/a che nasce in una favelas brasiliana e il fglio/a di un benestante
professionista di un paese occidentale pensiamo che sia la valutazione di
merito la vera discriminante?
Quante
possibilità avrà il primo rispetto al secondo, non dico di andare ad occupare un
posto di responsabilità, ma di avere appena la possibilità di pensarlo
possibile?
Chi
riesce anche solo a mettersi in competizione è già all’interno di un sistema
che premia fortuna e caso prima che la
competenza e fa parte già di una elite che “merita” a prescindere.
Ovviamente, non mancherà, sicuramente, chi porterà il proprio o altrui singolo esempio di
qualcuno che ce l’ha fatta pur partendo da posizioni sociali
svantaggiate.
Difatti
è talmente poco probabile che viene indicato come evento possibile non certo
frequente, al pari della famosa mosca bianca.
In
altri ambienti invece, quanti figli, non dico di politici, ma di imprenditori,
professionisti, appartenenti alla ricca borghesia rimangono tagliati fuori da
posti di uguale o superiore prestigio? Un numero sicuramente assimilabile a
quello dello stesso concetto della mosca bianca di prima.
Quindi,
quando sento parlare di meritocrazia sono portato a considerarlo un mero
esercizio di autopromozione, pur legittimo e comprensibile, legato a doppio
filo e funzionale alla logica della competizione compresa nell’ideologia
liberista imperante.
Fino
a che non ci sarà una vera giustizia sociale il discorso sulla meritocrazia
sarà comunque limitato e indirizzato per il 90% dal caso e dalla fortuna e, per
il restante 10% ,dalle proprie capacità e dalle influenze esterne.
Chi
nasce in certi ristretti ambienti privilegiati ha già vinto, al di là del merito.
MIZIO
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